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Autore: lolki    05/11/2010    0 recensioni
Il cuore martella sia nel petto sia nelle tempie, inarrestabile.
Genere: Commedia, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Sono a casa»
Forse  lo disse più a se stessa, perché già sapeva che non avrebbe ricevuto alcuna risposta.
Attraversò l’entrata, poggiando meccanicamente le chiavi nella ciotola argento del tavolino adiacente alla parete e attivando la segreteria che si divertiva a lampeggiare ininterrottamente.
Primo fastidioso bip.
«Ci sono cinque nuovi messaggi»
Staccò lo sguardo da quel  fastidioso oggetto dalla voce meccanica, che se dalla quale non avesse creato una discreta distanza si sarebbe sicuramente provocata un’emicrania.
«Messaggio numero uno»
Secondo bip.
«…………..…» Silenzio «si quelli mettili pure li» Pausa «mi serve per domani» Altra pausa «scusa sono al telef..»
Terzo bip.
 Sorrise arresa, la voce che era riuscita a finire il tempo disponibile per lasciare un messaggio era sicuramente sua madre.
«Messaggio numero due»
Si aprì la cerniera del giubbotto cominciando a percepire il calore presente in casa.
Non si stupì nel risentire la voce femminile che cominciava a parlare.
«Ciao tesoro, scusa ma per pranzo non ti ho preparato niente, ma  nel congelatore c’è  una scatola di Bastoncini Findus, ci vediamo questa sera e mi raccomando prendi le vitamine»
Si girò verso il salotto non stupendosi di trovarlo disteso sul divano di pelle scura. In posizione composta, in qualche modo studiata, anche se per lui era del tutto istintiva.
«Messaggio numero tre»
I suoi occhi scuri la scrutavano severi, fermi.
La segreteria continuava a emettere suoni, indifferente alla quotidiana “lotta di sguardi” che era appena iniziata.
«Sono papà»
Nocciola scuro nel cobalto.
«Oggi torno a cena,  mi dispiace. Arrivo verso le nove»
Altro bip.
Distaccò lo sguardo, non in segno di resa, ma perché la spalla cominciava a darle fastidio a causa della borsa aggravata dal peso dei libri.
«Messaggio numero quattro»
Si incamminò per il corridoio, sentendosi seguire dallo sguardo scuro che non l’aveva abbandonata da quando aveva  messo piede in casa.
«Cambiamento di programma, pranziamo insieme. Passo a prendere dei Kebab, ti prendo il solito, solo carne con Jogurt e molto piccante. Arrivo alle due e mezza. »
Appoggiò stancamente la borsa sulla sua scrivania, e con un gesto leggero schiacciò il tasto d’accensione del suo computer.
«Messaggio numero cinque»
Appese il giubbotto nell’armadio, accompagnò l’anta scorrevole dell’armadio che con fluidità si chiuse.
«Sono di nuovo io»Disse una voce femminile«Questa sera non riesco a tornare per cena, perché ho un riunione, mangiate senza di me non preoccupatevi. Ho già avvisato tuo padre ma ricordaglielo. Un bacio Mamma»
Sospirò nel sentire l’agognato ultimo bip dell’infernale oggetto.
Guardò l’orologio presente sul desktop che dichiarava le 14.05 .
«Ho ancora venti minuti»
Aprì di nuovo l’anta dell’armadio tirando fuori un giubbotto felpato.
Tornò in salotto corrucciando le labbra nel non ritrovarLo sul divano.
Udì il suono metallico di una catena appoggiata sul pavimento.
Si girò appena in tempo per essere investita da una massa scura che la fece capitolare a terra.
La faccia ora era inondata da affettuosi,dalla parte di lui, quasi disgustosi, dalla parte di lei, baci di cane, o per meglio dire sbavate.
«Bisonte!»Esultò cercando di levarsi il muso dell’interessato dal suo viso.
« Si anch’io ti voglio bene»Disse cercando di convincerlo a smettere
« Ora basta»
Il  cane, si stacco,per nulla turbato, tornando indietro, scomparendo dalla stanza andando a recuperare quello che, prima di dare l’affettuoso benvenuto alla ragazza, aveva abbandonato.
Josephine ancora seduta sul pavimento,allargò il sorriso nel vederlo tornare trotterellando con il guinzaglio, in bocca.
Come se avesse già compreso le sue intenzioni.
Appoggiò il tutto sul suo ventre, ricomparendo e tornando con una palla da baseball arancione che appoggiò sempre sul ventre di lei.
Infine le si sedette a fianco, superandola in altezza, e aspettando che lei agganciasse il guinzaglio al collare.
«Prima fai tanto il grande e poi mi fai queste scene qui?» Disse accarezzandogli le orecchie.
Lui di risposta le leccò il naso, provocandole solletico al naso.
«Ok, ok! Ora andiamo. Non mi serve la pulizia al naso!» Subito dopo si stropicciò il naso col palmo della mano per cacciare il fastidio.

Usciti dal cancello si ricordò di avere dimenticato una cosa e si rivolse a lui come se potessero veramente avere un dialogo.
«E la museruola dove l’hai nascosta?»
Lui la guardò con sguardo come a dire :”Muse…che? E’ qualcosa che si mangia?”.
«Se passano i vigili, so che è improbabile, la pago io la multa»Osservò (falsamente) scocciata.
Il cane di rimando distolse lo sguardo andando avanti. Quando dopo due passi senti il collare stringersi del collare, l’evidente opporsi di marcia della padrona, si girò lentamente. La guardò incatenando il cobalto al suo marrone. Con lentezza, come a evidenziare il gesto, tirò fuori la lunga lingua rosa e leccò il proprio nero naso.  Una velata minaccia che lei non tardò a intuire.
«Si ok. Andiamo basta che lasci stare il mio naso!» Esclamò preoccupata. Lo sorpassò, e senza accorgersene stropicciò con il dorso della mano il naso incriminato.
Dopo poco raggiunsero un prato, il quale preannunciava una lunga distesa di campi.
Bisonte scodinzolante, aspettò impaziente che Josephine staccasse il gancio del guinzaglio.
Una volta libero si mise di fronte a lei, acquattato, le orecchie all’indietro attaccate alla testa, occhi fissi solo sulla palla. Pronto a partire non appena quella palla arancione si fosse vibrata in aria.
Josephine chiuse la palla tra le sue mani, caricò il peso su una gamba, allungò il braccio all’indietro e tirò la palla, come le avevano insegnato dall’altra parte del mondo. Un buon lancio.
Bisonte era già partito, con ventre a raso terra, dopo quaranta metri tira su la testa orecchie in avanti salta in aria a prendere la palla arancione.
Torna a terra, e scatta a portare la palla al mittente.
Gliela consegna in mano, e per la felicità di Josephine, piacevolmente sbavata.
Dopo qualche tiro un clacson fa sobbalzare Josephine e perdere di vista la palla a Bisonte che l’afferra solo una volta che è caduta a terra.
Solo un attimo di smarrimento e poi torna tutto alla normalità, almeno per lei.
La Mercedes familiare si ferma dietro a Josephine. La portiera fa per aprirsi e subito il cane corre. Con ancora la palla in bocca che lascia cadere a due metri dall’auto. E subito tra l’auto e la ragazza.
Si abbassa sulle zampe, la testa allineata al busto, orecchie abbassate, pelo gonfio, e denti scoperti.
Poi quando l’uomo apre del tutto la portiera Bisonte annusa l’aria e si tira indietro orecchie in posizione normali e coda scodinzolante.
«A chi è che ringhi tu?»Domanda l’uomo,con tono indagatore-ironico, che ora è uscito dall’auto.
L’uomo dai capelli biondo scuri, leggermente ricci si avvicina alla ragazza per darle un affettuoso bacio sulla fronte, non curante del cane che cerca di mettersi in mezzo per ricevere per primo il saluto.
«Non riconosce ancora la tua auto»Constata lei, scrollando le spalle.
«Ciao cucciola» Mormora sulla sua fronte.
«Giornata? Tutto bene?» Domanda poi tornando dritto e accarezzando la testa del cane.
«Normale. E la tua papà?»Chiede lei andando a riprendere la palla abbandonata.
«Noiosa. Come mai qui e non nei campi»
«Perché nei campi si sprofonda nel fango. Andiamo a mangiare?»Disse mentre riagganciava il guinzaglio al cane, il quale era perso in una venerazione profonda per suo padre.
«Certo, andiamo in macchina»Bisonte drizzò le orecchie entusiasta.
Poi come aver capito il significato delle proprie parole osservò le zampe del cane.
Dire sporche era dire poco.  Aveva più di metà gambe ricoperte di fango, come lo era anche il ventre.
«Questo coso non sale»
«Bè allora tu vai a casa, noi ti raggiungiamo tra poco, metti i kebab nella stufa cos non si raffreddano»
«Non ho tempo, tra poco devo andare via»Disse seccato.
«Scusa allora come vuoi fare? Volare?»Chiese sarcastica lei.
Lo guardò mentre osservava la strada, gli occhi grigi come il cielo scrutavano, come in cerca di una soluzione.
«Sali»Ordinò poi.

I suoi occhi ridenti erano fissi sul finestrino laterale.
Suo padre al posto di guida non era da meno.
Procedevano lungo la strada, con una buona andatura, insomma da buoni cittadini, come piaceva sostenere suo padre, ma non guardavano avanti.
Troppo presi a guardare Bisonte che gli stava dietro correndo, con guinzaglio in bocca.
Il cane che si portava a spasso da solo, con un solo obiettivo, raggiungere la macchina.
Arrivati a casa, Josephine si mise subito a pulire le zampe al cane con uno straccio; mentre Luciano preparava i piatti per il pranzo.
Ora erano tutti e tre semidistesi sul divano di pelle. A guardare la televisione. Chi intento a cercare di non far cadere nulla, e chi sperava  che qualche pezzetto di carne scivolasse dal piatto.
«Ma per quale cavolo di motivo tieni i canali impostati in inglese?»Sbottò Luciano.
«Così mi tengo in allenamento»Rispose tranquillamente lei, cambiando le impostazioni con il telecomando.
«Un anno non ti è bastato?»
«Si, ma che c’entra? Mantengo il cervello allenato»
«Perché? Io ero convinto che avessi la testa per tenere i capelli»Osservò.
«Ecco a cosa serve un padre: a farti demoralizzare!»Rispose sarcastica.
Passarono circa venti minuti, nei quali finirono di mangiare in silenzio, e a guardare la tv, per qunto lo permettesse lo zapping estremo di Josephine.
«Io torno in ufficio, ci vediamo questa sera alle nove» Affermò alzandosi dal divano.
«Buon lavoro»
«Ah, la mamma mi ha detto di ricordarti che questa sera non torna per cena»Li ricordò mentre lui si stava abbassando per baciarle la fronte.
«Si, grazie, me ne stavo dimenticando»
«Ciao!»Nel momento in cui si volse per dirigersi verso l’uscita, Bisonte scattò al suo fianco, fino a che non raggiunse la porta. Una volta uscito in cane fece retrofront e tornò sul divano appoggiando la sua grande testa sulle gambe della padrona per ricevere più coccole possibili.

Chiuse stancamente il pesante libro di chimica. Guardò l’ora del suo fidato cellulare.
Le sei. Era stanca.
Socchiuse gli occhi, e si massaggiò le tempie con le lunghe dita, che in quel momento erano particolarmente fredde.
Si stava veramente rilassando, forse sarebbe riuscita anche ad addormentarsi se non fosse stato per il rumore di vibrazione che cominciava a scivolare nella sua testa.
Con la mano sinistra prese in mano l’oggetto che attirava la sua attenzione.
Appoggiò il busto allo schienale della sedia e allungò i piedi nella folta pelliccia del cane sdraiato sotto la sua scrivania.
Un nome appariva con insistenza sullo schermo del cellulare.
Gian!!!
Premette il tasto sinistro, e portò l’apparecchio vicino all’orecchio.
«Si?»Solo un monosillabo, uscì dalle labbra torturate dai denti.
«Puoi parlare?» Domandò il suo interlocutore.
«Si»altro monosillabo .
«Sei a casa?»Altra domanda
«Si»altro consenso piatto.
«Passo a prenderti tra dieci minuti»

















Spazio Autrice

Ciao!
Scusatemi per non aver mai scritto niente nei capitoli precedenti, e per essermi bloccata circa due mesi fa.
Allora volevo ringraziare coloro che hanno recensito e per chi ha letto la storia.
Volevo dire che mi fanno molto piacere le recensioni, anche quelle negative. Insomma potete anche dirmi che fa schifo e che faccio meglio a toglierla(magari anche la tolgo).
Due parole su questo capitolo che non mi piace, ma è un capitolo un po’ di transizione.
Poi cosa si potrebbe dire di Josephine… si bisogna darle un po’ di tempo prima di capire, ma di sicuro non è una santa.
  
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