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Autore: Guardian1    14/08/2010    1 recensioni
[Completa, riveduta e corretta.]
Sono passati tredici anni dagli eventi di Final Fantasy IX, ed ecco che la vita di Eiko Carol viene stravolta di nuovo da un nemico creduto morto da tempo. Che cosa può fare una ragazza sola per cambiare le cose?
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Eiko Carol, Un po' tutti
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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capitolo sei
fuggi via da me



Where shall I look for comfort? Not to you.
Our worlds are drawn apart, our spirit’s suns
Divided, and the light of mine burnt dim.
Now in the haunted twilight I must do
Your will. I grasp the cup which over-runs,
And with my trembling lips I touch the rim


Dove cercherò conforto? Non in te.
I nostri mondi sono separati, i soli del nostro spirito
Divisi, e la luce del mio si è affievolita.
Ora al crepuscolo tormentato devo esaudire
La tua volontà. Prendo la tazza che è avanzata,
E ne tocco il bordo con le labbra tremanti


- amy lowell



Mi svegliò a mattino inoltrato.

Quella notte avevo dormito da schifo; era passata una settimana, forse di più, e la mano mi faceva male quando mi sdraiavo sul letto e cercavo di chiudere gli occhi. Stava guarendo bene – era solo una piccola distorsione – ma i giorni si stavano mescolando tra loro come le cose che cucinavo. Mi decisi a cominciare un calendario, per contarli, ma ero quasi terrorizzata dallo scorrere del tempo.

Da quanto tempo ero lì?

Per quanto tempo vi sarei rimasta?

Mia madre e mio padre mi stavano cercando? Beh, sì, ovvio, che domanda idiota – sempre che non fossero morti. Avrebbero potuto tranquillamente perdere la vita nell’attacco a Lindblum, in uno qualsiasi dei seguenti attacchi a Lindblum – non avevo la più pallida idea di dove andasse o stesse Tango, e lui non si dilungava mai a spiegarmi cosa facesse quando partiva. E nemmeno Rain, Shiny o Tide.

Non potevo sapere. Non potevo chiedere. Se aveva ucciso i miei genitori, era un mago morto. Era comunque un mago morto, perché una volta che gli avessi fatto tutto quello che dovevo-

Si sedeva spesso sul mio davanzale, di notte, nascondendo la luna, e perdeva lo sguardo nelle sabbie desertiche come se celassero un qualche mirabile significato che io non riuscivo a intuire. Ogni volta rizzavo la schiena e lo osservavo, e lui scuoteva la testa; gli occhi d’oro erano mezzelune imperscrutabili. Così mi abituai a sdraiarmi di nuovo sul materasso, e imparai ad abituarmi a quella situazione, e inspiravo il suo odore di polvere e piume. Di tanto in tanto mi toccava le dita, e me le piegava leggerissimamente all’indietro come per spezzarle, lasciandole quando vedeva il candore delle mie nocche. Una volta lo guardai, dopo che si era tuffato fuori dalla mia finestra, e lo seguii con gli occhi mentre fluttuava distrattamente e si librava in aria come una lucciola prima di rilasciare sfere di fuoco di un delizioso rosso cremisi verso le fosse degli antoleon sotto di lui. La notte puzzava di carne carbonizzata, e a volte Rain veniva da me e si acciambellava al mio fianco, sopra le coperte.

Tango mi svegliò a mattino inoltrato, scuotendomi per una spalla con la mano rivestita del guanto ruvido finché non mi strofinai gli occhi ed emisi i miei soliti versetti arrabbiati, sintomi del mio risveglio. Poi si ritrasse con un fruscio e si mise a camminare come un uccello e poi a percorrere freneticamente la stanza avanti e indietro. Le sue ali sembravano piene di polvere, e i suoi abiti neri erano come strinati, riportavano delle bruciature. Sul pavimento ricadevano mucchietti di fuliggine. Due maghi neri erano accalcati nel corridoio a guardare, visibilmente intimoriti.

Stringeva qualcosa in mano. Borbottava in modo quasi febbrile, a bassa voce, poi si gettò a terra, si accovacciò, e con le mani formò una culla per quell’oggetto. La folle esibizione quasi animalesca stava iniziando a innervosirmi, perché ero spaventata quanto i maghi. Girai le gambe nude nel letto e le poggiai a terra, cercando a tastoni una maglietta da infilare.

« Tango? Tango, cosa sta succedendo? »

« Bellissima » bofonchiò lui. « Bellissima, bellissima, bellissima. »

« Cosa? Cosa è bellissima? »

Lui si alzò in piedi di scatto, la mano ancora serrata su quella cosa; ebbi solo il tempo di vedere di sfuggita che brillava. « Bellissima è la mattina, linden-bloom. Bellissimi sono i tuoi occhi di cucciolo in trappola. Bellissimo è il sangue- »

« Non cercare di prendermi per il culo » fu il mio ruggito di avvertimento; avevo superato da tempo la paura che mamma voltasse l’angolo da un momento all’altro e venisse a tirarmi l’orecchio perché mi aveva sentito usare il linguaggio degli ingegneri. Magari l’avesse fatto. « Cosa c’è che non va? »

Lui ricominciò a fare il giro della stanza, il lungo redingote di cuoio che gli ondeggiava attorno alle caviglie. Tango era sempre vestito da spaventapasseri, e non credo si cambiasse mai: lunghi pantaloni di cuoio nero, un cappotto vecchissimo costellato di palline di ferro freddo a mo’ di ornamento, una camicia nera, e un panciotto nero, e una cravatta nera, e strati su strati di nero come se stesse cercando di ingigantire la propria forma. Anche gli stivali e i guanti erano neri. E poi c’era il grosso cappello nero. Nessun colore, nemmeno uno, a parte quelli delle macchie sbiadite. « Piccolissima » disse, come sovrappensiero. « Piccolissimissima. »

Il mio sangue da freddo era diventato gelido per l’ansia: in cosa diamine si era cacciato quel lurido mentecatto? Era ferito?

E perché diavolo mi stavo preoccupando per la sua salute, pensai vagamente, quando ogni giorno aveva nuove ferite e nove volte su dieci se l’era procurate da solo. Rain mi aveva raccontato del sibilo delle lamette da barba, e delle piume rotte e insanguinate che ritrovavano sul pavimento, e di Tango che giaceva rivolto a terra-

Scossi furiosamente la testa, allacciandomi il sarong attorno ai fianchi; ora avevo quel minimo di decoro che mi consentiva di afferrargli il braccio e sbatacchiarglielo un po’. Ormai non avevo più paura di farlo. Mi ero abituata da tempo agli schiaffi, ai manrovesci e ai pugni nello stomaco. Il suo braccio si afflosciò, e la cosa luccicante cascò a terra. Come un gatto, lui fuggì e sfrecciò lontano da me, premendosi in un angolino. Io mi chinai a raccogliere l’oggetto.

Era una collanina.

Un ciondolo della Casa Reale di Alexandria, per essere precisi. Ne riconobbi la fattura. Simile all’Artiglio di Falco di Lindblum, ma con una forma differente; io, mio padre e mia madre possedevamo tutti gli Artigli di Falco. Anche Garden e Gidan avevano i loro rispettivi gioielli, e così Cornelia. Il suo però era un po’ diverso; aveva una stella di diamante al centro, per qualche ragione sentimentale che avevo dimenticato-

Era macchiata di sangue. Con le dita rigide, pulii il liquido rosso che mi si appiccicò umido alle mani, svelando il diamante rivelatore.

« Dove l’hai preso. » Non era una vera domanda; la mia voce non tremava.

« Dal suo piccolo collo. » La sua voce risuonò di nuovo limpida e trasognata. « Ho dovuto toglierglielo, linden-bloom. Lei stava prendendo il colore dei non ti scordar di me. »

« Elia. »

L’aveva preso a Elia. La volpe era entrata nel pollaio e aveva sbranato i pulcini, la mia nipotina. Io ero sua zia Eiko. Interpretavo con piacere il ruolo della zia simpatica, quella che le passava le caramelle di nascosto – ma presto sarebbe stato il suo compleanno – Cornelia-

« Non mi avevi raccontato della codina. » Le sue ali frusciarono, agitate. « O del piccolo corno – sembravi proprio tu, quando avevi la sua età… »

Non stavo ascoltando. Aveva toccato mia nipote. Probabilmente aveva ucciso mia nipote. Era stato al Castello di Alexandria; perché Garden non si era occupata di lui, e Gidan? Eravamo talmente tanto indifesi? Non c’era proprio speranza?

Era passato ai bambini. « Chiudi la bocca! Chiudi quella cazzo di bocca! Perché? Perché! Come puoi aggredire dei bambini quando ne hai di tuoi? »

Tango Nero si voltò e mi guardò, sollevandosi, trascinandosi alla sua massima altezza. Non aveva lineamenti, ma si sentiva che sulle sue labbra c’era un sorriso: malato, largo, delicato. « Perché potevo, Principessa. Volevo vederla. E poi potevo. Cosa ci vuoi fare, amore? »

Fu come se qualcuno avesse azionato un interruttore. Mi ribollivano le viscere, il sangue mi si era ghiacciato; avevo voglia di singhiozzare, ma poi capii cos’era successo. Non provavo quella sensazione da tantissimo tempo; erano passati anni, no? Tutti i miei organi mi sembravano come tramutati in minerale. Respirando a fatica, mi sforzai di completare il cambiamento di fronte agli occhi affascinati di Tango; caddi in ginocchio e mi arresi alla marea crescente, guardandomi le dita sfavillare e colorirsi di un bianco glaciale screziato di verde, come se mi stessi accendendo da dentro. Effettivamente era proprio così. Oh, Dei, era bellissimo, mi sentivo potente, era una liberazione, e le lacrime volevano scendermi per la furia e per la gioia. Sentii spuntarmi qualcosa dalla schiena, accompagnato da un pizzico di dolore: due ali bianche di piume color perla. Non avevo mai avuto bisogno delle ali di mio nonno, dopotutto.

I maghi neri – Tango e i due alla porta (uno dei due era Tide?) – mi guardarono, sgomenti, mentre mi rimettevo barcollante in piedi, in Trance. La mia fronte sembrava molto più pesante: il corno da sciamana, al colmo della sua magnificenza.

Un rumore; era stato Tango, un sospiro, come se fino a quel momento avesse assistito a uno spettacolo pirotecnico e si fosse ricordato solo ora di respirare. « Oh, Eiko » piagnucolò. « Sei assolutamente deliziosa. Non costringermi a farti del male. Per favore. Per favore. »

« Oh, sparisci » sputacchiai, allungando una mano sotto il materasso e brandendo la bacchetta che mi ero costruita. Quando la impugnai emise un piccolo sprazzo di polline; me la rigirai tra le dita, la agitai, tesissima. Ero talmente stanca di sentire dolore che avrei potuto accasciarmi a terra. « Sarò io a fare del male a te, mostro, una volta per tutte. »

La sua espressione era strana, e per un attimo pensai che non avrebbe fatto nulla; poi però si avviò alla finestra ed estrasse un bastone corto dal soprabito. Aveva un ghirigoro sulla punta, nell’antico stile dei maghi neri; non era come le aste grosse che avevo visto al loro Villaggio, che all’estremità portavano sfere d’oro reticolate e traforate. Mandò in frantumi la finestra con un colpo e si accucciò sul davanzale mentre il vento soffiava nella stanza, arido e caldo. « Prendimi, Principessa » mi gridò, e si alzò il volo.

« No! » strepitò Tide quando scavalcai anch’io il davanzale, notando vagamente che i capelli mi si erano tinti di un verde brillante. « Eiko, no! Ti prego! »

« Ti voglio bene » gli assicurai. « Di’ agli altri che voglio bene anche a loro, intesi? »

« No! » strillò. « Eiko! Eiko! »

Saltai dalla finestra rotta. Non avevo mai volato veramente in vita mia.

Gli antoleon stavano urlando, e io ero in caduta libera. Le mie nuove ali sbatterono all’impazzata, e a un tratto venni catturata da una corrente che mi trascinò verso l’alto; facevano male tutti quei nuovi muscoli, quelle sensazioni strane. Tango svolazzava serenamente in cielo, le ali sue ali sbattevano con grazia e senza sforzo; io venivo buttata a destra e manca come un passerotto in una tempesta. Mossi la bacchetta, le foglie mi sfiorarono la mano tremante, e lanciai un levita.

Tombola. Le mie gambe scovarono un punto d’appoggio nell’aria rarefatta e ripresi l’equilibrio; ora dovevo solo trovare il modo di impedire ai venti caldi del deserto di strapparmi i vestiti di dosso.

« Come hai fatto a portarti quella bacchetta? » La sua voce era un grido pigro. « Ti ho spogliato io, linden-bloom! Non puoi aver portato nulla dentro! »

« Stai zitto! » urlai di rimando. « Sono stanca di sentirti parlare, parlare, parlare! »

Buttò la testa all’indietro, il cappello a punta un’aureola nera allungata, e ruotò le mani: vidi formarsi il fuoco prima ancora che mi scagliasse addosso quell’enorme onda di calore rossa. La mia mente correva, le mie dita spillavano magia: il dolore e l’adrenalina erano una chiave migliore delle ore e ore di forzato ricordare. Shell, uno scudo contro la magia, la bolla che avrebbe attutito il colpo – mi acquattai comunque, le mani strette rigidamente alla bacchetta, quando la sfera ardente si spiaccicò sul mio guscio. Forse mi sarebbe rimasto qualche segno leggero sui polpastrelli. Non mi importava.

« Principessa, tutto qui quello che sai fare? Uno Shell? Io assorbo tutta la magia bianca, mio fiore. La stingo di inchiostro nero. La riconsegno al nulla. »

« Preparati a seguirla, allora. »

« Solo se vieni anche tu. »

Ci scontrammo senza alcuna eleganza. La forza delle sue ali enormi e consunte mi scaraventò in una rapida capriola all’indietro; non precipitai solo grazie al levita, ma le mie nuovissime alucce scaturite dalla Trance sbattevano debolmente – ma sempre più forti – e mi trasportarono di nuovo da lui. Gli diedi una gomitata nello stomaco. Gli ficcai la bacchetta nel petto. Lo presi a calci, a morsi, a graffi, e mi dimenai come un’indemoniata, e alla fine il suo bastone di legno accartocciato ricadde nel deserto quando gli avvinghiai la testa con un braccio e presi a martellargliela.

Le braccia di Tango cercavano nervosamente un supporto. Registrai lontanamente il suo grido di dolore e sorpresa mentre lo colpivo con tutte le mie energie. Rotolammo rovinosamente verso il basso per dodici metri o giù di lì prima che lui riuscisse a centrarmi abbastanza bene nell’addome con un piede, scalciandomi via.

Sanguinavo, da qualche parte. Sentivo il rivolo caldo del sangue sulla pancia, i lividi sulla testa. Non me ne curai, la Trance m’incendiava ancora come un fuoco d’artificio.

Cornelia. Cornelia. Garnet e Gidan, come avete potuto far entrare il lupo? Perché siamo tutti così impotenti contro di lui? Perché sta facendo tutto questo? Perché a loro, perché a te? Perché a me?

« Sei diventata più forte » ansimò.

« Quando mai sono stata debole? »

« Ho stretto le tue mani tra le mie e ti ho quasi rotto i polsi, Principessa. Ti ho immobilizzato il corpo e ho fatto scricchiolare le ossicine- »

« Va’ a farti fottere da un antoleon » sbottai, e mi preparai a sferrare un altro assalto.

Lui sollevò le mani e bloccò quasi immediatamente il mio attacco: fece breccia nel mio Shell, e ogni dente che avevo mi vibrò nella testa quando il Thundaga mi attraversò, caldo, ardente, con un perforante rombo elettrico nelle orecchie. Sulle mie dita non c’erano più semplici graffietti, ma artigliai comunque la bacchetta, arcuandola davanti a me mentre ricadevo barcollante all’indietro. Lui stava ridendo, e mentre le sue mani ripetevano altri gesti magici io lanciai un Reflex – e venne inghiottito dal suo stesso Blizzaga. Il gelo della magia contrastava in maniera impressionante con l’aria calda del deserto.

L’urlo di Tango non fu musica per le mie orecchie. Era penetrante, il guaito di un animale calpestato, morso, e quando le sue ali vacillarono, appesantite dal ghiaccio, non gli rimase che sprofondare sempre più giù. Se lo scrollò via, contorcendosi in volo; le mie ali riuscirono a rimettersi in un moto traballante.

« Avrei dovuto ucciderti, Eiko Carol. »

Mi era rimasta abbastanza magia? Sì. Che la grazia di Madein mi accompagni; non mi stai ascoltando, amore mio, vita mia, ma benedici lo stesso i miei incantesimi- Alzai la bacchetta, sentendo il vento accarezzarmi le guance. Vento, terra, fuoco, acqua, legno, metallo, buio.

« Avrei potuto ucciderti, Eiko Carol! »

Il verde si schiarì e divenne bianco. Me n’era rimasta a sufficienza. Riuscivo a stento a vedere Tango tra le onde nebulose di magia che cominciavano a circondarmi: era un piccolo corvo spelacchiato, un gabbiano nero che veleggia al vento, sorretto da ali costrette a un ritmo spezzato.

« Ma non l’ho fatto – padre, mi dispiace, dispiace tantotanto, non ci sono riuscito, mi comporterò meglio, mi comporterò meglio, stavolta non fallirò, ho tante piume tra le dita padre perché sanguinano tanto non dovrebbero sanguinare- »

La mia voce si sollevò in uno strillo acuto, incrinato, proprio mentre lui si ergeva lentamente, le ali ferme che lo scortavano nella discesa, e poco prima che mi colpisse liberai tremante il potere dell’incantesimo. Sanctulizzati, Tango.

Mi afferrò per la vita, ma venne comunque inghiottito da un’onda bollente di luce più bianca del bianco. Il suo balzo improvviso allontanò l’aria, e insieme disseminammo perle magiche sulla nostra scia. Stavamo scivolando in un arco, verso la Reggia, e lui si si fece scudo col mio corpo prima che la forza cinetica ci rigettasse – lui in fiamme, io senza più forze – nella vetrata colorata del corridoio inferiore.

Crollammo sul duro pavimento di marmo nel turbine di rubini, crisoliti, lapislazzuli e topazi che andarono in pezzi. La schiena mi faceva un male cane, sentivo il fuoco bruciare tagliente come vetro sulle spalle, sulle gambe e sui piedi e mi afflosciai a terra completamente inerme, come una bambola di pezza. Tango Nero scottava ancora, persino mentre ruzzolava via da me, gemendo come consumato dal fuoco. Continuò a contorcersi anche dopo che il mio incantesimo sacro abbandonò i suoi abiti.

La mia Trance era finita; mi aveva sottratto ogni forza. Le ali erano sparite nel nulla e la sfumatura verde dei capelli era sbiadita di nuovo nel viola. A stento in grado di concentrare il mio potere, dovetti stringere la bacchetta tra i denti per lanciare un Dispel sulla stanza. Stavo per svenire, ma almeno la mia barriera era sparita, lasciando campo libero a una patetica Energia che poté chiudere giusto qualcuno dei miei centinaia di tagli. Perdevo ancora sangue, ma almeno potevo tenere gli occhi aperti.

Tango era un relitto piagnucolante a un paio di metri da me, raggomitolato su se stesso in un letto di piume mentre con le mani cercava disperatamente di scacciare qualcosa che se n’era andato da tempo. Mi alzai, strascicai i piedi sul pavimento, e gli diedi un calcio a tradimento nel fianco. Caddero a terra anche gli ultimi brandelli della mia maglia: i miei vestiti ben si addicevano al mio corpo.

Lui non fece che appallottolarsi di più. Gli diedi un altro calcio.

« Come ci si sente ad essere quello a terra? »

« Non farlo » gracidò.

Gli diedi un altro calcio, più forte, anche se zoppicavo e presto sarei caduta. « Perché dovrei avere pietà di te? »

« No… »

« Già. » Gli calpestai il bacino. Volevo che scricchiolasse e si crepasse. Il potere era dolce quant’era amaro il dolore, e sapeva di sangue. Lui emise semplicemente un altro patetico cinguettio di dolore.

« No- »

Sentii degli scalpiccii. I maghi neri. Avrei dovuto pensare di più a loro; Immaginatevi la scena: io che picchiavo a morte loro padre davanti ai loro occhi, impietriti, combattuti tra chi dovevano temere di più. La stanza era velata da ombre. Almeno Tango non ci aveva fatti sprofondare in uno dei seminterrati, di quelli gremiti di mostri. Ero mezza morta e stavo prendendo a calci un mago morto per tre quarti.

Gli diedi un calcio alla testa. Il lungo cappello a punta slittò sul marmo scheggiato. Ne uscì qualcosa di bianco, dei fili bianchi. Tango provò ad appiattirsi la testa contro il petto e i fili chiari gli ricaddero sulle spalle e sui vestiti.

La sua voce era uno strillo smorzato, quasi di bambino, come un vagito. « Non toccarmi! »

Non c’era nero. Mi aspettavo del buio. Dov’erano finite le tenebre? Lui singhiozzava, incontrollabile, il suo corpo si torceva ancora come se il cervello fosse morto. « NontoccarmiDispelnontoccarmi… »

I fili chiari si sollevarono come una cortina quando alzò la testa, mostrandomi il volto libero dalla nebbia.

Ebbi il buon senso, quantomeno, di scappare.

Non una semplice fuga: una corsa. Mi misi a correre senza meta verso il buio, e per un attimo intravidi anche i maghetti spaventati pigiati contro il muro. La paura e l’adrenalina mi incalzavano, ma le gambe mi cedettero e caddi a terra, sanguinante e impotente.

Sapevo già tutto quando Tango barcollò nel corridoio dietro di me, il cappello calcato sulla testa (come se potesse dargli una qualche protezione!), inciampò, e tutti i fili chiari gli si riversarono di nuovo addosso. Cercò a tastoni il cappello che aveva perso di nuovo, ma poi preferì mettersi a sedere, scuotendo la testa come per scacciare degli insetti. Quei fili chiari erano capelli.

Non era la prima volta che vedevo quei capelli. Un tempo erano curati in maniera impeccabile, pettinati alla perfezione, scolpiti apposta per ricadere in punte morbide su un volto altrettanto immacolato. Ritrovata un po’ di forza, Tango strisciò verso di me, la mia morte che ora desideravo perché sapevo e dovevo smetterla di piangere, mi si stava appannando la vista.

Il suo viso era sporco e imbrattato di sangue. La sua pelle aveva il biancore delle cose che vivono sottoterra e non vedono mai la luce del sole. I suoi occhi erano quelli di un pazzo, non si concentravano a dovere su nulla, scivolarono in tutte le direzioni prima di posarsi finalmente sulla mia faccia. Appoggiò le mani deboli e molli sulle mie spalle, come per costringermi a stare giù. Eravamo due zombie ambulanti, dei composti chimici inerti. Provai ad allontanare gli occhi, il corpo, ma era tutto inutile perché lui era .

Quel viso non era cambiato. Zigomi alti, niente cipria, le guance o le labbra non erano imbellettate da bacche schiacciate. Era più ossuto. Emaciato, sottile, selvaggio, bellissimo, terribile, disgustoso. Gli occhi, quelli sì, erano cambiati: erano d’oro come soli imbruniti, come metallo battuto, come quelli che aveva da mago nero, ambrati come quelli dei lupi. Aveva le labbra spaccate e screpolate.

« Non toccarmi » ansimai, e adesso sapevo perché, non avrei dovuto toccarlo, oh, madre, mi aveva vista nuda- « Stronzo, stronzo, stronzo- »

« Eiko. » Perché non avevo ascoltato la sua voce? Ero forse tanto cieca?

Iniettai nella mia voce tutto il veleno che avevo. Se avessi potuto, gli avrei anche sputato la morte di fuoco in bocca, gli avrei lanciato un incantesimo con la lingua. « Kuja. »

« No, Eiko » – e all’improvviso piangeva più forte di me – « Sono Vivi. »





Nota della traduttrice: TADAAAAAAAAAAAAAAAH! OH FINALMENTE EH *come se fosse colpa di qualcun altro se si è arrivati al 2010 per questo capitolo*
Siamo ufficialmente a metà storia, whoopieeeeh! In un certo senso, si potrebbe dire che qui e col prossimo capitolo di transizione finisca la prima parte. Ovviamente la seconda è la mia preferita, ed è il motivo per cui ho deciso di tradurre Go Not Gently. Credetemi, vale da sola tutta la fic. *risata malefica*
Hmmmmm, potrei chiedervi una cortesia? Nel caso remoto in cui vi venga voglia di lasciare sempre graditi commenti e recensioni, potreste evitare di fare spoiler su questo minuscolo particolare, magari continuando a chiamare “Tango” col nome di “Tango?” : D Grazie in anticipo, e alla prossima!
and caaaan yoouuu feeeeeeel theeee aaaaangstt toooniiiighttt
   
 
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