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Autore: Beads and Flowers    12/08/2010    2 recensioni
Questa è la mia prima fanfic, vi prego, siate clementi. Si tratta di una storia comica-dark, inventata da me e i miei amici, trattante l' avventura di una delle più famose tate italiane alla presa con il suo peggior incubo: degli adolescenti decisamente fuori dal comune.
Genere: Comico, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le Tate contro i MEREH'
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Scusate per il terzo capitolo. Andavo di fretta perchè dovevo uscire per andare sul pullman per andare in vacanza, ero in ritardo e l’ ho copiato 2 volte (  XD  ). Volevo anche aggiungere che il mio computer è rotto e non corregge automaticamente, ecco perchè compaiono così tanti errori. Comunque, ecco a voi il nuovo capitolo:

Cap. 4: “E” di “Emo”.

“Ti dispiace se ti faccio qualche domanda?”
“Dipende dal tipo di domanda...cosa riguardano?”
“Vedi, sono qui da circa tre giorni e ho trovato numerossisime particolari della vostra famiglia che posso solo definire... come dire... fuori dal comune. Di solito ne parlo con i genitori, ma visto che non ci sono ho deciso di parlarne con te, che mi sembri il più normale... oh, scusa, voglio dire, il ‘più vicino alla società’.”
L’ ultima cosa di cui ha bisogno è considerare strana la sua unica famiglia, lo traumatizzerebbe.
Ma questo non è il suo compito. Lei deve, in sintesi, pulire e dare uno sguardo a Bummino.”
“Ma questo non è il mio lavoro!”
“Lei non è forse una tata?”
“SI! Cioè... NO! Ma non quel genere di tata! Non la tata inglese... INSOMMA... NON SONO UNA BALIA! SONO UNA PSICOLOGA!”
“Una psicologa che deve, in sintesi, pulire e dare uno sguardo a Bummino.” Disse lui, alzandosi e dirigendosi verso la gabbia dei topolini e pescandone uno dalla massa.
“NON E’ QUESTO IL MIO COMPITO! IO DEVO SOLO SPIEGARTI IL PROBLEMA DELLA TUA FAMIGLIA E DIRTICOME RISOLVERLO!”
“La... Mia... Famiglia... Non... Ha... Nessun... PROBLEMA!!!” urlò lui, quasi soffocando il topolino.
“N-no... ce-cert-to c-che n-no!”
Il ragazzino si calmò.
“Senta, mi rivolga pure le sue domande. Vedrò a quali posso rispondere. Ma non garantisco nulla.”
La Tata riafferrò il suo block-notes, lì accanto sul letto.
“Bene. Per prima cosa, da quanto esattamente siete qui al Maniero? Quali sono esattamente i vostri poteri? E  i tuoi genitori? Chi è la Gazza Ladra? Cosa vuol dire Mereh? Roberta mi dice che è una sigla, è vero? Ma chi cavolo siete voi?”
Gabriele cambiava espressione di continuo. Prima era serio, poi arrabbiato e poi sul volto gli si dipinse una cosa che avrebbe dovuto essere un sorriso, ma che assomigliava più a una smorfia di disgusto.
“Sai che è la prima volta che ti sento dire una parola più forte di ‘cerebrolabile’?”
“S-scusa... quale parola?”
“Cavolo.”
La Tata si fece pallidissimissima. Fece scivolare il quadernino e la penna dalla sua presa. Cosa aveva fatto? Per quale pazza ragione aveva detto una parola orribile come quella davanti ad un bambino? Ora tutto quello in cui credeva era, in un lampo, svanito. Si prese la testa fra le mani, disperata.
“OhmioDiocosahofattosonounastupidanonavreimaidovutomachimicredodiesseredadovevengocomemichiamochièquestoquidavantiameperchèsonoinquestastanza? Oh, santo cielo, VOGLIO MORIRE!!!”
“Ehi, non è roba da prendere tanto alla leggera, la morte. Non capisco perchè così tanta gente lo dica senza volerlo veramente.”
“Cosa?”
“Voler morire.”
“M-ma se t-tu lo dici sepre?”
“Mi sembra logico, visto che voglio morire.”
“CHE COSA?!”
“Voglio morire, è un problema?”
“Bhè,... sì!”
“Vedi, è questo il tuo problema. Vedi il lato positivo in ogni cosa e mai quello negativo. La vita fa schifo, è questa la realtà.” Disse, avvicinandosi alla ghigliottina in miniatura.
“Ma cosa dici? Sei fin troppo giovane per questo tipo di affermazioni!”
“Non è vero. È da quando sono piccolo che ci penso. Perchè la gente piange e non ride?Perchè ci sono le guerre? Perchè i fidanzati si lasciano e i genitori si separano? Perchè mio padre mi ha lasciato?”
“Tuo padre ti ha lasciato?” chiese la Tata con un’ insolita nota di comprensione nella voce.
“E’ CREPATO!!! COME MIA MADRE, I MIEI AMICI, TUTTA PER COLPA SUA!” urlò tra le lacrime, mentre posizionava la sua mano nella ghigliottina. Per un attimo la Tata temette che volesse tagliarsela via. Poi si accorse che  colui che doveva essere giustiziato era nientemeno che il povero topolino.
“Ma che cosa fai?!” chiese la Tata, anche se la risposta era ovvia.
Lui la guardò per un lungo, interminabile attimo.
Poi le rispose :“Il mio hobby.”
Poi tornò a guardare il topolino.
“Ora non devi più soffrire.”
Camilla non ebbe il coraggio di guardare.
“M-ma lei chi?” provò a ritornare alla conversazione di prima.
“L-la Gazza-Ladra.” disse il ragzzino con un singhiozzo.
“Ma chi è?”
Lui la guardò.
“Per scoprirlo, devi venire con me.”
Aprì la botola e la guidò al piano di sotto.
“A’ Robè, nun me fa’ venire laggiù!” diceva chi sappiamo noi dalla rampa delle scale.
“E dai! Se non metti il dito nella zuppa, come faccio a sapere sela zuppa e buona o meno?”
“Perchè nun t’ assaggi da te a’ sbobbaccia tua!?”
“Perchè io non la devo assaggiare... non ora almeno. Ho solo bisogno di un po’ di carne umana per vedere come sarà il sapore quando ce l’ aggiungerò...”
“E a’ che te serve o’ dito mio?”
“Devo tagliartelo così potrò metterlo a mollo nel brodo e dargli un po’ di sopore in più di carn...”
“SEI UNA F****** CANNIBALE!”
“E TU UN CODARDO FIGLIO DI P******!”
“VIENI QUA SE NE HAI IL CORAGGIO!”
“SEI TU QUELLO CHE DEVE VENIRE QUA, NON IO!”
“Falla finita, Nik.” disse Gabriele.
Li sorpassarono. Si erano abituati, dopotutto, alle loro chiacchere. La Tata si ritirò nei suoi pensieri. Chi era la Gazza ladra? Cosa aveva fatto ai genitori di Gabriele? Perchè quel ragazzo era così depresso?
“Vieni.” la scosse lui dai suoi pensieri.
Con gran sorpresa della Tata, Gabriele stava aprendo la porta del giardino.
“Andiamo fuori?” chiese, con una nota di sorpresa e speraanza nella voce.
“Già.”
Sarebbe scappata. Ora. Là. Appena lui avrebbe aperto la porta.
Attese paziente che lui le aprisse la porta alla sua salvezza.
Ecco. ORA!
Scappò via con un balzo. Corse. Corse come una pazza verso i primi alberi con un po’ di verde sui loro rami. Via da quell’ inferno. Guardò indietro. Voleva accertarsi che nessuno la seguisse. Che gabriele fosse troppo assorto nei suoi pensieri per accorgersi della sua fuga. Ecco, quell’ orribile relitto che chiamavano casa si allontanava sempre più. L’ albero che s’ affacciava alla cameretta dell’ esorcista di bambole era seempre più piccolo. Il viso di quell’ emo depresso era sempre più... sempre più... sempre più triste.
Cosa stava facendo?! Non importa quanto una famiglia sia strana, papà ossessionato dal denaro, una mamma cannibale, un fratellone depresso, una sorella psicopatica e un... un... beh, non era esattamente sicura di cosa fosse Bummino, ma anche lui faceva parte di quella stramba famigliola, una famigliola che aveva bisogno del suo aiuto. Un po’ imbarazzata, tornò da Gabriele, ancora fermo al suo posto. Non le rivolgeva lo sguardo.
“M-mi dispiace Gabriele. Non ero in me. Non c’ è bisogno di essere così tristi, ho capito quanto avete bisogno del mio aiuto, e non vi lascierò mai più.”
Il ragazzino alzò lo sguardo.
“Certo che tu salti sempre a conclusioni affrettate. Stavo solo pensando alla tua punizione se fossi entrata nella foresta. O avrei risparmiato il dito di Nik e ti avrei messo nella pentola di Roberta, o ti avvrei messo nel pozzo insieme alla Gazza Ladra.”
“M-ma allora perchè avevi un’ espressione così triste?”
“Quale espressione?”
“Quella che hai ora!”
“Ma questa è la mia solita espressione, la cambio pochissimissime volte.”
“Oddio, è vero!”
Che stupida, come aveva fatto a scordarsene? Non avrebbe dovuto lasciarsi intenerire. Ora era nei guai fino al collo. Sapevano che avrebbe cercato di scappare e avrebbero aumentato la guardia. Ora doveva stare al gioco per forza se voleva salvarsi la pelle. Lo seguì attraverso il giardino, e arrivarono in una specie di parco giochi sotto all’ albero su cui si affacciava la camera di Klara. Era deserto. Proseguirono oltre. Gabriele si fermò qualche km più in là, vicino a un a un botola nel bel mezzo di un prato di erba secca talmente alta che arrivava al mento della Tata.
Gabriele aprì la botola e fece segno alla Tata di seguirlo. All’ entrata della botola era appoggiata una scala di legno marcio che conduceva nella più totale oscurità. Gabriele incominciò a scendere e lei lo seguì come un cagnolino. Lanciò un ultimo sguardo al cielo, pensando che quella era probabilmente l’ ultima volta che vedeva la luce del sole. Proseguirono per qualche minuto in quel buio soffocante ed, infine, arrivarono in una specie di tunnel dalle pareti di terra battuta. Ricordava vagamente una miniera, con un piccolo sentiero di mattoni neri e una lucina pendente dal soffitto qua e là. Camminarono per un po’ lungo il sentiero ed arrivarono ad una porticina di legno tarlato. Con lentezza estenuante, Gabriele l’ aprì, e loro entrarono.
Camilla non aveva mai visto nulla del genere.
Erano in una gigantesca grotta illuminata da delle fiaccole che lanciavano un tenue bagliore. Le pareti di roccia scura erano interamente ricoperte di rune fosforescenti e, con gran stupore della Tata, riusciva a leggerle:

Ecco, qui regna la Gazza Ladra.
Ti avvogeranno le mie ali d’ ombra,
Ti guiderò verso la tomba:
Su di te si chiuderà la bara.

Scappa, sciocco mortale!
Il peso della maledizione grava su di te!
Se non hai un sacrificio, qui per me,
Scoccherà l’ ora fatale!

Io e te condividiamo la stessa sorte,
Ma io ci son nata, a te è stata imposta.
Quindi, se non vuoi finire nella fossa:
Fammi vivere: spalanca le porte!

La mia richiesta è giunta alla fine.
Se anche mi eviti, come la scabbia,
Ti ordino ora di aprire la gabbia!
Beh,... ora basta! Ho finito le rime!”


“N-non ha molta fantasia, questa Gazza Ladra, eh?”
“In quanto a rime è totalmente negata. Ma fidati, nello squarciare e infliggere maledizioni è imbattibile.”
Camilla sorrideva vagamente, ma in realtà era talmente impaurita da non riuscire a muoversi. Da quel che aveva capito, la Gazza Ladra aveva imposto una sorte di maledizione a Gabriele che lo legava a lei. Quindi, entrambi avevano qualche strano potere. Ma, se l’ uno moriva, probabilmente sarebbe morto anche l’ altro. Quindi Gabriele teneva rinchiusa la Gazza Ladra per impedirle di causare altri guai, e poi le portava sacrifici vari per non farla morire di fame. Si ricordò che la mattina tornava a casa con volpi, conigli e uccelli di cui poi non aveva più visto l’ ombra. Ecco spiegato il mistero. Magari anche alcuni di quei topolini eranoo destinati a finire quaggiù. Ma dov’ era la Gazza Ladra? Continuò a guardarsi intorno. A un certo punto scorse nell’ angolo più buio della grotta quella che aveva tutta l’ aria di essere una bara. All’ interno sedeva una bambina dai lunghi capelli neri e gli occhi grigi, che fissava il tetto della caverna come se non esistesse altro. Oddio, ormai doveva essere abituata a sangue, morte e tutte quelle pazze stregonerie che accadevano lì. Beh, non era così. Magari una vita piena di coccole, regole e amore per la più completa normalità e perfezione. Ma almeno ora poteva dedurre che quella era la Gazza Ladra. Era davvero una bella ragazzina, dalla pella diafana e il viso espressivo. Le labbra erano violacee. Indossava una vestaglia bianca come il latte e una collana di rubini. Pesanti orecchini d’  oro le pendevano dalle orecchie, coperte dai lunghi capelli legati in una treccia.
All’ improvviso, una sagoma spuntò dal nulla. Era grosso, nero e veloce. Passo velocemente sulla ragazza, poi scomparve. Camilla spese i pochi secondi che seguirono nel cercare la sagoma, ma Gabriele teneva gli occhi fissi sulla ragazzina. Anche se intuiva ciò che avrebbe visto,la Tata guardò comunque nella stessa direzione, per poi vomitare sul pavimento di pietra. La bambina giaceva morta, fuori dalla bara, con la faccia completamente sfregiata dai tagli lasciati da quell’ essere. Con gli occhi fuori dalle orbite, in un’ espressione di assoluto terrore e sorpresa. Il sangue le scendeva copiosamente sul collo bianco e sul pavimento. Solo allora Camilla vide quanto era magra. Non doveva mangiare da giorni. La splendida vestaglia era completamente impregnata di quell’ orribile rosso sangue che, Camilla glielo leggeva negli occhi, Gabriele conosceva anche troppo bene.
Allora si ricordò che la ragazzina guardava in alto prima di morire. Fece lo stesso. Rimase a bocca aperta. Una gabbia d’ oro massiccio pendeva dal soffito. Era gigantesca, e dall’ apertura si slanciava in volo un’ enorme... gazza ladra. Era veramnete una gazza ladra?! Incredibile.
“E’ un demone.” Disse Gabriele.
La Gazza si adagiò sul corpicino della bambina ed incominciò a sbranarlo.
“Questo accadde ai miei genitori, la Gazza fece un patto con me: avrei dovuto portarle sacrifici e, almeno una volta al mese, questi sacrifici devono essere umani. Così lei mi risparmia la vita. Mi ha imposto una maledizione, se muoio io, muore anche lei, e viceversa.”
Lo guardò. Solo ora si rese conto di quanto fosse stanco. Stanco della vita. Stanco di tutto. Tutto ciò che voleva era morire, tornare dai suoi genitori, rivederli almeno una volta.
“Allora... perchè non la fai finita?”
“...”
“Tu VUOI morire! E se lo fai, anche questi sciocchi sacrifici finiranno!” puntò il dito contro la bambina, che, nel frattempo, era stata divorata dalla Gazza. Di lei non rimaneva altro che ossa.
“Io... è solo che io... ecco, vedi, io...”
“SEI SOLO UN CODARDO, ECCO COSA SEI!!!”
“NON PUOI DIRLO! NON E’ VERO! E’ SOLO CHE NON POSSO!”
“PERCHE’ NON PUOI???”
“PER COLPA DELLA MALEDIZIONE!”
“QUALE MALEDIZIONE?!”
“QUELLA DELLA GAZZA LADRA!”
“E IN COSA CONSISTEREBBE?”
“NEL FATTO CHE SONO INDISTRUTTIBILE!”
“COSA?!”
“SONO INDISTRUTTIBILE!!! NIENTE PUO’ TAGLIARMI, NULLA PUO’ PENETRARE LA MIA CARNE, ROBERTA NON MI DA’ MAI DEI PIATTI AVVELENATI, NONOSTANTE IO INSISTI SEMPRE. IL MIO CORPO E’ UN’ ARMATURA DI PELLE... SONO INDISTRUTTIBILE.”
“... NON CAPISCO...”
“LASCIA PERDERE, TI FARO’ DEGLI ESEMPI A CASA!”
“VA BENE... GABRIELE?”
“SI?”
“PERCHE’ STIAMO URLANDO?”
“...NON NE HO LA PIU’ PALLIDA IDEA!!!”

Nel frattempo, a casa della scrittrice...

“Papààà! Il pulsante Caps Lock non funziona piùùù!”
“Come!? Di nuovo!? Fa po’ vedere?”
“Guarda...”
“Oh, Dio! Oh, beh, te lo aggiusto subito.”

Una settimana più tardi.

“Ecco qua! Come nuovo!”
“Credo sia arrivato il tempo per un nuovo computer, papà.”
“Ma che dici! Ha appena qualche annuccio...”
“Papà, ha venti anni suonati!!!”
“Vedremo, vedremo...”

   
 
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