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Autore: Niglia    24/08/2010    2 recensioni
Ottobre, 1878. Parigi.
Il Fantasma dell'Opera non è morto. Anzi, non è mai stato più deciso a vivere di adesso. Accompagnato da dei nuovi piani di vendetta, torna nella città dalla quale è stato costretto a fuggire due anni prima, un uomo vuoto, senz'anima, con solo un nome nella testa che lo spinge a tornare a Parigi, in quello stesso teatro che in fondo è sempre stato il suo regno, la sua casa, perchè non può essere altrimenti...
E così la storia sembra ripetersi, ma c'è sempre qualcosa con cui dimentichiamo di fare i calcoli; possibile che il Fantasma possa trovarsi di fronte ad una ragazza - incredibilmente somigliante alla sua antica musa - capace di risvegliare in lui quel qualcosa che credeva essere morto per sempre?
In uno strano miscuglio di passato e presente, la strana vicenda del Fantasma dell'Opera sembra continuare a stupire e terrorizzare anche attraverso il tempo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Erik/The Phantom, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chapitre 17

Ritorno alla luce

 

 



















 

 

 

 

 

La Dimora sul lago giaceva in un cupo silenzio, disturbato soltanto dal leggero fruscio lontano di qualche corrente d’aria sotterranea. Non era completamente immersa nell’oscurità, e questo grazie alla geniale intuizione di far convergere, tramite degli specchi disposti in punti strategici, i raggi della luna e le luci dei lampioni a gas, che penetravano da delle grate fino alle profondità del teatro: qui l’acqua del lago li rifletteva sulle pareti, creando dei giochi di luci e ombre che rendevano l’ambiente più vivibile. Erik era stato costretto a cambiare tutti gli specchi perché quelli che aveva predisposto in passato erano stati distrutti la notte del disastro e quelle successive.

Ad ogni modo, ciò non gli impedì di afferrare una fiaccola dalla parete per iniziare le ricerche della sua ospite. Avanzando a grandi passi negli intricati corridoi, attento a cogliere il più piccolo gemito o rumore, si accorse che era da un po’ di tempo che aveva cessato di pensare a lei come ad una prigioniera. Alla fine non era riuscito neppure ad attuare la punizione che aveva preparato per lei. Avrebbe voluto tenerla legata ad una scomoda sedia per diversi giorni – aveva già preparato le corde – fino a quando lei non l’avesse supplicato con pianti e lamenti di liberarla; in realtà questa sarebbe dovuta servire anche nel caso in cui la reazione della giovane di fronte al suo aspetto infernale non fosse stata di suo gradimento.

Ma il modo in cui si era comportata quando aveva visto il suo vero volto era andato ogni sua previsione: chi si sarebbe mai aspettato, infatti, che mademoiselle avrebbe cercato di comprenderlo e confortarlo, malgrado fosse appena stata rapita da lui? Certo, all’inizio era sembrata spaventata, ma forse era solo una reazione umana… In fondo non era preparata a qualcosa del genere, lui poteva ben capirlo – ma quando aveva pianto era solo perché temeva che lui potesse avanzare diritti sul suo corpo!, non perché era disgustata dal suo aspetto!

Fu questo, probabilmente, a farlo desistere dal punirla. Che bisogno ve n’era, d’altra parte? Ella gli si era avvicinata e l’aveva toccato di sua spontanea volontà, permettendogli di posare la sua fronte sulla sua: e da quel momento non aveva esitato a sfiorarlo in nessuna occasione, forse sperando in quel modo di essergli vicina o – possibile? – dimostrargli affetto.

E malgrado tutto questo, egli aveva abbassato la guardia e chissà in quale trappola demoniaca era finita!

Ringhiò, al colmo della frustrazione, e si contenne a stento dallo strappare i preziosi drappi che abbellivano le nude pareti di pietra della sua dimora e che, al contempo, la rendevano meno umida. Doveva mantenere la calma e concentrarsi – e pregare di aver chiuso a chiave le stanze più pericolose. Avrebbe dovuto immaginare che le sarebbe venuta la voglia di studiare meglio quella strana abitazione, era pur sempre una donna! Ma per quale motivo farlo di notte, maledizione?

Dopo essersi assicurato che anche la porta della Camera dei Supplizi fosse prudentemente chiusa a chiave, Erik non potè ancora tirare un sospiro di sollievo. Escludendo le varie trappole, ora non restavano che le altre stanze, più normali ma non per questo meno pericolose: poteva anche essere accaduto che mademoiselle Sanders, entrando in una di essa, non fosse stata più capace di uscire o di ritrovare la sua camera da letto. Di certo egli non scherzava quando si riferiva a quel luogo come al Labirinto sotterraneo.

 

Una dopo l’altra, Erik scopriva che le stanze erano completamente vuote. Neppure un cenno del suo passaggio, come se la fanciulla si fosse volatilizzata nel nulla. Per un attimo temette quasi di essere ancora immerso nel sogno, ma il dolore proveniente dalla mano che aveva sbattuto al muro gli indicava tutto il contrario. La terribile verità era che non stava sognando, e che mademoiselle era sparita.

Che fosse fuggita dalla dimora sul lago? Che avesse trovato un passaggio segreto tramite il quale fosse riuscita a raggiungere la superficie? Ma no, non aveva alcun senso – perché scappare, visto che sembrava non avere alcuna forma di timore nei suoi confronti? Un’ira cieca stava già prendendo il posto della preoccupazione, mentre a grandi passi percorreva l’ultimo corridoio. E così, infine, anche lei l’aveva tradito.

Oh, Erik, credevi che ora sarebbe stato tutto diverso, non è così? Che stolto!

Strinse così forte la presa sul candelabro che quasi lo sentì scricchiolare, mentre la cera delle candele colava lentamente sulle sue dita. Ma quel dolore era nulla in confronto alla delusione che quella ragazzina gli aveva dato…

Un momento. Cos’era quella debole luce che proveniva da sotto la fessura di una porta? Era convinto di non aver lasciato nessuna candela accesa al di fuori della zona che utilizzava di più, per evitare di scatenare un fuoco accidentale. Si diresse a passo deciso verso la porta, posando una mano sulla maniglia d’ottone e abbassandola, spingendola silenziosamente verso l’interno: se ci fosse stato un intruso, l’ennesimo, avrebbe avuto ciò che gli spettava… Non era dell’umore adatto per mostrare misericordia!

La nuova stanza era il suo vecchio studio, per la precisione. Una camera nella quale, durante la lunga esistenza che aveva condotto in quelle catacombe, aveva conservato libri, documenti e tesori, dei quali ancora si serviva per suo uso e consumo e che in parte erano stati utili per il suo breve soggiorno nel Nuovo Mondo. Eppure credeva di averla chiusa a chiave, considerata l’importanza degli oggetti ivi conservati. Ma era chiaro che qualcuno era stato ugualmente capace di entrarci, e quel qualcuno adesso riposava su una vecchia poltrona, raggomitolato come un gattino infreddolito.

Mademoiselle Sanders.

Il capo abbandonato sullo schienale della poltrona, circondato dai lunghi capelli che era solita sciogliere prima di andare a dormire, le gambe distese sopra il bracciolo e le braccia in grembo, con le mani che tenevano stretto un libro che, evidentemente, aveva trovato nella sua libreria.

Dunque non l’aveva abbandonato…

Non si accorse che le sue labbra si erano curvate in un debole sorriso, mentre le si avvicinava per avvolgerla in una coperta che giaceva su una sedia lì accanto. Avventurarsi in quei maledetti domini solo per cercare una lettura notturna, che sciocca – non aveva pensato neanche per un istante che avrebbe potuto perdersi?

Si permise il lusso di rimanere un momento ad osservarla, così, da vicino. Oh, era molto più bella del suo sogno – era reale, e avrebbe potuto toccarla semplicemente allungando la mano. Le sue labbra, leggermente dischiuse nel sonno, sembravano invitarlo silenziosamente a posarsi su di esse, mentre il petto della giovane si sollevava e si abbassava sensualmente al ritmo del suo respiro. Ora capiva il motivo degli abiti castigati che le donne erano costrette ad indossare durante il giorno e talvolta anche la notte – serviva soltanto a preservare l’autocontrollo di uomini come lui. Come poteva resistere altrimenti ad una simile visione?

Fu più forte di lui: la sua mano scivolò accanto al suo viso, e le sue dita, leggere come farfalle, si permisero di sfiorare le sue gote in una delicata carezza. La sua pelle era liscia e morbida, e questo gli fece rammentare di quando le sue rosse labbra si erano posate con gentilezza sulla carne martoriata del suo viso, la notte prima, senza che alcun accenno di ribrezzo turbasse la serenità del suo dolce sorriso. Nessuno aveva mai osato tanto; neppure Christine, che aveva avuto il coraggio di fondere insieme le loro bocche nel tentativo di salvare la vita al suo fidanzato – neppure lei aveva mai avuto l’ardire di sfiorare la bruttezza del suo volto. Ella ne era terrorizzata, per non dire assolutamente disgustata.

Mademoiselle Sanders poteva anche somigliare, fisicamente, alla Viscontessa de Chagny – ma il suo cuore era di sicuro molto più grande e pietoso nei confronti di un mostro.

Erik chiuse gli occhi, massaggiandosi le tempie con le mani. Non poteva continuare così. Stava diventando impossibile riuscire a controllare quella situazione, gli stava letteralmente sfuggendo dalle mani. Di certo al principio non aveva immaginato che gli sarebbe potuto accadere di… Oh, ma cosa andava pensando? Certe cose andavano contro tutto ciò che si era prefissato e in cui aveva creduto negli ultimi due anni. Non poteva permettersi di ignorare la faccenda, non poteva perdere quell’occasione.

Vendetta. Ecco tutto ciò di cui aveva bisogno per vivere, nient’altro aveva importanza. Pertanto era necessario allontanarsi per un po’ dalla sua allieva, sperando che la lontananza servisse a raffreddare i suoi bollenti spiriti e a rendere nuovamente lucida la sua mente annebbiata.

La sua espressione era nuovamente impenetrabile mentre, dopo essersi alzato, sollevava tra le braccia la ragazza e si dirigeva fuori dal suo studio. I quindici giorni erano finiti, grazie a Dio. Presto ogni cosa avrebbe seguito il suo corso, e lui ne avrebbe potuto raccogliere i frutti.

Il libro che Giulia aveva iniziato a leggere giacque sulla poltrona, del tutto abbandonato.

 

 

***

 

 

Quando, la mattina dopo, Giulia aprì gli occhi, non riuscì a comprendere come potesse trovarsi nel morbido e accogliente giaciglio della sua camera da letto. Non si era infatti addormentata sopra una poltrona, in una stanza lontana e di cui non rammentava nemmeno l’ubicazione? Stropicciandosi gli occhi ancora assonnati, la giovane si alzò, raggiungendo a tentoni la poltrona nella quale giaceva la sua vestaglia da camera e avvolgendovisi dentro. Ora poteva anche arrischiarsi a raggiungere il suo Maestro per il pasto mattutino che, solitamente, consumavano insieme.

Tuttavia, quando raggiunse l’ampio salone – certa di trovarvi l’uomo ad attenderla – rimase delusa nell’accorgersi di essere sola. Ma là, sul tavolo della colazione, peraltro già pronta per lei, non trovò che la compagnia di una gelida e piccola nota lasciata dal suo Maestro. Si sedette, prendendola tra le mani e dispiegando il foglio: l’inchiostro rosso con cui era stata scritta e la calligrafia curata ma spigolosa erano un suo marchio esclusivo.

 

Mademoiselle Sanders,

vi chiedo perdono di non essere lì, con voi, ad attendere che vi svegliate. Alcuni affari mi reclamano, perciò starò via per qualche ora. Ciò non mi ha comunque impedito di occuparmi del vostro sostentamento – spero che la colazione vi sia gradita come sempre.

Dopo che avrete provveduto alla vostra toilette, vi esorto a prepararvi e a sistemare i vostri oggetti: sarete lieta di sapere che i quindici giorni sono trascorsi e  che il soggiorno nella mia dimora si è concluso. Da questo momento in poi riprenderemo le nostre solite lezioni.

Quando sarò di ritorno gradirei trovarvi già pronta.

Il vostro umile servo.

 

La nota non era stata firmata. Già, d’altra parte come avrebbe dovuto concludere quella piccola missiva? Giulia non conosceva il suo nome, sempre supposto che ne avesse uno al di là del titolo con cui ella gli si rivolgeva – non poteva di certo segnarsi come Maestro.

Con un sospiro, la ragazza posò la nota accanto a sé e si versò il thè che, ancora caldo, sembrava attendere lei. Stranamente non riusciva ad essere allegra del fatto di poter tornare nuovamente in superficie, qualcosa le suggeriva che non sarebbe stata una liberazione essere privata della sua presenza. Certo, all’inizio non aveva desiderato che questo, ma ora? Inoltre i toni della lettera erano stranamente freddi nei suoi confronti, come se qualcosa si fosse spezzato. Ma per quale motivo? La notte prima non erano forse stati bene come le altre sere trascorse insieme? Che cosa poteva essere cambiato?

Forse il suo Maestro non aveva gradito la passeggiata notturna della ragazza – forse si era arrabbiato per il suo curiosare non autorizzato: non aveva dubbi che fosse stato lui a riportarla nella sua stanza, chi altri se no?, ma evidentemente doveva aver fatto qualcosa che egli aveva giudicato inopportuno. Ma cosa? Più ci pensava e meno riusciva a comprenderlo. L’unica soluzione sarebbe stata attendere il suo ritorno e provare a domandarglielo di persona.

 

 

Giulia si era ormai preparata di tutto punto quando Erik giunse finalmente alla dimora sul lago: l’uomo la trovò seduta su un divanetto, impeccabilmente vestita, che sfogliava gli spartiti ch’egli le aveva lasciato per potersi esercitare anche da sola. Remò velocemente fino a raggiungere il piccolo molo e lì saltare a terra, ancorando l’elegante gondola con una fune che fece passare intorno ad un anello in ferro. Si accorse che la fanciulla aveva notato la sua presenza ma non si scompose, assumendo un’espressione fredda e impassibile. Doveva mettere una nuova e prudente distanza tra di loro, e avrebbe dovuto farlo a partire da subito.

«Buongiorno, Maestro.» Lo salutò educatamente la ragazza, alzandosi mentre lui la raggiungeva.

Egli si limitò ad un breve cenno col capo, prima di rivolgerle la parola. «Perfetto, siete già pronta. In tal caso è meglio sbrigarci a tornare in teatro, bisogna approfittarne adesso che non è ancora aperto al pubblico.»

Ma Giulia non lo stava ascoltando. La sua attenzione era stata completamente catturata da uno strano oggetto che non aveva mai avuto modo di vedergli addosso – una mezza maschera bianca, lucida, che gli ricopriva la parte destra del volto, quella martoriata. Avrebbe voluto allungare una mano e sfiorarla, sorpresa ed incuriosita, ma quella nuova tensione che sembrava aleggiare tra loro glielo impedì.

«Perché indossate questa maschera?» Mormorò, dispiaciuta. Dunque era finito anche il tempo della fiducia che sembrava averle accordato? Perché tutto d’un tratto si rifiutava di mostrarsi a lei così come realmente era?

Inoltre, la risposta dell’uomo la ferì come non credeva sarebbe stato possibile. «La vostra punizione è terminata, mademoiselle, non ha più senso tormentarvi con questo orrore.»

«Oh.» Era per questo motivo, dunque. Non perché si fidava di lei al punto di mettere a nudo la sua anima e i suoi più oscuri segreti, ma semplicemente perché il suo aspetto – tanto mostruoso – faceva solo parte del castigo che aveva architettato per punirla delle sue mancanze… Non disse un’altra parola, limitandosi ad abbassare lo sguardo e prendere gli spartiti che il Maestro le aveva lasciato a disposizione. «Sono pronta ad andare.» Disse soltanto, cercando di non mostrarsi troppo delusa.

Come se non bastasse, l’uomo le volse le spalle. «Bene, seguitemi. E cercate di starmi al passo, i corridoi che stiamo per attraversare sono pericolosi e pieni di trappole.»

«Certo, monsieur.»

Attraversarono quasi tutti i sotterranei in completo silenzio. Il ticchettio dei loro passi sul pavimento era l’unico rumore che sembrava scacciare i topi e scoraggiarli dall’avvicinarsi, unito al suono delle gocce d’acqua di umidità che scivolavano sul pavimento di pietra. Già dopo aver svoltato due angoli, Giulia comprese che, da sola, si sarebbe inevitabilmente persa – come la leggenda del giovane Teseo nel labirinto del Minotauro. Sarebbe stato impossibile per qualsiasi umano percorrere quelle gallerie senza l’aiuto di qualcuno che le conoscesse come le proprie tasche, come peraltro sembrava fare il Maestro. Tuttavia, quando raggiunsero delle scalinate da dover ascendere, Giulia ebbe la strana impressione di conoscere quel luogo, come se ci fosse già stata – in chissà quale vita. Si guardò intorno, incuriosita, come se da qualche parte potesse esserci un segno, magari proprio quello del suo passaggio, che le avrebbe fatto rammentare ogni cosa. Ma ciò non accadde, e lei dovette accontentarsi della breve impressione che quel luogo le aveva causato.

Sollevò lo sguardo sull’uomo che, avanzando davanti a lei, non si era degnato di rivolgerle la parola per tutto il tragitto, voltandosi solo quando alcuni corridoi erano dissestati per poterle dare una mano. Si ritrovò così a studiarlo attentamente, prestandogli, forse per la prima volta, quell’attenzione che le giovani donne rivolgono ai giovanotti più avvenenti – guardandolo non come il suo maestro, ma come un semplice uomo.

Le sue spalle ampie e la schiena larga le suggerivano un sentimento di protezione: si accorse per un momento di desiderare che quelle braccia l’avvolgessero e l’attirassero verso il loro rifugio – quale sciocca fantasia! Per fortuna il lungo mantello che indossava smorzava quelle brame inopportune, facendola arrossire e abbassare lo sguardo per evitare che indugiasse ancora su di esse. Eppure continuava a pensare che non le sarebbe per niente dispiaciuto essere stretta da lui…

Era così immersa nei suoi pensieri che quasi non si accorse che l’uomo si era fermato – e ci mancò poco che gli rovinasse addosso. Si fermò a sua volta, intuendo che la lunga passeggiata doveva essere giunta al suo termine. Quando il suo Maestro si voltò nuovamente verso di lei comprese di non essersi sbagliata.

«Siamo arrivati, mademoiselle.» Annunciò, parlando stranamente a bassa voce. «Io non posso accompagnarvi oltre, ma questa porta segreta si affaccia di fronte alle scalinate del foyer. Non avete che da salirle per poi ritrovarvi nell’ingresso del teatro, avete compreso?»

Giulia annuì, rimanendo ad osservarlo mentre pigiava un meccanismo nella parete che fece ruotare magicamente una parte della parete su sé stessa. Egli si fece poi da parte, invitandola silenziosamente a passare. «Siete pregata di non fare parola con nessuno di ciò che avete visto nei miei domini.» L’ammonì, con un tono di voce improvvisamente glaciale.

«Non credo di aver mai tradito la vostra fiducia, monsieur.» Replicò lei, piuttosto offesa e infastidita da quel suo nuovo comportamento.

Egli non rispose all’allusione, dato che non aveva tempo né intenzione di litigare con lei. «Domani sera alle quattro alla cappella, mademoiselle. Vedete di non mancare.» Disse invece, senza guardarla.

La ragazza comprese di essere stata definitivamente congedata e, senza più rivolgergli un solo sguardo e senza salutarlo, lo superò ed uscì dal passaggio. Il rumore della parete che ruotava sui cardini e si richiudeva dietro le sue spalle la fece sobbalzare, e senza più resistere si voltò verso di essa. Il muro non sembrava essersi mosso, e dell’uomo non vi era più alcuna traccia.

Senza attendere oltre, si diresse velocemente verso le scuderie, decidendo che sarebbe stato più prudente uscire da una porta secondaria. Dopotutto era sparita per quindici lunghi giorni, e di certo non voleva sorbirsi le mille domande di ballerine e coriste incuriosite. Tutto ciò che voleva adesso era tornare a casa e riposarsi.

 

 

***

 

 

Era ormai pomeriggio inoltrato. Per quel giorno Erik aveva voluto esonerare la sua allieva dalla loro abituale lezione, in modo che la giovane potesse riprendersi ma, soprattutto, per concedere a lui la possibilità di sbollire e riprendere il controllo e la padronanza di sé. Era stato già abbastanza difficile percorrere tutti i sotterranei sentendo il suo sguardo insistente sulla schiena, e sapendo di non poter fare nulla di azzardato come afferrarla e sentire il suo profumo su di sé. Ma che cosa gli stava succedendo? Poteva essere semplice lussuria quel sentimento cieco che gli stava facendo perdere la ragione?

Innervosito si alzò in piedi, dirigendosi verso la finestra e scostando la tenda per distrarsi con il paesaggio all’esterno. Oh, aveva iniziato a piovere: le gocce d’acqua picchiavano con forza sul vetro della finestra, impedendogli di avere una chiara visione di ciò che accadeva in strada. Il cielo era già completamente scuro, e qua e là si intravedevano le luci dei lampioni a gas. Avrebbe voluto aprire le imposte e affacciarsi per poter sentire l’acqua scorrere sul suo viso, ma sapeva che un simile refrigerio gli era negato: era pur sempre il direttore artistico dell’Opèra Garnie, e non poteva concedersi tali infantilismi.

Improvvisamente, senza ch’egli attendesse nessuno, qualcuno bussò con insistenza alla porta del suo ufficio. Cercando di mascherare il fastidio invitò l’intruso ad entrare, inarcando un sopracciglio nel notare che si trattava del suo segretario, monsieur Bamdad.

«Monsieur, perdonate il disturbo ma avete visite.» Annunciò il giovane persiano, con uno sguardo in volto che non fece presagire nulla di buono.

«Visite? Non aspettavo nessuno.» Ribattè, infilando con disinvoltura una mano nella tasca dei calzoni.

Monsieur Bamdad annuì, ma il suo voltò si fece se possibile ancor più cupo. «Lo so, monsieur. Ma si tratta di qualcuno che desidera vedervi subito, e mi ha fatto capire chiaramente che non se ne andrà senza che prima l’abbiate ricevuto.»

«Di chi si tratta?» Insistè Erik, iniziando ad intuire chi potesse trovarsi dall’altro lato della porta.

Il persiano sembrò esitare, ma fu solo un istante. «È il Duca de Blanchard, monsieur.»

Erik strinse gli occhi, neppure tanto sorpreso da quella notizia. In realtà, si aspettava una cosa simile già da quando il duca era arrivato a Parigi, ormai quasi due mesi prima: in effetti, non credeva che avrebbe aspettato così tanto prima di andare da lui.

«Oh, perfetto, proprio colui che stavo aspettando.» Mormorò, gli angoli delle labbra che si stendevano in un pallido sorriso. «Che cosa aspettate, Bamdad? Coraggio, fatelo entrare.»

«Come desiderate.» Uscì dall’ufficio, richiudendo la porta dietro di sé.

L’uomo mascherato non si mosse dalla sua posizione, attendendo pazientemente che il suo segretario facesse entrare l’ospite tanto desiderato. Aveva intenzione di farsi trovare del tutto preparato e a suo agio per quell’incontro, e grazie alle sue numerose esperienze sapeva come comportarsi. Quando la porta si riaprì, rivelando la figura un tempo imponente di un anziano nobiluomo, che si reggeva pesantemente sul bastone da passeggio, Erik non potè fare a meno di ghignare.

«Finalmente ci incontriamo, monsieur Lescroart.»























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AA - Angolo Autrice:
Ed eccomi ritornata - reduce da una meritata vacanza ù.ù Ho scritto questo capitolo prima di partire ma non volevo pubblicarlo ancora, perchè era da rivedere... Spero sia di vostro gradimento, anche se non accade nulla di particolare -.-'' Ma nel prossimo, finalmente, scopriremo chi è questo benedetto Duca! *O*
Muoio dal caldo, quindi non mi dilungo in ringraziamenti - sappiate che vi adoro per tutto quello che mi scrivete, sono davvero felice che vi piaccia la mia storia e il mio modo di scrivere =) Grazie mille a Kenjina, sydney Bristow, Yunie992 e Keyra93 - spero che, malgrado le varie disavventure, abbiate passato delle belle vacanze! ^^ Non finirò mai di ringraziarvi per il vostro sostegno!
Un bacione e un abbraccio, al prossimo capitolo - che arriverà presto in quanto è quasi del tutto scritto *_*
E, per fare una piccola citazione,
Je suis, messieurs, votre humble serviteur.
GiulyRedRose
=*

   
 
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