Chapitre 17
Ritorno alla luce
La
Dimora sul lago giaceva in un cupo silenzio, disturbato soltanto dal
leggero
fruscio lontano di qualche corrente d’aria sotterranea. Non
era completamente
immersa nell’oscurità, e questo grazie alla
geniale intuizione di far
convergere, tramite degli specchi disposti in punti strategici, i raggi
della
luna e le luci dei lampioni a gas, che penetravano da delle grate fino
alle
profondità del teatro: qui l’acqua del lago li
rifletteva sulle pareti, creando
dei giochi di luci e ombre che rendevano l’ambiente
più vivibile. Erik era
stato costretto a cambiare tutti gli specchi
perché quelli che aveva predisposto in passato erano stati
distrutti la notte
del disastro e quelle successive.
Ad
ogni modo, ciò non gli impedì di afferrare una
fiaccola dalla parete per
iniziare le ricerche della sua ospite. Avanzando a grandi passi negli
intricati
corridoi, attento a cogliere il più piccolo gemito o rumore,
si accorse che era
da un po’ di tempo che aveva cessato di pensare a lei come ad
una prigioniera. Alla fine non era
riuscito
neppure ad attuare la punizione che aveva preparato per lei. Avrebbe
voluto
tenerla legata ad una scomoda sedia per diversi giorni –
aveva già preparato le
corde – fino a quando lei non l’avesse supplicato
con pianti e lamenti di
liberarla; in realtà questa sarebbe dovuta servire anche nel
caso in cui la
reazione della giovane di fronte al suo aspetto infernale non fosse
stata di
suo gradimento.
Ma
il modo in cui si era comportata quando aveva visto il suo vero volto
era
andato ogni sua previsione: chi si sarebbe mai aspettato, infatti, che
mademoiselle avrebbe cercato di comprenderlo e confortarlo, malgrado
fosse
appena stata rapita da lui? Certo, all’inizio era sembrata
spaventata, ma forse
era solo una reazione umana… In fondo non era preparata a
qualcosa del genere,
lui poteva ben capirlo – ma quando aveva pianto era solo
perché temeva che lui
potesse avanzare diritti sul suo corpo!, non perché era
disgustata dal suo
aspetto!
Fu
questo, probabilmente, a farlo desistere dal punirla. Che bisogno ve
n’era, d’altra
parte? Ella gli si era avvicinata e l’aveva toccato di sua
spontanea volontà,
permettendogli di posare la sua fronte sulla sua: e da quel momento non
aveva
esitato a sfiorarlo in nessuna occasione, forse sperando in quel modo
di
essergli vicina o – possibile? – dimostrargli affetto.
E
malgrado tutto questo, egli aveva abbassato la guardia e
chissà in quale
trappola demoniaca era finita!
Ringhiò,
al colmo della frustrazione, e si contenne a stento dallo strappare i
preziosi
drappi che abbellivano le nude pareti di pietra della sua dimora e che,
al
contempo, la rendevano meno umida. Doveva mantenere la calma e
concentrarsi – e
pregare di aver chiuso a chiave le stanze più pericolose.
Avrebbe dovuto
immaginare che le sarebbe venuta la voglia di studiare meglio quella
strana
abitazione, era pur sempre una donna! Ma per quale motivo farlo di
notte,
maledizione?
Dopo
essersi assicurato che anche la porta della Camera dei Supplizi fosse
prudentemente chiusa a chiave, Erik non potè ancora tirare
un sospiro di sollievo.
Escludendo le varie trappole, ora non restavano che le altre stanze,
più
normali ma non per questo meno pericolose: poteva anche essere accaduto
che
mademoiselle Sanders, entrando in una di essa, non fosse stata
più capace di
uscire o di ritrovare la sua camera da letto. Di certo egli non
scherzava
quando si riferiva a quel luogo come al Labirinto sotterraneo.
Una
dopo l’altra, Erik scopriva che le stanze erano completamente
vuote. Neppure un
cenno del suo passaggio, come se la fanciulla si fosse volatilizzata
nel nulla.
Per un attimo temette quasi di essere ancora immerso nel sogno, ma il
dolore
proveniente dalla mano che aveva sbattuto al muro gli indicava tutto il
contrario. La terribile verità era che non stava sognando, e
che mademoiselle
era sparita.
Che
fosse fuggita dalla dimora sul lago? Che avesse trovato un passaggio
segreto
tramite il quale fosse riuscita a raggiungere la superficie? Ma no, non
aveva
alcun senso – perché scappare, visto che sembrava
non avere alcuna forma di
timore nei suoi confronti? Un’ira cieca stava già
prendendo il posto della
preoccupazione, mentre a grandi passi percorreva l’ultimo
corridoio. E così,
infine, anche lei l’aveva tradito.
Oh, Erik, credevi
che ora sarebbe stato tutto diverso, non è così?
Che stolto!
Strinse
così forte la presa sul candelabro che quasi lo
sentì scricchiolare, mentre la
cera delle candele colava lentamente sulle sue dita. Ma quel dolore era
nulla
in confronto alla delusione che quella ragazzina gli aveva
dato…
Un
momento. Cos’era quella debole luce che proveniva da sotto la
fessura di una
porta? Era convinto di non aver lasciato nessuna candela accesa al di
fuori
della zona che utilizzava di più, per evitare di scatenare
un fuoco
accidentale. Si diresse a passo deciso verso la porta, posando una mano
sulla
maniglia d’ottone e abbassandola, spingendola silenziosamente
verso l’interno:
se ci fosse stato un intruso, l’ennesimo,
avrebbe avuto ciò che gli spettava… Non era
dell’umore adatto per mostrare
misericordia!
La
nuova stanza era il suo vecchio studio, per la precisione. Una camera
nella
quale, durante la lunga esistenza che aveva condotto in quelle
catacombe, aveva
conservato libri, documenti e tesori, dei quali ancora si serviva per
suo uso e
consumo e che in parte erano stati utili per il suo breve soggiorno nel
Nuovo
Mondo. Eppure credeva di averla chiusa a chiave, considerata
l’importanza degli
oggetti ivi conservati. Ma era chiaro che qualcuno era stato ugualmente
capace
di entrarci, e quel qualcuno adesso riposava su una vecchia poltrona,
raggomitolato come un gattino infreddolito.
Mademoiselle
Sanders.
Il
capo abbandonato sullo schienale della poltrona, circondato dai lunghi
capelli
che era solita sciogliere prima di andare a dormire, le gambe distese
sopra il
bracciolo e le braccia in grembo, con le mani che tenevano stretto un
libro
che, evidentemente, aveva trovato nella sua libreria.
Dunque non l’aveva
abbandonato…
Non
si accorse che le sue labbra si erano curvate in un debole sorriso,
mentre le
si avvicinava per avvolgerla in una coperta che giaceva su una sedia
lì
accanto. Avventurarsi in quei maledetti domini solo per cercare una
lettura
notturna, che sciocca – non aveva pensato neanche per un
istante che avrebbe
potuto perdersi?
Si
permise il lusso di rimanere un momento ad osservarla, così,
da vicino. Oh, era
molto più bella del suo sogno – era reale,
e avrebbe potuto toccarla semplicemente allungando la mano. Le sue
labbra,
leggermente dischiuse nel sonno, sembravano invitarlo silenziosamente a
posarsi
su di esse, mentre il petto della giovane si sollevava e si abbassava
sensualmente al ritmo del suo respiro. Ora capiva il motivo degli abiti
castigati che le donne erano costrette ad indossare durante il giorno e
talvolta anche la notte – serviva soltanto a preservare
l’autocontrollo di
uomini come lui. Come poteva resistere altrimenti ad una simile visione?
Fu
più forte di lui: la sua mano scivolò accanto al
suo viso, e le sue dita,
leggere come farfalle, si permisero di sfiorare le sue gote in una
delicata
carezza. La sua pelle era liscia e morbida, e questo gli fece
rammentare di
quando le sue rosse labbra si erano posate con gentilezza sulla carne
martoriata del suo viso, la notte prima, senza che alcun accenno di
ribrezzo
turbasse la serenità del suo dolce sorriso. Nessuno aveva
mai osato tanto;
neppure Christine, che aveva avuto il coraggio di fondere insieme le
loro
bocche nel tentativo di salvare la vita al suo fidanzato –
neppure lei aveva
mai avuto l’ardire di sfiorare la bruttezza del suo volto.
Ella ne era
terrorizzata, per non dire assolutamente disgustata.
Mademoiselle
Sanders poteva anche somigliare, fisicamente, alla Viscontessa de
Chagny – ma
il suo cuore era di sicuro molto più grande e pietoso nei
confronti di un mostro.
Erik
chiuse gli occhi, massaggiandosi le tempie con le mani. Non poteva
continuare
così. Stava diventando impossibile riuscire a controllare
quella situazione,
gli stava letteralmente sfuggendo dalle mani. Di certo al principio non
aveva
immaginato che gli sarebbe potuto accadere di… Oh, ma cosa
andava pensando?
Certe cose andavano contro tutto ciò che si era prefissato e
in cui aveva
creduto negli ultimi due anni. Non poteva permettersi di ignorare la
faccenda,
non poteva perdere quell’occasione.
Vendetta. Ecco tutto ciò di
cui aveva
bisogno per vivere, nient’altro aveva importanza. Pertanto
era necessario
allontanarsi per un po’ dalla sua allieva, sperando che la
lontananza servisse
a raffreddare i suoi bollenti spiriti e a rendere nuovamente lucida la
sua
mente annebbiata.
La
sua espressione era nuovamente impenetrabile mentre, dopo essersi
alzato,
sollevava tra le braccia la ragazza e si dirigeva fuori dal suo studio.
I
quindici giorni erano finiti, grazie a Dio. Presto ogni cosa avrebbe
seguito il
suo corso, e lui ne avrebbe potuto raccogliere i frutti.
Il
libro che Giulia aveva iniziato a leggere giacque sulla poltrona, del
tutto
abbandonato.
***
Quando,
la mattina dopo, Giulia aprì gli occhi, non
riuscì a comprendere come potesse
trovarsi nel morbido e accogliente giaciglio della sua camera da letto.
Non si
era infatti addormentata sopra una poltrona, in una stanza lontana e di
cui non
rammentava nemmeno l’ubicazione? Stropicciandosi gli occhi
ancora assonnati, la
giovane si alzò, raggiungendo a tentoni la poltrona nella
quale giaceva la sua
vestaglia da camera e avvolgendovisi dentro. Ora poteva anche
arrischiarsi a raggiungere
il suo Maestro per il pasto mattutino che, solitamente, consumavano
insieme.
Tuttavia,
quando raggiunse l’ampio salone – certa di trovarvi
l’uomo ad attenderla – rimase
delusa nell’accorgersi di essere sola. Ma là, sul
tavolo della colazione,
peraltro già pronta per lei, non trovò che la
compagnia di una gelida e piccola
nota lasciata dal suo Maestro. Si sedette, prendendola tra le mani e
dispiegando il foglio: l’inchiostro rosso con cui era stata
scritta e la
calligrafia curata ma spigolosa erano un suo marchio esclusivo.
Mademoiselle
Sanders,
vi chiedo perdono
di non essere lì, con voi, ad attendere che vi svegliate.
Alcuni affari mi
reclamano, perciò starò via per qualche ora.
Ciò non mi ha comunque impedito di
occuparmi del vostro sostentamento – spero che la colazione
vi sia gradita come
sempre.
Dopo che avrete
provveduto alla vostra toilette, vi esorto a prepararvi e a sistemare i
vostri
oggetti: sarete lieta di sapere che i quindici giorni sono trascorsi e che il soggiorno nella mia
dimora si è
concluso. Da questo momento in poi riprenderemo le nostre solite
lezioni.
Quando sarò di
ritorno gradirei trovarvi già pronta.
Il vostro umile
servo.
La
nota non era stata firmata. Già, d’altra parte
come avrebbe dovuto concludere
quella piccola missiva? Giulia non conosceva il suo nome, sempre
supposto che
ne avesse uno al di là del titolo con cui ella gli si
rivolgeva – non poteva di
certo segnarsi come Maestro.
Con
un sospiro, la ragazza posò la nota accanto a sé
e si versò il thè che, ancora
caldo, sembrava attendere lei. Stranamente non riusciva ad essere
allegra del
fatto di poter tornare nuovamente in superficie, qualcosa le suggeriva
che non
sarebbe stata una liberazione essere privata della sua presenza. Certo,
all’inizio non aveva desiderato che questo, ma ora? Inoltre i
toni della
lettera erano stranamente freddi
nei
suoi confronti, come se qualcosa si fosse spezzato. Ma per quale
motivo? La
notte prima non erano forse stati bene come le altre sere trascorse
insieme?
Che cosa poteva essere cambiato?
Forse
il suo Maestro non aveva gradito la passeggiata notturna della ragazza
– forse
si era arrabbiato per il suo curiosare non autorizzato: non aveva dubbi
che
fosse stato lui a riportarla nella sua stanza, chi altri se no?, ma
evidentemente doveva aver fatto qualcosa che egli aveva giudicato
inopportuno.
Ma cosa? Più ci pensava e meno riusciva a comprenderlo.
L’unica soluzione
sarebbe stata attendere il suo ritorno e provare a domandarglielo di
persona.
Giulia
si era ormai preparata di tutto punto quando Erik giunse finalmente
alla dimora
sul lago: l’uomo la trovò seduta su un divanetto,
impeccabilmente vestita, che
sfogliava gli spartiti ch’egli le aveva lasciato per potersi
esercitare anche
da sola. Remò velocemente fino a raggiungere il piccolo molo
e lì saltare a
terra, ancorando l’elegante gondola con una fune che fece
passare intorno ad un
anello in ferro. Si accorse che la fanciulla aveva notato la sua
presenza ma
non si scompose, assumendo un’espressione fredda e
impassibile. Doveva mettere
una nuova e prudente distanza tra di loro, e avrebbe dovuto farlo a
partire da
subito.
«Buongiorno,
Maestro.» Lo salutò educatamente la ragazza,
alzandosi mentre lui la raggiungeva.
Egli
si limitò ad un breve cenno col capo, prima di rivolgerle la
parola. «Perfetto,
siete già pronta. In tal caso è meglio sbrigarci
a tornare in teatro, bisogna
approfittarne adesso che non è ancora aperto al
pubblico.»
Ma
Giulia non lo stava ascoltando. La sua attenzione era stata
completamente
catturata da uno strano oggetto che non aveva mai avuto modo di
vedergli
addosso – una mezza maschera bianca, lucida, che gli
ricopriva la parte destra
del volto, quella martoriata. Avrebbe voluto allungare una mano e
sfiorarla,
sorpresa ed incuriosita, ma quella nuova tensione che sembrava
aleggiare tra
loro glielo impedì.
«Perché
indossate questa maschera?» Mormorò, dispiaciuta.
Dunque era finito anche il
tempo della fiducia che sembrava averle accordato? Perché
tutto d’un tratto si
rifiutava di mostrarsi a lei così come realmente era?
Inoltre,
la risposta dell’uomo la ferì come non credeva
sarebbe stato possibile. «La
vostra punizione è terminata, mademoiselle, non ha
più senso tormentarvi con questo
orrore.»
«Oh.»
Era per questo motivo, dunque. Non perché si fidava di lei
al punto di mettere
a nudo la sua anima e i suoi più oscuri segreti, ma
semplicemente perché il suo
aspetto – tanto mostruoso – faceva solo parte del
castigo che aveva
architettato per punirla delle sue mancanze… Non disse
un’altra parola,
limitandosi ad abbassare lo sguardo e prendere gli spartiti che il
Maestro le
aveva lasciato a disposizione. «Sono pronta ad
andare.» Disse soltanto,
cercando di non mostrarsi troppo delusa.
Come
se non bastasse, l’uomo le volse le spalle. «Bene,
seguitemi. E cercate di
starmi al passo, i corridoi che stiamo per attraversare sono pericolosi
e pieni
di trappole.»
«Certo,
monsieur.»
Attraversarono
quasi tutti i sotterranei in completo silenzio. Il ticchettio dei loro
passi
sul pavimento era l’unico rumore che sembrava scacciare i
topi e scoraggiarli
dall’avvicinarsi, unito al suono delle gocce
d’acqua di umidità che scivolavano
sul pavimento di pietra. Già dopo aver svoltato due angoli,
Giulia comprese che,
da sola, si sarebbe inevitabilmente persa – come la leggenda
del giovane Teseo
nel labirinto del Minotauro. Sarebbe stato impossibile per qualsiasi
umano
percorrere quelle gallerie senza l’aiuto di qualcuno che le
conoscesse come le
proprie tasche, come peraltro sembrava fare il Maestro. Tuttavia,
quando
raggiunsero delle scalinate da dover ascendere, Giulia ebbe la strana
impressione di conoscere quel
luogo,
come se ci fosse già stata – in chissà
quale vita. Si guardò intorno,
incuriosita, come se da qualche parte potesse esserci un segno, magari
proprio
quello del suo passaggio, che le avrebbe fatto rammentare ogni cosa. Ma
ciò non
accadde, e lei dovette accontentarsi della breve impressione che quel
luogo le
aveva causato.
Sollevò
lo sguardo sull’uomo che, avanzando davanti a lei, non si era
degnato di
rivolgerle la parola per tutto il tragitto, voltandosi solo quando
alcuni
corridoi erano dissestati per poterle dare una mano. Si
ritrovò così a
studiarlo attentamente, prestandogli, forse per la prima volta,
quell’attenzione che le giovani donne rivolgono ai giovanotti
più avvenenti –
guardandolo non come il suo maestro, ma come un semplice uomo.
Le
sue spalle ampie e la schiena larga le suggerivano un sentimento di
protezione:
si accorse per un momento di desiderare che quelle braccia
l’avvolgessero e
l’attirassero verso il loro rifugio – quale sciocca
fantasia! Per fortuna il
lungo mantello che indossava smorzava quelle brame inopportune,
facendola
arrossire e abbassare lo sguardo per evitare che indugiasse ancora su
di esse.
Eppure continuava a pensare che non le sarebbe per niente dispiaciuto
essere
stretta da lui…
Era
così immersa nei suoi pensieri che quasi non si accorse che
l’uomo si era
fermato – e ci mancò poco che gli rovinasse
addosso. Si fermò a sua volta,
intuendo che la lunga passeggiata doveva essere giunta al suo termine.
Quando
il suo Maestro si voltò nuovamente verso di lei comprese di
non essersi
sbagliata.
«Siamo
arrivati, mademoiselle.» Annunciò, parlando
stranamente a bassa voce. «Io non
posso accompagnarvi oltre, ma questa porta segreta si affaccia di
fronte alle
scalinate del foyer. Non avete che da salirle per poi ritrovarvi
nell’ingresso
del teatro, avete compreso?»
Giulia
annuì, rimanendo ad osservarlo mentre pigiava un meccanismo
nella parete che
fece ruotare magicamente una parte della parete su sé
stessa. Egli si fece poi
da parte, invitandola silenziosamente a passare. «Siete
pregata di non fare
parola con nessuno di ciò che avete visto nei miei
domini.» L’ammonì, con un
tono di voce improvvisamente glaciale.
«Non
credo di aver mai tradito la vostra fiducia, monsieur.»
Replicò lei, piuttosto
offesa e infastidita da quel suo nuovo comportamento.
Egli
non rispose all’allusione, dato che non aveva tempo
né intenzione di litigare
con lei. «Domani sera alle quattro alla cappella,
mademoiselle. Vedete di non
mancare.» Disse invece, senza guardarla.
La
ragazza comprese di essere stata definitivamente congedata e, senza
più
rivolgergli un solo sguardo e senza salutarlo, lo superò ed
uscì dal passaggio.
Il rumore della parete che ruotava sui cardini e si richiudeva dietro
le sue
spalle la fece sobbalzare, e senza più resistere si
voltò verso di essa. Il
muro non sembrava essersi mosso, e dell’uomo non vi era
più alcuna traccia.
Senza
attendere oltre, si diresse velocemente verso le scuderie, decidendo
che
sarebbe stato più prudente uscire da una porta secondaria.
Dopotutto era sparita
per quindici lunghi giorni, e di certo non voleva sorbirsi le mille
domande di
ballerine e coriste incuriosite. Tutto ciò che voleva adesso
era tornare a casa
e riposarsi.
***
Era
ormai pomeriggio inoltrato. Per quel giorno Erik aveva voluto esonerare
la sua
allieva dalla loro abituale lezione, in modo che la giovane potesse
riprendersi
ma, soprattutto, per concedere a lui la possibilità di
sbollire e riprendere il
controllo e la padronanza di sé. Era stato già
abbastanza difficile percorrere
tutti i sotterranei sentendo il suo sguardo insistente sulla schiena, e
sapendo
di non poter fare nulla di azzardato come afferrarla e sentire il suo
profumo
su di sé. Ma che cosa gli stava succedendo? Poteva essere
semplice lussuria
quel sentimento cieco che gli stava facendo perdere la ragione?
Innervosito
si alzò in piedi, dirigendosi verso la finestra e scostando
la tenda per
distrarsi con il paesaggio all’esterno. Oh, aveva iniziato a
piovere: le gocce
d’acqua picchiavano con forza sul vetro della finestra,
impedendogli di avere
una chiara visione di ciò che accadeva in strada. Il cielo
era già
completamente scuro, e qua e là si intravedevano le luci dei
lampioni a gas.
Avrebbe voluto aprire le imposte e affacciarsi per poter sentire
l’acqua
scorrere sul suo viso, ma sapeva che un simile refrigerio gli era
negato: era
pur sempre il direttore artistico dell’Opèra
Garnie, e non poteva concedersi
tali infantilismi.
Improvvisamente,
senza ch’egli attendesse nessuno, qualcuno bussò
con insistenza alla porta del
suo ufficio. Cercando di mascherare il fastidio invitò
l’intruso ad entrare,
inarcando un sopracciglio nel notare che si trattava del suo
segretario,
monsieur Bamdad.
«Monsieur,
perdonate il disturbo ma avete visite.» Annunciò
il giovane persiano, con uno
sguardo in volto che non fece presagire nulla di buono.
«Visite?
Non aspettavo nessuno.» Ribattè, infilando con
disinvoltura una mano nella
tasca dei calzoni.
Monsieur
Bamdad annuì, ma il suo voltò si fece se
possibile ancor più cupo. «Lo so,
monsieur. Ma si tratta di qualcuno che desidera vedervi subito, e mi ha
fatto
capire chiaramente che non se ne andrà senza che prima
l’abbiate ricevuto.»
«Di
chi si tratta?» Insistè Erik, iniziando ad intuire
chi potesse trovarsi
dall’altro lato della porta.
Il
persiano sembrò esitare, ma fu solo un istante.
«È il Duca de Blanchard,
monsieur.»
Erik
strinse gli occhi, neppure tanto sorpreso da quella notizia. In
realtà, si
aspettava una cosa simile già da quando il duca era arrivato
a Parigi, ormai
quasi due mesi prima: in effetti, non credeva che avrebbe aspettato
così tanto
prima di andare da lui.
«Oh,
perfetto, proprio colui che stavo aspettando.»
Mormorò, gli angoli delle labbra
che si stendevano in un pallido sorriso. «Che cosa aspettate,
Bamdad? Coraggio,
fatelo entrare.»
«Come
desiderate.» Uscì dall’ufficio,
richiudendo la porta dietro di sé.
L’uomo
mascherato non si mosse dalla sua posizione, attendendo pazientemente
che il
suo segretario facesse entrare l’ospite tanto desiderato.
Aveva intenzione di
farsi trovare del tutto preparato e a suo agio per
quell’incontro, e grazie
alle sue numerose esperienze sapeva come comportarsi. Quando la porta
si
riaprì, rivelando la figura un tempo imponente di un anziano
nobiluomo, che si
reggeva pesantemente sul bastone da passeggio, Erik non potè
fare a meno di
ghignare.
«Finalmente ci incontriamo, monsieur Lescroart.»
_____________________________________________________________________________________________________
AA - Angolo Autrice:
Ed eccomi ritornata - reduce da una meritata vacanza ù.ù Ho scritto questo capitolo prima di partire ma non volevo pubblicarlo ancora, perchè era da rivedere... Spero sia di vostro gradimento, anche se non accade nulla di particolare -.-'' Ma nel prossimo, finalmente, scopriremo chi è questo benedetto Duca! *O*
Muoio dal caldo, quindi non mi dilungo in ringraziamenti - sappiate che vi adoro per tutto quello che mi scrivete, sono davvero felice che vi piaccia la mia storia e il mio modo di scrivere =) Grazie mille a Kenjina, sydney Bristow, Yunie992 e Keyra93 - spero che, malgrado le varie disavventure, abbiate passato delle belle vacanze! ^^ Non finirò mai di ringraziarvi per il vostro sostegno!
Un bacione e un abbraccio, al prossimo capitolo - che arriverà presto in quanto è quasi del tutto scritto *_*
E, per fare una piccola citazione,
Je suis, messieurs, votre humble serviteur.
GiulyRedRose
=*