3.
Intontito dal sonno, Malik impiegò qualche secondo a capire cosa stava succedendo. Quegli scrolloni non erano parte
del sogno agitato che stava facendo: era Titti che lo scuoteva per un braccio tenendogli l'altra mano sulla bocca. Perché
mai, si chiese mentre si staccava dal viso la fresca e morbida mano di lei.
- Ssst! - quel breve sibilo che giungeva dal buio, dove avrebbe dovuto trovarsi Titti che si era addormentata tra le
sue braccia. Ne sentiva ancora il calore sulla pelle leggermente umida di sudore là dove i loro corpi erano stati in
contatto nel sonno. La udì appena, stentando ad afferrare le parole sussurrate debolissimamente.
- Zitto, non ti muovere!
Dapprima non capì. Ma in meno di un secondo si rese conto del perché era necessario stare zitti e non fare rumore. Una
luce ondeggiava attraverso la vegetazione, tanto lontana da loro che si vedeva appena. Due luci, due torce
elettriche. Era entrato qualcuno, lì nella serra. Qualcuno con cattive intenzioni: entrare di notte, senza accendere
l'illuminazione, armati di torce elettriche. Non erano certo botanici, professori o studenti.
Titti bisbigliò qualcosa così piano che lui non riuscì a capire, ma il messaggio gli arrivò ugualmente, preciso e
inconfondibile. Si era afferrata a lui con una mano e gli stava stringendo il braccio così fortemente da fargli
male. Anche lui aveva paura, ma in quel momento si vide costretto ad accantonare qualsiasi pensiero: Titti aveva
bisogno di lui, non poteva venire meno. Per prima cosa le posò una mano sulla sua, nel tentativo di tranquillizzarla. Ma
lei non mollò la presa, anzi: si accorse che stava anche tremando.
- Non ci possono vedere – le mentì, parlando con un sussurro – vediamo che cosa fanno...
Non ottenendo risposta, si concentrò sulle luci ondeggianti. Non era affatto vero che non potevano essere
scorti. Per un attimo una delle due torce centrò in pieno una sagoma umana, che apparve ben visibile. Se uno dei
raggi di luce fosse stato puntato nella loro direzione, li avrebbero visti: non erano poi così lontani. Lui
indossava una maglietta blu con le maniche lunghe e pantaloni verde scuro, e forse con la sua pelle nera come il
cioccolato se la sarebbe cavata. Lei però indossava la sua maglia termica gialla e aveva la pelle del colore del
latte.
In un lasso di tempo che parve durare un'eternità, le due torce elettriche attraversarono la serra proiettando ombre
minacciose ovunque, cangianti sagome in movimento. Si stavano dirigendo al laboratorio, se non si ricordava male la
posizione in cui si trovavano. Al suo interno la serra era un piccolo labirinto, nonostante la banale pianta
rettangolare. Dopo pochi secondi di attesa, entrambe le luci sparirono dentro il piccolo laboratorio.
- Cosa fanno?
- Che ne so io? - la risposta gli sfuggì un po' bruscamente, forse perché era difficile mantenere una corretta
intonazione bisbigliando parole al limite dell'udibile.
- E se ci trovano?
- Non ci pensare nemmeno – era un'ipotesi a cui davvero non avrebbe pensato fino all'ultimo momento. Cercò di alzarsi
in piedi, ma lei lo trattenne.
- Dove vai? - nascosto nel sussurro, il tono di urgenza era ben percepibile.
- Nascondiamoci meglio...
Era l'unica cosa che il suo cervello spaventato era riuscito a pensare. Faticosamente si sollevarono in piedi entrambi,
rimanendo curvi nel buio, tesi e pronti a scattare al minimo allarme. Ma in quale direzione, si chiese Malik. Non si
vedeva nulla. Rimpianse di non aver portato con sé il datapad per prendere appunti. Più volte aveva usato il suo grande
schermo luminoso per cercare lo stilo rotolato sotto il letto, al buio. Aveva smesso quando si era accorto che il
datapad funzionava perfettamente anche usando le dita. Si rese conto che nemmeno Titti, più ligia al dovere e più
studiosa di lui, aveva portato il proprio ingombrante datapad per memorizzare appunti.
All'inizio l'idea era di aggirare la rete cui si erano appoggiati per frapporre anche l'edera rampicante tra loro e le
luci, ora scomparse dentro il laboratorio che ospitava i campioni. Presto Malik si dovette arrendere di fronte
all'evidenza: non aveva la più pallida idea di come fosse l'ambiente intorno a lui e procedendo a tentoni, le braccia
tese in avanti, non avrebbe concluso nulla. Prima o poi avrebbe prodotto un rumore, inciampando o incappando in
qualcosa di inatteso: un rumore traditore. La serra non era grandissima: se i due malintenzionati li avessero cercati,
li avrebbero trovati in breve.
Titti, che gli stava aggrappata quasi stritolandogli un bicipite, improvvisamente lo strattonò con decisione.
- Che fai? - protestò lui seguendola.
- Di qua! - sibilò lei.
- Perché?
- Perché se loro sono entrati, forse noi possiamo uscire. La porta è di qua.
Di fronte a tutta quella sicurezza di sé, Malik non poté far altro che tacere e obbedire. Come previsto, inciampò un
paio di volte e furono costretti a cambiare direzione e a fermarsi più volte per non danneggiare eccessivamente i
vegetali della serra. Non tutti disponevano di un solido tronco di legno e di fronde flessibili e robuste. Anzi, ne
aveva visti parecchi alti pochi centimetri e composti di steli teneri e delicati.
Il tragitto, tortuoso e accidentato, si abbreviò di colpo quando si resero conto di essere finiti su uno dei sentieri
fra le varie vasche di terreno, installate al livello del pavimento per essere maggiormente accessibili. Gli venne
in mente che il docente aveva detto come in realtà la serra fosse alta il doppio: nella metà inferiore c'erano i
sistemi idrici e i montanti che sorreggevano il peso delle vasche: tonnellate di terreno arrivato via shuttle dal
pianeta. Una follia, dal punto di vista economico.
Distratto, si rese conto solo quando le torce ripresero a balenare nel buio che si trovavano esposti. Erano passati
davanti alla bussola senza vederla. Ebbe un tuffo al cuore e solo il dolore al braccio per la stretta di Titti gli
impedì di rimanere paralizzato lì, inchiodato al pavimento dalla paura. Saltarono entrambi all'indietro e si buttarono
freneticamente contro la porta. Titti dette uno spintone alla maniglia e si tuffò dentro. Con uno scatto che sembrò
uno sparo in tutto quel silenzio, la serratura alle loro spalle scattò e l'altra porta, quella che dava sull'esterno,
si sbloccò. Si gettarono fuori uno dopo l'altro.
Abbagliati dalla pur fioca luce che simulava la notte di Apollo, rimasero lì impalati, felici, col cuore che martellava
nel petto. Poi Malik ebbe un lampo di coscienza improvvisa: la loro uscita precipitosa aveva fatto più o meno lo
stesso baccano di un convoglio del Tubo che entra in stazione. Con un'intuizione di cui lui stesso si stupì, aprì
la porta che aveva alle spalle. La bussola, identica a quelle delle banche, obbediente fece scattare la serratura
della porta interna, bloccando dentro la serra gli intrusi.
- Non escono più! - esclamò vittorioso. Il meccanismo era elettromeccanico, non elettronico: nemmeno il più abile
scassinatore di serrature avrebbe potuto fare qualcosa, non senza attrezzi adatti a segare il metallo.
- Sei pazzo? Andiamo via! - esclamò Titti sottovoce, anche se non c'era più alcuna necessità. Qualcosa batté contro
la porta interna della bussola. I vetri erano stati oscurati in modo che dalla bussola non si potesse osservare
l'interno della serra.
- Se questa si chiude, quelli escono – le fece notare Malik. Titti si guardò intorno rabbiosa. Si meravigliò: l'aveva
già vista arrabbiata. Con qualche amica che le aveva fatto una scortesia, per le normali difficoltà di convivere con
Pyretta, con qualche professore o con se stessa per problemi con lo studio. Ma mai così: la maglia termica scollata,
le maniche risvoltate fin sopra i gomiti, la pelle candida, le fattezze tonde, morbide e abbondanti... tutto faceva di
lei qualcosa di simile a una bella bambolina bionda. La cui furia non era da sottovalutare, però. La vide correre via
velocemente nonostante la goffaggine dovuta alla sua mole, un'espressione furiosa sul viso che credeva capace solo di
tenere smorfie. Sparì dietro l'angolo: Malik non sapeva cosa Titti stesse facendo, ma quando la vide tornare, sempre
correndo, tenendo tra le mani un cartoccio termico usa e getta di un kebap take away, non dovette sforzarsi a
immaginarlo. Con furia piegò in due la confezione unta per aumentarne lo spessore. Messo quell'ostacolo contro lo
stipite, la porta esterna della bussola non si chiudeva, bloccando quella interna. Da lontano la porta sembrava
chiusa e non destava sospetti.
Si allontanarono in fretta, rallentando il passo solo quando furono in vista degli alloggi per gli studenti, ben
all'interno della struttura universitaria. La guardò: scarmigliata, la bocca aperta per la corsa, ansimava ed era
lucida di sudore. Si appoggiò con le mani sulle ginocchia, chinandosi in avanti. Non si era nemmeno chiusa la cerniera
della maglia termica: si poteva vedere l'intimo bianco e perfino un piccolo scorcio del pallidissimo seno.
- Bella corsa – fu la prima cosa che gli venne in mente di dirle. Le avrebbe fatto una statua: aveva appena dimostrato
di essere più sveglia di lui. In modo determinante.
- Uffa – rispose lei raddrizzandosi – che paura, però.
- Come sei bella – si sentì un'idiota, ma doveva dirlo. Lei gli rispose con un sorrisetto dei suoi: rapido e fugace,
ma sincero.
- E adesso?
Malik si strinse nelle spalle. Per lui era un passo obbligato.
- Non saprei... bisogna avvisare prima la polizia o prima il professore? - Titti gli sorrise radiosa.
- Ti amo anch'io – Malik udendo quelle parole si sentì leggero come una piuma.