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Autore: keska    19/08/2010    47 recensioni
Tranquilli è a LIETO FINE!
«Perché… anche la pioggia, sai» singhiozzai «anche la pioggia tocca il mio corpo,
e scivola via, non lascia traccia… non… non lascia nessuna traccia. L’unico a lasciare una traccia sei stato tu Edward…
sono tua, sono solo tua e lo sono sempre stata…».

Fan fiction ANTI-JACOB!
E se Jacob, ricevuto l’invito di nozze non avesse avuto la stessa reazione? Se non fosse fuggito? Come si sarebbe comportato poi Edward?
Storia ambientata dopo Eclipse. Lupacchiotte, siete state avvisate, non uccidetemi poi…
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Eclipse, Breaking Dawn
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'CULLEN'S LOVE ' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Edward copertina


Edward

 

Tutto stava andando precipitosamente. Avevo avuto paura, sentendo mia moglie tremare, urlare e piangere fra le mie braccia. Mi faceva stringere il cuore vederla così sofferente. E sentivo il suo, a stretto contatto con il mio petto, battere forsennato, mentre correvo nella foresta.

Aveva il corpo madido di sudore, il vestito e i capelli attaccati alla pelle.

E per quanto avere Carlisle accanto mi avesse confortato immediatamente, i suoi pensieri mi avevano fatto preoccupare.

«E’ troppo stanca, Edward. Il travaglio l’ha sfiancata, non è in grado di affrontare un parto».

Strinsi il corpo di mia moglie più forte a me. Aveva una mano sul pancione enorme, dolorante, e malgrado fosse pallida, le guance erano rosse per lo sforzo e il dolore. I respiri troppo veloci per poter compensare la mancanza d’ossigeno, le membra troppo stremate per potersi tirare su ad ogni contrazione.

Carlisle aveva ragione, eppure Bella non si rassegnò a quello che le aveva detto. Potevo pensare, dopo quello che mi aveva confessato, che la separazione da sua figlia scandisse qualcosa di preoccupante per lei, troppo, per non poterlo vivere appieno.

Per questo, quando mio padre mi rassicurò, non potei protestare. «Possiamo provare, saremmo in ospedale e se qualsiasi cosa andasse storta potremmo operare. Non è troppo rischioso provare, possiamo farlo, ma dobbiamo andare in ospedale».

Accarezzai i capelli di mia moglie, tenendo salda la sua presa sulla mia mano, mentre un’altra contrazione le lacerava il ventre. «Facciamo in tempo?» chiesi preoccupato, osservandola.

Carlisle posò una mano sul suo ventre, ascoltando il battito cardiaco della bambina con attenzione. «La bambina sta bene. Abbiamo ancora un po’ di tempo».

Sentivo che la piccola stava bene. Sentivo i suoi pensieri, che andavano fra il curioso al rilassato. Non capiva cosa stesse accadendo, ma se ne stava buona e ferma, aspettando il suo turno di venire al mondo.

Persi la mano a mia moglie, tirandola verso di me e aiutandola a venire fuori dall’auto. Le feci passare un braccio dietro la schiena, e l’altro sotto le gambe. Era leggerissima, morbida. In quell’istante aveva gli occhi chiusi per contrastare il dolore, e subito, quando la presi con me, serrò una mano sulla mia camicia.

La adagiai delicatamente sul lettino che avevano portato, non lasciandole mai la mano che aveva preso nella mia. Si lasciò andare sul cuscino, stremata, e anche un po’ confortata, sperai, di avere finalmente un letto comodo. La coprirono immediatamente con una coperta, trascinandola all’interno dell’ospedale.

«Sono qui, sono qui accanto a te» la rassicurai, quando i suoi occhi marroni, umidi e preoccupati, vagarono in cerca della mia figura.

Le baciai le nocche della mano, provando ad alleviare il suo dolore, mentre stringeva il labbro con forza fra i denti per non pensare all’ago della flebo. Sicuramente, in tutto quel dolore, quello sarebbe dovuto essere l’ultimo dei suoi problemi. Avrei dovuto insistere maggiormente per l’epidurale, ma attualmente non volevo farla stressare ancor di più, era troppo testarda, non sarebbe servito a niente.

«Edward, vieni con me. Se vuoi entrare in sala parto devi indossare il camice» fece Carlisle, facendomi un cenno con una mano. «Lascia che l’ostetrica si occupi di Bella per qualche istante e che la prepari».

Annuii, e mi chinai a baciare il capo di mia moglie, restio a staccarmi da lei. Mi guardò disorientata quando allentai la presa sulla sua mano, e sgranò gli occhi, terrorizzata. «Cosa… ahh! Edward…» singhiozzò, le labbra tremanti.

Immediatamente le presi il viso fra le mani. «Ehi, ehi… Non ti lascio, non ti lascio. Devo solo mettere il camice, qualche istante» feci, ripetendo le parole di Carlisle cui evidentemente, in preda al dolore, non aveva fatto caso. «Torno subito» soffiai, baciandole l’angolo della bocca, spaventato di poterle togliere quella poca aria che sembrava rimanere nei suoi polmoni baciandole le labbra.

Lei annuì, stringendo gli occhi, afferrando la prima mano che un’infermiera volenterosa le aveva offerto. «Ahh…» si lamentò, provando a resistere.

La lasciai, deciso a seguirla proprio attraverso la mente di quell’infermiera, e mi avviai velocemente per l’ospedale, seguendo mio padre.

Una cosa prettamente umana, scontata, banale, semplice per un umano, e a maggior ragione per un vampiro, stava diventando impossibile. Indossare un camice. Avevo quasi paura che le mani potessero tremarmi per il nervosismo.

Bella era stata appena spostata su un letto, e le avevano fatto indossare un camice.

«Andrà tutto bene, Edward» mi rassicurò mio padre, stringendomi appena un braccio e facendomi scongelare dalla mia posizione rigida.

Deglutii, abbassando il capo, deciso a mettere quell’indumento. «Mi sento come…» m’interruppi, guardando mio padre «mia figlia sta nascendo…» dissi, semi-trasognato, provando quasi ad auto-convincermene.

Un piccolo sorriso, che riusciva a nascondere quello invece ben più ampio celato nella sua mente, comparve sul viso di mio padre. «Sta nascendo».

Sussultai quando sentii, attraverso pensieri e non, l’urlo di mia moglie. L’infermiera la teneva sollevata, le sue braccia erano avvolte attorno al suo busto, e l’ostetrica le stava fissando sul pancione la fascia per il monitoraggio delle contrazioni e del battito fetale. Sentii, attraverso i pensieri dell’infermiera, che le sue braccia si stavano stringendo con più forza al suo busto. Stava soffrendo.

«Carlisle…» feci, sofferente e preoccupato, rivelando tutta la mia frustrazione.

«Sta tranquillo, è l'ossitocina che le fa sentire più dolore, ma almeno avremo più possibilità che ce la faccia».

Sarebbe andato tutto meglio se si fosse fatta anestetizzare. «Non si può fare l’epidurale?».

«Lo sai che dipende da Bella, non la posso costringere» disse subito, finendo di lavarsi le braccia fino ai gomiti e facendosi aiutare da un assistente per indossare camice e guanti. «E comunque, adesso è troppo tardi per l’epidurale. Va da lei, confortala, e bada a non farla agitare» mi posò una mano sulla spalla. «Hai fatto un buon lavoro figliolo» pensò orgoglioso.

Gli rivolsi una breve occhiata, e ancora fibrillante raggiunsi mia moglie in sala parto. Sentivo i pensieri della mia famiglia, del padre di Bella, che aspettavano nei corridoi.

Quando entrai la vidi stesa sul lettino ginecologico, un lenzuolo dalle gambe in giù, che le lasciava nudo il ventre. Il seno coperto dal camice, piegato. Le guance bollenti, i capelli, in ciocche, incollati al viso da sotto la cuffietta verde.

Mia moglie urlò ancora. Mia figlia stava per nascere, e io ne sentivo i pensieri. Era euforica.

 

Bella

 

Edward comparve immediatamente al mio fianco, prendendomi la mano con la sua, accarezzandomi con l’altra i capelli bagnati, appiccicati alla fronte madida, sistemandomeli dietro la cuffietta verde che mi aveva fatto indossare un’infermiera.

«Al prossimo figlio» biascicai spossata «per favore, evitiamo tutto questo casino!» esclamai, troppo dolorante perché potesse passare come una battuta.

Rise debolmente, baciandomi una tempia. «Direi che è difficile uguagliare una situazione simile».

«Si» convenni, mordendomi un labbro per non urlare ancora, «speriamo».

Carlisle mi raggiunse subito. «Direi che ci siamo» disse, strofinando con una mano la mia coscia scoperta, un gesto di affettuoso conforto. «Quando ti dico di spingere devi esercitare forza sui muscoli bassi dell’addome. E devi continuare a spingere finché te lo dico. Possiamo cominciare?».

Annuii, stringendo con più forza la mano di mio marito.

«Spingi, adesso» fece, e aiutata da più di un paio di braccia mi piegai su me stessa, in preda al dolore, stringendo forsennata la mano di Edward. «Vai, brava, continua così» disse calmo, non dandomi ancora il permesso per smettere. Al suo «Basta» mi lasciai andare sul lettino, col fiatone. Ma non passarono che pochi secondi quando mi invitò a spingere ancora, non appena il dolore sopraggiunse ancora. «Brava, brava, così. Devi spingere per dieci secondi, ce la fai. Sette, otto…».

«Conta più veloce» sbottai fra i denti, le labbra serrate e il viso rosso per lo sforzo e il dolore. Quando pensai che un altro secondo ancora mi avrebbe uccisa mi lasciò smettere. Presi velocemente aria, ma fu troppo presto quando arrivò la successiva contrazione e la richiesta di spingere ancora. «Ahh…» gridai, e mi parve davvero che Carlisle contasse troppo, troppo lentamente. Al sei lo supplicai di smettere.

«Stai andando benissimo Bella, la bambina sta nascendo, mi servono solo altre tre, quattro spinte. Dai, basta così» mi concesse, e immediatamente mi lasciai andare sulla carta ruvida, contro il braccio di Edward, sempre teso oltre la mia schiena.

Respirai, stanca. «No… no… aspetta… non ce la faccio» mi lamentai, in preda al panico, quando, non dandomi abbastanza tempo per riprendermi, mi invitò a spingere ancora. I miei respiri erano corti, e malgrado il dolore sapevo di non avere un grammo di forza in quell’istante.

«Va bene, non ti preoccupare» fece, osservandomi attentamente, «aspettiamo qualche secondo» e lanciò una breve occhiata all’orologio alla parete.

Cercai in ogni modo di evitare le lacrime, che non avrebbero fatto altro che togliermi la poca aria che mi rimaneva, ma non potei fare a meno di farmi scuotere da alcuni singhiozzi. Avevo paura che Carlisle avesse avuto ragione, che non avessi davvero abbastanza forza.

«Amore, ce la fai» mi rassicurò dolcemente Edward, baciandomi la guancia. Mi colpì sentirlo così fiducioso, proprio quando anch’io stavo per arrendermi per la sala operatoria. I suoi occhi ambra mi guardarono amorevoli, e con le labbra mi baciò una tempia sudata «ce la fai. Stai andando benissimo, e fra poco la bambina nascerà. Ce la fai» disse, aumentando la presa sul braccio che aveva portato oltre la mia spalla.

La mia attenzione fu richiamata da Carlisle. «Bella, devi spingere. Ce la fai?». Non feci in tempo ad annuire che subito mi disse «Vai» costringendomi un ennesimo grido di dolore nella gola.

Serrai gli occhi e strinsi le labbra, aiutata da Edward a sollevarmi, mentre mi sentivo lacerare e cercavo dentro di me qualcosa che mi aiutasse a far nascere mia figlia.

«Brava, brava, continua così» fece Edward al mio orecchio, lasciando che gli strapazzassi la mano con la mia, dandomi da fare con tutta la mia forza.

«Okay, basta. La prossima volta devi spingere un po’ più forte Bella, va bene? Come stavi facendo prima. Su…».

«Ah…» mi lamentai, senza alcuna intenzione né possibilità di rispondergli. «Mi sento scoppiare…» biascicai, stringendo forte la dita dei piedi. Come potevo spingere più forte? Spingere ancora? Come potevo fare qualcosa che non fosse limitarsi a respirare o urlare?

Alla mia occhiata terrorizzata mio marito mi accarezzò la fronte, lanciandomi uno sguardo dolce e amorevole. «Ce la fai Bella, sono qui con te, avanti».

«Sono le ultime spinte. Vai» m’incitò Carlisle. Urlai, finalmente urlai non provando neppure a contenere il grido nella gola, dando sfogo al fiato che troppo velocemente entrava e usciva dai polmoni. «Bravissima, così. Vedo la testa. Brava, sei brava Bella, avanti…». Pensai, mentre la mia mente vagava nel non-raziocinio, quanto dovessero essere solleciti i medici a riempire di complimenti i propri pazienti in certe circostanze.

Non appena mi accasciai stremata sul lettino, pervasa da ogni dolore, distrutta e stremata, Carlisle m’invitò a spingere ancora, e allora non ci fu più spazio per nessun altro pensiero. Non potevo. «Edward… non ce la faccio» biascicai, arrendendomi al dolore.

Mi accarezzò la fronte sudata, asciugandomi velocemente le lacrime dal viso. «Si che ce la fai. Avanti amore, ce la fai… Sta nascendo, Bella» mi rassicurò prontamente.

Carlisle mi rivolse un’occhiata. «Solo un’altra spinta».

Con un respiro disperato raccolsi tutte le mie forze per assecondare quel dolore che mi stava dilaniando, ma quando mi lasciai andare l’ennesima volta sul lettino non ero più in grado di fare niente. Annaspavo, e vedevo dei puntini luminosi ai bordi del mio campo visivo. Mi sentivo squarciare, e non avevo più un grammo di forza nel corpo. Né un grammo d’aria.

«Bella? Bella?!» sentii la voce agitata di mio marito chiamarmi, e subito dopo sentii una mascherina sul viso.

«Edward…» sussurrai. I neon mi accecavano e la mia vista, in quell’istante, per le lacrime e il dolore, era imperfetta.

Il viso di mio suocero apparve fra la nebbia. «Solo un’altra spinta Bella, solo una. Ce la fai?».

Mi stava offrendo una scelta. Il mio corpo reclamava pace. Pace che non poteva avere. Sentii le labbra di mio marito sulle dita. Solo un’altra spinta.

Annuii.

La mano che me la teneva ferma sul viso spostò per un attimo la mascherina. «Spingi» sentii. Non ero perfettamente cosciente di me stessa. Mi piegai e urlai, lasciando scorrere le lacrime sul volto, la strada spianata dalle precedenti, fino al mento. Pensai di poter morire di dolore, in quell’istante, pensai di poter morire davvero. Invece sentii una sensazione incredibilmente umida fra le gambe, e la pancia stringesi in uno spasmo. E poi, mi sentii incredibilmente vuota.

«É nata» mi sussurrò, emozionato, Edward. Malgrado le lacrime e la confusione provai disperatamente a scorgere un piccolo fagottino, ovunque fosse. Ma prima che i miei sensi potessero raggiungerla, lei stessa rivelò la sua presenza, urlando la sua vita con tutta l’aria che aveva nei polmoni.

Tutto il mio corpo formicolava, teso, ancora incredibilmente dolorante. E uno dei miei battiti incalzanti e affannosi mancò, quando la bambina mi venne posata sul petto.

I miei occhi erano puntati su quelli liquidi di Edward, la mia mente ancora troppo lenta e turbata, quando, seguendo la direzione del suo braccio, trovai le sue dita ad accarezzare con assoluta devozione e delicatezza la leggerissima peluria che copriva la testa di sua figlia. Nostra figlia. Fra le mie braccia.

Un esserino così minuto, buffo, e strano, che si agitava sul mio petto, dotato di vita propria. La vita che io e Edward gli avevamo dato. Era nostra. Era proprio nostra, pensai velocemente, allentando inconsciamente la disperata presa sulla mano di Edward, cedendo al buio.

 

Edward

 

Avevo aiutato, assecondato ogni movimento, sostenuto, in ogni istante. Controllai ancora una volta, velocemente, i parametri di Bella e della bambina, sul piccolo schermo.

«Edward… non ce la faccio». Il mormorio disperato di mia moglie mi costrinse a voltarmi verso di lei. Il viso era inondato di lacrime, rosso sulle guance per lo sforzo. Sapevo che se non l’avessi tirata su io per la schiena non sarebbe mai riuscita neppure a sollevarsi dal lettino.

Ma non potevo dirle semplicemente quello che volevo io per lei. La bambina stava bene, avevamo ancora un po’ di tempo, e non era questo che dovevo fare per il bene di mia moglie. Per quanto adesso si fosse arresa, lei voleva la sua bambina, e la voleva così. E sapevo che dovevo farle fare ciò di cui non si sarebbe pentita. «Si che ce la fai. Avanti amore, ce la fai… Sta nascendo, Bella».

«Sta andando bene, la bambina sta nascendo. Ma se è troppo stanca non la possiamo forzare» pensò mio padre, analizzando attentamente la situazione. M’imposi, come avevo promesso a mia moglie, di non leggere più del necessario i pensieri di mio padre. Voleva che restassi al suo fianco durante il parto, ed era contraria e imbarazzata all’idea che potessi sbirciare. Quando le avevo fatto presente le mie lauree in medicina e la nostra vita intima, mi aveva risposto, le guance rosse. “Non voglio che tu mi veda in modo diverso”.

Quando mio padre la invitò a fare un'altra spinta, la mano che aveva nella mia, che non aveva mai, mai lasciato da quando ero entrato in sala parto, si strinse più forte. Accompagnai verso l’alto il suo corpo, caldo, debole e stanco, e le baciai una guancia. Dolorante, serrò i denti. Mentre i secondi passavano vedevo la mascella contrarsi sempre più, le lacrime sbocciare dagli occhi, e la mano stringersi alla mia tanto che pensavo che prima o poi sarei riuscito a sentire la sua presa.

«Basta» la bloccò Carlisle.

Immediatamente i suoi muscoli irrigiditi si rilassarono, abbandonandosi. La condussi con la schiena sul lettino, per farle riuscire ad avere pochi secondi di sollievo. La bambina era euforica, curiosa. «Ci siamo quasi» pensò velocemente mio padre.

Ma c’era qualcosa che non andava. Sentii il respiro troppo agitato di mia moglie, e la prima cosa che vidi, quando mi voltai, furono i suoi occhi assenti sul volto pallido. «Bella? Bella?!» la chiamai agitato, spaventato.

Carlisle venne immediatamente al mio fianco, ordinando all’infermiera di prendere la mascherina dell’ossigeno. Quando ne fu in grado biascicò il mio nome. Le palpebre si alzarono e si abbassarono un paio di volte. La mano strinse inconsciamente più forte la mia. Il fiato appannava al ritmo del respiro la mascherina che per metà viso le copriva la faccia.

Ce la poteva fare. Ce la doveva fare. Timoroso, la portai alle labbra e ne baciai le nocche, con devozione, una ad una.

Prese un respiro più profondo, e sentii la presa della sua mano intensificarsi. Con amore le baciai la tempia, chiudendo gli occhi per non farmi distrarre dal suono agghiacciante del suo urlo.

E poi lo sentii. Sentii l’aria sulla pelle, i colori e le luci troppo forti, il contatto con delle cose troppo fredde. E un immenso fastidio. Fastidio contrastato con tutta la forza, tanto da riuscire a gonfiare i polmoni, far fruire l’aria, e respirare. Il primo respiro.

Mia figlia era nata.

Il vagito riempiva la stanza. «Sembra stare bene. E’ forte, il pianto squillante» pensò mio padre, lasciando che pulissero appena la piccola, e la avvolgessero in un lenzuolino verde. Me la passò fra le braccia con un sorriso, e per pochissimi istanti non vidi che il suo volto. Il volto di mia figlia.

Non credevo, davvero, potesse esistere qualcosa di più perfetto. Si dimenò, gemendo, e mi sentii fibrillante vedendola così, vedendola viva. Come potevo io, un essere morto per sempre, averle donato la vita?

Mi forzai a staccarla dalle mie braccia, solo per depositarla sul petto caldo, ancora pervaso da un movimento frenetico, di mia moglie. Dopo quello che aveva sofferto meritava di averla con sé. Strinsi la sua mano, che non avevo mai, mai lasciato, e con l’altra accarezzai la peluria chiara dei capelli di mia figlia.

Gli occhi di Bella si riempirono di lacrime, che, aggiungendosi a quelle che già da tempo le bagnavano le guance, impedivano la vista di quello che ormai per noi era il bene più importante del mondo.

Si sentì bene a contatto col corpo caldo della mamma, e fermò per qualche istante il suo dimenarsi. Una faccia minuscola, arrossata e umida. Due occhi lineiformi, ancora chiusi. Ci aveva riconosciuti. Aveva riconosciuto chi le aveva donato la vita.

In quell’istante la forte presa della mano di mia moglie sulla mia si allentò, fino ad annullarsi. Mi voltai appena in tempo per vedere i suoi occhi sollevarsi e le palpebre abbassarsi.

«Carlisle!» chiamai subito, ansioso.

L’infermiera sollevò la bambina dal suo petto, lasciando spazio a mio padre. La controllò velocemente, analizzando i suoi parametri, e provò a svegliarla. «Bella, mi senti?».

«Bella?» la chiamai anch’io, terrorizzato. Era pallida.

Mugugnò qualcosa, e le palpebre si sollevarono un attimo.

Carlisle le accarezzò i capelli. «E’ esausta. Datele di nuovo l’ossigeno e procedete con il secondamento. Sta bene Edward, non ti preoccupare». Doveva occuparsi della bambina, lo sapevo, e sapevo anche che si fidava dell’equipe che aveva costituito per mia moglie, altrimenti non l’avrebbe mai lasciata.

Io però, rimasi con Bella. Mia figlia in quell’istante era in buone mani, per quanto il mio amore e la mia curiosità tendessero verso di lei. Non rimase sempre incosciente, e dopo il secondamento l’ostetrica decise di farla rimanere per un po’ in sala parto prima di portarla nella sua camera. Voleva che riprendesse un po’ di forze per provare a farla camminare.

«Edward…» biascicò ad un certo punto «la bambina… non sappiamo come sta. Vai…» soffiò, esausta, chiudendo per un attimo gli occhi bagnati.

«Sta bene. Posso andarci dopo» mormorai, mentre attentamente controllavo i pensieri di mio padre e della piccola.

Era spossata, le palpebre si tenevano appena aperte sul viso pallido, imperlato di goccioline di sudore. Scosse debolmente il capo. «Vai, e poi… torna. Vai…».

Sospirai, baciandole le labbra, bianche quanto il viso.

Non appena uscì dalla sala parto, però, la mia famiglia mi bloccò, e si avvicinarono rapidamente a me. M’irrigidii, rigirando la cuffietta verde di Bella fra le mani. Jasper e Rosalie erano rimasti con Seth, per tenere sotto stretto controllo la situazione. Lessi velocemente i pensieri dei miei familiari per cercare nuove informazioni, ma le loro parole mi bloccarono.

«Come stanno?» chiese subito mia madre.

Sospirai. «La bambina sta bene. E’ nata a mezzanotte e ventitré. E’ bellissima» dissi, non potendo fare a meno di tratteggiare le parole con emozione «Adesso Carlisle la sta visitando. Bella è… molto stanca. E’ stata dura. Ora che finiscono con lei la accompagneremo nella sua camera. Deve riposare».

Tutti furono immediatamente euforici. Esme mi chiese ancora di Bella. Charlie, più indietro rispetto agli altri, si affaccendò a nascondere le lacrime. Alice insistette per sapere più dettagli sulla bambina. E per quanto potessi davvero stare per ore a parlare dei miei due amori più grandi, non desideravo altro che vederne uno e correre subito dall'altro, sperando di avere abbastanza forza da farlo.

«Stavo andando dalla bambina, fatemi passare, e presto, forse, lo saprete» dissi, divincolandomi e procedendo sicuro nei corridoi.

Raggiunsi mio padre, trovandolo indaffarato sulla piccola. Era contento, orgoglioso, felice. La bambina stava bene.

«Le da fastidio la luce» dissi piano, come se avessi paura di turbarla, osservando il suo movimento e vedendola dibattersi sulla carta chiara della bilancia.

Mio padre accennò un sorriso. «Ho sempre pensato che interagendo con dei neonati avresti potuto dare un importante contributo alla scienza».

Mi avvicinai a mia figlia, con un piccolo sorriso sulle labbra. Carlisle le aveva messo indosso una tutina rosa, calda. «Ha ancora gli occhi chiusi» constatai, sfiorandole la guancia. Sussultò istintivamente, ritraendosi, ma poi si avvicinò al contatto freddo della mia mano. Le piaceva.

«E’ normale, presto li aprirà. Questione di minuti o ore. Come sta Bella?».

«Sembra bene. Ha perso ancora i sensi, e il tuo specializzando le ha messo dei punti» feci, trattenendo a stento una smorfia, concentrato ad accarezzare mia figlia «l’ostetrica vuole provare a farla camminare. Ora devo tornare da lei, non mi va di lasciarla sola».

«Si, va bene. Dopo verrò a visitarla, non ti preoccupare. E’ stata brava, forte. Ad un certo punto ho pensato di dover ricorrere seriamente alla sala operatoria. Ma Bella è sempre così. E direi che questa piccolina ha preso da lei» fece, quando la bambina strinse le sue piccole dita attorno al mio mignolo.

Era bella. Aveva preso i tratti dolci di mia moglie, ma il mio taglio di occhi. I capelli, invece, erano ancora marrone chiaro. Una partita aperta per le scommesse dei miei fratelli. Ma non importava a chi somigliasse. Era bella. Tremendamente bella.

Sentii la mano di mio padre sulla mia spalla. «Prendila, tienila in braccio. Per cinque minuti, e non di più, direi che me la puoi requisire. Dopotutto, è tua».

Mia. Sorrisi, grato, contento di poterla sentire a contatto col mio corpo. Gemette debolmente quando la presi fra le braccia, preoccupato come solo con Bella ero stato di farle del male. Fragile. Ecco com’era tutto il mio amore, fragile.

Si accoccolò sul mio petto, strofinandoci la guancia. Non il freddo. Io. Le piacevo io, pensai commosso.

 

 

Bella

 

Mi svegliai nella stanza d’ospedale nella quale, dopo il secondamento, mi avevano trascinata. Non ero propriamente certa che quell’ultima fase fosse realmente avvenuta, perché oltre il peso di un corpicino sulla mia pelle, stentavo a ricordare molte cose.

«Ben svegliata» mi disse mio marito, accarezzandomi il dorso della mano. Sembrava come un condottiero, esausto per la guerra, ma vittorioso.

Realizzai di avere ancora la mascherina d’ossigeno sul viso. Edward, intuendo la mia espressione, mi aiutò a spostarla. «L’hanno lasciata per sicurezza. Eri molto stanca, per questo hai perso i sensi». Mi sorrise. «Sei stata bravissima. Nonostante tutto, ce l'hai fatta. Sono orgoglioso di te...».

Sospirai appena. Del parto avevo un vago e annebbiato ricordo, sepolto solo sotto la cosapevolezza del dolore provato. Era come se uno strato di confusione, tenerezza, torpore, mi avvolgesse completamente. «Se non ci fossi stato tu... Grazie... per essrmi sempre stato accanto».

Mi accarezzò una guancia con la mano, guardandomi teneramente. «Non dirlo neanche per scherzo, era quello il mio posto. Come ti senti?».

«Debole» biascicai, muovendomi appena fra le lenzuola. Oltre le coperte, dove qualche ora prima c’era stato un degno e fiero pancione, ora c’era solo una piccola collina. Se me l’avessero staccato a coltellate avrei probabilmente sofferto meno. Feci una piccola smorfia di dolore. A parte la spossatezza mi sentivo estremamente dolorante. «Ah» mi lamentai, sentendo una fitta.

«Tranquilla» mi rassicurò, accarezzandomi i capelli. «Ti hanno messo alcuni punti. Ora viene Carlisle a controllarti».

«Quanto» mormorai disorientata, notando il buio oltre i lustri della finestra «quanto tempo è passato?» mi feci coraggio, e, tremante, aggiunsi «Avete notizie dalla riserva?».

«Jasper e Rosalie hanno tutto sottocontrollo. Abbiamo Seth, Quil e Embry dalla nostra parte, e gli altri sono imprigionati o fuori combattimento. Non ti preoccupare, va tutto bene. Siete al sicuro adesso». Sorrise, rassicurante. «E' passata appena un’ora dal parto. Carlisle sta visitando la bambina, ha dovuto occuparsene di persona» fece, e la sua espressione mi fece quasi scappare un sorriso. Avrebbe voluto che ci fossero certamente due Carlisle, uno per me e uno per la bambina. Povero suocero. Ma quando i suoi occhi s’illuminarono non ci fu spazio per le battute. «Pesa tre chili e duecentoquaranta grammi, alta quarantanove centimetri e sette. Sta bene, ed è in salute ed ottima forma. E, naturalmente, è bellissima…».

Sorrisi, stanca ma emozionata, e subito dopo sentii qualcuno bussare alla porta. Sussultai quando fra le braccia di Carlisle riconobbi mia figlia. Stentavo ancora a crederci. Era lei quel frugoletto che mi era cresciuto nella pancia per nove mesi, accompagnandomi nel dolore e nella gioia, sostenendo battaglie immensamente più grandi del suo piccolo corpicino?

Nonostante la stanchezza, tesi immediatamente le braccia quando Carlisle si avvicinò. Quando l’ebbi sul petto rimasi ancora incantata. Aveva la pelle morbidissima, con una leggera patina bianca, ma rosso vivo sulle guance e fra le pieghette delle manine, minuscole. Gli occhi erano due linee chiuse, e i capelli di un indistinto marroncino chiaro. Non capivo bene come, in che modo, ma eravamo io e Edward lì. Eravamo lì insieme nel suo corpo.

Ero stata semplicemente stupida ad avere paura. Non avrei, mai, potuto separarmi da lei. L’amavo troppo.

Mi accorsi che la bambina stava vagendo, rivelando il palato rosa e scuotendo le braccia. Probabilmente fra qualche notte non l’avrei pensata così, ma ora il suo pianto mi sembrava un suono meraviglioso, tanto da far piangere anche me.

Provai ad accarezzarla un po’ con un braccio, asciugandomi gli occhi con l’altra mano. «Perché piange?» chiesi, voltandomi velocemente verso mio marito, incantato quanto me.

«Ha fame» mi rispose.

«Ho provato a darle del latte in polvere, ma per adesso non lo vuole. Prima di insistere vorresti provare ad allattarla?».

Mi voltai velocemente verso Carlisle, mordendomi un labbro. «Si» mormorai insicura.

Mi sorrise, e suggerendomi di lasciare per un attimo la bambina in braccio a Edward, più che contento di farlo, mi aiutò a sollevarmi fra i cuscini e mettermi in una posizione abbastanza comoda e poco fastidiosa. Mi chiese cortesemente se non preferissi avere con me la puericultrice, ma preferii affidarmi a lui, incerta per il possibile comportamento di mia figlia.

«Avvicina la bambina al seno, e guidalo nella bocca. Non devi darle solo il capezzolo, altrimenti tu rischi un’irritazione e la bambina non riesce a suggere il latte» mi spiegò cortesemente «prendilo fra l’indice e il medio e dalle tutta l’areola, la bambina non si affoga» fece con un sorriso alla mia occhiata «e così riesce a prendere il latte. Prova» disse, lasciandomi tentare.

Mi sentii abbastanza impacciata nei movimenti, ma sollevai la bambina, provando a fare esattamente come mi aveva detto. La piccola non fece complimenti, e immediatamente, a contatto col mio seno, mosse le labbra in un gesto istintivo. Ma io non sentii niente oltre il dolore.

Alzai il capo, preoccupata di aver fatto qualcosa di sbagliato.

«Tranquilla» mi rassicurò Edward, «aspetta un po’».

Lo stesso disse Carlisle, e dopo qualche minuto, mentre la mia tensione aumentava e la bambina si staccò, insoddisfatta, per vagire, mi consigliò di provare a cambiare seno. «É normale che sia così, tranquilla. Adesso aspettiamo un po’. Non tenerla mai più di dieci minuti allo stesso seno».

Osservai mia figlia, e mi arrischiai a tenerla con un solo braccio portando la mia mano alla sua. Aveva la pelle così morbida. Mi strinse le dita contro il mio, poi aprì la manina a la posò casualmente sul seno, chiusa in un pugnetto.

Spalancai la bocca, sorpresa, quando sentii la bambina succhiare con avidità di latte. Sorrisi, e appena pochi secondi dopo sentii un crampo alla pancia. Chiusi gli occhi, una smorfia sul viso.

«É normale sentire ancora contrazioni, si intensificano durante l’allattamento» mi spiegò Carlisle, posandomi una mano sulla fronte. «Hai un po’ di febbre, vengo a controllarti fra poco» disse, lasciandoci soli e con un po’ di privacy.

Edward mi passò un braccio dietro al busto, baciando me e osservando nostra figlia.

La mia attenzione cadde sul minuscolo braccialetto, così simile al mio, che la piccola aveva al polso. Sul suo c’era scritto, a stampatello, “Isabella Cullen”. Sul mio, invece, dopo i due punti, c’era un rigo vuoto.

«Ho lottato contro la puericultrice per farmi dare un po’ di tempo».

«Dobbiamo darle il nome» dissi, voltandomi verso Edward.

Mi sorrise appena. «Senti» fece, accarezzandomi la guancia con la punta del naso. «Io avrei in mente un’idea. Un nome che non stona per niente con gli altri presenti in famiglia, ma che per me è sempre stupendo, in qualsiasi epoca, e denso di significato» disse con gentilezza, e mi pareva che in quel sorriso appena accennato ci fosse quasi sarcasmo.

Mi fidavo del gusto di mio marito, eppure pensavo che avrei dovuto lottare per farmi dire la sua idea. «Che nome?» chiesi sorpresa.

«Kate» disse, con un sorriso sfacciato. «Katherine Cullen. Non suona bene, dici?».

«Oh, Edward!» sussurrai commossa, e gli avrei gettato le braccia al collo se non avessi avuto nostra figlia fra le braccia. «Kate» la chiamai «Kate, Katherine, ti piace il tuo nome, si?» chiesi, aspettandomi stupidamente un qualsiasi segno da mia figlia che potessi individuare come un’inclinazione affermativa.

Mi voltai verso mio marito, e sorridemmo come due ragazzini, commossi e felici. E mi baciò.

E in quell’istante mia figlia non poté che partecipare alla nostra felicità, aprendo gli occhi e rivelando le sue iridi chiare, e il suo sguardo, astuto e attento.

 

 

*sospira*

E così… Questo è il penultimo capitolo, ma, in fondo, questo è IL capitolo. Ciò che da tempo io e voi stavamo aspettando.

Vi ha deluso? Ha superato le vostre aspettative?

Io posso dire che è andato via da me, perché immaginarlo non è come averlo scritto, e avendolo scritto non lo si può più immaginare.

Questa storia è cresciuta con me e… non devo piangere né fare questi discorsi perché c’è ancora un capitolo.

Mi rendo conto che alcuni si sono un po’ persi per la lunghezza dello scritto (grazie di avermelo fatto presente -.-), ma comunque, un po’, ogni tanto, mi sono persa anch’io :P.

Bando alle ciance.

Kate (si chiama cusì e voglio che cusì la chiamiate ù.ù), è nata! Che meravigliosa frugoletta! :D ^^

 

L’ultimo capitolo arriverà molto probabilmente in ritardo perché, a differenza di questi, non l’ho ancora scritto.

 

Spero vivamentissimamente di non aver scritto caSSate nemmeno stavolta. (coccinella86, endif - grazie per il tuo racconto, stupendo ;) - e lisa76, e tutte quante con esperienza “filiali” mi affido a voi ;) ).

mikvampire (nemmeno un figlio, tante paranoie xD) Hanairoh, ale03, mine (grazie grazie grazie), ANNALISACULLEN (grazie dei complimenti, da piangere *.*) Sono contenta che abbiate apprezzato così tanto il travaglio! Mi sono data da fare, affidandomi a dolori personali e fantasia, oltre a tutti i racconti che le varie mamme hanno gentilmente condiviso su internet, e quelli a volte non desiderati di mammi -.- .

Perché non è Edward ad aiutare Bella a partorire? Perché 1. Edward è solo laureato in medicina, il che non lo rende decisamente un medico). 2. In BD quando Bella sta male Edward non si mette a fare diagnosi, anzi propone di portarla da un medico. 3. Pur essendo laureato in medicina non lo è in ginecologia, e non è un tuttologo come Carlisle. 4. Se no Carlisle che ci sta a fare?! ù.ù Dreamerchan :D spero di essere stata esaustiva. :D

Rosy_Cullen (grazie di apprezzare il mio sadismo) erzsi , ste87 (evviva le amiche partorienti!), congy. Non sono sadica. ù.ù É inutile che continuate a ripeterlo, e se qualcuno scrive nelle recensioni la parola “sadica”, giuro che invece di scrivere la versione attuale del finale ne scrivo un’altra che avevo in mente. è.é (sì, è una minaccia).

Ros_Ros, luisina (Carly the doctor :P), Luna Renesmee Lilian Cullen, prudence_78 (mi dispiace non riuscire a farti apprezzare il prof, ma sono contenta che tu abbia una tua idea :) ) Avete festeggiato per l’arrivo di Carlisle! ;)

ledyang lo so tesoro, e non posso che ringraziarti, ma quando mi fai gli occhini del gatto sei terribile! :P

patu4ever baci vagabonda ;)

Noemix ti autorizzo a prendere a calci questo sederino se non riprenderò in mano la tua storia quanto prima. Scusa. ç.ç

Gattino Bianco ciao! Anche se ormai siamo in fine storia, grazie sinceramente di averla letta. É un piacere (lo è ancor di più dopo aver letto le tue fantastiche recensioni :P). Grazie.

silvia16595 non dirò più che i capitoli sono lunghi :P ma… sono lunghi! Ahahahah

Lau_twilight (grazie!), Nessie93, KatyCullen (te li sei recensiti tutti!!! *-*) Grazie per aver recuperato tutti i capitoli e non avermi abbandonata al mio destino! ;P

Grazie, grazie, grazie, per tutti i meravigliosi complimenti, e per il fatto di rimpiangere la fine di questa lunghissima storia! (Ely_11, pomeriggio, Struppi, chi61, LudoCullen96)

 

Vi ringrazio, ora, di vero cuore, tutte. Mi avete recensita, letta, commentata e accompagnata. Grazie grazie grazie, a tutte voi,

un bacio.

:*

 

Twitter--> @Keska92.

 

(fatto da Elena- Lena89)

 

«--BLoG!!!--»

 

www.occhidate.splinder.com

   
 
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