Primavera
Occhi
Verdi aspettava, dentro
il letto. Non riusciva a dormire, non poteva. Sentiva Luìs
nel corridoio,
avanti e indietro, al piano di sotto. Vigilava, faceva la guardia,
forse si era
accorto di qualcosa.
O forse semplicemente
aspettava che succedesse qualcosa. Luìs non dormiva mai,
sembrava che non ne
avesse bisogno. A volte faceva un gesto con la mano, portandosela agli
occhi
come per ripararsi dal troppo sole. Occhi Verdi pensava che fosse tutto
quello
il suo dormire. Non l'aveva mai visto fare altro.
Di notte Luìs vigilava.
Andava avanti e indietro per le stanze, muoveva passi su passi,
ascoltava ogni
rumore nelle stanze cave. E spiava il respiro di Occhi Verdi come prima
aveva
spiato quello del grande melagrano in cortile, l'odore delle panche di
legno,
l'opacità della polvere, il silenzio.
Ogni cosa che dormisse, viva,
attirava il suo respiro instancabile. E Occhi Verdi, nel suo letto di
pietra, aggrovigliava
le ginocchia alle coperte con la sottile inquietudine di un martire.
Quella notte, ad un tratto,
mentre l'upupa dormiva nella sua tana di frasche, lui venne a lei.
Lo sentì avvicinarsi dal
freddo che le correva lungo la schiena. Soffocò con le
unghie il guanciale,
strinse la fodera, morse le coperte.
Lo sentì muovere un passo
oltre la soglia. Era lì, in silenzio, come un'ombra. La luna
lasciava tracce
grigie sul pavimento, dove moriva l'ombra del rampicante.
- Dormi? - le chiese.
Lei trattenne il fiato.
- Vorrei dormire - disse lui,
avvicinandosi. Le passò una mano sulla schiena, rapprese le
coperte alle dita,
sentì la stoffa riscaldargli il palmo.
- Vorrei dormire ma non ci
riesco.
Lasciò che la mano torcesse
appena il lembo del lenzuolo, sorrise. Poi si sedette accanto a lei,
sul
materasso.
- Una volta queste stanze
erano piene - disse toccandole i capelli - una volta in queste stanze
c'era la
morte e il resto. Ora non c'è più niente. Solo
Cèsar, polvere e spine che
strappiamo al giardino.
Occhi Verdi stava a pancia
sotto, immobile. Sentiva la mano di Luìs ferma sul cavo
della schiena. Un dito
sopra la costola destra, un dito dall'unghia perfettamente liscia.
- Ho sonno - disse Luìs.
- Chiudi gli occhi.
Luìs, con la sua fronte di
luna arcana, rise.
- Non posso - mormorò. La sua
bocca era vicina all'orecchio.
- Non posso proprio. Ormai
non posso più.
Occhi Verdi sentì che la sua
mani risaliva lungo le vertebre. Lungo le ossa scure che si nascondono
nell'ombra della carne. Le sembrò che una foresta di nubi si
arrotolasse contro
la finestra.
- Che cosa vuoi? - chiese
affondando nel guanciale.
- Un po' di pace - disse lui.
- Solo con me?
- Solo con te.
Occhi Verdi pensò alla strana
vita che fanno le meduse in fondo al mare. Vagano inquiete coi loro
occhi di
glassa. Non hanno naso, bocca, ventre, e sentono. Non hanno niente e
continuano
a sentire. Lasciò che le dita di Luìs si
attorcigliassero all'intrico dei
capelli, le si insinuassero dentro orecchie. Quando sentì
che le ginocchia si
scioglievano, lui era lì, sopra di lei.
- Non muoverti.
Lei non si mosse. Chiuse gli
occhi e attese. Restarono così, tutta la notte.
Era il ventre di lei che
nascondeva appiccicose calde meraviglie. E Luìs le ascoltava
in silenzio: era
la vita che trepidava inquieta dentro la carne.
-
Dormi? - le chiese Juan.
Occhi Verdi aprì gli occhi.
Era mattina. La finestra cigolava sul battente, c'era il sole.
- Cosa fai? - chiese
tirandosi su, spaventata.
Lui rise. Era nudo, sopra di
lei.
- Non mi hai sentito
arrivare?
Si mosse, con il membro le
strofinò la carne.
- Ancora?
Il suo fiato sapeva di
zucchero. Occhi Verdi lo respinse a fatica, ma lui continuava a
trattenerla.
- Come sei entrato?
Lui indicò la finestra.
- Sei tu che mi ha fatto
entrare, ieri sera.
Occhi Verdi guardò la stoffa
del guanciale, dove due stampe di teste affondavano dentro il sudore.
Vide le
lenzuola ancora grevi e arricciate di corpi, mosse un piede e ci
trovò la gamba
liscia, possente, calda, odorosa di
Juan. Era bellissimo, Juan, quella mattina. E la stringeva tra le
braccia come
un dio. Come un dorato dio del paradiso.
- Posso svegliarmi? - chiese
lei. Lui rise.
- Sei già sveglia.
- E gli altri?
- Cèsar è uscito stamattina
all'alba. Ha dato da mangiare alle galline e poi ha preso il sentiero
che
scende. Forse per la città. O forse altro. Scende, a volte,
alla capanna di un
pastore. Altre volte al villaggio, per la lana. Si fila da solo le sue
tuniche.
Altre volte va a raccogliere frutta. Comunque siamo da soli - disse, e
le
affondò il mento tra i capelli - Completamente soli tutto il
giorno.
Occhi Verdi liberò una mano.
Sentì il contatto freddo della pietra sotto il materasso. Si
accorse di essere
nuda, anche lei.
- E Luìs? - chiese.
Juan socchiuse gli occhi.
Scosse la testa, le prese una mano. Se l'appoggiò sul
membro, rise di nuovo.
- Siamo soli, e ti amo - le
soffiò.
Occhi Verdi lo guardò dal
basso in alto.
- Io … io devo andare da
Luìs, io devo ...
Torse una spalla, scostò le
coperte, tentò di posare un piede in terra.
- E' freddo il pavimento -
disse lui - Sicura di non voler restare a letto?
E prima che lei potesse dire
anche soltanto un'altra parola, le avvolse le braccia intorno al corpo.
Occhi
Verdi sentì che erano calde, come caldo era tutto il resto.
- Io devo andare da …
- Ci andrai dopo.
E con il membro le affondò dentro
la carne.
Qualche ora dopo
aprì gli
occhi di nuovo. Si guardò intorno, era pomeriggio. Juan
dormiva abbandonato sul
cuscino. Provò ad alzarsi, con la punta del piede
scostò le coperte, provò un
brivido. Stava per posare il piede a terra, quando lui aprì
gli occhi dorati
dalle ciglia lunghe come lacci.
- Non ti muovere -
mormorò, circondandola
- Non ti muovere, non ne ho abbastanza, resta.
Con le labbra le
tracciava
incantesimi a fior di pelle.