Chapitre
18
Dove
diverse
identità vengono rivelate
«Mi
chiedevo quando avreste trovato il coraggio di venire da me.»
Esordì,
facendogli cenno con una mano di entrare nell’ufficio. Il
nobiluomo obbedì,
richiudendo l’uscio e avvicinandosi ad una poltrona senza mai
distogliere lo
sguardo dal volto dell’essere mascherato ritto innanzi a lui.
«Siete
esattamente come mi immaginavo, Erik. Avete gli stessi occhi di vostra
madre.»
Fu la prima cosa che disse, mentre piegava leggermente il capo da un
lato come
se avesse voluto meglio studiare l’aspetto del giovane.
Il
Fantasma non potè fare a meno di trattenere una secca
risata. «Non riesco a
crederci! Questo è tutto ciò che avete da dire?
Mi cercate da quasi dieci anni
e la prima cosa che fate è trovare delle somiglianze tra me
e quella
disgraziata?»
Gli
occhi del duca si strinsero allo stesso modo di quelli di Erik, come se
a
stento stesse trattenendo la furia. «Dunque sapevate che vi
stavo cercando.
Eppure non vi siete mai fatto vivo, per quale motivo?»
Erik
non rispose subito. Si diresse con calma al mobile nel quale conservava
i suoi
liquori, prendendo due bicchieri e una bottiglia piena.
«Gradite un bicchiere
di Armagnac?» Domandò, ostentando gentilezza.
Il
duca non si fece ammaliare. «Non sono venuto fin qui per
bere, dovreste
saperlo.» Sibilò.
«Peccato.
Avremmo potuto celebrare come si deve questo gradito
incontro…» Ironizzò,
riempiendosi il bicchiere fino all’orlo e mettendo nuovamente
il tappo alla
bottiglia. «Alla vostra salute.»
«Non
avete risposto alla mia domanda.» Ribadì
l’altro, gelidamente. Non tollerava
che qualcuno si prendesse gioco di lui così apertamente. Era
un affronto al suo
titolo e alla sua ambita posizione.
«Io
e voi non abbiamo mai avuto nulla da spartire,
monsieur.» Rispose Erik col
medesimo tono. «Quando ho saputo che mi stavate cercando vi
ho lasciato fare,
ma sappiate che avrei benissimo potuto… persuadervi…
a lasciar perdere. Invece ho voluto vedere fin dove vi sareste spinto,
e alla
fine mi devo congratulare con voi – mi avete trovato. Sono
pochi quelli che
possono vantarsi di tanto successo.»
Sorseggiò
un altro po’ della sua acquavite, poi proseguì.
«Ma vi prego, permettetemi una
curiosità.» Disse, giocherellando con lo stelo del
bicchiere. «Tutta questa
strada, tutti questi sforzi… Per che cosa? Per vedere con i
vostri occhi quanto
somiglio a quella povera donna di mia madre?»
«Quando
avrete finito di fare del sarcasmo, allora forse vi darò una
risposta.» Sibilò
a denti stretti, stringendo con forza il pomo del suo bastone.
Il
sorriso beffardo di Erik accentuò la sua irritazione, ma
finse di non vederlo.
«In tal caso, vi domando scusa per le mie scarse buone
maniere. Vi prego,
accomodatevi.» Disse, facendogli cenno di sedersi.
Per
quanto avesse desiderato di rimanere in piedi e cercare di sovrastarlo
con la
sua mole psicologica, il duca fu costretto a cedere per via del suo
fisico
provato. Si sedette, mettendosi comodo per cercare di sembrare
perfettamente a
suo agio quasi quanto lo era il suo ospite.
«Sono
venuto qui per discutere unicamente di affari, e mi auguro di aver
trovato in
voi un valido alleato.» Rispose, cercando di ignorare il modo
che Erik aveva di
osservarlo – sembrava quasi di vedere il proprio riflesso ad
uno specchio, solo
più giovane.
«Affari,
dite?» Ribattè l’uomo, sedendosi a sua
volta. «Avete tutta la mia attenzione.
Per favore, andate avanti.»
A
sentire quel tono pacato e distaccato, l’anziano duca si
spazientì. «Suvvia,
Erik! Non stancatemi con questo vostro atteggiamento! Sapete
perfettamente chi
sono e soprattutto cosa voglio da voi.»
Gli
occhi di brace di Erik si strinsero nuovamente, mentre afferrava con
forza il
bicchiere come se avesse voluto spaccarlo con la mera pressione della
sua mano.
«Ma certo che so chi
siete, monsieur!
Tuttavia voglio che abbiate il coraggio di dirmelo chiaramente in
faccia, da
uomo a uomo.» Poi, come ripensandoci, aggiunse, velenoso:
«Non vi chiederò come
siate venuto a conoscenza del mio nome, anche se ne sono alquanto
curioso dato
che praticamente nessuno lo conosce.»
Allora
fu la volta del duca di sorridere, con sadica voluttà.
«Oh, Erik, ogni padre
conosce il nome del proprio figlio.»
Il
bicchiere vuoto venne sbattuto violentemente sul pesante legno della
scrivania,
facendo tremare le stilografiche e le boccette d’inchiostro
che vi erano
disposte sopra. De Blanchard non sussultò, dimostrando una
padronanza di sé
maggiore rispetto a quella dell’impulsivo direttore, ma al
contrario il suo
sorriso si allargò se possibile ancora di più.
«Bene, sembra che abbiate
finalmente compreso la portata dell’affare che voglio
proporvi.»
Erik
alzò furioso gli occhi su di lui, cercando mentalmente un
buon motivo per non
aggredirlo. «Dunque vi siete svelato, alla fine. Sapevo che i
miei sospetti
erano fondati.» Mormorò, stringendo i pugni.
«Lo
sospettavate? Oh, immaginavo. Il vostro genio dev’essere
più superbo di quello
che dicono.» Disse, con marcata derisione. «E
adesso che tutte le carte sono
state scoperte, sono io a chiedervi di mettervi comodo e di ascoltare
ciò che
ho da dire.» Aggiunse, sentendosi nuovamente padrone della
situazione.
Erik
si sedette a sua volta, giungendo le mani davanti al volto e
guardandolo con
ira. «Vi ascolto.»
«La
faccenda è molto più semplice di quello che
sembra. La duchessa de Blanchard è
morta quattordici anni fa a causa della tubercolosi, lasciandomi senza
neanche
un figlio. Come di certo saprete, se l’ultimo erede di un
casato nobiliare non
ha nessuno cui lasciare il suo nome e le sue ricchezze, esse verranno
assorbite
dalla Repubblica, che le userà per i suoi scopi…
Immaginate, secoli di sangue
blu, di lotte per il potere, di tesori accumulati che si disperdono nel
vento
come se non fossero mai esistite.» La sua voce si
indurì al solo pensiero, e il
suo sguardo si perse verso un punto indefinito. «Io sono
vecchio, la mia vita è
quasi giunta al termine e non ho nessun erede legittimo. Sposarsi
nuovamente è
fuori discussione, non voglio assumermi una simile
responsabilità alla mia età.
Ed è qui, Erik, che entrate in gioco voi.»
Riportò
nuovamente gli occhi sul Fantasma, sperando ch’egli dicesse
qualcosa che gli
facesse intendere che aveva compreso – e soprattutto che
apprezzava – l’idea
che gli stava frullando in testa. Ma monsieur Destler rimase
ostinatamente in
silenzio, sostenendo il suo sguardo senza battere ciglio per invitarlo
in una
muta sfida a concludere il suo discorso.
Con
un breve sospiro, il duca si accinse a continuare. «Voi siete
mio figlio, Erik.
Siete il frutto di una relazione clandestina che io ebbi in
gioventù con una
bellissima contadina di nome Madeleine Cochois, e pertanto il mio
sangue scorre
nelle vostre vene. Ancora non capite? Siete voi il mio erede! Questo
è l’affare
che vi propongo: alla mia morte, voi erediterete tutti i miei
possedimenti e un
titolo che vi spetta di diritto, con l’unica clausola di
poter perpetuare il
nome di questo casato ancora per lungo tempo.»
L’anziano
duca tacque, in attesa che il figlio che aveva appena ritrovato lo
ringraziasse
per l’enorme opportunità che gli stava offrendo
– non si aspettava né
desiderava alcuna manifestazione d’affetto, dato che si
trattava di una mera
contrattazione d’affari e non di una piacevole riunione
familiare.
Ma
dal gelido Fantasma dell’Opera non ebbe nulla di tutto questo.
«Che
cosa vi fa pensare che io voglia accettare tutto questo?»
Sibilò infatti
quest’ultimo, stringendo gli occhi. «La sola
risposta che avrete da me è no,
nel modo più assoluto.»
«Voi
non capite cosa vi sto offrendo!» Esclamò allora
il duca, sconvolto, sbattendo
il bastone sul pavimento.
Erik
non si lasciò turbare dalla sua reazione. «Au
contraire, lo comprendo perfettamente.»
Ribattè, ostentando tranquillità
per celare la rabbia. «Ma ciò non mi obbliga ad
accettare la vostra offerta.
Per un semplice e misero dettaglio, monsieur, al di là del
fatto che non ho
nessun interesse nell’aiutarvi, e cioè che io
verrei meno alla mia parte
dell’accordo: vedete, non credo che sarò in grado
di perpetuare il vostro nome,
e il vostro prezioso casato cesserà comunque di esistere
insieme a me.»
Negli
occhi del nobiluomo passò un guizzo malizioso che a Erik non
piacque per
niente. «Mi state dicendo che quella deliziosa cantante,
mademoiselle Sanders
se non erro, non è la vostra promessa?»
«Come
diavolo…?» Sbottò il Fantasma, prima di
essere nuovamente interrotto.
«Come
faccio a saperlo?» Disse con un ghigno, concludendo per lui
la domanda. «Voi
credevate forse di avermi tenuto sotto controllo per tutto questo
tempo, ma in
realtà anch’io ho fatto lo stesso con voi. Dovevo
pur conoscere il mio erede.»
«Vi
ho già detto che io non sarò il vostro
erede.» Ringhiò Erik, stringendo i pugni
talmente tanto forte che le nocche sbiancarono.
Il
sorriso di monsieur de Lescroart divenne più tangibile.
«Non mi avete risposto,
comunque. Mademoiselle Sanders è o no la vostra
fidanzata?»
«Tutto
ciò non ha nulla a che vedere con voi.»
Replicò, piuttosto irritato. «Ad ogni
modo, mademoiselle non è nulla di tutto questo. Lei
è soltanto la mia allieva,
sono stato io ad istruirla nel canto.»
L’altro
annuì, compiaciuto. «E avete fatto un ottimo
lavoro. La sua voce è celestiale.»
«Se
pensate che questa conversazione possa portarvi da qualche parte,
monsieur,
allora vi state sbagliando.» Ci tenne a precisare,
guardandolo dritto negli
occhi di un azzurro glaciale. «Vi ho già detto
tutto quello che volevate: da me
non otterrete altro.»
Le
dita sottili del duca si strinsero maggiormente attorno al pomo del suo
bastone
da passeggio. «Se posso permettermi, Erik, vi consiglio di
fare in modo che
questa non sia la vostra ultima parola.»
Se
c’era una cosa che il Fantasma dell’Opera non
tollerava, erano le minacce
rivolte alla sua persona o a coloro che gli appartenevano. Pertanto, le
ultime
e taglienti parole del duca non fecero che alimentare ancora di
più la sua
furia e la sua indignazione, e se avesse potuto avrebbe accarezzato
l’idea di
mettere a tacere quel vecchio pazzo con il suo fidato laccio del Punjab.
«A
voi, che avete l’ardire di minacciare me,
voglio consigliare di non sottovalutare troppo la mia intelligenza
– non avete
nessuna idea di quello che sono capace di fare.»
Sibilò, guardandolo sempre
dritto negli occhi come si fa in un duello, quando non si abbassa lo
sguardo
per timore che l’avversario possa colpire a tradimento.
«Potrei lasciarvi in
vita abbastanza a lungo per uscire dal mio
teatro, ma non per cercarvi un altro erede. Perciò, badate
bene al tono che
usate per rivolgervi a me.»
Sulle
labbra dell’anziano duca passò un ghigno sardonico
e derisorio. «In un’altra
situazione vi avrei fatto frustare per il tono irrispettoso che state
usando
nei confronti di vostro padre.»
Tutte
quelle insinuazioni sul loro – a suo avviso –
inesistente legame di sangue non
facevano che innervosirlo sempre di più. «Credo di
avervi già fatto capire che
io non mi considero vostro figlio.»
«Oh,
voi potete pensare ciò che più vi
aggrada», replicò, per nulla impressionato.
«Ma
ciò non cambia la realtà, e il fatto che il mio
sangue, volente o nolente,
scorre anche nelle vostre vene. Dunque, perché non sfruttare
questa situazione
a vantaggio di entrambi?»
«Ciò
che forse voi vi ostinate a non voler capire è che io non ho
alcun bisogno dei
vostri soldi.» Ribattè Erik, compiaciuto per la
prima volta in quella serata. «Possiedo
un patrimonio che mi consentirebbe di vivere negli agi tanto e
più di voi, e
senza nessuno degli obblighi che il vostro rango potrebbe impormi. Per
quale
motivo dovrei abbandonare una simile posizione per accettarne una che
non
sarebbe in alcun modo vantaggiosa, per me?»
«La
fama e la reputazione non sono forse motivi sufficienti?»
Proruppe il duca,
riuscendo a stento a controllare l’ira che sembrava essere
passata da Erik a
lui in un battito di ciglia. «Inoltre, devo ricordarvi che a
Parigi esiste
ancora una taglia sulla vostra testa, Fantasma?»
«Non
osate servirvi di appellativi che non comprendete!»
Ringhiò Erik, sbattendo un
pugno sulla sua scrivania di duro mogano. Sentire quella parola sulle sue labbra era stata la classica goccia
che fa traboccare il vaso.
«Oh,
credevate che non ne fossi a conoscenza? Che illuso.» Lo
derise de Blanchard,
con un luccichio nello sguardo. «Come vi ho già
detto, Erik, conosco ogni cosa
di voi, so cosa avete fatto e dove siete stato negli ultimi nove anni.
Per un
momento ho temuto di dover coinvolgere anche i De Chagny in questa
faccenda, ma
noto con piacere che essi non hanno più nulla a che vedere
con voi. Il vostro
unico interesse sembra essere quello nei confronti di mademoiselle
Sanders, e
credetemi quando vi dico che non mi farò scrupoli ad
utilizzarlo a mio
vantaggio.»
«Vi
ho dedicato anche troppo del mio tempo.» Sibilò
l’altro, stringendo con forza i
pugni. «Non ho più voglia di ascoltare le vostre
vuote provocazioni. Se questo
è tutto ciò che avevate da dirmi, adesso siete
libero di andare. E spero mi
farete il piacere di non apparire più in mia
presenza.»
Il
duca si mise in piedi, reggendosi sul suo bastone ma mantenendo una
compostezza
rigida e regale che compensavano i suoi difetti fisici dovuti
all’età avanzata.
«State commettendo un grosso errore, Erik.» Lo
ammonì, stringendo gli occhi
grigi come la lama di un coltello e altrettanto pericolosi.
«Ricordate, io non
sono uno che si arrende al primo ostacolo: e dovreste saperlo, visto
che io e
voi siamo fatti della stessa tempra.»
«Probabilmente
questa è l’unica cosa che abbiamo in comune,
monsieur.» Ringhiò Erik, alzandosi
a sua volta e compiacendosi, in cuor suo, di sovrastare il vecchio
nobile in
altezza.
«Ricordate
che siete stato avvertito.» Insistè, prima di
indossare il cilindro e
sistemarsi la giacca. «Non disturbatevi ad accompagnarmi; so
perfettamente dove
si trova l’uscita. A presto, mio caro.»
Erik
lo osservò dirigersi alla porta del suo ufficio, aprirla e
richiuderla alle sue
spalle con un tonfo secco. Solo allora le sue spalle si rilassarono e
l’uomo si
abbandonò sulla sua sedia, versandosi un altro bicchiere
della sua acquavite.
«Addio,
De Blanchard.» Sussurrò, prima di berlo tutto
d’un fiato.
***
Quando
Giulia raggiunse l’abitazione di madame Giry era ormai
completamente fradicia a
causa della pioggia che non si era risparmiata neppure per un istante:
piuttosto
scioccamente non aveva neppure pensato a prendere un ombrello,
così il mantello
le gravava addosso zuppo di acqua. Afferrò il batacchio
sulla porta e bussò con
forza, sperando di attirare subito l’attenzione degli
abitanti della casa prima
che l’acqua le penetrasse fin dentro le ossa. Fu Meg stessa
ad aprirle, e la
giovane ballerina sussultò dal sollievo nel vedersi di
fronte l’amica.
«Oh,
mon Dieu! Giulia!»
Esclamò,
portandosi le mani alla bocca. Cercando di trattenere le lacrime la
prese poi
per un polso, attirandola velocemente dentro casa; si
affacciò sulla soglia per
dare un’occhiata alla strada come se avesse voluto accertarsi
che nessuno
l’avesse seguita, e dopo aver appurato che la via era del
tutto vuota richiuse
il portone dietro di sé. Si voltò verso
l’amica, prendendole il mantello
fradicio.
«Non
hai idea di quello che ho passato in queste settimane nel saperti
con… Oh, Dio,
se solo avessi potuto sarei corsa io stessa a portarti via, ma non
potevo,
Giulia, capisci? Non potevo! Mi è stato tassativamente
vietato di fare
qualsiasi cosa, e… In nome del Cielo, sei completamente
bagnata! Vieni, ti do
dei vestiti asciutti.» Non le diede quasi il tempo di
parlare, mentre la
trascinava al piano superiore non prima di aver chiesto alla cara
Agnese di
preparare un thè bollente per lei, che sembrava averne tanto
bisogno.
«Meg,
vuoi dire che tu sapevi dov’ero?»
Domandò alla fine, una volta al sicuro nella
loro stanza.
La
giovane Giry distolse lo sguardo, aprendo l’armadio e
perdendo tempo nella
scelta di un abito da casa adatto all’amica. Ma quando si
voltò nuovamente
verso di lei, l’espressione grave che dipingeva il suo viso,
solitamente
spensierato, fece comprendere a Giulia che presto avrebbe saputo
qualcosa di
più.
«Purtroppo
sì, ma chère,
lo sapevo. Lo sapevamo
tutti, mia madre per prima.» Esordì, parlando a
bassa voce. «Ma siamo state
costrette a non immischiarci in questa faccenda, per quanto mi
uccidesse
saperti nelle sue mani.»
«Dunque,
lo conoscete…» Mormorò
l’altra, tormentandosi le dita. Continuava a capirne
sempre meno, la soluzione di quell’enigma sembrava volerle
sfuggire in eterno.
«E perché, Meg… Perché non
me l’hai mai rivelato?»
Meg
sospirò, disperata. «Te l’ho detto, chèrie,
non potevo!» Si avvicinò a lei ed
iniziò a sbottonarle il corpetto bagnato,
gettandolo su di una poltrona e passando poi a slacciarle la gonna.
«Ce l’ha
impedito. Voleva essere lui a rivelarsi a te per primo, e…
credo che ci avrebbe
fatto del male, se non avessimo obbedito ai suoi ordini.»
Giulia
scosse la testa, incredula, sfilandosi la gonna e l’ampia
sottoveste. «No, non
è possibile… Il mio Maestro non potrebbe farvi
del male…» Balbettò, cercando di
convincersi.
Lo
sguardo della giovane Giry, piuttosto scettico, interruppe le deboli
scuse che
Giulia sembrava voler ad ogni costo trovare per giustificare il
comportamento
dell’uomo – aveva cessato da tempo di pensare a lui
come ad un’entità
incorporea proveniente dagli abissi infernali – che
l’aveva presa sotto le sue
ali. Aiutando l’amica ad asciugarsi con un ampio telo,
quindi, Meg riprese il
suo discorso, decidendo che avrebbe detto a Giulia tutto ciò
ch’ella aveva
bisogno di sapere.
«Ti
ricordi quello che ha raccontato Corinne, la notte che… che
sei scomparsa?»
Esordì, parlando istintivamente a bassa voce;
benchè non si trovassero tra le
mura del teatro, dove potevano essere spiate in qualsiasi luogo, le
abitudini
di discrezione erano dure da abbandonare.
Giulia
scosse la testa, frizionandosi i capelli. Meg proseguì.
«Ha
raccontato di essere stata aggredita dal Fantasma dell’Opera.
Rammenti che ne
abbiamo parlato, vero?» Domandò, e ad un cenno
affermativo dell’amica andò
avanti. «So che forse stenterai a crederci, ma questo fantasma esiste… E non
è altri che il tuo Maestro.»
A
quelle parole, improvvise come un getto d’acqua gelata,
Giulia si voltò di
scatto, fissando la Giry con uno sguardo a metà tra
l’incredulo e il
terrorizzato. «Stai scherzando, Meg?»
Mormorò, cercando nella sua espressione
qualcosa che le desse un altro tipo di risposta. «Le tue
amiche hanno parlato
del Fantasma come di un essere malvagio che si prende gioco di chi
è inferiore
a lui e che tenta di abusare di giovani ragazze sole! Il mio Maestro
non è
nulla di tutto questo!»
«E
tu come fai a saperlo, eh? Te l’ha detto lui?»
Sibilò Meg, afferrando l’amica per le spalle.
«Non puoi essere così ingenua da
credere a tutto ciò che esce dalla sua bocca! Ha incantato
anche te con la sua
musica, non è così? E ora pensi di conoscerlo, lo
difendi addirittura! Ti ha
solo mentito, Giulia, possibile che tu non lo capisca? Non sei curiosa
di
sapere cosa nasconde sotto la sua maschera? Io lo so, e ti assicuro che
non
potresti neanche immaginare l’orrore che vi è al
di sotto!»
Ma
Giulia si liberò da quella stretta, allontanandosi di
qualche passo dalla
ballerina. «Io so perfettamente com’è il
suo volto.» Ammise sottovoce,
tristemente. «E non ti chiederò come tu faccia a
saperlo. Ma visto che ne sei a
conoscenza, allora devo dire di essere molto delusa dal tuo
comportamento: non
credevo che fossi una di quelle altezzose fanciulle che giudicano
qualcuno solo
in base al loro aspetto!»
Ignorando
poi lo sguardo sorpreso di Meg, continuò con il suo sfogo.
«Lui può anche
avermi mentito sul fatto di essere o meno il Fantasma
dell’Opera, sempre che
una cosa simile sia vera, ma di certo è stato sincero fin da
subito sul fatto
di chi fosse, per me, e di come avesse intenzione di aiutarmi. Non come
voi,
Meg!» Aggiunse, trattenendo le lacrime. «Se
c’è qualcuno che mi ha mentito,
porta solo il nome di Giry! Voi avete sempre saputo il nome del guaio
in cui mi
stavo cacciando, ma non avete mai, mai!,
fatto nulla per impedirmelo. E adesso dovrei crederti quando dici che
di lui
non ci si può fidare? Non osare, Meg, non osare mai
più dirmi una cosa simile!»
Meg
era rimasta letteralmente senza parole. Indubbiamente non si aspettava
una
reazione simile da parte dell’amica: che fosse soggiogata da
lui non v’erano
dubbi, certo, ma da qui a proteggerlo anche quando si trovava al sicuro
dalla sua vista, come se fosse
effettivamente
convinta di ciò che stava dicendo… No, non poteva
comprenderla. Il Fantasma
dell’Opera era un assassino, questo era un semplice dato di
fatto: ma Giulia
non conosceva quella vicenda, d’altra parte, e forse, se
l’avesse saputa…
Magari poteva aprirle gli occhi e convincerla a non fidarsi
più di lui. Le
faceva male sapere che l’amica la considerava una traditrice
e una bugiarda, ma
purtroppo le sue parole erano vere. Se le avesse raccontato tutto dal
principio, adesso non sarebbero arrivate a tanto. Perciò,
con uno sguardo
addolorato e un leggero tremito delle mani, Meg andò a
sedersi sul bordo del
letto, invitando Giulia a fare altrettanto.
«Voglio
raccontarti ogni cosa riguardante la vicenda del Fantasma
dell’Opera, ma chère.»
Esordì piano, guardandola
seriamente negli occhi. «Quando sarai a conoscenza di tutto
quanto, allora potrai
giudicare tu stessa. Non voglio che mi consideri ancora una bugiarda,
perciò
non ti nasconderò più nulla. Spero solo che un
giorno tu possa perdonarmi.»
Giulia
annuì lentamente, gettandosi sulle spalle una vestaglia e
aspettando che
l’amica trovasse le parole giuste per iniziare il suo
racconto. In fondo aveva
paura di quello che poteva scoprire, ma ormai si era convinta che nulla
poteva
essere peggio di quello che era già accaduto.
«Bene,» cominciò, con un sospiro. «Avevo sette anni quando il Fantasma apparve per la prima volta nelle nostre vite: era il 1862, e fu mia madre a trovarlo…»
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AA - Angolo Autrice:
Ehilà! Come promesso, ecco a voi il capitolo 18 a tempo di record! Sono o non sono un genio? xD L'importante è crederci ù.ù
Comunque! Spero che questo capitolo sia all'altezza delle vostre aspettative, finalmente il velo di mistero sulla figura del Duca si è sollevato... E la mia domanda è: ve lo aspettavate?? =O Erik si, contro ogni previsione :D E adesso spetta a Meg rivelare tutto ciò che sa su di lui a Giulia, ma questo avverrà nel prossimo capitolo ù.ù
E ora passo alle recensioni:
Kenjina: Carissima! *_* Innanzitutto grazie mille per la recensione =* Comunque sono d’accordissimo con te, Erik non può comportarsi in questo modo ambiguo – è troppo lunatico ‘sto benedetto ragazzo! ù.ù Poi lo vorrei proprio vedere mentre cerca di saltarle addosso come un allupato, ahahah x’D Credo che uno di questi giorni manderò Erik a farsi un giretto al Moulin Rouge… Che tu sappia era già aperto nel 1877? ù.ù Scherzi a parte, sono felice che l’evoluzione della cosa ti stia piacendo *_* E spero che quest’ultimo capitolo non ti abbia fatto schifo! ^_^; Chissà se il duca è stato all’altezza delle tue aspettative?? [modalità Paranoia: ON] Mi dispiace non averti potuto dare un assaggio in anteprima, non ci siamo più incontrate su msn ç__ç ma per i prossimi capitoli recupererò ù.ù A proposito, tu a che punto sei??? *__* Fammi sapere *O* Un bacione chèrie, a presto! =*
Sydney bristow: Ehilà cara, grazie mille per la recensione! =* Eh lo so, Erik sta perdendo colpi, e mi dispiace per l’entrata in scena di Bamdad ma purtroppo è un male necessario ù.ù Corbezzoli, vai a vedere Love Never Dies??? ç___ç che tristezza, non sopravvivrò all’idea ç__ç Comunque divertiti, o come dicono gli inglesi, enjoy your stay :D Un bacione, al prossimo capitolo! =*
Keyra93: Ciao cara! Grazie per la recensione *_* Dunque, passiamo a noi: so bene che la faccenda degli specchi è un po’ forzata, forse, ma mi sembra che nel libro citi una cosa del genere, e siccome non avevo voglia di andare a controllare se effettivamente era così l’ho inventata a modo mio ù.ù Visto che l’elettricità ancora non era in pieno uso dovevo pensare a qualcosa che si adattasse al genio di Erik! Che poi non è neanche tanto impossibile visto che questo cristiano [cito le parole del libro] “concepiva un palazzo più o meno come un prestigiatore può immaginare uno scrigno truccato, e lo shah-in-shah gli commissionò una costruzione di questo genere, che Erik portò a compimento e che, a quanto pare, era così ingegnosa che Sua Maestà poteva passeggiare ovunque senza essere visto e sparire in modo davvero inspiegabile.” Ora, uno che inventa una cosa così non è capace di portarsi la luce in casa tramite due specchi? xD Comunque non voglio fare polemica e apprezzo il tuo tentativo di riportarmi con i piedi per terra, ma tanto ormai sono andata x°D Ah, un’altra cosa! In un’altra recensione mi avevi detto che ti dava fastidio il fatto che mi rivolgo a Erik come “Lui”, con la lettera maiuscola: non volevo certo essere blasfema, per carità! Semplicemente, se non erro anche nel libro lo cita in questo modo, per il semplice fatto che tutti hanno paura di lui e ne parlano come di un’entità sovrannaturale. Non preoccuparti di essere brusca, se c’è qualcosa che non ti convince tu chiedi e ti sarà dato! :D Farò sempre il possibile per soddisfare le vostre curiosità ù.ù Ancora grazie per le tue recensioni assidue, continua così! Ci sentiamo al prossimo capitolo, smack =*
Inoltre voglio ringraziare tutti coloro che leggono senza recensire, perchè è anche merito loro se continuo la storia - comunque non abbiate timore a farmi sapere ciò che ne pensate, soprattutto le critiche! Io non mordo, anzi, mi farebbe piacere ^^
E con questo vi saluto! Ci sentiamo al prossimo capitolo, ma per quello non vi faccio promesse temporali :(
Un bacione, a presto!
Rimango, signori, il vostro umile servo,
GiulyRedRose