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Autore: elans    22/08/2010    1 recensioni
(A 14 anni leggevo molti gialli ed ero una grande fan di Ben Barnes)
Un giorno al famoso (tzè) regista Oliver Parker viene in mente un'idea meravigliosa: spiaccicare sullo schermo l'ennesima trasposizione cinematografica del celebre romanzo di Oscar Wilde, "Il ritratto di Dorian Gray". Gli sembra una splendida idea (beh, in realtà tutte le proprie idee gli sembrano splendide). Purtroppo, non ha idea degli effetti collaterali della decisione.
Mentre il regista porta avanti le riprese, fregandosene altamente degli strani incidenti che avvengono sul set (ha una precisa tabella di marcia, lui) e della morte del pittore che aveva ingaggiato per ritrarre il "suo" Dorian Gray, attorno al film si intrecciano le storie di un'assurda combriccola di personaggi: un'attrice che non sapeva nemmeno di far parte del cast, una bambina parcheggiata dai genitori in un paesino sperduto con una sorellina malvagia, una zia diabolica e due cugini non meglio identificati, una diciottenne decisa a depennare tutte le voci della sua Lista di Cose Da Fare Prima Dei Vent'Anni (tra cui c'è anche "risolvere un mistero alla Sherlock Holmes") e di...
Ma di Ben Barnes, ovviamente!
Genere: Commedia, Generale, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Oliver's pov
Diedi l’ultima occhiata al copione sorseggiando il mio cappuccino. Ero assolutamente soddisfatto. Tutto pronto. Io, Oliver Parker, stavo per trasformare un libro che tutti consideravano una noiosa montagna di cazzate nel thriller che avrebbe appassionato migliaia di giovani, alla faccia di chi ghignava che l’unico Oscar della mia vita sarebbe rimasto Wilde.
«Gwen, per favore, in giornata chiami Jacques, l’artista, e gli chieda se può farmi avere anche quegli schizzi che aveva preparato. Ripensandoci, credo che mi serviranno.»
Non capivo perché un artista così pieno di talento come Jacques non volesse neppure che rendessimo pubblico il suo nome. Aveva dipinto un ritratto meraviglioso, la notorietà che avrebbe acquistato l’avrebbe reso uno degli artisti più famosi degli USA. Ma probabilmente era una di quelle persone a cui non importa un fico secco della fama. Valle a capire.
«Subito, Mr Parker» sorrise la mia segretaria. Era una splendida ragazza sui venticinque, e sfoggiava una cascata di lucenti capelli biondi, anche se il primo particolare che uno notava di lei non era esattamente quello.
Tornò cinque minuti dopo, trafelata, mentre osservavo Los Angeles dalla mia finestra fumando una sigaretta. «Mr Parker» ansimò. «Leonard Jacques... il pittore... è morto. Il suo taccuino di schizzi è scomparso.»
Mi prese un colpo. «Morto? Come, morto?»
«Un infarto. Ieri sera, al bar che frequentava abitualmente» spiegò Gwen con aria da detective di CSI.
«Aveva problemi di cuore? Non me l’aveva detto» riflettei, assorto.
«Infatti pare che fosse sano come un pesce. Oh, Mr Parker, è terribile. Anche mia zia Eloise è morta d’infarto, quando io ero molto piccola. Non mi sono mai ripresa da quel terribile...»
Non la lasciai finire, ma tanto c’era abituata. «Abbiamo bisogno di un altro disegnatore, per la felicità di Ben» bofonchiai. Mi sfuggì un ghigno malvagio. «Già, povera stellina.»
Shelly's pov
Me ne stavo in santa pace a guardare una replica di South Park quando mi arrivò uno squillo di Gwen.
Avevo fatto amicizia con lei al mio provino per un ruolo in Dorian Gray, la strada più veloce per depennare la scena di sesso dalla lista. Allora pensavo che fosse succube di Oliver Parker, il regista. Quello che ancora non sapevo era che tutti diventano succubi di Oliver Parker, non appena lo sentono smattare come solo a lui riesce. (Sono sicura che quel regista, in fondo, sia una brava persona. Ma a volte risulta un tantino insopportabile.)
Comunque, richiamai subito Gwen, che ansimò: «Rachel Hurd-Wood? Sto parlando con Rachel Hurd-Wood?»
«Gwen, respira.»
«Rachel, non sai cos’è successo! Il pittore... il pittore ha avuto un infarto!»
«Quale pittore?» domandai. Non avevo idea di che cosa stesse dicendo.
«Il pittore, quello che ha dipinto Ben. Leonard Jacques.»
«Mai sentito. Quando?»
«Ieri sera, in un bar. Stava disegnando, gli è caduto il taccuino e mentre si rialzava è ripiombato giù di colpo. Non c’è stato nulla da fare.»
«Sai, è strano.»
«Rachel? Io ti dico che un poveraccio è morto d’infarto e tu mi dici che è strano
«Sì. Ieri sera, qui a Cambridge, un ragazzo del quarto anno ha avuto un incidente. Si chiama Jack Barnes.»
«Oh mio Dio. È vivo?»
«Sì, sì. Hanno chiamato i suoi due migliori amici dall’ospedale e hanno detto che sta bene.»
«Un momento. Hai detto Barnes?»
«Sì, Gwen, so cosa vuoi dire, ma se suo fratello fosse Ben lo sapremmo, no? Insomma, non sono nemmeno due settimane che sto qui e già le ragazze dell’ ΑΩΔ mi chiamano tutte Wendy.»
«Oh. E non è bello?»
«No, perché mi ripetono anche che sto con Peter Pan.»
«Bei tempi, quelli del college. Comunque, ti dicevo, quel povero Mr Jacques era sano come un pesce, quindi nessuno si spiega come possa essere morto d’infarto.»
«Forse si è spaventato... a morte» ghignai, ripensando ad uno dei miei horror preferiti.
«Oh, Rachel, non dire così, mi metti paura. E comunque era in un bar, mica sul trenino degli orrori. Una volta Sean, quello stronzo del mio ex, mi ci ha portata perché voleva... hai capito, no? e invece io sono stata tutto il tempo con il cappello sugli occhi e poi l’ho mollato.»
Se fossi un uomo, credo che mi guarderei bene dall’innamorarmi di Gwen. «Puoi dirmi dove abitava questo Leonard Jacques?» chiesi, balzando in piedi.
«Oh, Rachel, che vuoi fare?» ansimò Gwen. Quel tono da vergine addolorata mi stava logorando i nervi.
«Forse aveva un sito. Con l’indirizzo lo trovo prima, su Google. A me piace l’arte, sai?» cinguettai.
Cinque minuti dopo avevo salutato Julie inventando un anticipo della partenza per Los Angeles, avevo ficcato lo zaino nel bagagliaio del mio vecchio Maggiolino ed ero partita per Landscape alla velocità più alta che il motore mi consentiva, e cioè circa ottanta all’ora.
Non l’avrei mai detto a nessuno, ma risolvere un caso alla Sherlock Holmes era un’altra delle voci sulla lista.
Ben's pov
Erano le sette di un monotono mattino londinese, ed io mi stavo trascinando fuori dall’Heathrow Airport di Londra. Ero sfinito dal jet lag e da venticinque messaggi di Georgie (probabilmente quell’esserino diabolico aveva stressato tutta la famiglia a suon di ‘io porto a casa trecentomila dollari e voi non mi fate nemmeno la ricarica, ingrati’ finchè non le avevano regalato SMS senza limiti verso tutti per un mese).
Mi misi in coda dietro un’infermiera che trascinava il carrello della colazione con l’entusiasmo di un tacchino il giorno del Ringraziamento, e finalmente riuscii a raggiungere il letto di Jack.
«Oh povero Jack» gemeva Elizabeth Barnes, eterna mater dolorosa, accasciata sul letto di mio fratello. «Meno male che abbiamo scansato la commozione celebrale. Thomas, dimmi che non è vero. Oh, Benjamin, meno male sei arrivato.»
Mio padre, nel frattempo, mi fissava negli occhi con uno sguardo grave e orgoglioso, tuonando: «Benjamin, non sai quanto ci è preziosa la tua presenza qui, ora.»
«Beh, se avesse avuto l'accortezza di non scolarsi cinque birre prima di mettersi al volante...» osservai in tono piatto. (In realtà ero la persona più sbagliata per fargli la predica, ma...)
Dalla montagna di coperte si levò un dito medio puntato verso di me. «Ehi, non sai quanto mi ha fatto male. Dovrò stare fermo per tre mesi. E poi è stato uno scoiattolo che attraversava la strada, non ero ubriaco» grugnì mio fratello.
Inarcai un sopracciglio. «Uno scoiattolo.»
«È stato uno schianto terribile» asserì qualcuno alle mie spalle.
Mi voltai automaticamente dicendo: «Ah, salve, sono il fratello di Jack, Ben», senza specificare il cognome perché non mi ricollegassero a “il cretino che si schianta contro un ramo” o “quello che per poco non si fa ammazzare da un re nazista, un nano comunista e una strega anarchica che ce l’han tutti con lui”.
Poi mi accorsi di tendere la mano ad un’enorme copia di un giornale sportivo, da cui uscivano fuori solo due cappellini dell’NBA e due mani. Una era grassoccia, l’altra scheletrica.
Il giornale si abbassò repentinamente ed io mi ritrovai addosso quattro occhi strizzati che mi squadravano dall’alto in basso.
I primi due erano incastonati nel volto rotondo, liscio e roseo di un coetaneo di Jack, che occupava due e mezza delle tre sedie a disposizione dei visitatori. Costui indossava un’enorme felpa nera con il volto raggiante di Homer Simpson, sfoggiava una criniera di capelli neri e irsuti e ruminava incessantemente qualcosa in bocca.
Gli altri due occhi si nascondevano dietro lenti quadrate e spessissime, su un volto appuntito e tempestato di lentiggini che apparteneva all’occupante della restante mezza sedia. Questi emergeva da un’enorme camicia a righe bianche e verdi e si aggiustava in continuazione i capelli rossi che gli piovevano lisci attorno al viso, sottili quasi quanto lui.
«Winston» «James» si presentarono all’unisono, balzando in piedi e stringendomi una mano per uno, per poi ripiombare, sempre in perfetta sincronia, a sedere.
«Se vuoi ti faccio spazio» propose James, quello a pane ed acqua, stringendosi in meno della metà della mezza sedia che gli spettava.
«Ehm, no, grazie, sto bene così» balbettai io. «Siete... amici?»
«Sin dai tempi delle elementari» spiegò Winston. «Ci chiamano “la caciotta e lo stuzzicadenti”. Hohoho! Non è divertente?»
Be’, felice lui. «Assolutamente» asserii con un sorriso sghembo. Se i veri attori ridono e piangono a comando, è meglio che mi dia alle sceneggiature.
«Ehi, Ben, mi ascolti o no?» esclamò Jack.
«Non farci caso, oggi è nevrotico» mi avvertì James.
«Chissà perché» si domandò Winston. Dubbio amletico.
«Benjamin, potremmo fare una chiacchieratina là fuori?» mi chiese mia madre saltellando da un piede all’altro, come sempre quando era nervosa.
«Ma certo, signora! Vada pure! Ci siamo qui noi con il suo Jackie!» assicurò Winston, con un gesto eloquente della mano che si schiacciò sul naso di James.
Mia madre mi trascinò fuori di peso. «Benjamin, suppongo che dopo il tuo successo cinematografico tu non abbia quasi nulla da fare» sorrise.
«Veramente, domani dovrei essere agli Ealing Studios» dissi, con un sorriso ancora più largo del suo.
«Oh, Benjamin. È terribile.»
«E perché?»
«Io e tuo padre abbiamo prenotato le due settimane di vacanza che sognavamo da tanto tempo, su a Rejkiavik, in Islanda.»
«Ah. Bello. E quindi?» balbettai.
«Nel frattempo, pensavamo che casa nostra avrebbe bisogno di una mano di colore. E volevamo cambiare le mattonelle, e fare qualche modifica al soffitto e alla cucina. Tutta la roba di valore è in garage. Insomma, casa nostra non sarà granchè abitabile, in questi giorni. Soprattutto per Jack. Ed è ovvio che al college non può tornare, conciato così. Ha bisogno di assistenza
Sapevo dove voleva andare a parare. «Mi dispiace. Il mio appartamento si trova al settimo piano, ci vogliono ottantadue scalini per arrivarci.»
«Oh, Benjamin. Oh, BENJAMIN. Con tutte le meravigliose ville di quella città, e con tutti i soldi che ti ritrovi, proprio l’appartamento al settimo piano ti dovevi comprare?»
«C’è una bellissima terrazza panoramica.» Captai l’occhiata “figlio degenere uno di questi giorni facciamo il test del DNA”. «Coraggio, ci sarà una soluzione» mi corressi, sfoderando il mio miglior sorriso ammaliatore. Ma su mia madre non funziona neppure quello.
«E quale?»
Mio padre apparve sulla soglia della porta, ci lanciò un’occhiata drammatica e pronunciò il fatidico nome: «Martine.»
 
Abby's  pov
L’avrei dovuto capire subito, io, che c’era qualcosa di strano. Quando mamma Lucy mi ha svegliata, il giorno della partenza per le vacanze che attendevo dall’inizio dell’estate, la mia sveglia con le Winx non mostrava le 6.30, (mamma e papà ci avevano fatto una testa così la sera prima “dovete andare a letto perché domani ci svegliamo prestissimo” e non ci avevano fatto vedere neanche un po’ di tv). La sveglia segnava le 10.25. Ma mamma e papà esagerano sempre, quindi non ci ho fatto tanto caso. Così ho scoperto la catastrofe soltanto alle 10.40, a colazione.
Mamma mi ha messo in mano una mega fetta di pane con la nutella, che è proibitissima, perché mamma dice che fa male perché mi fa diventare grossa come un lottatore di sumo, io i lottatori di sumo li ho visti a Geo&geo, quindi non mangio mai la Nutella, però quella volta mamma ha detto che non mi avrebbe fatto niente e quindi l’ho mangiata.
Poi papà ha aperto il Ripiano Proibito, quello in cui io e Melanie non dobbiamo assolutamente mettere le mani perché altrimenti ci tolgono un mese di tv, che è una cosa brutta, perché rimaniamo indietro con i cartoni delle Winx per un mese e non ci capiamo più nulla, e ha preso una grossa bottiglia quadrata su cui c’era scritto una cosa che aveva a che fare con un certo Jack Daniel e si è versato in un bicchiere una cosa che dal colore sembrava tè, o Coca-cola quando ci butti tanta acqua dentro, una volta la mia amica Katie l’ha fatto e poi faceva schifo.
Ho detto che lo volevo assaggiare, e papà ha detto che non se ne parlava nemmeno, e mamma ha detto una cosa che non ho capito (oh David, non a stomaco vuoto, ti prego), poi ha detto una cosa che ho capito benissimo (Abigail, dammi subito quella bottiglia) e l’ha rimessa a posto, e infine ha incrociato le braccia e ha detto una cosa bruttissima. Ha detto: «Bambine, credo che dovremo rimandare.»
«Che cosa?» ho chiesto io. «Cosa dovremo rimandare?»
«La nostra vacanza in Egitto.»
Io e Melanie siamo state un quarto d’ora a piangere, poi io ho detto: «E quindi si torna a scuola?»
Mamma ha guardato papà e ha sorriso: «Be’, non esattamente, bambine. Dobbiamo decidere il da farsi, però... Mamma e papà non ci saranno, in queste due settimane.»
 
 
Ben's pov
Quando la famiglia Barnes, riunita nell’ospedale, sentì pronunciare quel nome, calò un silenzio da corteo funebre. I due vecchietti che condividevano la stanza con Jack fecero schioccare la dentiera e rimasero in un silenzio religioso.
Winston, che non possedeva la loro saggezza millenaria, chiese: «Chi è Martine?»
Jack ed io gli lanciammo un’occhiata saggia e grave, che avevamo ereditato da nostro padre. «No» lo corressi. «Cosa è Martine.»
Zia Martine è un membro leggendario della nostra famiglia. Da quando mio zio è morto, nel 2000, vive da sola in una cittadina sperduta della California. Dimenticate Hollywood, ville lussuosissime e party fino alle tre del mattino: a Lume non c’è niente. O meglio, ci sono: un negozio di alimentari, che è anche tabaccheria, edicola, farmacia, cartoleria, ufficio informazioni e SkyBox e smercia giocattoli, abiti, articoli da regalo, attrezzi per il fai-da-te e il giardinaggio, scarpe, zaini da trekking, bigiotteria e sacchi a pelo di Hamtaro; un caffè che funge anche da fast-food, autogrill, motel e ristorante di lusso; un ufficio postale che include una libreria; un salone di parrucchiere. Ah, c’è anche un maneggio con un campo di salto a ostacoli e un campo da golf. Non ho mai capito a cosa serva, dato che la popolazione di Lume ha un'età media di centoventidue anni.
Zia Martine riesce a far litigare sempre mia madre e mia cugina Lucy, che adesso si odiano a morte. Inoltre difende il suo orticello a costo della vita: quando io avevo dodici anni e Jack sette si piazzava davanti all’entrata con una scopa di saggina nella mano sinistra ed un forcone nella destra. Per ora ha usato solo la sinistra. Oggi distribuisce alle bambine di Lucy caramelle mou cementificate e dolcetti farciti con spinaci e peperoncino.
«Noi non ti abbandoneremo mai, Jack!» tuonò Winston, scattando in piedi.
«Non-dovete-preoccuparvi-per-me» disse rauco Jack. «Io-starò-bene.»
«Nelle buie foreste del Vietnam» borbottai, alzando gli occhi al cielo.
«Vietnam? Ma non era in Asia?» si chiese Winston.
Non so chi avesse più senso dell’umorismo, tra me e lui. Comunque non riuscii a spiegargli la battuta perché mi cominciò a trillare il telefono in tasca.
«Sì, Mr Parker?» chiesi, senza neanche guardare il numero.
«Guarda che sono Lucy, imbecille» abbaiò mia cugina. 
 
Lucy's pov
«Bob, sei l’unico che può salvarmi.»
«Joan? Cercavo giusto te.»
«Perché?»
«Mio fratello ha avuto la geniale idea di schiantarsi contro un pino, ieri sera, e non sappiamo dove ficcarlo. Prima di chiamare zia Martine, pensavo che voi... magari...»
«Bob, siamo nella... cioccolata. Ti ho chiamato perché pensavo che quell’uccellaccio di tua madre avrebbe potuto tenere Abigail e Melanie per un po’. Insomma, lei è un’arpia, ma mia madre è il diavolo in persona, quindi...»
«Perché? E voi?»
«La Silky Dream ha indetto un giro di conferenze negli USA, e... Be’, Bob, ne va del mio lavoro, e anche di quello di David.»
«Joan... I miei hanno prenotato un viaggio in Islanda.»
«In Islanda? Siamo nella mer...inga, Bob. Oh, dovevamo diventare hippy barboni, e guarda come ci siamo ridotti.»
«Che depravati, Joan.»
«Ma davvero, Bob.»
Silenzio nostalgico. Quando io e Ben eravamo giovani e innocenti, d’estate giù a Lume, passavamo intere nottate sul tetto della casa dei miei, a far casino con le chitarre. Poi mia madre, per punizione, ci costringeva a mungere le mucche, dar da mangiare alle galline, falciare il prato, spazzolare il pony Tappo (facile), la cavalla Lady D. (medio) e lo stallone Bob (difficile) e andare a raccogliere i pomodori.
Purtroppo, però, non avevamo tempo di metterci a rievocare le vecchie avventure. « Ok, riassumiamo. Io e David dobbiamo trovare qualcuno a cui affidare Abby e Mel. Voi dovete trovare qualcuno a cui affidare Jack.  Bob, c’è una sola cosa da fare» decretai.
«Pensi anche tu quello che penso io, Joan?»
«Allora. Jack, Abigail e Melanie si trasferiscono insieme a casa di mia madre.»
«E si aiutano l’un l’altra, scoprendo le meraviglie della collaborazione e vivendo un’esperienza altamente costruttiva.»
«E tu vai là e controlli che non salti niente.»
«Cosa?»
«Lume non dista più di tre quarti d’ora da Los Angeles, in linea d’aria
«Appunto, in linea d'aria. Peccato che non ci siano strade asfaltate per arrivarci, Joan.»
«Però c’è una stazione molto pittoresca.»
«Già, dove passa un treno ogni tre ore.»
«Basta che azzecchi quello giusto. Ascolta, se Jack non è mai stato capace nemmeno di scaldare l'acqua per il tè, figuriamoci ora che ha un braccio ingessato quanto può essere d'aiuto. Abigail ha sette anni, Melanie cinque. E se fosse per mia madre, dormirebbero per terra e mangerebbero solo i pomodori del suo orto. C'è bisogno di una presenza paterna.»
«Ti sembro una presenza paterna?»
«Meglio di nulla.»
«Ma io non posso fare il pendolare Los Angeles-Lume-Los Angeles.»
«Puoi trasferirti lì anche tu. C’è posto. E poi sarà solo per qualche settimana.»
«Così mi distruggi la vita privata.»
«Ma se hai detto che non volevi più vedere una ragazza per sei mesi.»
«Ovvio, Leah mi aveva appena mollato.»
«Veramente l’avevi mollata tu. Bob, abbiamo bisogno di te. Quando avevi bisogno della mia pianola per un concerto, io te l’ho prestata.»
«Ma tra me e una pianola c’è un po’ di differenza.»
«Eddai, Bob. Dentro di te hai già ceduto, solo che sei troppo orgoglioso per dirlo. Tutti i Leone sono così. E poi produrrai tanto karma positivo e raggiungerai prima il Nirvana.»
«Sai, Joan, non ti ho mai sentita sparare così tante cazzate una dopo l’altra.»
«Anch’io ti voglio bene» miagolai, riattaccando.
David mi stava ancora guardando, stravolto. «Bob» balbettò. «BOB?»
Oh, ma perché è così duro di comprendonio? «Ma che hai capito? Hai presente Bob Dylan e Joan Baez?» cercai di spiegare.
«Joan chi?» esclamò lui.
«Se la tua cultura musicale andasse oltre Daddy Cool, lo sapresti. Insomma, sono i nostri soprannomi. Un gioco da bambini. In compenso ho trovato dove scaricare le bambine» annunciai, raggiante.
 
Jack's pov
Partimmo per Lume quel pomeriggio, Ben ed io, appena ebbero finito gli accertamenti. Caciotta e Stuzzicadenti se ne andarono all’ultimo momento, dopo i risultati degli esami. James mi regalò un gioco per computer di nome Super Sterminator Blood&Blood 3D. Disse che gli era stato molto di conforto quando si era rotto una gamba in un truculento incidente in barca a vela. Ben si rifiutò di sentire il racconto dell’incidente. James insistette. Ben lo corruppe con un Kinder Fiesta. James ha sempre avuto fiuto negli affari.
A Winston scappò pure qualche lacrima. «Ci mancherai, Jack» disse.
«Già. Se riesci a totalizzare più di 5000 punti nei primi due livelli hai il bonus»  aggiunse James.
«Di solito quanti punti si riescono a totalizzare?» chiesi. Lo conosco James, io.
«In media 200» disse James con un sorriso di incoraggiamento.
«Ah, ok» dissi io.
Uno dei vantaggi di avere un fratello che fa l’attore è che puoi chiedergli un piccolo prestito quando ti serve. Perciò mamma disse a Ben che non aveva la benchè minima intenzione di lasciare che io viaggiassi su un aereo con trecento persone, pensa un po’ se gli viene un’embolia, no, Benjamin, per favore...
Ben acconsentì, ma stavolta fu lui a farsi corrompere con una Fiesta.
«Fantastico. Non avevo mai viaggiato su un coso privato» esclamai quando fummo a bordo.
«Già, uno di quelli che ogni tanto perdono quota e s’inabissano nel bel mezzo dell’Atlantico» sogghignò Ben lasciandosi cadere sulla poltroncina davanti alla mia. Il suo senso dell’umorismo è sempre stato un po’ più cinico e criptico del mio. Lo ignorai.
«Non c’è un Bacardi?»
«Dopo ieri sera? Ubriacone.»
«Ma una Coca-cola la posso prendere. Voglio una Coca-cola fredda.»
«Dai, Jack, sono stanco, non dormo da...»
«Ma io sto morendo di sete. Non c’è una cameriera o qualcosa del genere?»
«Sì, e poi ci sono una cuoca, un maggiordomo, due colf e un giardiniere.»
«Eddai, Ben. Se tu stessi male io te la porterei, una Coca.»
«E allora portamela, ho mal di testa e sto morendo dal sonno.»
«Mamma. Mamma. Mamma. Mamma. Lois. Lois. Lois. Lois. Mamma. Mamma. Mamma...»
«Se trovo chi ha inventato i Griffin...» bofonchiò Ben. «Comunque questa è a tue spese.»
«Che spilorcio. Hai un aereo superaccessoriato e...»
« Abbiamo anche dello scotch da pacchi.»
«Che palle.»
«E lasciami dormire.»
«Ben?»
«Cosa c’è?»
«È vero che ci saranno anche le figlie di Lucy?»
«Sì, problemi?»
«Io non ho voglia di badare a piccole pesti. Ti sembro nelle condizioni?»
«Neanch’io ho voglia di badare a piccole pesti, eppure sono qui con te.»
«Questa era cattiva, molto cattiva.»
Provo un piacere diabolico nel dare fastidio a Ben. Lui mi risponde a tono sperando che me la prenda e stia zitto, ma io lo so e non voglio perdermi metà del divertimento. I fratelli maggiori esisteranno pure per qualcosa, no?
«Ben?» chiesi, dopo un po’.
Lui mugolò qualcosa.
«Ho fame.»
Lui mugolò qualcosa che suonava come «’iglio di ‘uona ‘onna».
«Non c’è nulla da mangiare qui dentro?»
Ok, sono un po’ crudele. Ma ne avevo tutto il diritto. Dovevo scaricare lo stress.
«Jack, ti prego» bofonchiò Ben.
«Ce l’hai un KitKat?»
Ben tornò cinque minuti dopo con due manga, il Nintendo DS del co-pilota e tutto il contenuto del minibar. Poi sbadigliò, si acciambellò sulla poltroncina, si buttò addosso lo spolverino a mo’ di coperta e chiuse gli occhi. Per un momento pensai di scattargli una foto con il cellulare e metterla su Internet. Invece pensai che ero già stato troppo malvagio, e mi limitai ad alzare al massimo il volume del DS.
Shelly's pov
L’idea di base era che una persona sana come un pesce non può morire d’infarto senza un motivo ben preciso, e parecchio eclatante. Inoltre avrei proprio voluto sapere chi era quel medico idiota che aveva fatto la diagnosi. Insomma: mio zio è il Dottor House, questo dovrà valere pur qualcosa.
Per trovare il paesino ci misi un sacco di tempo. Un passante mi disse che era ovest, un altro che era a nord, un terzo mi assicurò che era a est e un vecchietto mi consigliò di girare sempre a destra. Alla fine andai su Google Maps con il cellulare, spendendo un capitale, e scoprii che si trovava ad ovest. Bene.
Irruppi nel bar battagliera, dopo aver posteggiato a due chilometri dal paese perché il mio maggiolino si rifiutava di affrontare una salita con pendenza 88°. Potevo capirlo. Pensavo di trovare polizia, RIS e investigatori privati. Invece nel locale c’erano solo tre o quattro vecchietti in borghese, una cameriera di mezz’età e un grosso biliardo.
Non appena entrai tutti gli occhi e gli occhiali dei presenti si voltarono verso di me. Probabilmente ero la creatura più giovane che metteva piede in quel luogo da mezzo secolo. Come un Picasso al museo egizio, insomma. Cercai di ignorare l’idea, mi sedetti al bancone e ordinai una cedrata. Silenzio assoluto. «Ho sentito dire che qui, ieri sera, è morto un...»
«Già, un infarto» mi prevenne un vecchietto magro magro con un ghigno sdentato.
Il suo vicino, di età compresa tra i settanta e i centoquindici anni, gli diede di gomito. «Icchè parli di ‘ste cose, John? Lo sai che porta male.»
«Pe’ te, forse, che se passi sotto una scala stai un mese in chiesa a pregare. A me, invece, in questi giochetti non mi ci pigliano» dichiarò John con una punta di orgoglio. «Si chiamava Lionel Jaspers, buon’anima.»
«Ma che dici, stai di fuori come le banderuole, stai!» intervenne un terzo vecchietto, bene in carne e con un’aria da frate assassino. «Si chiamava Leopold Jones, rimbambito.»
«John, Bill, ora basta, però. Mi mettete i brividi» li pregò il signore superstizioso.
«Si chiamava Leonard Jacques, si chiamava, ed era più sano di tutti noi messi insieme» intervenne in tono grave la barista.
«Non potrebbe aver bevuto un po’ troppo?» suggerii.
«Macchè! Si beveva un bicchierino e basta, e basta, mi creda» intervenne il quarto vecchietto, che fino ad allora era rimasto sempre zitto. «Si metteva lì nell’angolo e cominciava a disegnare, e disegnava, e disegnava, e nessuno capiva mai cosa disegnava, a volte erano visi, ma anche bottiglie, e Tom giura di aver visto un disegno in cui Marilyn Monroe, quella di A qualcuno piace caldo...»
«Lo sa chi è Marilyn Monroe, non è mica così smidollata. Vero signorina?» lo interruppe Bill.
«Ma chètati, Grant, facevo così per dire. Per precisare, capito? Tu non precisi mai, e infatti non ci si capisce mai niente, eh. Insomma, Tom giura di aver visto Marilyn Monroe seduta sul bancone, proprio di questo bar qui. Epporco cane, John, lasciami finire. E lo sa con chi parlava Marilyn Monroe? Non ci crederebbe mai. Con la donnina di Sandokan.»
«In realtà non è che siamo proprio sicuri che fosse la donnina di Sandokan. Però sembrava, eh, ed era proprio bellina. Se fossi stato cinquant'anni più giovane...»
«Era un disegno, John, che ci volevi fare con un disegno? Certo che sei strano, pure te.»
«Ehi, ehi, ehi!» strillai, cercando di richiamare l’attenzione. «Sto diventando curiosa. Questi disegni dove sono finiti? Li ha presi la polizia? Quando avranno concluso le indagini, mi piacerebbe darci un’occhiata.»
La risposta dei vecchietti fu unanime: «Boh.»
Perciò decisi di andare in commissariato, ammesso e non concesso che in quel posto dimenticato da Dio ce ne fosse uno.
E lì la cosa cominciò a diventare inquietante.

E così sono arrivata in fondo anche a questo enorme capitolo.
Se siete sopravvissuti, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate... in particolare le critiche. E' troppo dispersivo? Troppo lungo? Ci sono troppi punti di vista? (Eh sì, sono perennemente insicura.)

Infine un soffocante abbraccio virtuale a Beatrix_, che ha avuto la pietà di recensirmi mandandomi in fibrillazione per tre giorni :) Grazie mille!

   
 
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