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Autore: Willow Gawain    07/08/2010    6 recensioni
Hidel, contea di Northumberland, Inghilterra - 1852.
Quel villaggio era perennemente bagnato dalla neve, perennemente avvolto dal freddo, dal vento, dalle nubi. Non compariva sulle carte, ma la sua figura tanto piccola quanto antica era sempre lì, ad aspettare pazientemente. Come un mostro in agguato, come un fantasma dagli occhi spietati. Una volta entrati a Hidel, la legge del villaggio proibiva tassativamente di abbandonarlo. Una maledizione, un sortilegio, una stregoneria lanciata tempo addietro da Satana camuffato da vecchia strega.
Forse, però, c’era ancora una speranza per Hidel. E quando il primo degli Angeli, il Supervisore, varcò la soglia di quel villaggio costruito in modo perfettamente circolare, come un cerchio magico, il conto alla rovescia per l’Apocalisse di Hidel ebbe inizio.
«Ora aggrappati al mio braccio. Tieniti forte. Visiteremo luoghi oscuri, ma io credo di sapere la strada. Tu bada solo a non lasciarmi il braccio. E se dovessi baciarti nel buio, non sarà niente di grave: è solo perché tu sei il mio amore.» [Cit. S.King]
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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What colour is the snow

What colour is the snow?

Capitolo 14: L’altra faccia.

 

Annlisette Nevue non sapeva se ridere o piangere. Inizialmente aveva riso molto nervosamente, non riuscendo a credere che suo padre avesse davvero invitato a pranzo Nathan Metherlance, lo straniero, lo “strambo”, lo scienziato pazzo. Quando mai Lazarus si era dimostrato così gentile da addirittura invitare qualcuno a restare per il pasto? Anzi, quando mai aveva condiviso il pranzo suo - e soprattutto quello dei suoi figli – con un totale sconosciuto. Sua madre l’aveva forse corrotto? Anche suo padre si era fissato con la storia che tra loro c’era del tenero e aveva cominciato a considerarlo un genero? A confermare quelle ipotesi c’era l’atteggiamento di Gabriel, che non mancava di dimostrarsi antipatico e di lanciare a Nathan una serie sterminata di occhiate sospettose.

“La situazione sta precipitando…” pensava tra sé e sé la ragazza mentre erano tutti seduti a tavola. Non era andato tutto così tragicamente come aveva immaginato, lo straniero era infatti riuscito a instaurare un dialogo molto interessante sull’uso odierno del latino.

-Quindi tu mi dici che conoscere quella lingua apre molte strade- considerò Lazarus scrutando con curiosità Nathan. Quella discussione lo stava prendendo davvero.

-Sì, soprattutto se si opera nel mio campo: l’archelogia- continuò il giovane studioso –è una branchia della scienza che sta riscuotendo molto successo in questi anni, soprattutto grazie alle nuove scoperte in campo tecnologico. Grazie ai moderni treni, al sistema di illuminazione elettrica e…-

-Treni? Sistema di illuminazione elettrica? Di che accidenti stai parlando?- lo interruppe Ann alzando il viso dal piatto. Non aveva mai sentito nomi simili prima.

Nathan parve molto sorpreso, infatti passò lo sguardo celeste su tutta la famiglia che lo osservava con lo sguardo di chi non capisce, infine inclinò il capo –Davvero a Hidel non arriva nemmeno notizia di… non dico la luce elettrica, ma almeno dei treni? Esistono da… trent’anni, all’incirca-

-Ragazzo, in questa famiglia solo io esco da Hidel. Ogni volta che arrivo in città questa sembra sempre più forte, avanzata, ma anche divoratrice di menti. Noi villici evitiamo troppi contatti con questa società affamata- gli spiegò il padre, e lo studioso annuì. Poteva ben capire dove voleva andare a parare: lì non avevano la minima intenzione di progredire, e ciò, agli occhi di Nathan, era una cosa molto negativa.

-Sì, sì lo sappiamo! Ma ora dimmi cos’è un treni… o treno?- lo richiamò Ann dandogli piccole pacche sulla mano.

Il biondo le sorrise gentilmente, la trovava molto dolce quando tirava fuori questo lato così curioso –Treno. Certo, scusa se ti ho fatta aspettare. Un treno è un mezzo di trasporto pubblico, aperto a chiunque, lo possono usare i nobili come i servi, basta comprare un biglietto, e ti porta ovunque-

-E come ti ci porta? Può portarti anche dall’altro lato del mondo? E’ veloce?-

-Sì, è molto veloce. E’ capace di portarti da una punta all’altra di Kharlan in una settimana-

-Incredibile!- Ann scattò in piedi sbattendo le mani sul tavolo. Nathan fece un salto all’indietro, sorpreso da quella reazione così esagerata. Anche il resto della famiglia lo guardava come se stesse parlando di qualcosa di mostruoso.

Nathan annuì, sorridendo ancora. Gli faceva uno strano piacere portare un barlume di scienza in quella famiglia così chiusa in se stessa. Forse non era un pensiero carino da fare, ma lo faceva sentire in qualche modo potente –Sono alti come la sala maestra, grandi il doppio. Sono composti da tante carrozze che ospitano i passeggeri e viaggiano sulle rotaie. Le rotaie sono… come sei sentieri, le linee su cui possono viaggiare solamente i treni-

-Che cosa li muove?- chiese Lazarus.

-Il carbone- rispose subito il ragazzo.

-Quello che noi mettiamo nel fuoco quando papà lo porta dalla città?- chiese Ann con grandi occhi luccicanti.

-Esatto. Lo si brucia e si ottiene forza motrice, ovvero capace di muovere un enorme treno-

-Ma ci stai dicendo la verità?- chiese Gabriel inarcando un sopracciglio, scettico.

Quella domanda pose inizio a un silenzio. Ovviamente c’era sempre qualcuno che non credeva, ma Gabriel sapeva essere un avversario ostico, di questo ne era sicuro. Avrebbe dovuto dargli prove concrete –Sì, se volete posso mostrarvene uno-

-E come? Non possiamo andare in città- sospirò Ann accasciandosi sul tavolo, mettendo il broncio.

Lo straniero fece cenno di no col capo, rivolgendole uno sguardo tranquillo –Ho dette fotografie in casa mia-

-Fotografie?- per la prima volta fu Elizabeth a parlare. La donna teneva una mano davanti alla bocca, incantata da tutte quelle strabilianti rivelazioni.

Nathan si chiese se non lo stessero prendendo in giro. Dove era stato Hidel negli ultimi cinquant’anni? Abbassò lo sguardo un attimo, chiedendosi come avrebbe potuto mostrare cos’era una fotografia senza spaventarli –Vi dirò la verità- decise infine, tornando a guardarli tutti e quattro –la fotografia è una cosa prettamente scientifica. Ma la superstizione, come sempre, mina il mio campo, additando noi scienziati non come persone che tendono una mano verso il futuro, ma come fattucchieri di strada. Una fotografia viene scattata da una macchina fotografica, uno strumento capace di catturare e trasferire una scena su carta-

Nessuno aprì bocca, Ann era tutta orecchi. Nathan però sapeva già cosa volesse chiedergli la ragazza –All’interno ha un meccanismo. Ti metti davanti alla macchina fotografica, un’altra persona si mette dietro l’oggetto, aziona il meccanismo, la macchina fa un piccolo botto… e la tua immagine rimarrà per sempre sulla carta- le sorrise –ricordi quello strumento alto con tre piedi in casa mia?-

La ragazza annuì. Lo ricordava ammassato in mezzo ai libri, nell’angolino accanto al letto. Sbatté le palpebre diverse volte –Quella è una macchina fotografica!- esclamò con occhi spalancati.

-Esatto, e questa…- lo studioso mise una mano nella tasca dei pantaloni, dalla quale uscì un pezzo di carta che mostrò prima ai genitori, poi ai fratelli –è una fotografia-

Ann gliela prese di mano con un gesto veloce, accostandosi accanto a Gabriel, così da osservarla per bene.

Ritraeva Nathan seduto su un gradino dietro il quale si vedeva un fiume. Accanto allo straniero c’erano due persone: una donna visibilmente più grande di lui, dai lunghi capelli e gli occhi molto dolci, seduta composta mentre rideva del terzo individuo, a cui il vento aveva sbattuto in faccia un foglio evidentemente di passaggio. Sullo sfondo c’era un ammasso di case e, in lontananza, una cattedrale. Il tutto era in bianco e nero. Ann rimase incantata, tanto che il suo cuore cominciò a battere più velocemente. Era davvero reale quello di cui parlava Nathan. Improvvisamente sentì la prepotente voglia di uscire da Hidel e viaggiare, prendere un treno, fare fotografie e vedere la luce elettrica. La casetta calda e accogliente di famiglia non le era mai parsa più opprimente.

-Quello è il mio migliore amico- le spiegò Nathan riferendosi al tizio il cui viso era nascosto –la donna, invece, è il mio capo-

Solo allora Ann focalizzò la propria attenzione sulla donna a fianco del suo amico. Se quella fotografia non fosse stata fonte di nuove emozionanti scoperte, sicuramente avrebbe subito fatto caso a quel particolare, ingelosendosi come al solito. Tuttavia, stavolta frenò il rossore sulle guance –Come si chiama?-

-Jen- rispose subito lui.

I commenti ripresero. Lazarus si mostrava molto interessato alle novità della città, tuttavia non si sbilanciava troppo. Nathan cominciò a vederlo sotto una luce diversa. Aveva l’impressione che l’uomo fosse davvero incuriosito da tutto quello che Hidel precludeva ai suoi abitanti, ma che al contempo avesse quasi paura di allontanarsi da quel luogo che rappresentava un posto sicuro per tutti loro. Una casa, per quanto vecchia e malandata, è pur sempre una casa.

-Dicevi prima che la superstizione ha qualcosa a che fare con la fotografia- fece notare Elizabeth mentre sparecchiava.

-Giusto. Ho dimenticato di completare il discorso!- esclamò Nathan in imbarazzo, facendo ridere Ann e sua madre –Vi dicevo che c’è addirittura chi dice che le fotografie… mangino l’anima, o qualcosa del genere-

Ancora una volta tutti gli sguardi furono puntati su di lui, in silenziosa attesa di risposte che potessero smentire quella diceria.

-Ovviamente è una sciocchezza inventata da chi ha paura della tecnologia- riprese il giovane porgendo il proprio piatto alla padrona di casa –io ho fatto moltissime fotografie, e posso assicurare che l’anima ce l’ho ancora- rise.

Ann si unì alla sua risata. Almeno sotto quel punto di vista andavano sempre e comunque d’accordo. In realtà i punti di contatto tra loro due erano davvero molti, peccato che venissero sempre soppressi da argomenti più futili su cui si facevano guerra.

-Io aspetto ancora che mantieni la promessa che mi hai fatto- la ragazza voltò lo sguardo poggiando il capo su una mano, facendo un’espressione scocciata.

Nathan ridacchiò, quindi annuì –E’ proprio per questo che sono venuto qui-

-Davvero?- Ann tornò a guardarlo speranzosa. Forse era finalmente il momento di onorare la promessa fatta alla gara di cucina?

Osservò Nathan voltarsi verso il vecchio Lazarus esordendo con un semplice –Purtroppo le piante non crescono più rigogliose se parli loro in latino- Elizabeth sorrise, mentre Gabriel parve pronto a saltare addosso allo straniero per riempirlo di pugni: tutti avevano già capito dove voleva andare a parare.

-Immagino abbiate già capito che cosa ho promesso ad Ann, ma posso anche comprendere le preoccupazioni di una famiglia. Neanche io affiderei mai una figlia a uno sconosciuto. Beh… anche se mi conoscete da sei mesi in realtà…-

-Non si tratta di questo- lo interruppe Lazarus. Lasciò che le spalle si posassero sulla sedia con un sonoro cigolio. Le mani enormi, la stazza imponente, tutto nella sua figura incuteva un certo timore. Era incredibile pensare che Ann avesse avuto la grandissima fortuna di prendere la corporatura della madre. Nathan interruppe il discorso per prestargli attenzione. –Potrei anche farle prendere lezioni da te, ragazzo, ma considera che in questo villaggio tutte le tue belle parole, le tue fotografie, i treni e il resto, non servono a niente. Sarebbe solo toglierle del tempo che potrebbe usare per lavorare e aiutare la nostra famiglia-

-Questo lo so- rispose subito Nathan, consapevole di quanto fosse vero ciò che aveva detto messere Nevue –ciò implicherebbe che la ragazza uscisse da Hidel. Ann è sveglia, intuitiva, ha grandi potenzialità che potrebbero portarla in alto. La città di certo è più pericolosa di questo villaggio, c’è da confrontarsi sempre col prossimo, da guardarsi le spalle, ma è anche vero che lei non sarebbe sola-

-Uh?- Ann fece una faccia sorpresa. Le cose appena dette da Nathan l’avevano un po’ intimorita.

-Ovviamente ci sarei io con te-

A quelle parole, il cuore della ragazza si scaldò. Non solo per la loro gentilezza, ma anche per il sorriso premuroso con cui Nathan le aveva accompagnate. Gli sorrise di rimando, grata.

-Questo è consolante- Elizabeth prese la parola –io la penso come Nathan- notando lo sguardo torvo del marito ridacchiò allegramente –caro, lasciami spiegare- entrambi i ragazzi furono di nuovo attenti –conosco i valori di Hidel, li hanno insegnati anche a me. “Non uscire dal villaggio” è una delle nostre prime regole- disse rivolta a Nathan. Lo studioso sembrò a dir poco sconcertato, e la donna lo poteva ben capire –immagino tu abbia viaggiato e visto molte cose. Ti riesce difficile credere che esista una regola simile?-

-Ci credo, madame, anche troppo…- rispose Nathan senza che quell’espressione stupita.

Ann sbuffò –Stupidissima regola…-

-Le due regole di Hidel furono istituite dai nostri progenitori, coloro che crearono il villaggio. La prima è quella che ti dicevo prima, la seconda vieta di recarsi a nord est, oltre il lago-

Se non riusciva a capire il senso della prima, Nathan colse subito a cosa si riferiva la seconda. Come un lampo, nella sua mente, e probabilmente anche in quella di Ann, tornò vivida l’immagine del famoso e misterioso Joshua, proveniente da un luogo al di là del lago. Ann lanciò a  Nathan un’occhiata furtiva. “Sì” le rispose mentalmente lui. Qualsiasi cosa fosse a nord est era legata sia a Joshua che alla seconda regola di Hidel.

“Grazie alla mamma ora abbiamo un nuovo indizio” pensò Ann. Sicuramente Nathan non le avrebbe mai permesso di tornare lì, era troppo lontano dal villaggio e si era già mostrato un luogo pericoloso.

Tuttavia fu costretta a mettere da parte quei pensieri, almeno per il momento. Per qualche giorno voleva stare lontana dalle avventure, dai lupi e quant’altro. Magari passare un po’ di tempo con Nathan, a studiare…

-Tuttavia vorrei che Annlisette uscisse da Hidel e conoscesse il mondo- quelle parole stupirono Ann, che alzò lo sguardo sorridendo. Aveva trovato un solito appoggio nella madre –il mondo è fuori da Hidel, e Dio non ci ha creati per vederci chiusi ognuno in casa sua-

Nathan annuì –Immagino che preferisca vederci utilizzare le meravigliose facoltà del nostro cervello anche per progredire e migliorare la nostra condizione sociale-

Ann accennò un sorriso. Nathan usava sempre parole e frasi un po’ singolari, strane alle orecchie di una ragazza abituata alle frasi semplici e spesso ignoranti tipiche dei contadini. Era piacevole ascoltarlo, avrebbe passato volentieri molto tempo a sentirlo parlare, anche di cose che lei non conosceva assolutamente. Quante cose sapeva quello straniero? E quante gliene poteva insegnare?

-Farò doppi turni- le uscì spontaneo. Tutti gli sguardi furono puntati addosso a lei, ma lei aveva occhi solo per Nathan –non posso farmi scappare questa occasione. Tu sai troppe cose che io voglio conoscere, anche a costo di lavorare di notte- i due si scambiarono un sorriso. Per la prima volta, la ragazza vide nello studioso una nuova espressione, un nuovo modo di sorridere. Non più quella risata sorniona spesso atta a far imbestialire la gente,  bensì qualcosa di più gentile, comprensivo… quasi complice.

Tuttavia Lazarus non pareva ancora soddisfatto, e Gabriel non era da meno. Il fratello si mise in piedi con un veloce scatto, posando la mano sul tavolo con un gesto di stizza.

-Gabriel!- lo richiamò la madre, senza però ottenere risposta in cambio. Il giovane, infatti, salì in camera sua con un gran chiasso.

Nathan rimase qualche secondo a fissare il punto in cui era sparito, chiedendosi cosa avesse fatto di così grave anche stavolta. Era sua impressione o quel ragazzo era dannatamente geloso di sua sorella? Lo vedeva forse come una minaccia?

-Credo di non stargli troppo simpatico- disse in direzione dei genitori del ragazzo.

-Non farci caso, ragazzo- borbottò Lazarus esaminando con più attenzione del dovuto un cucchiaio. Ci trovava qualcosa di interessante o stava pensando a qualcosa?

Il silenzio calò. Ann odiava quei silenzi costretti, dove nessuno sa più cosa dire. Abbassò lo sguardo e poggiò le mani in grembo. “Stava andando tutti così bene… dannato Gabriel!”

Guardò in direzione di Nathan, sperando che almeno lui avesse una delle sue mitiche trovate da tirar fuori, ma anche lo straniero taceva. Sembrava molto a disagio.

“Così non va bene!”

La ragazzina prese al volo la fotografia che poco prima aveva esaminato, porgendola al proprietario –Che posto è questo?- domandò con tono impacciato.

L’aria, che fino a quel momento era stata tanto pesante da essere irrespirabile, le pareti improvvisamente troppo strette, i rumori amplificati che Gabriel produceva al piano di sopra, il lento ticchettare che spaccava i timpani, proveniente dall’orologio in un angolo, i pochi rumori che si udivano dall’esterno della casa, tutto questo e altro ancora sembrò pesare di meno quando Nathan riprese parola, sempre col suo tono cordiale –Questa, Annlisette, è Lilium, la capitale delle terre azzurre. Cosa sai di Lilium?-

Ann posò una mano sul mento, alzando gli occhi mentre cercava di ricordare –E’ una città sull’acqua? Ma non so come o perché-

-Inizialmente era una città come molte altre, ma il lento avanzare del mare l’ha inondata. Il livello del terreno era tre metri sotto l’acqua, dunque furono costruite strade galleggianti, ponti e quant’altro. Oggi è composta da una serie interminabile di piccoli fiumi su cui sono costruite case e vie-

-Dev’essere bellissima!- esclamò Ann immaginandola. Purtroppo però la sua mente aveva visto troppe poche cose per riuscire a figurare qualcosa di così imponente e complesso.

-E ti dirò di più- le sorrise Nathan –è completamente costruita con un materiale che splende alla luce del sole. Durante il giorno, quando il cielo è limpido, Lilium si illumina come un diamante-

-Wow! Accidenti! Meraviglioso!- la ragazzina ormai aveva le mani davanti alla bocca, lo sguardo sognante, tanto che i genitori si guardarono a vicenda trattenendo una risata.

Era difficile vedere Ann interessata a qualcosa. L’entusiasmo non era mai stato il suo forte, eppure quegli argomenti riuscivano a prenderla in un modo incredibile.

-E’ un vostro punto in comune, la passione per “ciò che c’è fuori Hidel”- sorrise Elizabeth.

-Abbiamo tanti punti in comune, anche se litighiamo sempre- rise Ann –e sempre per sciocchezze!-

-E’ vero- ridacchiò Nathan.

-Questo perché Nathan vuole sempre avere ragione- disse di rimando lei. E quella fu l’ennesima miccia.

-Non è vero, ti ho dato ragione un sacco di volte-

-E mi rimproveri sempre di essere una testa calda-

“Questo è vero” fu il pensiero collettivo di Lazarus ed Elizabeth, che li guardavano stupiti. Un attimo prima andavano d’amore e d’accordo, ora cominciavano a litigare?

-Non sono io quello che mette punti esclamativi a fine di ogni frase, milady Nevue-

Déjà vu.

Ann rimase il silenzio, osservando Nathan. Lui la osservò di ricambio con fare stranito. Tentò di fare mente locale. Dove aveva già sentito quella frase? Anzi, quando gliel’aveva detta?

-Ann, tutto bene?- si informò lui con sguardo preoccupato –Scusami, non era mia intenzione offenderti-

-Cara, sei pallida- la madre si alzò, raggiungendo la figlia, sulla cui fronte posò una mano.

Vedendo tutti così preoccupati, Ann si sentì in colpa. Sorrise scuotendo il capo –Sto bene, non c’è da preoccuparsi, ho solo… uhm… c’è un modo per dire quando hai l’impressione di aver già vissuto una situazione?- domandò a Nathan.

Lui annuì –Déjà vu- e in quel momento si rabbuiò. Che anche lui avesse avuto un’impressione simile? Ann non poteva dirlo con certezza. Forse era solo preoccupato o si sentiva in colpa.

Passò un altro quarto d’ora, durante il quale la ragazza venne accudita dall’amorevole madre. Nel frattempo, al tavolo, la “competizione” tra Lazarus e Nathan continuava. Il padre non sembrava del tutto convinto, ma lo straniero aveva promesso ad Ann che avrebbe provato a convincere il vecchio Nevue a lasciarle prendere alcune lezioni di cultura generale, dunque non demordeva. Sperava solamente che Lazarus non si stancasse e lo buttasse fuori a calci – e, in effetti, avrebbe avuto ragione a farlo -.

Quando scoccarono le quattro, orario in cui si torna a lavorare, Nathan si alzò dal tavolo –Chiedo scusa, mi sono trattenuto più del dovuto- purtroppo non era vittorioso. Ci aveva provato, la promessa l’aveva mantenuta. Notò che anche Ann era abbacchiata, probabilmente aveva creduto che davvero ce l’avrebbero fatta.

-Figurati, ragazzo, è piacevole parlare con te. Di solito parlo solo di capre e pecore, di fiere se si avvicina l’estate. E’ bello cambiare argomento ogni tanto- Lazarus si mise in piedi, stringendo con vigore la mano del giovane, facendogli un po’ male.

-Ah, dimenticavo una cosa importante!- esclamò Nathan. Ora arrivavano le note dolenti –Tra tre settimane partirete per la città, se ricordo bene- Lazarus annuì. Lo studioso concentrò la propria attenzione sull’uomo, al fine di non vedere la reazione di Ann quando riprese il discorso –verrò con voi. Le mie ricerche bastano, all’università mi hanno detto di rientrare-

-Oh, te ne vai?-

-Esatto-

Ann gli lanciò un’occhiata stupita, sentendo un tuffo al cuore. Ora ricordava dove aveva già sentito quella frase: Nathan gliel’aveva detta nella foresta, poco prima di essere attaccato dal lupo. E non solo. Ricordava anche che lui le aveva detto che presto se ne sarebbe andato. Era stato a far degenerare la lite!

“Significa che… mi ha mentito?”

Ora ne era sicura: lui ricordava tutto, le aveva detto una bugia. Forse, nella più remota delle possibilità,  non lo ricordava, ma ora sapeva che era successo. Ne aveva la prova. Altrimenti come poteva lei sapere che lui se ne sarebbe andato? Non c’era altra spiegazione: tutto era accaduto davvero, e Nathan stava cercando di nasconderlo. Non solo le aveva raccontato una frottola, ma le aveva pure dato della visionaria. E probabilmente conosceva sia Sogno che l’altro tipo che li aveva salvati dall’incendio. Stavano cercando forse di proteggere un qualche segreto? E Joshua, che tanto si era dimostrato ostile nei confronti di Nathan, poteva essere collegato a questo segreto?

-Tornerai prima o poi?- la voce grossa del padre la riscosse, facendole alzare lo sguardo.

-Non ne sono sicuro…-

“Come sarebbe a dire?! Certo che devi tornare!” la tristezza sopraggiungeva solo ora. Ora che si rendeva conto che lui se ne stava andando, che avrebbe portato via con sé non solo quel segreto, quelle bugie, quegli sguardi ambigui, ma anche quella strana luce che la aiutava a veder chiaro quando si trovava davanti a qualcosa di incomprensibile, e, soprattutto, si sarebbe portato via quel profumo che solo lei sentiva.

Abbassò lo sguardo evitando volutamente le occhiate dello straniero.

-Ho perso molto tempo, purtroppo, per onorare la mia promessa. Speravo di poterlo fare nel poco tempo che mi rimaneva- continuò lui, ma la ragazza non aveva più la forza di ascoltarlo. Con passi veloci, si allontanò salendo le scale, chiudendosi poi in camera sua.

-Stupido Nathan…- si fermò sulla porta, tenendo le spalle contro la parete, i pugni stretti e le guance ardenti, incapace di fermare quel calore che la pervadeva e le lacrime che si ammassavano sulle palpebre.

Era indecisa su cosa fare. Nella sua mente regnava il caos. Da un lato avrebbe voluto prenderlo per i capelli e costringerlo a confessare per poi mandarlo via malamente, dall’altro però sentiva di essersi ormai legata affettivamente troppo a lui, nonostante i continui battibecchi e le bugie. Anche se ormai aveva la certezza che lui era un bugiardo, che forse era tutta una messa in scena, capiva di non aveva più modo di scendere dal palco. Quella recita aveva funzionato benissimo, era riuscita a renderla quasi succube della presenza dello straniero.

E ora che lui sarebbe andato via… lei cosa avrebbe fatto?

 

Con un profondo sospiro, Nathan chiuse la porta di casa.

“Peggio di così non poteva andare…” chiuse gli occhi lasciandosi scivolare sul pavimento, sentendo il freddo legno sotto il palmi. Con fare stanco, di chi ne ha le tasche piene di ciò che giornalmente vede e sente, posò il capo contro la porta dietro di lui, un po’ consolato dall’oscurità onnipresente nella vecchia e logora casa affittata. Con lentezza aprì gli occhi, facendo scorrere lo sguardo celeste sulle assi di legno del soffitto, trovandole tutt’un tratto estremamente interessanti. In città non aveva mai visto case costruite così, pure da bambino era stato abituato a case in cemento. Non avevano nemmeno quello in quel villaggio dimenticato da Dio? “Ma dove accidenti sono finito… e tutto questo per quelle dannate trattative.”

Abbassò lo sguardo sulla propria mano, osservandola. Era una cosa che non faceva da molto tempo, un vizio che aveva sin da bambino. Dov’erano le forbici…?

“Non ora. E poi ho finito i peluche…”

No, non era proprio il momento di squartare peluche, anche se da sempre era una delle poche cose che riuscivano a fargli completamente dimenticare lo stress.

Sorrise.

Aveva commesso un errore tremendo, un errore che probabilmente gli era costato la copertura. Si era giocato la credibilità.

A questo punto non c’era più niente da fare. Se Ann non avesse mantenuto il segreto, in breve Hidel avrebbe saputo la verità, per lui non ci sarebbe più stato modo di tornare. Non che tra gli Angeli andasse meglio. Marcus era a dir poco furioso per la scomparsa del suo leccapiedi. Il fatto di essere tutto il giorno buttato in quel paese gli dava maggiore sicurezza rispetto agli altri Angeli, ma i sospetti su di lui c’erano sempre. Forse avrebbe dovuto pure allontanarsi dagli Angeli.

“No, Nate, ora basta pensieri pessimistici. Pensa, pensa…” si spronò. Se Ann avesse continuato a indagare sulla strada giusta, e non su quella su cui lui l’aveva indirizzata, avrebbe presto scoperto la verità su di loro. E a quel punto… la sentenza era semplice, non era la prima volta che gli Angeli si macchiavano di sangue innocente per proteggere il loro segreto. La sola idea che potessero fare del male ad Ann, che potessero costringere lui stesso a fare del male ad Ann, lo disgustava.

Tirò un altro sospiro massaggiandosi le tempie. Che situazione.

Proprio ora dovevo mostrare l’altra faccia? Che idiota.”

 

Da quel momento passarono tre giorni. Ann passava molto del suo tempo in camera, a lavorare ostinatamente, come se i fili di diversi colori e misure potessero finalmente fornirle le risposte ai suoi perché. Usciva solamente per i pasti e le visite di Krissy. In queste occasioni, infatti, la ragazza aveva modo di sfogarsi. Conosceva l’amica, sapeva che ella non avrebbe fatto parola ad anima viva delle cose che le confidava, per questo le raccontò ogni cosa. Partì dalla notte passata all’agghiaccio fuori Hidel, quella in cui avevano conosciuto Joshua, passando poi con dolore al periodo della morte della signora Hurst, quando aveva scorto Doralice rubare un bacio a Nathan, per poi passare al punto cruciale: la sera della battaglia contro il lupo e le bugie dello straniero.

Krissy ascoltava in silenzio, le braccia penzoloni sull’erba. Erano sedute sotto un albero a est del villaggio, appena fuori dai recinti che dividevano il territorio umano da quello animale. Il vento fresco le scompigliava i capelli dandole qualche fastidio di tanto in tanto. Un raggio di sole le illuminava debolmente, non riuscendo a sfondare la coltre di nubi di pioggia o cenere provenienti dalle montagne circostanti, in continua eruzione.

Il suo vestitino verde era in netto contrasto con quello rosa di Ann, ma spesso si univano in dolci onde di colore. La rossa sorrise dolcemente all’amica –Cara Ann, capisco che queste rivelazioni ti abbiano lasciato l’amaro in bocca e molti dubbi, ma non hai considerato un’opzione importante-

-Che cosa?- borbottò Ann concentrandosi ancor più sul suo uncinetto.

-E se queste bugie fossero solo un modo non troppo gentile di proteggerti da qualcosa?-

Quella domanda bloccò Ann. Era vero, non aveva considerato quell’ipotesi. Alzò lo sguardo all’amica, guardandola con attenzione, sperando in altre rivelazioni.

-So quando le bugie possano fare male- sospirò Krissy –ma a volte sono necessarie, me lo dicesti anche tu, quando eravamo piccole-

Ann fece per rispondere, ma quel momento tranquillo venne interrotto da un urletto femminile. Si guardarono entrambe intorno, non capendo da dove proveniva, quando un “ahia!” da parte di Ann chiarì tutto. Le era arrivato in testa un grosso gomitolo giallo. Alzò lo sguardo notando solo ora –Dodo! Che ci fai sull’albero?- la guardò sconvolta: quando mai Doralice saliva sugli alberi? Era qualcosa di troppo rozzo per lei. Poi un dubbio l’assalì: aveva ascoltato tutta la conversazione? Fortunatamente si erano fermate lì da poco, dunque avrebbe al massimo potuto sentire il discorso sulle bugie, ma era comunque preoccupante.

-Sto lavorando, no?- rispose la bionda mostrando il suo ultimo pezzo: una piccola tela con sopra l’immagine di Gesù bambino. Tornò a cucire –Tranquilla, non mi interessava il vostro discorso-

Ann però non si sentì rincuorata. Guardò Krissy, che ricambiò il suo silenzioso sguardo. Entrambe erano a disagio, e da sopra l’albero Doralice continuava a cucire in perfetto silenzio. Cambiare discorso, lo sapevano, sarebbe stato maleducato, ma rimanere in silenzio sarebbe stato ancora peggio.

-Che noia, i ragazzi- fu la bionda a spezzare la quiete, dondolando una gamba giù dal ramo su cui era seduta –non sai mai cosa gli passa per la testa-

-Per una volta sono d’accordo con te- annuì Ann restando a testa in su per osservarla.

-Noi donne riflettiamo molto, loro invece sono impulsivi, hanno una logica tutta loro che solo loro possono comprendere. E in più vogliono avere ragione se poi li rimproveri-

Le due amiche non risposero, chiedendosi cosa fosse accaduto di così grave a Doralice da farle dire quelle cattiverie. Di solito rivolgeva quel tipo di discorsi solo contro Ann.

 -Hanno un modo strano di farti capire che tengono a te- concluse, alzando il lavoro contro il pallido raggio di sole per tirare le somme: un bel lavoro.

Ann, intanto, rifletteva sulle sue parole. Che quello fosse un tentativo di Doralice di aiutarla in qualche modo? Molto più probabilmente stava solo esprimendo la propria opinione. Notò che Krissy sorrideva. Aveva forse capito qualcosa che a lei sfuggiva?

-Dodo ha ragione- annuì la rossa –è molto più saggia di quanto sembra-

Da sopra l’albero la bionda le lanciò un’occhiataccia seguita da un sonoro sbuffo –Non posso dimostrare un attimo di premura nei confronti della mia rivale?-

Ann, forse per la prima volta, quasi si trattenne dal dire che era carina a preoccuparsi per lei. Annuì –Grazie, Dodo- accennò un sorriso.

-E non chiamarmi Dodo!- la rimproverò l’altra. Da quando era morta sua zia, Doralice sembrava essersi calmata. Di certo i battibecchi con Ann non erano diminuiti, ma non si mostrava più superba e ostile come prima. Con un gesto molto goffo, di chi non è abituato a quel genere di esercizio, scese dall’albero atterrando come un macigno e facendo ridere sommessamente la rivale.

Dodo se ne andò lamentandosi per il dolore a un piede. Sembrava che avesse preso una storta nel brutto atterraggio, evidentemente quella voglia di salire sugli alberi le era venuta da poco.

Le due amiche rimasero ancora qualche minuto sotto l’albero –Dodo è strana da quando la signora Hurst se n’è andata- notò Ann.

-E’ solo maturata- sorrise Krissy –come tutti-

-Tu sei matura da un sacco di tempo. Tu sei nata matura!- la mora ripiegò in quattro il proprio lavoro, pronunciando quelle parole con un pizzico di invidia: anche lei avrebbe voluto essere matura come Krissy. Beh, a parte quando si parlava di superstizione.

-Ogni fiore è destinato a sbocciare, cara Ann- annuì l’amica ripassando una seconda volta un punto di merletto uscito grezzamente.

-A meno che qualcosa non li blocchi- le fece notare Ann.

La rossa restò un attimo in silenzio, pensando a come rispondere. Mise una mano davanti alla bocca alzando gli occhi al cielo, poi, trovata l’illuminazione, tornò a guardarla sorridendo –Appunto per questo serve il contadino, per eliminare ogni cosa che potrebbe bloccarlo. Gli amici servono a questo, no?- le diede un buffetto sulla guancia, una cosa che faceva sin da quando erano piccole, ma che ogni volta faceva arrossire Ann, che si vedeva trattata come una bambina, e reagiva di conseguenza.

-Non sono una mocciosa!- esclamò agitando un pugno davanti al viso, rossa e arrabbiata.

Krissy rise allegramente –Allora, se sei una ragazza forte e decisa, vai da messere Metherlance e dimostra chi sei-

Inizialmente Annlisette si ammollì, poi però, prendendola come una sfida, si alzò con fare determinato e puntò un dito contro l’amica –Vedrai se non lo faccio!- e, camminando con le gambe improvvisamente pesanti come macigni, si incamminò verso la casa dello straniero, lasciando Krissy che ridacchiava timidamente lanciando poi sguardi incerti verso la selva attorno al villaggio.

 

Ann giunse presso la casa di Nathan mantenendo un ritmo pesante e monotono nel camminare. Sembrava che stesse andando in guerra, più che a far visita a una persona. Tutta quell’emozione le dava un caldo asfissiante nonostante attorno il fresco si stesse trasformando in freddo. Ancora una volta le nuvole si addensarono, facendo scomparire il sole per la terza volta in quella mattinata. Durante la notte si erano uditi dei tuoni in lontananza, che fosse ora di un altro acquazzone? Di certo il tempo non era clemente, lì a Hidel.

“Ci manca solo la pioggia…” pensò amaramente la ragazzina “per una volta che usciva il sole!” si fermò a pochi passi dalla porta di casa, sui gradini. Il cuore le palpitava. Non si era preparata nessun discorso, non sapeva esattamente cosa dire né cosa fare. Era lì senza uno scopo preciso. Sapeva bene che Nathan non le avrebbe detto niente, era come una valigia sigillata, impossibile da aprire. Forse le avrebbe raccontato altre bugie, forse l’avrebbe ferita ancora. Forse le avrebbe detto in faccia che non le importava nulla di lei e che voleva solo tornarsene a casa “No, Ann, non devi pensare queste cose…” prese un sospiro “voglio solo fargli capire come mi sento.”

Fu inutile fare un altro passo, infatti la porta si aprì, rivelando un Nathan un po’ più pallido del solito, visibilmente addormentato.

Ann non poté fare a meno di sorridere. Non si era neanche preoccupato di dare una sistemata alla zazzera biondo scuro che gli dava un’aria stravolta –Non hai dormito?-

-Si nota così tanto?- sorrise lo straniero chiudendosi la porta alle spalle –Devo avere davvero un’aria terribile-

La ragazza rise –Non più del solito-

-Tante grazie!- esclamò lui prima di ridere assieme all’amica.

-Dove stavi andando?-

-Faccio un giro. Voglio assaporare gli ultimi giorni di aria di montagna-

Ann allungò lo sguardo altrove, per mostrare quella punta di imbarazzo che le colorava le guance –Ma sì, vengo con te. Non c’è bisogno che me lo chiedi-

Così cominciarono la loro ennesima passeggiata fino ad addentrarsi nella foresta. Il cielo si era inscurito nel frattempo, facendo calare una leggera cappa buia sull’intera zona. Di certo le temperature non urtavano più di tanto, ma un leggero fastidio lo davano. Ann camminava davanti, tenendo le mani dietro la schiena e il viso rivolto verso l’alto, osservando i pochi tratti di cielo che si potevano vedere attraverso l’intricata rete di rami contorti e nuovamente ricchi di foglie.

-E così torni in città…- esordì la giovane tenendo dritto il passo.

-Sì, penso che Hidel mi mancherà molto- annuì lui. La sua voce sembrava un po’ malinconica. Che stesse dicendo la verità? –La città è fantastica sì, ma manca di quella semplicità che qui è comune-

-Te ne vai senza scoprire la verità su Joshua, eh?- continuò lei, assumendo un tono neutrale.

Nathan non rispose. Decise di fare un altro tentativo –Ti porti via tante domande, Nathan. Ad esempio chi erano i due tizi della foresta, la mia serata dimenticata da tutti, la tua ferita miracolosamente guarita…-

-Smettila-

Ann si voltò con un sopracciglio alzato. Da quando le dava ordini? La guardava in modo strano, con durezza, come se si stessa trattenendo dal trapassarla da parte a parte. Tuttavia decise di non mollare, pronta ad affrontare l’ennesimo litigio –Hm? Co’è quella faccia, messere? Vi è morto il gatto?- insinuò, spavalda.

-Non sono stupido, Ann, e nemmeno tu lo sei- la riprese lui con tono fermo –sei cresciuta per queste messinscene-

La ragazza invece rise –Chi sta recitando una parte, tra noi due?-

Lui non le rispose. Rimase a guardarla per qualche secondo, abbassando poi il capo e sospirando. Cominciava a respirarsi un’aria pesante. “Perché non dici la verità nemmeno ora?” Ann gli lanciò uno sguardo d’accusa –Non provi neanche a difenderti?-

-Che cosa c’è da difendere?- Nathan scosse il capo con fare rassegnato. Si voltò, dandole le spalle –Te l’ho già detto: non sei stupida. Qualsiasi cosa dicessi troveresti un “ma”. Hai ragione, Ann, non avrei dovuto. Ma non posso fare altrimenti-

Da un lato la ragazza avvertì un peso che andava alleggerendosi: era riuscita a fargli ammettere le proprie colpe. Aveva vinto almeno quella battaglia, anche se era sicura che non le avrebbe rivelato niente. Tuttavia c’era ancora qualcosa che non andava, che le diceva di correre verso l’uomo. L’avrebbe fatto se i suoi piedi non fossero stati praticamente incollati a terra e le spalle non avessero pesato più del dovuto, come se improvvisamente un macigno le fosse caduto addosso. Conosceva bene quella sensazione, era la consapevolezza di aver intristito qualcuno. Una colpa insopportabile, soprattutto se quel qualcuno era Nathan.

Serrò con forza i pugni tirando su col naso e stringendo i denti. A quel carico di emozioni si erano aggiunte quelle provate quando aveva capito che lui le aveva mentito. Era combattuta tra la voglia di tirargli un pugno e quella di abbracciarlo. Alla fine, però, fu la parola ad avere la meglio –Sei così cattivo… io credevo in te, e invece mi hai raccontato un sacco di frottole…- sentì gli occhi pizzicanti.

Lui si voltò di scatto, come se fosse stato offeso da quelle parole. Era agitato, cosa molto rara –Se non fosse stato necessario non l’avrei fatto! Credi che non mi sia affezionato a Hidel, a quella gente, alla tua famiglia, a te, Ann? Come credi che mi senta?- quasi la aggredì. Alzò le mani all’altezza delle proprie spalle come se stesse cercando di toccare l’aria. La sua espressione era agguerrita, ma anche afflitta –Credi che mi faccia piacere mentirvi? Stare attento ad ogni parola? Quante volte sono stato sul punto di confessarti la verità? Quante di buttarmi in ginocchio e chiederti perdono anche se tu non sapevi niente? E come credi che mi sia sentito mentre ti dicevo che Sogno era un prodotto della tua immaginazione? E’ la mia amica più cara, non solo ho mentito e ti ho dato della stupida, ma ho pure rinnegato un’amica? Mi dispiace! Mi dispiace davvero!-

Ann aveva le lacrime agli occhi, le mani giunte davanti al petto, pietrificata da quell’improvviso sfogo. Quando mai aveva letto tutta quella sincerità in quell’uomo, quello stesso uomo il cui viso era sempre adorno di un sorriso canzonatorio, pronto a prendere in giro il prossimo? Rimase basita soprattutto quando lo vide posare una mano sulla fronte, con espressione arrabbiata. Forse era arrabbiato con se stesso per aver rivelato tutte quelle cose?

-Io…- la ragazza provò a dire qualcosa, ma ogni commento o risposta le sembrava fuori luogo in quel momento. Calò gli occhi sul terreno, sentendo una stretta allo stomaco che si faceva sempre più pressante. “Cosa posso fare?” pensò disperatamente –Mi dispiace tanto… non volevo ferirti…- mormorò chiudendo gli occhi. Avvertì una lacrima scapparle –E’ solo che… ci tengo tanto a te… non voglio che te ne vai!- scoppiò finalmente.

Ma, in quell’attimo, qualcosa la bloccò. Non le ci volle molto per capire che era stata abbracciata. Aprì gli occhi confermando quell’impressione, quindi si aggrappò quasi con rabbia alla giacca dell’uomo, affondando le piccole dita nel tessuto un po’ troppo pesante per quella stagione, almeno agli occhi di un abitante di Hidel. Sentì un braccio di lui stringerla alla vita, una stretta molto forte, quasi possessiva, mentre l’altra mano le cingeva il capo, carezzandole amorevolmente il capo. Commossa e agitata, diede sfogo a tutte le lacrime che aveva affondando il viso tra le sue braccia.

-Sono io a dovermi scusare…- lo sentì infine sussurrare al suo orecchio con voce stranamente calda, qualcosa che stimolò un tremito a percorrerle il corpo –ti chiedo scusa.-

Dopo qualche secondo di lotta con se stessa, la giovane trovò il coraggio di alzare lo sguardo, senza però accennare a mollare la presa sui suoi abiti. Annuì debolmente tre volte consecutive, improvvisamente sollevata.

Lui le sorrise, un sorriso appena percettibile, e nello stesso momento portò la mano con cui le aveva carezzato il capo le sfiorò una palpebra, portando via le lacrime –Sei davvero carina- ridacchiò –e pensare che all’inizio mi avevi dato l’impressione di una scalmanata attaccabrighe-

Ann gonfiò le guance –Prima di tutto non dirmi che sono carina! E poi non sono una scarattata… scammiciata… scalognata…- davanti a Nathan che rideva così serenamente, non poté fare a meno di sorridere a sua volta, sinceramente più rilassata. La sua mano, intanto, si era leggermente mossa, raggiungendo l’altezza del viso dell’uomo, che ancora però non osava sfiorare per qualche motivo –usi parole troppo difficili…- sussurrò inclinando il capo. Il cuore le batteva ancora forte, e sembrava che la temperatura fosse salita con velocità impressionante. Si sarebbe presa il raffreddore?

Egli avvicinò il viso al suo, guardandola dritta negli occhi –Scalmanata non è una parola difficile. Ma il tuo vocabolario è più divertente del mio- disse piano –divertente e dolce-

-Da quando mi fai tutti questi complimenti?- ridacchiò piano lei, arrossendo.

-Da quando fai espressioni tenere, ridi teneramente e arrossisci storpiando le mie parole- le carezzò l’altra guancia per levarle le lacrime, tenendola ancora stretta per la vita –sei così sincera, Annlisette. Ed è una cosa rara al giorno d’oggi. Qualunque cosa accada, qualunque cosa venga detta, Ann resta sempre Ann- notò che ella aveva un’espressione confusa, sembrava non capire bene –è qualcosa che ti rende speciale, più unica che rara- notava solo ora che erano molto vicini, in tutti i sensi –anche se a volte sei burbera, anche se litighiamo spesso per cose sciocche, ti ammiro-

-Addirittura?- sorrise lei –Mi sento onorata. Ma non mi dispiacerebbe avere le tue capacità di adattamento-

Lui scosse il capo con fare nuovamente rassegnato –No, spero che tu non diventerai mai così. E’ bene sapersi adattare alle situazioni, ma…- fece una smorfia –ma cosa sto dicendo! Non è questo il momento!-

Ann rise, rise a pieni polmoni di una risata cristallina. Ora che era così vicina a lui, sentiva di nuovo il suo profumo, quello che le piaceva tantissimo –Lo sai che adoro il profumo che usi?-

-Hm? Profumo?- Nathan le rivolse uno sguardo curioso, un po’ confuso forse.

-Sì- annuì lei –mi piace, è molto dolce, ma… non so come spiegarlo. Mi piace. Mi fa sentire protetta- concluse in tutta sincerità. Credeva che da un momento all’altro si sarebbe addormentata, tanto era bella quella situazione. Non immaginava che essere stretta e coccolata da Nathan fosse così piacevole.

-Allora… uhm…- borbottò lo straniero con fare imbarazzato –posso… posso proteggerti? Anche se questo significasse non rivelarti molte cose?-

Nemmeno Ann seppe per quale motivo annuì. Le bastava averlo lì, accanto a lei. Del resto se era protetta, che bisogno c’era di conoscere i minimi particolari di ogni cosa? Sarebbe andato bene anche così, ne era sicura.

-Mi permettete di essere il vostro principe azzurro, milady?- le fu sussurrato, ma nella sua mente Ann vedeva solo il sorriso dolce che le fu rivolto.

-Solo se mi permettete di essere la vostra principessa senza brevetto, messere- rispose candidamente.

E, infine, il mondo svanì. Hidel, le sue regole e misteri, l’oscuro Joshua e il lago, gli Angeli e i Demoni, tutto questo si sciolse come neve al sole, cancellato dal calore di un primo, dolce e passionale bacio che forse, finalmente, suggellò un nuovo inizio.

L’inizio di qualcosa molto di più grande di Ann e Nathan.

 

 

Note dell’Autrice:

Non voglio commentare xD in effetti era decisamente ora che si dessero una mossa! Guardate le coincidenze: nella mia prima, vera storia, “The nothing power”, i protagonisti si scambiavano il primo bacio nel capitolo 14, io e il mio ex ci siamo messi insieme il 14, e proprio nel capitolo 14 Ann e Nate… U.U

Io vivo di coincidenze! xD ma ora lascio la parola a…

 

La posta di Ann & Nathan:

Ann: Uau! Questo capitolo è stato difficilissimo da girare! Ho dovuto rifare tre volte la scena finale =3

Nathan: Sì, perché ogni volta che mi avvicinavo finivo con un piede di Ann in faccia.

Ann: Chissà perché! >.<

Nathan: Già. Chissà.

 

Milou: La nuova vittima! *-* Benvenuta nel circolo delle vittime di Meth’Story, come la chiama la nostra Nadeshiko. Tutti siamo felici per Damon e Krissy, e speriamo che lo sarai anche per me e coso!

Nathan: Coso a chi? o.o

 

BrandNewSibyl: Chissà perché sono sempre io a rispondere a Sibyl o.o milady ^_^ ma quanto avete ragione, ho come l’impressione che il mio matrimonio non sarà un matrimonio. Sarà una festa a sorpresa. «Ciao, Nate! Oggi ti sposi, lo sai?» E comunque no, è Gabriel che esagera u.ù

 

Viola: Chi non è felice per Krissy e Damon? Sono così carini! <3 beh, spero che questo capitolo possa esaudire la tua richiesta di qualcosa di più impegnato >.<

 

Nadeshiko: Milady ^_^ sì, parto con la pubblicità. Nadeshiko, signore e signori, ha pubblicato “What colour is the dark moon?”, una versione della nostra storia vista da Damon e Sogno. Noi facciamo pubblicità occulta gli uni agli altri ^_^ perché ci vogliamo bene! *tortura Damon appeso a un palo*

 

Midao: Carissima! Ancora qui ci chiediamo come fai ad avere tutte queste emozioni dalla nostra storia, ma ciò non può che renderci felici! Speriamo che anche questo capitolo ti abbia emozionata e che ti sia di incentivo per continuare a leggerci!

 

Scusate le brevi risposte, ma vado di fretta e furia xD ah, prima di chiudere due cose: ho messo nel mio profilo la “copertina”, diciamo, della storia, ispirata su idea di Kikyo. Mi date un parere? *O*

In secondo luogo, ho visto che alcune mie amiche hanno aperto piccoli blog su LiveJournal delle loro storie. Ebbene pensavo di aprirne uno anch’io con curiosità, sciocchezze varie o piccoli spoiler, ma solo appena raggiungo le 40 recensioni uwu voi che ne dite?

 

Chu,

Sely <3

  
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