Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: rolly too    09/08/2010    1 recensioni
Pietro è convinto che sia Nader quello strano. E' lui che si sta allontanando, è lui che improvvisamente sembra faticare a stargli accanto.Pietro è consapevole dei propri errori e sa che rivelarli significherebbe dire addio a Nader. Ma tenerli nascosti non è semplice, e la scelta più facile potrebbe non essere la scelta migliore.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
E quindi, tutto quello che posso fare è prendere l'autobus e andare in centro. E da lì, prendere un altro autobus e andare a casa sua. Perché, giustamente, abita esattamente dall'altra parte della città rispetto a me. E quindi devo partire con due ore di anticipo rispetto all'orario che mi sono prefissato e pregare di non perdere la coincidenza degli autobus.
Sono furioso, assolutamente. Perché già so – va sempre a finire così – che alla fine mi farà sentire in colpa per qualcosa che non ho fatto. E quindi io dimenticherò che è lui quello che non si degna di rispondere al telefono. Nossignore! Si concluderà tutto con me che dico Hai ragione, Nader, scusa; segno tangibile della mia evidente cretineria. E va bene...
Come se non bastasse, quando arrivo davanti a casa sua vedo che lì, proprio davanti al portone, c'è quell'imbecille cosmico di Luca, che, se posso dire, meriterebbe una morte lenta e dolorosa, giusto perché non si fa mai i fatti suoi e perché ce l'ha con Nader. I motivi di questo suo odio indiscriminato, attualmente, sono ignoti. Ma neanche questo importa... Spero solo, a essere sincero, che non mi faccia troppe storie. Anzi, spero che non mi parli nemmeno. Che faccia finta di non vedermi. Cosa che sarà ben difficile, considerato che è attorniato dal suo gregge di belanti adulatori. Uno più deficiente dell'altro. Li sceglie per la capacità fisica, immagino. Ho visto personalmente uno di loro stringere una mela nella mano e ridurla a un ammasso poltiglioso.
«Ehilà, fighetto!» mi saluta quando mi avvicino all'ingresso. Guarda storto i miei vestiti e mi sorride. «Come stai?»
«Bene.»
«Come mai sei qui? Pensavo che passassi i pomeriggi a suonare il violino...» Qualcuno dei suoi, per motivi che davvero non cerco di comprendere, ride.
«Ho altro da fare.»
«Cosa? Sei venuto qui a trovare il tuo fidanzatino?» Ride anche lui e questa volta il motivo è più che palese. Ma non me ne frega nulla. Che ridano! Dov'è il problema? Preferisco Nader, con tutti i suoi difetti, alle ragazze con cui escono loro. In quanto a intelligenza, forse sono addirittura a livelli inferiori rispetto a questo bel gruppetto di body-builder che mi trovo davanti. Uno più muscoloso dell'altro.
«Dicono che sia divertente scopare con degli uomini, fighetto.» Altre risate.
Ma stavolta sorrido.
«Lo è. Ma sai? Dicono anche che chi passa le giornate in palestra, a gonfiare i muscoli, lo fa perché deve compensare la mancanza di qualcos'altro...»
Il più palestrato di quei tizi assurdi si avvicina con aria minacciosa, e ci vuole tutta la mia volontà per non fare capire che me la sto facendo sotto e che spero che non mi metta le mani addosso. Ma quando sento Luca ridere con naturalezza capisco che il mio timore è infondato.
«Sì, dicono così.» Sospira. «Be', senti, ci si vede in giro. Ciao, fighetto.»
Lo saluto con un gesto della mano, supero lui e i suoi amici, mi avvicino ai campanelli e li guardo mentre si allontanano. Luca in testa, tutti gli altri dietro. Mamma anatra con gli anatroccoli.
La porta si apre prima ancora che abbia il tempo di suonare il campanello. Alzo la testa e vedo la zia di Nader che mi guarda dal terrazzino e mi fa segno di salire.
Quando arrivo all'appartamento è lei ad accogliermi. Sembra sola in casa.
«Prego, entra.» mi dice stentatamente con un sorriso. E io entro. La casa è piccola, minuscola, con i muri colorati. Il salotto ha pareti giallo intenso, con mobili in stile africano. «Prego, siede.» continua la donna, indicandomi una seggiola pieghevole vicina al tavolo da pranzo. Obbedisco, titubante. Mi sembra maleducato rifiutare.
«Nader è in casa?» mi azzardo a chiedere, ma la donna non sembra ascoltarmi. «Nader è in casa?» ripeto, e solo allora si gira.
«Io no capisce.» si scusa con un sorriso gentile.
«Nader.» dico allora. E stavolta sembra intuire quello che voglio. Annuisce freneticamente, il velo verde, mollemente avvolto attorno al collo, che le scivola lungo una spalla. Con un gesto veloce lo sposta fino a coprire i capelli scuri e mi indica la porta che conduce alla zona notte.
Aprire le porte scorrevoli di casa di Nader mi mette sempre un po' di ansia. A differenza di quanto accade a casa mia, sono sempre tenute chiuse. Anche quando, in estate, fa caldo e l'aria non circola. Ho visto la stanza di sua madre perché un giorno Nader me l'ha mostrata, ne ricordo le pareti blu intenso e i mobili in stile orientale. So che nella stanza c'è un bagno e una piccola stanza che loro usano per stendere il bucato. Ma dal piccolo antro in cui mi trovo si vedono solo tre porte chiuse. Quella della stanza di Fazila, madre di Nader; quella del bagno e quella della camera di quell'imbecille di Nader stesso. La apro senza troppi complimenti e quello che non mi aspetto è di trovare le serrande sbarrate e la luce spenta.
A Nader piace la luce, e di solito la stanza è fin troppo illuminata. Uso il display del cellulare per fare luce – perché non ho mai capito come funzionino gli interruttori della corrente in questa casa. Non sono per niente disposti in modo logico – e mi avvicino al letto di Nader. E lui, effettivamente, è lì e sta dormendo, con le coperte tirate al livello degli occhi. Ha il volto arrossato e trema lievemente. Gli sfioro una guancia e la sento bollente. Capisco che sta male e vorrei andarmene, ma lui è già sveglio. Mi guarda stranito, come se non mi avesse riconosciuto, poi borbotta qualcosa in farsi, si tira a sedere e muove una mano nel buio fino ad accendere la luce. Si porta una mano alla testa, scosta i capelli ricci dalla fronte sudata e mi guarda, le mani abbandonate in grembo, sopra al piumone.
«Perché sei qui?» domanda con voce roca, impastata per il sonno.
«Non ti sei più fatto sentire.»
«Certo che no. Sto male.» Si fa ricadere sul materasso e mi guarda stancamente. «Sono incazzato con te. Lo sai, no?»
«Non ti ho fatto niente, però.» rispondo. In effetti, non è proprio la verità. Ma la sua reazione è stata decisamente esagerata, per la miseria!
«Non è vero.» Sembra risentito. Si gira sul fianco e mi fa spazio. Mi siedo sul letto e lo guardo.
«Stai proprio male, eh?»
«Sì.» Tossisce un paio di volte. «Mi tratti male.» si lamenta poi.
Scatto in piedi, furioso. Piccolo bastardo!
«Non è affatto vero!» grido e lui sembra allarmarsi.
«Parla piano!» esclama, ma le sue parole sono bloccate da un colpo di tosse. Quando gli passa, torna a guardarmi. «Se mia zia sente, verrà qui. Lo dirà a mio madre.»
«C'è qualcosa di male?» Certo che c'è. La madre di Nader non sa di noi due. Per quanto la riguarda, io sono solo un suo amico. E immagino che non sarebbe facile, per lui, spiegarle che in realtà non è così. E soprattutto, non sarebbe facile convincere la zia, di cui non capisce più che qualche parola, a tacere.
«Bene.» riprendo a bassa voce. «Ma non è vero che ti tratto male.» A parte la storia dei compiti di matematica, non gli ho fatto niente. E ora mi vuol far sentire in colpa! Ma non ci riuscirà. Sono io a essere arrabbiato con lui, non il contrario!
«Sì, invece.» ribatte lui. È accigliato, offeso. «Mi prendi in giro davanti agli altri. Hai detto davanti a Luca e ai suoi amici che sono un piagnone, una femminuccia! Mi hai fatto star male.»
È vero. Me ne ero completamente dimenticato. È successo un paio di settimane fa, tornavamo da scuola insieme. Nader aveva gli occhi arrossati per il pianto. Aveva passato la ricreazione in lacrime per la rabbia, causata da un voto sbagliato come risposta a un'interrogazione praticamente perfetta, seguita da un'indifferenza del professore e dalle prese in giro di un compagno di classe. Risultato: c'era voluto quasi tutto l'intervallo a calmarlo, e anche mentre andavamo alla stazione degli autobus continuava a fremere e a passarsi le mani sugli occhi lucidi e gonfi. Era stato allora che avevamo incontrato Luca. C'eravamo fermati un attimo a parlare, come facciamo sempre quando lo troviamo, l'avevamo lasciato sbeffeggiarci un po' e alla fine lui aveva chiesto a Nader se si sentisse bene. Al che io ero intervenuto, spiegando che era nervoso e che per questo aveva pianto. E l'avevo chiamato piagnone e femminuccia. Davanti agli altri.
«Se le mie parole ti hanno offeso, non l'ho...» sto già dicendo, ma lui mi interrompe con uno scatto nervoso della mano. Si siede e mi guarda negli occhi.
«Non sono state le tue parole a offendermi, Pietro.» specifica. «Sei stato tu. Tu, e nient'altro. E io non avevo fatto niente per meritarmi quelle cattiverie.»
Ecco. Tutto qui. Basta questo per farmi sentire malissimo. Certo, ha ragione. Perché, in effetti, le parole, da sole, non fanno niente. Ci vuole qualcuno che le pronunci e nella fattispecie a pronunciarle sono stato io. Cattiverie gratuite. Ma non sono disposto ad ammetterlo.
«Stai dicendo cazzate, Moretto.»
«Non chiamarmi Moretto.» sputa lui e solo così capisco che è davvero incazzato. Di solito non dice nulla quando lo chiamo così. Sorride, per lo più. «Sto dicendo che mi dà fastidio.»
«Era una minchiata e tu te la sei presa.» ribatto io. Non è possibile che muova una tragedia da due parole dette scherzando! Ho capito che ci sta male, ma con un minimo di ritegno. «Lo sai che Luca nemmeno mi sta simpatico...»
«Questo non ti ha impedito di dargli retta mentre diceva cattiverie su di me. Hai riso di me!»
Tossisce ancora, talmente forte da perdere il fiato. Si porta le mani alla testa e geme.
«Stai male.» dico allora alzandomi. «Ne parleremo quando ti sarai ripreso. Non ragioni.»
«Sto ragionando benissimo, invece.»
«Non mi sembra.»
«Fai così perché non vuoi ammettere di esserti comportato in modo cattivo, Pietro!» esclama allora. «Dimmi perché mi hai detto quelle cose. Ti do fastidio?»
Pigola le ultime parole con tono di supplica e a me viene istintivo abbracciarlo, come faccio sempre quando lui scoppia a piangere e siamo soli. Solo che questa volta si tira indietro. Come se mi avesse trafitto con un coltello seghettato. Fa male uguale. Anzi, forse un po' di più. Se mi avesse trafitto con un coltello seghettato, magari colpendomi nei punti giusti, probabilmente sarei morto e a quest'ora sarebbe tutto finito. Ma non è così, a quanto pare. Devo continuare a guardarlo, e sta per mettersi a piangere, e cercare di fare in modo che non si accorga che le sue parole stanno facendo effetto. Perché lui lo sa. Nader è uno che sa come parlarmi.
«Niente di quello che fai mi da fastidio.» lo rassicuro allora. Non m'interessa più che non mi abbia risposto al telefono per tre giorni. Voglio soltanto che mi faccia un sorriso. «Moretto, a me piace un sacco così come sei. Però te la prendi troppo per cose che non vogliono dire niente.»
Si acciglia.
«Quello che ho detto a Luca non lo pensavo davvero. E quando ti ho chiesto di aiutarmi in matematica l'ho fatto perché mi piace quando mi dai una mano. E se ho insistito... Be', prima che te ne andassi sembrava divertente.»
«Ti diverti con poco, Pietro jan .» borbotta, ma già il fatto che mi chiami così vuol dire che non è poi tanto arrabbiato. «Davvero non lo pensi?»
«Certo.» lo rassicuro prendendogli la mano. «Te lo giuro, Moretto. Non starei con te, se non fosse così.»
«Va bene.» annuisce allora. «Bakhshida . Perdonato, ma solo perché sono ammalato.»
Annuisco, mi sporgo in avanti e gli bacio la fronte.
«Bravo, Nader! Grazie.»
Fa per dire qualcosa, ma la porta si apre e mi sento gelare quando vedo sua madre.
«Ciao, Pietro.» mi saluta con un sorriso. Ma non sembra contenta di vedermi. Soprattutto, guarda con sospetto i pochi centimetri che mi distanziano da Nader. A quel punto mi alzo in fretta, mi avvicino alla scrivania e afferro a caso un paio di libri di scuola.
«Signora Fazila, è un piacere vederla. Me ne stavo giusto andando.» mi volto verso Nader, gli faccio un cenno con la testa. «Be',» improvviso. «grazie per la spiegazione di matematica. E per i libri. Te li riporto domani, faccio le fotocopie.»
«Certo.»
Faccio in tempo a uscire dalla stanza che lo sento raccomandarsi tra un colpo di tosse e l'altro:
«Non sciuparli!»
E io non li sciupo. Li tengo per bene mentre corro giù per le scale e anche mentre sono alla fermata dell'autobus. Spero solo che sua madre non si sia accorta che quelli che ho preso sono testi di storia. Potrebbe essere complicato spiegarle per quale motivo, se ho bisogno di ripetizioni di matematica, me ne vado con libri di tutt'altra materia. Ma non importa. Tutto sommato, non mi sembra che li abbia visti. E anche se fosse così, ci si potrebbe sempre inventare una scemata qualsiasi per giustificare le mie azioni. Come se non fossimo abituati a farlo! Nader, che costantemente le racconta frottole per giustificare il suo attaccamento a me, ormai è diventato talmente bravo che nemmeno io riesco a capire quando lo fa. Prima era nervoso, sbatteva continuamente le palpebre, si torceva le mani. Ora, quando dice bugie, lo fa con una scioltezza e una tranquillità snervante. E questo, un po', mi spaventa.

 

Sono tornata! Ecco a voi il terzo capitolo di questa storia delirante. Be', che dire? Nello scorso si presentava la famiglia di Pietro, in questo mi è sembrato giusto dare un piccolo spazio anche a quella di Nader. E poi, qui c'è anche Luca in versione mamma anatra con i suoi ammiratori, come si fa a non odiarli? Dovrei essere più obiettiva, lo so...

Lady Aika: innanzitutto... Grazie per il commento! Ne sono stata estremamente felice! Secondo: per carità, non distruggere il modem a causa mia. Terzo: sono felicissima che i personaggi ti piacciano! Io ce la sto mettendo tutta per renderli nella maniera migliore possibile, ma non è per niente facile. E sapere che li hai apprezzati, be', mi fa veramente impazzire di gioia. E sì, anch'io adoro Liliana. Forse è il personaggio che preferisco. Vedremo se riuscirò a farle avere una parte un po' più rilevante, più avanti.

Smanukil: Grazie infinitamente per il tuo commento, mi ha fatto un piacere immenso! E sono contenta che Pietro e Nader ti piacciano, così come apprezzo molto il fatto che disapprovi i nonni di Pietro (d'altra parte, un po' mi stupirei se qualcuno fosse d'accordo con loro!), ho fatto del mio meglio per renderli insopportabili. La mamma di Pietro a quanto pare è un po' nella hit parade di tutti quelli che hanno letto questa storia, me in primis, e questo mi rende davvero felicissima. Ah, e ancora più felice mi rende il fatto che tu abbia notato il papà di Pietro! Povero uomo... Sono davvero, davvero contentissima per quello che mi hai scritto, davvero.

Ringrazio anche tutte le persone che hanno inserito la storia tra le preferite/seguite/da ricordare, e tutti quelli che leggono soltanto. Grazie!
Sarei felice di sapere cosa ne pensate di questo capitolo.

Baci,

rolly too

   
 
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: rolly too