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Autore: samskeyti    27/08/2010    6 recensioni
Soteriologico, verosimile e disperatissimo sogno nato dall'analisi del rapporto che lega Matthew e Dominic verso un solo destino: amarsi,
e farlo nel modo meno sereno e più silenzioso possibile, abnegando una vita normale in nome di un unico, risucchiante ed ineluttabile bisogno speciale.
Tra vergogna, sbagli e paura, l'infinita lotta di due uomini invincibili.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Christopher Wolstenholme, Dominic Howard, Matthew Bellamy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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•SPECIAL NEEDS•

 

Ciò che non è stato ci accompagna per sempre.

E ricorda: se con le parole potrai mentire e nascondere quel passato mai stato, gli occhi traditori diranno la verità, urleranno le tue mancanze e le tue paure al mondo. Che tu lo voglia o no.

[M.D.P & P.]

 

 

Settimo Capitolo: You're the only reason that I remain unfrozen. Suppose it stands to reason that you would turn on me!  



(1999-2000)

Albeggiava. L'orizzonte ad Est cominciava a emanare i bagliori di un nuovo giorno, mentre la terra consumava gli ultimi attimi di riposo concessi dalla notte morente. Teignmouth era ancora teneramente addormentata; i primi rumori del risveglio venivano sussurrati nelle case, correvano nei campi arsi, si perdevano nelle acque del mare.
Settembre aveva ceduto il passo ad Ottobre. I colori rossastri dell'autunno  già cominciavano a tingere le cime degli alberi, scossi da quella brezza tiepida che pare essere l'ultimo alito di un'estate che non demorde, così da rendere l'atmosfera cittadina quasi struggente.

L'album Showbiz era uscito da pochi giorni e le vendite potevano dirsi buone e promettenti.  Leckie si diceva entusiasta, tranquillizzava i ragazzi suggerendo loro di aspettare quell'arco di tempo necessario a qualunque artista per farsi conoscere e poi cominciare tour. I Muse erano speranzosi e iniziavano anche a muovere i primi passi con le interviste, le riviste, i programmi televisivi e radiofonici.
 

Chiusi in quel sotterraneo, altrimenti detto sala prove, gli albori del giorno nascente non interessavano loro minimamente. L'aria polverosa era buia e un puzzo acre di vomito l'appesantiva; gran parte degli strumenti, ammassati in un angolo, non erano usciti intatti dal festino. Riportavano ammaccature e sporcizie di ogni genere. È sempre così: prima si fa i pazzi in compagnia di alcool e droghe, poi si misurano i danni compiuti e si capisce con un velo di vergogna che non ne è valsa la pena.
Chris riposava stretto alla sua ragazza; dormivano come due giovani angeli dopo sforzi d'un'intera notte passata a volare nei più alti cieli, mentre in verità avevano solo celebrato i primi successi di Showbiz, fino a crollare esangui e gonfi di birra. Al ragazzo ciondolava la testa, da poco rasata a zero, e un'ispida barbetta gli scuriva le guance; riportava sbavature di rossetto lungo il collo massiccio, rossetto della sua bella, e il torace nudo non aveva l'aria di essere propriamente pulito.
Dominic e Matthew invece, dormendo schiena contro schiena, si erano appena dati il buongiorno alla maniera di Matt: quest'ultimo aveva cominciato a girarsi e rigirarsi per trovare una posizione comoda e così facendo aveva tirato al primo una quantità di schiaffi e calci sufficiente per svegliarlo, o meglio, per scrollargli via violentemente quel poco di sonno che in parte conservava. Il biondo si stiracchiò; cercò di inspirare una boccata d'ossigeno, ma l'aria consumata del posto gli rese insopportabile la respirazione. Si mise seduto e scrutò nelle tenebre. Sapeva che ormai era l'alba, ma in assenza di un orologio poteva anche essere notte fonda e lui il solito insonne. Si chinò su Matt, ancora in stato di dormiveglia, e gli bisbigliò all'orecchio:

«C'è una torcia?»

Il mugugno inafferrabile uscito dalla bocca di Matt non fu certo d'aiuto. Così arrancò fino alla porta, calpestando uno strano tappeto di lattine vuote, mozziconi ancora caldi, ragazze svestite. Poi l'aprì e il benessere del connubio di luce e aria fresca lo travolsero piacevolmente. Il fascio di chiarore bianco che penetrò nella stanza però gli causò una serie di insulti e lamentele da parte di quell'orgia di persone ammucchiate. Appena richiuse la porta, i lamenti cessarono e lui si avviò disgustato su per le scale. Aveva in bocca uno strano sapore tra l'amaro e l'acido, mentre i capelli parevano incollati; non osò annusarsi altrove, semplicemente andò in bagno ed entrò nella doccia. Dopo una rapida occhiata all'interno della cabina, avvistò i prodotti dell'amico e pensò di utilizzarli.
L'acqua limpida gli scorreva lungo il corpo, miscelata con il doccia schiuma e lo shampoo, conferendo all'aria un aroma di bucato e fiori appena raccolti. Nonostante non fosse casa sua, si sentiva comunque a proprio agio e non avrebbe avuto problemi d'alcun tipo se in quel momento fosse entrato qualcuno. Mentre si sfregava via dai capelli quella strana sostanza collosa, zucchero di qualche bevanda probabilmente, per qualche strana ragione gli fu impossibile impedire alla sua mente di considerare che quella casa, soprattutto ora che era abitata solo da Matt, sembrasse... ecco, casa loro. Qualche mese prima, gli aveva proposto di andare a vivere insieme, anche se poi per una serie di motivi e circostanze sbagliate, come ricorderete, tutto era andato all'aria. Il litigio che ne era seguito s'era presto mutato in un ostinato mutismo, finché per forza di cause maggiori i due avevano dovuto riprendere a parlarsi e a stare insieme, gettandosi alle spalle e affidando all'oblio del tempo anche quell'episodio. Ebbene, visto che nessuno dei due si era ancora staccato da Teignmouth e in più Dom passava maggior tempo in quell'abitazione che in quella con la sua famiglia, insomma, sforzandosi ed usando un poco d'immaginazione, poteva vederla come casa sua e di Matt. Forse era il punto di partenza, il trampolino per proiettarsi in un futuro non troppo diverso dai suoi sogni. Sorrise impercettibilmente, lasciando che un fiotto d'acqua gli chiudesse gentilmente gli occhi e lo aiutasse a sognare e a rendere tangibili quelle speranze così care, così invincibili. Uscì gocciolante e cercò un accappatoio per non bagnare le piastrelle azzurre del pavimento; trovò, appeso al gancio sul retro della porta, l'asciugamano di Matt. Un telo rettangolare, morbido e consumato. Lo afferrò senza esitazione e ci si avvolse. Apprezzò particolarmente il fatto che non fosse fresco di lavatrice, perché conservava l'odore dell'amico meglio di qualunque altro indumento. Provò un timido imbarazzo nel fantasticare che in un universo parallelo Matt sarebbe entrato all'improvviso e, scovandolo con il suo accappatoio, sarebbe andato su tutte le furie, togliendoglielo e sgridandolo in quel modo giocoso suo solito. Ma la realtà era fatta apposta per dimostrargli come giravano le cose; Matt dormiva in quel gomitolo di corpi femminili e non avrebbe mai scoperto nulla della doccia, dell'accappatoio, dell'immaginare una sciocca convivenza irrealizzabile, anche se così innocentemente bramata.

Una morsa allo stomaco gli suggerì di fare colazione. Prelevò dal frigo un cartone di succo d'arancia, ne versò metà bicchiere; poi scelse un paio di biscotti da una scatola di latta e li ingoiò velocemente, senza soffermarsi sulla dolcezza del cioccolato in cui erano stati intinti quei pezzi di impasto croccante. Controllò i pochi cibi di cui disponeva Matt. Buttò via una serie di confezioni scadute da mesi, gonfie per la muffa. Mancava una presenza femminile, ecco spiegato il perché di quelle disattenzioni e manchevolezze. Bevve sconsolato l'aranciata, avvertendo piccole fitte ai denti; colpa del freddo e dell'enorme quantità di zucchero depositatasi. Tornò in bagno, lavò anche quelli e infine, con addosso solo boxer e maglietta, uscì in giardino, mentre l'aria frizzante di ottobre gli carezzò il volto. Rabbrividì e si sedette sul dondolo; qualche tempo prima, Matthew ci aveva vomitato, ma poi, cambiati i cuscini e le coperture, risultava perfettamente nuovo, comodissimo. Il dondolo era rivolto verso Est, quindi il sole sorgente lo colpiva dritto di fronte; tuttavia erano raggi teneri, neonati, pallidi, che al massimo suscitavano apprensione per la loro fragilità. Dom fece ondeggiare il dondolo, spingendosi con la punta dei piedi nudi nell'erba umida, rorida di rugiada. Socchiuse gli occhi e il mondo si ridusse alla linea luminosa dell'orizzonte, laddove nasceva quella palla infuocata ancora così fioca. Stava per riaddormentarsi assorto in quei pensieri sconnessi, quando una pallida presenza si affiancò al dondolo.

«Che spettacolo» sussurrò Matt, prendendo posto al suo fianco. Il suo peso leggero non alterò l'ondeggiamento ritmico e costante; semplicemente cosparse l'aria di elettricità.
Dom lo guardò rasserenato dal suo arrivo. E dal suo ridicolo aspetto: coperto da soli boxer, riportava sul corpo una collezione di segni facilmente riconducibili alle attività notturne, quali rossetto sulle guance, lividi rosei sui pettorali, dolciastro aroma femminile impregnato alla pelle. Si sorrisero; forse in ricordo della nottata, forse in onore a quell'attimo di speciale intimità. Trascorsero alcuni minuti mentre lasciarono errare lo sguardo oltre quelle terre all'orizzonte, dove luce e tenebre s'univano in un'effimera danza d'ombre e bagliori.

I loro corpi non si toccavano, né i loro occhi si guardavano. Eppure se un pittore li avesse visti in quel frangente di tacita contemplazione, dorati dalla luce solare e floridi di gioventù, difficilmente li avrebbe dipinti come entità separate; piuttosto come due metà di uno stesso corpo, come flusso continuo di energia da una parte all'altra di una medesima unità, come parti complementari di una sola mela. Questa indescrivibile simbiosi sarebbe potuta durare in eterno, se solo le parole non fossero giunte puntuali a infrangerne l'incanto.

«Chiamiamo Leckie per sapere l'andamento delle vendite?» disse Matthew, carezzandosi un capezzolo dolorante.

«Magari verso mezzogiorno. Saranno sì e no le sette» rispose Dom, gli occhi puntati in quel groviglio di capelli neri appartenenti all'amico.

«Giusto. Dobbiamo anche mandare via le ragazze, pulire...mi dai una mano?» si guardò il punto da cui proveniva il dolore: tre solchi di denti gli svelarono l'arcano. -Maledette stronze.

«D'accordo, anche se non è corretto fare casino in tanti e poi rimanere in due a rimediare.»

«Lo so, ma cosa vuoi chiedere a quelle ingrate! Comunque riordino solo perché là ci suoniamo, se fosse per me, lascerei cadere a pezzi l'intera casa» ammise con una sfumatura di insofferenza. Dom capì a cosa si riferisse: alla voglia di andare via, di esplorare il mondo, di trovare qualcosa di nuovo e incoraggiante al di fuori di quel piovoso nido d'uggia.

«Non temere, prima o poi, prendiamo e andiamo a Londra. Inoltre c'è il tour europeo a breve!»
Matthew alzò gli occhi dal proprio corpo e li posizionò scattanti su quello di Dom. Sondò il verde di quelle perle amichevoli, sincere, leali e il malessere si attenuò.

«Ricordamelo sempre, Dom» sospirò e cedette alla tentazione di distendersi un altro po'.
Senza chiedere il permesso, adagiò il capo sulle gambe del biondo e si rannicchiò sul fianco. Dom non lo respinse. Sentì un leggero solletico causatogli dai ciuffi dei capelli di Matt cosparsi sulle sue cosce nude, ma trattenne le risate. Il corpicino indifeso dell'amico pareva così gracile che Dom non ebbe il coraggio di scostarlo, a costo di farsi andare in cancrena le gambe. Presto anche lui sentì la testa pesante; la gettò all'indietro e lasciò che le onde del dondolo e le diafane braccia dell'alba li cullassero lentamente.



«Okay, da dove cominciamo a pulire questa topaia?» chiese Dom, una volta che l'orologio aveva segnato le undici e il bordello se n'era andato, Chris compreso grazie alla scusa del riaccompagnare la sua ragazza a casa.
Matt accese le luci e un indecente, scoraggiante, aberrante spettacolo si offrì loro: cocci di vetro, pozze di alcool, piramidi di mozziconi, rimasugli di preservativi, cartine e fumo sparsi come coriandoli. Il peggio arrivò quando Dom notò che il suo rullante aveva un buco nella pelle e quando Matt scoprì un graffio di 15cm sul corpo della chitarra. Fecero grandi sforzi di autocontrollo per non esplodere e abbattere i muri a pugni.

«Che idea del cazzo festeggiare qui» commentò il moro nervosissimo, valutando il costo di una riparazione. «Senti, vado a prendere stracci, acqua e detergente. Laviamo tutto e poi il resto ce lo teniamo così.»
Dom annuì e nel frattempo finì di raccogliere in un sacco nero quello che poté, evitando di scuoiarsi con qualche coccio o di bruciarsi con un mozzicone incandescente. Stava male, malissimo nel vedere Matt con tanta energia negativa in corpo; era d'accordo sul rimproverarsi del disastro, sul ripromettersi di non compierne un altro in sala prove, ma da lì a diventare paranoici c'era il mare. Doveva inventarsi qualcosa per migliorargli l'umore. Questo compito non sembrò più così difficile da attuarsi, una volta che Matt apparve alla porta con un secchio colmo d'acqua e detergente, alcuni stracci e, stretto attorno alla vita nuda e sottile, un grembiule bianco. Come se non bastasse, entrò, sbuffò e si raccolse i capelli in una piccola coda di cavallo, diciamo ,più che coda, un codino di ciuffetti sparati per aria. Dom cadde a terra dalle risate.

«E ora che diavolo ti prende?» urlò Matt, scaraventando gli stracci nel secchio.
Dom, letteralmente, si rotolò sul pavimento; non riusciva a guardare l'amico in versione "donna delle pulizie" che subito si sentiva prendere da una risata incontenibile.

«Dom, cosa ti ridi?» strillò del tutto in collera Matt, afferrando il manico di scopa appoggiato al muro e cominciando a bastonare il biondo.

«Fermati!» gridò prontamente Dom, appena il primo colpo gli cadde sulla schiena con un tonfo da frattura di ossa.

«Alzati e spiegami cosa c'è da ridere!»
Dom si rimise in piedi e, lottando contro se stesso, trovò la forza di guardare Matt senza morire dalle risate. Con una faccia ebete abbastanza eloquente da spiegare ogni dubbio, il biondo fece notare al moro l'inutilità, oltre che la ridicolezza, di quel grembiule, per non commentare la coda.

«A titolo informativo, io non so, né ho voglia, di lavarmi troppi vestiti. Di conseguenza, se ora mi vesto, mi sporco, ma poi i vestiti sporchi me li devo tenere tali. Capisci ora il senso del grembiule?» disse Matt, riversando nella voce molta falsa ironia.

«Potevi pulire in boxer!» esclamò Dom, mordendosi la lingua pur di non ridere.

«No, caro il mio signorino, perché, se hai valutato la gravità dei danni, capirai che per pulire molte macchie dovremo stenderci a terra e raschiare come Cenerentola. Quindi, ammesso e concesso che io non voglio intingere il mio petto nel misto di alcol, vomito e detergente, il grembiule mi è sembrata la più opportuna protezione. E non osare dire che è da donna, visto che tu l'altro giorno sei arrivato in studio con una maglietta di tua sorella, solo perché a lei va grande e a te piace il giallo.»

Dom, zittito e anche umiliato, abbassò lo sguardo e si fece serio. Non sapeva competere con la lingua svelta e pungente di Matt, poteva raggirarla, frenarla, calmarla, ma mai arrestarla.

«Passami uno straccio.»
Mentre pulivano, l'immaginazione tornò a torturare la mente di Dominic. Era incredibile l'attività implacabile di quella testa che sapeva intessere trame di film frutto di una fantasia ben miscelata alla realtà. Se voleva, gli bastava ben poco per distaccarsi dal mondo e vivere quella situazione noiosa come una bellissima avventura, nella quale lui e Matt si erano appena trasferiti e inauguravano la casa nuova dandole una pulita a regola d'arte.
Ovviamente era sufficiente un commento imprevisto di Matthew, per esempio un «Dom, dobbiamo dire a Chris di regolarsi, basta un preservativo a notte!», per far crollare la finzione, però finché durava era un'isoletta di piacere.

Razionalmente, non riusciva a spiegarsi le cause profonde di quella fissazione. E per fissazione non intendeva il semplice desiderio di andare a vivere col suo migliore amico, ma il migliore amico in sé. Sei anni di conoscenza e di stretta amicizia avevano via via preso le sembianze di quello stranissimo rapporto, fatto di incomprensioni, segreti, risate sussurrate e sguardi emblematici. Comunque, ciò che entrambi avvertivano come principale beneficio e al contempo principale guaio era il bisogno. Bisogno di vedersi, di parlarsi, di suonare, di confidarsi, di sapere che l'altro c'era e ci sarebbe stato sempre. Beneficio perché, fino a che tutto procedeva bene, la felicità pareva una quotidiana componente della vita; guaio perché, non appena si usciva dai binari della tranquillità e un qualsiasi motivo esterno li squilibrava, tutto crollava e sembrava irrecuperabilmente perso.

Matt viveva questo bisogno speciale di Dom con grande presa di coscienza e responsabilità; sapeva quando e cosa concedere all'amico, nonostante talvolta di auto-costringesse a rinunce e privazioni frustranti.
Dom viveva questo bisogno speciale di Matt con fermo orgoglio e trepida emozione; era pronto a tutto per lui, ma il più delle volte capiva con rammarico di quanta indulgenza era debitore e mai donatore.




Vennero fissate le tappe per il tour ed erano concessi loro solo pochi giorni di pausa fra uno show e l'altro, che decisero di utilizzare in modi diversi: Chris con la famiglia, Matt e Dom in giro per il mondo. Leckie diede loro la notizia che le principali città d'Europa erano tutte comprese e si promettevano collaborazioni con colossi della musica, quali RHCP e Foo Fighters. Queste prospettive sovraccaricarono la band di ansia e stress; partirono finalmente da quella città-prigione, benché anche bei ricordi la caratterizzassero nella memoria, e ,alla volta dell'avventura, si augurarono quel discreto successo necessario per l'incisione di un altro album che invece si rivelò una vero trionfo.
Pian piano che giravano, dalla Francia alla Germania, dalla Danimarca ai paesi del nord, il pubblico aumentava in modo consistente e sempre di più si poteva affermare che quelle folle urlanti costituivano i primi plotoni dell'esercito che nel futuro sarebbe stato il popolo dei musers. Showbiz era ben conosciuto, regolarmente venduto e tanto apprezzato dai giovani; Matthew, sebbene non soddisfatto appieno dai testi, modificati e censurati in alcuni punti per proteggere i propri segreti, sorrideva entusiasta nel vedere le bocche di sconosciuti muoversi con la sua per cantare le canzoni.
Ci furono molti incidenti, per lo più causati dagli attimi di pazzia collettiva dei tre membri. Dom era sempre la vittima, Matt il carnefice e Chris l'occasionale vittima o carnefice. Eppure a tutti e tre andava bene così, nonostante quel gioco pericoloso spesso costasse loro strumenti a pezzi o mal ridotti. Si dice che dal tour europeo ben poco tornò a casa intatto.

La sera in cui ebbero l'onore di conoscere i Foo, il cui cantante, ex batterista dei Nirvana, avevano guardato anni addietro al compleanno di Dom, accadde uno di quegli episodi memorabili e al contempo talmente intimi da non venir mai raccontati o ripescati dal passato a cui appartengono.
Dom, forse mandato fuori di testa dall'incontro con un dio del rock, si ubriacò. E questo potrebbe non essere degno di nota, se non fosse avvenuto quello che di fatto avvenne. Dopo il concerto, in cui per l'appunto aprirono solo la serata, nonostante il pubblico avrebbe gradito che continuassero a suonare, si ritirarono nei camerini, in attesa del ritorno dei compagni più grandi, magari per un after.
Tuttavia, per non perder tempo, diedero inizio ai festeggiamenti, stappando un po' troppe bottiglie per le ancora deboli resistenze dei loro fegati in ogni caso ancora giovani. Chris, la spugna, reggeva bene l'etanolo, sbaciucchiandosi la ragazza e bighellonando in giro; Matt, ebbro e leggiadro, si dedicò alla conoscenza di signorine di passaggio e birra tedesca. Il concerto gli aveva maciullato le dita e, massaggiandosele, girava come un fantasma alla ricerca di qualcosa di indeterminato. Dom, armato di super alcolici, si rintanò nel camerino e, abbandonato su un divanetto, alzò il gomito, dopo aver spaccato senza motivo qualche bacchetta contro il muro.

Il punto è che presto il cantante, insofferente alla banalità delle persone e velocemente stufo delle sciocchezze femminili, venne a contatto con una nuova sostanza, piuttosto rara da quelle parti.

«Merce preziosa» gli assicurò lo spacciatore che gliela vendette a caro prezzo. Si trattava di funghi allucinogeni, popolari in città come Amsterdam, ma introvabili in paesi dove la droga fosse bandita e ne fosse controllato il commercio ovviamente illegale. Quando li ebbe fra le mani, la bontà celeste volle che non prevaricasse l'egoismo di consumarli da solo e per questo motivo, andò in cerca del suo anti-stress, anti-noia, anti-solitudine, ovvero l'elemento dai biondi e corti capelli, gettato sul divano in uno stato di ubriachezza medio alto.
Vedendolo in tali condizioni disdicevoli, se Matt fosse stato una persona normale o lo avrebbe aiutato a rimettere, o lo avrebbe lasciato alla beatitudine del sonno; ma il nostro Matthew è l'archetipo dell'anormalità e infatti decise di provarne quella compassione instabile che si può tramutare velocemente o nella più completa complicità o indifferenza. E il caso volle che fosse la complicità ad avere la meglio.
Si avvicinò in visibilio al batterista semi cosciente e, con quel suo fare stravagante e confuso, gli farfugliò un riassunto del come era venuto a contatto con quella droga e del perché volesse condividerla. Dom, occhi lucidi e sorriso idiota, annuì senza capirci un'acca. Così Matt si ritagliò un posticino sul bordo divano, occupato in toto da Dom disteso, e procedette per l'assunzione dei funghi che dovevano essere ingeriti.
Conosceva a grandi linee gli effetti di quella droga; sapeva che agivano sul sistema nervoso centrale e provocavano allucinazioni molto vivide per pochi minuti (nonostante per essere smaltiti occorressero dalle dieci alle dodici ore, per questo era consigliabile farne uso in un luogo protetto, da cui non fosse possibile avere accesso a finestre o scale, per impedire il rischio di buttarsi di sotto senza accorgersene nemmeno, ma piuttosto leggere e destinate a scomparire velocemente, senza lasciare grossi danni al corpo. Non causavano dipendenze e, soprattutto, gli effetti collaterali erano solo vomito, bruciori e qualche neurone fuso, nulla di preoccupante. Fra le mille sostanze che circolavano nelle retroscene musicali, quella sembrava la più innocua, cannabis a parte. Aveva sentito di visioni grandiose; un amico gli aveva raccontato di aver incontrato sua bisnonna morta, un altro di aver conversato con Dio in "carne ed ossa". Solitamente si poteva subire una sorta di dissociazione dal proprio corpo, oppure l'apparizione realistica di qualche fantasia. In ogni caso, qualcosa di molto interessante.
Lui sinceramente avrebbe desiderato solo trovare un'ispirazione e, magari, conoscere qualche alieno da cui attingere informazioni utili sulla prossima fine del mondo.

Scartò con mani tremanti il pacchetto di plastica, estrasse la droga scura e la fissò con curiosità crescente. Era una dose per due; quando l'aveva comprata intendeva già volerla spartire con qualcuno. Con Dom. Si girò verso il suo compare e lo vide tracannare l'ennesima bottiglia di Vodka e melone; lasciò che terminasse l'ultimo sorso e poi gliela strappò via, lanciandola a casaccio in quella stanzetta buia. Prima di entrare aveva chiuso a chiave la porta, ma aveva appeso un foglietto con scritto:

-Se bussate e nessuno dà segni di vita, sfondate la porta e chiamate un'ambulanza- Ora sì che era a posto con la coscienza!

Le luci soffuse e deboli gettavano sui loro volti ombre e aloni scuri; solo gli occhi luccicanti brillavano ancora. Dom rimase molto offeso dal gesto di Matt; offeso quanto un poppante a cui la madre leva il biberon senza spiegazioni.
Lo spintonò e gli chiese con insistenza il perché di quel gesto. Matt non lo sentì nemmeno, stava preparando la psiche all'incontro con quei magici funghetti.
«Matt, voglio il latte!» strillò Dom, evidentemente riferendosi all'alcool.

«Shh, ho qualcosa di meglio» sussurrò l'interpellato, sfregandosi le mani. «Apri la bocca e manda giù questo» continuò, dandogli la sua dose di droga. Dom alla vista di quella novità si mise seduto, appoggiandosi al bracciolo del divano e osservò sospettoso Matthew.

«E che diamine è?» gridò, deciso a non ingoiare quella roba non meglio identificata.

«Ti fidi di me?» ecco, Matt oltre a confrontarsi con un Dom ubriaco e stanchissimo, aggiunse una bella quantità di scaltrezza alle sue parole.

«Ovvio! Brindiamo!» esclamò il biondo, simulando il gesto di alzare un bicchiere, nonostante avesse la mano vuota. «E cantiamo! You're so solid, you're so solid! It burns inside of meee» gracchiò subito dopo, costringendo Matt a tapparsi le orecchie per non udire quello scempio.

«Già, ma ora apri la boccuccia» e ficcò dentro alle labbra ingenuamente aperte di Dom la droga, ordinandogli poi di deglutire.

Non prendete il suo gesto come prepotenza; se non fosse stato perfettamente certo che Dom anche da sobrio avrebbe accettato una droga leggera in sua compagnia, non si sarebbe mai permesso di forzarlo. Lo aveva fatto solo perché l'ubriachezza di Dom non permetteva a quest'ultimo di intendere o volere altro che fosse alcool. Seguì subito l'amico e ingoiò la sua parte.
Per qualche attimo nulla sembrò diverso, anzi, si preoccupò anche che l'accoppiata alcool e droga potesse uccidere Dom; scacciò il pensiero ricordando che era solo una minuscola quantità di funghi allucinogeni e per di più, l'alcool nel corpo di Dom si limitava a Vodka mista a succo di frutta e birra, mica Assenzio e Whisky. Infine, proprio quando Matt stava per ricredersi e pensare di essere stato ingannato dallo spacciatore, piombò in un altro universo.
Scomparvero le quattro mura bluastre che lo circondavano, il divano su cui era seduto, Dom dal suo fianco; tutto roteò freneticamente fino a formare un nuovo posto, incredibilmente reale. Sopra di lui splendeva la luna e attorno si estendevano prati incontaminati dai colori bizzarri e improbabili di rosa, arancione, azzurro. Le stelle erano evanescenti e fra esse aleggiavano creature celesti a metà fra extra-terresti e uccelli preistorici. Si alzò, o almeno, ebbe l'impressione di alzarsi e cominciare a camminare in quella sterpaglia. Urlò, ma dalla bocca gli uscivano bolle di sapone. Scoppiò a ridere, ma le risate suonavano come grida di dolore. Cercò di attirare l'attenzione di quei volatili, ma essi ignoravano la sua presenza. Giunse davanti ad uno specchio e vide il suo riflesso muoversi senza che lui si muovesse; era come se stesse osservando un estraneo. Allungò il braccio per toccare la visione, ma questa fuggì dentro lo specchio, presto inseguita da lui che era riuscito a penetrare nel vetro tramite un teletrasporto.

Comunque, la dea della Fortuna decise di preoccuparsi di quei due giovani spericolati e, infatti, fece sì che non appena la droga stesse per assortire agli effetti per i quali era stata creata, il miscuglio maldestro di alcolici nello stomaco in subbuglio di Dom venisse vomitato fuori. La cascata giallastra e verdognola di bile, alcool e saliva che costituiva il suo vomito, travolse anche i funghi e svuotò Dom di ogni sostanza estranea. Gli costò cinque minuti di rantoli e colpi di tosse, alternati a conati sempre meno consistenti di succhi gastrici, ma il risultato fu una pozzanghera di vomito e uno stomaco ripulito da cima a fondo. Di conseguenza, mente lucida, per quanto può essere lucida la mente di chi è appena stato ubriaco.
Fu una fortuna perché quella notte, se neppure Dom fosse stato in sé, probabilmente avrebbero riportato danni difficilmente cancellabili. Infatti, non appena il batterista riuscì a stare in posizione eretta senza provare l'istinto di chinarsi e rimettere, si rese conto di quello che stava avvenendo. Matt era in piedi, ma correva sul posto e non solo: gridava, si sbracciava, schivava ostacoli e saltava fossati inesistenti. Pareva catapultato in un altro mondo, anzi, era catapultato in un altro mondo. Ad allarmare Dom fu un gesto in particolare: Matt, credendo di aver trovato un tesoro, prese i cocci della bottiglia che poco prima aveva infranto, quella di Vodka e melone di Dom. Li prese e cominciò a carezzarli, reputandoli lingotti d'oro, mentre in verità stava rasentando con i soffici palmi lame più affilate di quanto potessero sembrare. Dominic si scagliò in suo aiuto appena in tempo, giusto prima che si ferisse ulteriormente: aveva già i polpastrelli gocciolanti di sangue. Gli levò con forza quelle schegge di vetro e gli bloccò i polsi, così da immobilizzare quel corpicino in preda alle visioni. Matt lo guardò con occhi sbarrati; non era lì, lui viaggiava ad anni luce di distanza.
Malgrado la stanchezza, la spossatezza e la devastazione interiore, Dom per la prima volta nella sua vita ebbe paura di perderlo. Non perderlo come poteva perderlo se per un giorno preferiva uscire con la sua ragazza piuttosto che con lui, non perderlo come poteva perderlo se avesse deciso di trasferirsi dall'altra parte del mondo, non perderlo come poteva perderlo quando si chiudeva nei periodi di silenzio; quella volta, Dom fece i conti con la paura più grande e ancestrale dell'uomo. La morte. La vide in quel delirio, in quella merda che divorava la carne di Matt, in quell'azzurro agghiacciante. Capì che doveva entrare in azione, sì, anche con solo quel briciolo di energia che gli era rimasta, anche con la bocca avariata e il cuore in gola.
Nel frattempo Matt correva fra spighe dorate e girasoli rinsecchiti, che oscillavano per il peso di lunghi spinelli cresciuti sotto i petali gialli al posto dei semi. Dom richiamò tutta la forza che rimaneva nei suoi muscoli e cercò di raggiungere la porta per chiamare aiuto. Però appena lasciò Matt, il moro cadde sui vetri e ricominciò a toccarli, ora credendoli margherite di campo, ora violette selvatiche, Quindi, il biondo tornò in suo soccorso, scoprendo due nuovi tagli; la vista annebbiata e la poca luce gli impedirono di valutarne la gravità, riuscì solo ad avere un'ultima idea. Si caricò Matt sulle spalle, poi, gattonando sopra vetri infranti e vomito, raggiunse il divano. Ci scaricò il cantante. Si sfilò una catenella dai pantaloni, usata di bellezza ma in realtà molto solida e pesante, e l'agganciò stretta attorno ai polsi rigati di sangue di Matt. Dopo frugò a caso nella cesta di bottiglie lì ai piedi del sofà e trovò la familiare plastica sottile ricoperta di una delicata carta, l'acqua naturale. Tolse il tappo e la versò interamente sull'amico; ripeté il gesto con altre tre bottiglie e, quando Matt era stato lavato da quattro litri di acqua gelida dritti in faccia e sul petto, almeno smise di avere le convulsioni. A questo punto, Dom controllò i tagli sulle mani. Niente di profondo, solo graffi; inoltre, il sangue stava già coagulandosi, sicuramente aiutato dagli schizzi freddi di acqua da poco versati.

Dom però era disperato; il sonno stava avendo la meglio, sentiva le palpebre cadenti e la vista gli si confondeva, si rabbuiava sempre di più, come un teatro che fa calare il sipario anche se gli attori vogliono ancora recitare la loro parte nella commedia. Ebbene, per Dom era la fine: con un grido di rabbia, si mise a cavalcioni su Matt, dalle mani ammanettate e il corpo scosso da frequenti tremori, e gli si distese sopra.

-Non ti avrò curato, ma almeno ti ho salvato la vita... fu il suo ultimo pensiero, appena prima che crollasse esanime.
Senza saperlo, si rivelò la scelta migliore: Matt, già privo di forze normalmente, con quella sessantina abbondante, diciamo anche settantina, di kg sopra a peso morto, fu definitivamente bloccato. Esaurì le sue allucinazioni da solo, balbettando e farneticando in quel mondo alternativo destinato a sbiadire via nell'arco di poco tempo. Si addormentò anche lui, mentre il calore del corpo svenuto di Dom gli impediva di congelare per colpa dell'assenza di riscaldamento e dell'acqua di cui erano fradici i suoi indumenti. Finalmente, trovò la pace.


Il primo a leggere il messaggio preoccupante sulla porta del camerino fu Chris; capì al volo il pericolo in corso e provò a forzare la maniglia, poi ci assestò un calcio. Non cedette. La vita è ben diversa dai polizieschi in cui anche il più insulso mortale sa aprire le porte blindate con un calcio da pallone. Chiamò aiuto e, con una copia della chiave, irruppero i soccorsi. Appena videro i due corpi abbandonati l'uno sull'altro, il vomito e i cocci per terra, qualche goccia di sangue colare dal divano, temettero il peggio. Li portarono via in barella e solo all'ospedale capirono che Howard era solo reduce da una sbronza, mentre Bellamy da un trip mentale. Nulla, davvero nulla per cui prendersi altri spaventi. Ripresero conoscenza dopo una lunga dormita rigenerante. Si svegliarono quasi contemporaneamente, piuttosto stupiti di ritrovarsi in un letto ospedaliero attorniati da flebo e monitor.

«Ehi, Dom...» sussurrò Matt, le coperte talmente rimboccate da rendergli difficile una conversazione col compagno di stanza.

«Matt!» rispose Dom, tentando di mettersi seduto e fare mente locale.
Si ricordava con chiarezza di aver inaugurato la serata ai Foo. Poi ricordava di aver deciso di ubriacarsi; da lì in seguito, solo flash vaghi e imprecisi: vomito, sangue, Matthew, catena, Matthew, azzurro, Matthew, paura.
Il moro invece poteva dire con certezza di essere entrato in un'altra dimensione, ma descriverla sarebbe stata un'impresa in cui preferì non imbarcarsi. Semplicemente cercò di ricollegarsi con la realtà, a poco a poco.

«Che è successo?» chiese, una volta seduto e ben sveglio. Dom scosse la testa. Non poteva di certo essergli d'aiuto quell'insieme di immagini, sapori e odori che gli vorticavano per la memoria.

«C'è Chris» riuscì a balbettare il biondo, indicando la sagoma in avvicinamento dell'amico.

«Ragazzi, come state?» chiese ansioso il bassista, abbracciandoli e controllandogli l'espressione del volto. «Chiamo il dottore?»

«No, no. Io sto bene, ho solo un gran mal di testa» disse Matt, massaggiandosi le tempie pulsanti.

«Sì, anche io, un gran mal di testa e qualche fitta allo stomaco, null'altro» aggiunse Dom.
Chris si tranquillizzò, ma il dottore che li aveva tenuti sotto osservazione entrò nella camera senza chiedere permesso.

«Bellamy Matthew e Howard Dominic?» domandò, stringendo una cartella clinica sotto braccio.

«Sì» risposero all'unisono, già pronti ad una ramanzina coi fiocchi e i contro fiocchi.

«Il primo ha ingerito sostanze allucinogene, funghi per l'esattezza. Quantità piccola, ma alta qualità. Il secondo si è ubriacato con Vodka di bassa lega e birra. Credo che sia nella norma, per due squilibrati adolescenti inglesi. Vi dimetto adesso, ma se volete il consiglio di un vecchio vegliardo, evitate queste porcherie. Non avete il fisico e nemmeno l'età. Pensate alla musica. Per ulteriori informazioni, c'è la mia infermiera. Arrivederci.»
I due depravati si ripromisero di dare ascolto al medico e di stare buoni per qualche tempo. Dopo, uscirono con Chris e placarono la fame chimica che torturò il loro stomaco finché fu saziato in abbondanza.



Ad ogni modo, il tour europeo proseguì. Il pubblico cominciava a contare qualche migliaia di persone nei vari locali; correvano voci che nel futuro avrebbero potuto riempire le arene e gli stadi, ma al momento si accontentavano di quel consistente ed energico gruppo di seguaci. Qualche canzone venne anche trasmessa alla radio; le più conosciute furono sicuramente "Muscle Museum" e "Unintended", ma per i fan ogni composizione di quello splendido album era unica e meravigliosa. Nella mente barricata e talvolta impenetrabile di Matt, certamente cominciavano ad abbozzarsi nuove canzoni, più graffianti ed ermetiche, più sofisticate e raffinate. I molti libri che leggeva gli erano di grande aiuto. Cessavano di esserlo, quando Muse più degne di nota gli si presentavano agli occhi assetati di ispirazione. Fra queste, non poteva negare di avere spesso quella di un giovane amico, bello e aitante, amorevole insieme di tutte quelle caratteristiche che a lui tanto mancavano. Qualità come la pace interiore, la calma, la gioia immotivata, la bontà disinteressata e il fascino naturale, frutto di charme ed eleganza, erano capaci di imbambolarlo per ore, magari in viaggio da una capitale all'altra, mentre bramava di possederle chiuso in un silenzio ostinato. Lo guardava seduto al suo fianco, nell'attimo in cui contemplava il paesaggio oltre al finestrino del pullman che li trasportava; lo guardava valutare con attenzione scientifica la qualità di pezzetti di legno assolutamente uguali gli uni agli altri; lo guardava vestirsi nel camerino condiviso con altri musicisti, preoccupandosi affinché la scelta dei vestiti ricadesse su quelli più consoni e anche vagamente appariscenti, con quel particolare in più degno di nota. Lentamente, il riassunto estremo a cui approdava dopo sforzi disperati e snervanti, era composto di una sola parola: beatitudine. Questo il sinonimo prescelto per indicarlo, questo l'epiteto più caro, questo l'aggettivo che con naturalezza pareva silenziosamente ed invisibilmente accompagnare il nome di Dom nella mente, nelle parole e negli scritti di Matt. "Bliss", appunto, titolo di un capolavoro ancora in fase embrionale. E intanto il numero di concerti e di vendite aumentava vertiginosamente.



Rincasarono a Teignmouth nel 2000, senza sapere che sarebbe stata una delle ultime visite durature a quella città che ospitava i loro natali, le loro famiglie e i loro più cari amici. C'era qualcosa di struggente in quel ritorno; bastava il nome di una via, il colore di una casa, l'aroma di un fiore per far riemergere ricordi a fiotti, quasi si fossero assentati per anni e non solo per pochi mesi.
Matthew, prima di riaffrontare i pezzi sparsi della sua famiglia, propose a Dominic una visita al Lago Viola. Il biondo era ansioso di riabbracciare i suoi cari, quindi chiese gentilmente a Matt di posticipare per solo un'ora la visita al Lago.
A casa, Dom ritrovò tutti quanti e con particolare affetto e commozione il padre; Bill gli regalò una macchina fotografica, Nikon Reflex a rullino, perché disse che anche se non sarebbe potuto andare in giro con lui per il mondo e i posti visitati, almeno tramite le foto sarebbe stato quasi come stare insieme, condividendo immagini e frammenti di luoghi lontani. Dom accolse quel regalo con particolare felicità, era da molto tempo che desiderava avere una macchina fotografica per immortalare tanti attimi speciali.
Tornò da Matt, munito di Nikon. L'amico gli fece i complimenti, poi s'incamminarono lungo il pontile; traballava ancora e il legno dava la stessa impressione di essere marcito e destinato ad affondare. Il viola sembrava solido, artificiale, messo di proposito per rendere quel posto surreale e venato di erroneità, come uno sbaglio della natura, uno sgorbio di un dio disattento. Matt provò la solita sensazione di stupore e di attrazione, Dom di disagio e agitazione.

«Abbiamo girato l'Europa e ci siamo fatti conoscere da migliaia di persone. Come ti spieghi che adesso siamo ancora qui, al punto di partenza?» chiese il cantante, sedendosi con le gambe a penzoloni.
Dom, per rispetto della tradizione, si sedette a gambe incrociate rivolto verso l'amico.

«Forse perché per ricominciare bisogna tornare alle origini» disse, nonostante quella risposta non lo soddisfacesse.

«Origini. Mi piace questa parola, penso che la riutilizzerò» pensò a voce alta Matt, immergendo la vista nelle acque viscose.

«Se ripenso a cosa cercammo di fare una volta nel '93, posso solo sorridere» ammise Dom, ridacchiando sommessamente.

«A cosa ti rife...ah, hai ragione. Ah-ah!» rise Matt, mentre la memoria di quell'avventura infantile prendeva vita.
Dom lo guardò dritto in volto. Risalì dal mento rotondo alla fronte liscia, per poi puntare agli occhi. Vedevano la stessa cosa? Vedevano entrambi quei due scriccioli di appena 15 anni che per motivazioni futili e frettolose osavano camminare spensierati sulla sottile linea di demarcazione fra amicizia e amore? Che per un capriccio di Matt provavano addirittura a baciarsi, senza ovviamente riuscirci? Sì, ne ebbe la conferma quando Matt sostenne lo sguardo e assunse un'espressione seria e malinconica.

«Eravamo due sciocchi» sbottò infine il chitarrista, abbassando gli occhi sulla bocca del batterista. Un rossore fastidioso gli tinse le guance senza preavviso.

«Non sapevamo quello che facevamo» replicò Dom, leggermente assoggettato dall'invadenza degli occhi di Matt sulle sue labbra.

«E invece adesso, adesso lo sappiamo?» sussurrò con un fil di voce il moro, impuntatosi sulla rotonda perfezione di quel bocciolo rosso.

«Adesso siamo adulti, ma anche agli adulti sfugge qualcosa...» constatò Dom a bassa voce, indietreggiando di un millimetro.

«Io...io ti confesso che non riuscirò mai a decifrare quel qualcosa fra noi due» bisbigliò Matthew, quasi si trattasse di un segreto di primaria importanza.

«Ho lo stesso presentimento. Rimarrà un mistero.»
Matt distolse finalmente gli occhi blu dalla bella bocca di Dom e li proiettò lontani, nel cielo grigiastro sopra le loro teste.

«Lo sai che ogni mistero, ogni segreto, pesa come un fardello e ci rende più soli?» chiese il cantante, tornando ad avere un tono di voce normale, credendo forse di aver cambiato argomento.

«Lo so, ma sono disposto a farmi carico di solitudine e dolore, pur di non rinunciare a te» rispose con una fermezza disarmante Dom.
Matt si sentì fortemente attratto da quella forza interiore posseduta con tanta facilità dall'amico.

«Anche io. Sai bene di essere un bisogno per me...»

«...e i bisogni sono eterni.»

«Eterni» ripeté, soppesando con trepida soddisfazione l'importanza di quell'aggettivo finalmente pronunciato da entrambe le loro bocche.

Dom impugnò la Reflex e all'improvviso fece scorrere il braccio attorno alle spalle di Matt; inclinò la testa e col braccio libero portò la macchina davanti ai loro volti, a una distanza di 40cm. Poi disse:
«Sorridi!» e l'attimo dopo, giusto in tempo per catturare anche il sorriso improvvisato e per questo sincero di Matt, si udì il primo click di quella Nikon.
Il rullino scattò e registrò la foto sulla pellicola. Dom spense la macchina e la guardò soddisfatto.

«Appena la faccio sviluppare, te ne do una copia» disse premuroso.
Matt gli afferrò la testa con ambe le mani e gli schioccò un bacio sulla guancia. Quest'ultimo gesto lasciò leggermente inibito Dom, il quale reagì arrossendo e tossicchiando nervoso. I baci di Matt erano terribili, per quei pochi che ne avevano ricevuti le sue guance: erano asciutti, ma col risucchio e soprattutto, morbidi, lenti e lascivi. Ciò che bastava per fantasticarci, magari immaginando quale temibile effetto avrebbero avuto altrove.


E se i limpidi orizzonti della band si facevano promettenti, quelli del loro rapporto, già abbastanza speciale per non essere classificato in nessun modo, si addensavano di nuvole.




Nota dell'Autrice: cari lettori, care amiche, vi chiederete: ma non aveva problemi che le impedivano di scrivere a computer? Ebbene sì, i problemi li ho, ma, sia perché migliorano, sia perché il capitolo andava solo ricontrollato, posso oggi postarlo con grande sollievo. Temo che il prossimo non si presenterà prima di due settimane, ma confido nella vostra pazienza.
Alcune annotazioni:

-Non so se già nel 1999 Matt fece uso di funghi: prendetela come una mia libertà!
-Non so se aveva già in mente Origin of Symmetry, ma Bliss mi ha tentato;


-Si incontrarono realmente con i Foo, ma la serata andò diversamente;

-Il Lago è ovviamente una mia invenzione, per coloro che non ricordano il primo capitolo;
-Le allucinazioni di Matt sono molto simili a quelle che mi raccontarono di avere alcuni amici, quindi gradirei che nessuno mi dicesse: "non si hanno quel tipo di visioni" o cose del genere, perché è realmente successo e qualcuno ci è andato anche di mezzo;
-La macchina fotografica è una mia invenzione!

Grazie dell'attenzione, scusatemi se non vi rispondo una ad una ma non ne ho il modo. Alla prossima, vi abbraccio! <3 Cheeeeeeeeeeers, Musa.









  
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