Film > The Phantom of the Opera
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Autore: Niglia    28/08/2010    3 recensioni
Ottobre, 1878. Parigi.
Il Fantasma dell'Opera non è morto. Anzi, non è mai stato più deciso a vivere di adesso. Accompagnato da dei nuovi piani di vendetta, torna nella città dalla quale è stato costretto a fuggire due anni prima, un uomo vuoto, senz'anima, con solo un nome nella testa che lo spinge a tornare a Parigi, in quello stesso teatro che in fondo è sempre stato il suo regno, la sua casa, perchè non può essere altrimenti...
E così la storia sembra ripetersi, ma c'è sempre qualcosa con cui dimentichiamo di fare i calcoli; possibile che il Fantasma possa trovarsi di fronte ad una ragazza - incredibilmente somigliante alla sua antica musa - capace di risvegliare in lui quel qualcosa che credeva essere morto per sempre?
In uno strano miscuglio di passato e presente, la strana vicenda del Fantasma dell'Opera sembra continuare a stupire e terrorizzare anche attraverso il tempo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Erik/The Phantom, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chapitre 18

Dove diverse identità vengono rivelate

 

 

















 

 

 

 

 

 

 

 

«Mi chiedevo quando avreste trovato il coraggio di venire da me.» Esordì, facendogli cenno con una mano di entrare nell’ufficio. Il nobiluomo obbedì, richiudendo l’uscio e avvicinandosi ad una poltrona senza mai distogliere lo sguardo dal volto dell’essere mascherato ritto innanzi a lui.

«Siete esattamente come mi immaginavo, Erik. Avete gli stessi occhi di vostra madre.» Fu la prima cosa che disse, mentre piegava leggermente il capo da un lato come se avesse voluto meglio studiare l’aspetto del giovane.

Il Fantasma non potè fare a meno di trattenere una secca risata. «Non riesco a crederci! Questo è tutto ciò che avete da dire? Mi cercate da quasi dieci anni e la prima cosa che fate è trovare delle somiglianze tra me e quella disgraziata?»

Gli occhi del duca si strinsero allo stesso modo di quelli di Erik, come se a stento stesse trattenendo la furia. «Dunque sapevate che vi stavo cercando. Eppure non vi siete mai fatto vivo, per quale motivo?»

Erik non rispose subito. Si diresse con calma al mobile nel quale conservava i suoi liquori, prendendo due bicchieri e una bottiglia piena. «Gradite un bicchiere di Armagnac?» Domandò, ostentando gentilezza.

Il duca non si fece ammaliare. «Non sono venuto fin qui per bere, dovreste saperlo.» Sibilò.

«Peccato. Avremmo potuto celebrare come si deve questo gradito incontro…» Ironizzò, riempiendosi il bicchiere fino all’orlo e mettendo nuovamente il tappo alla bottiglia. «Alla vostra salute.»

«Non avete risposto alla mia domanda.» Ribadì l’altro, gelidamente. Non tollerava che qualcuno si prendesse gioco di lui così apertamente. Era un affronto al suo titolo e alla sua ambita posizione.

«Io e voi non abbiamo mai avuto nulla da spartire, monsieur­.» Rispose Erik col medesimo tono. «Quando ho saputo che mi stavate cercando vi ho lasciato fare, ma sappiate che avrei benissimo potuto… persuadervi… a lasciar perdere. Invece ho voluto vedere fin dove vi sareste spinto, e alla fine mi devo congratulare con voi – mi avete trovato. Sono pochi quelli che possono vantarsi di tanto successo.»

Sorseggiò un altro po’ della sua acquavite, poi proseguì. «Ma vi prego, permettetemi una curiosità.» Disse, giocherellando con lo stelo del bicchiere. «Tutta questa strada, tutti questi sforzi… Per che cosa? Per vedere con i vostri occhi quanto somiglio a quella povera donna di mia madre?»

«Quando avrete finito di fare del sarcasmo, allora forse vi darò una risposta.» Sibilò a denti stretti, stringendo con forza il pomo del suo bastone.

Il sorriso beffardo di Erik accentuò la sua irritazione, ma finse di non vederlo. «In tal caso, vi domando scusa per le mie scarse buone maniere. Vi prego, accomodatevi.» Disse, facendogli cenno di sedersi.

Per quanto avesse desiderato di rimanere in piedi e cercare di sovrastarlo con la sua mole psicologica, il duca fu costretto a cedere per via del suo fisico provato. Si sedette, mettendosi comodo per cercare di sembrare perfettamente a suo agio quasi quanto lo era il suo ospite.

«Sono venuto qui per discutere unicamente di affari, e mi auguro di aver trovato in voi un valido alleato.» Rispose, cercando di ignorare il modo che Erik aveva di osservarlo – sembrava quasi di vedere il proprio riflesso ad uno specchio, solo più giovane.

«Affari, dite?» Ribattè l’uomo, sedendosi a sua volta. «Avete tutta la mia attenzione. Per favore, andate avanti.»

A sentire quel tono pacato e distaccato, l’anziano duca si spazientì. «Suvvia, Erik! Non stancatemi con questo vostro atteggiamento! Sapete perfettamente chi sono e soprattutto cosa voglio da voi.»

Gli occhi di brace di Erik si strinsero nuovamente, mentre afferrava con forza il bicchiere come se avesse voluto spaccarlo con la mera pressione della sua mano. «Ma certo che so chi siete, monsieur! Tuttavia voglio che abbiate il coraggio di dirmelo chiaramente in faccia, da uomo a uomo.» Poi, come ripensandoci, aggiunse, velenoso: «Non vi chiederò come siate venuto a conoscenza del mio nome, anche se ne sono alquanto curioso dato che praticamente nessuno lo conosce.»

Allora fu la volta del duca di sorridere, con sadica voluttà. «Oh, Erik, ogni padre conosce il nome del proprio figlio.»

Il bicchiere vuoto venne sbattuto violentemente sul pesante legno della scrivania, facendo tremare le stilografiche e le boccette d’inchiostro che vi erano disposte sopra. De Blanchard non sussultò, dimostrando una padronanza di sé maggiore rispetto a quella dell’impulsivo direttore, ma al contrario il suo sorriso si allargò se possibile ancora di più. «Bene, sembra che abbiate finalmente compreso la portata dell’affare che voglio proporvi.»

Erik alzò furioso gli occhi su di lui, cercando mentalmente un buon motivo per non aggredirlo. «Dunque vi siete svelato, alla fine. Sapevo che i miei sospetti erano fondati.» Mormorò, stringendo i pugni.

«Lo sospettavate? Oh, immaginavo. Il vostro genio dev’essere più superbo di quello che dicono.» Disse, con marcata derisione. «E adesso che tutte le carte sono state scoperte, sono io a chiedervi di mettervi comodo e di ascoltare ciò che ho da dire.» Aggiunse, sentendosi nuovamente padrone della situazione.

Erik si sedette a sua volta, giungendo le mani davanti al volto e guardandolo con ira. «Vi ascolto.»

«La faccenda è molto più semplice di quello che sembra. La duchessa de Blanchard è morta quattordici anni fa a causa della tubercolosi, lasciandomi senza neanche un figlio. Come di certo saprete, se l’ultimo erede di un casato nobiliare non ha nessuno cui lasciare il suo nome e le sue ricchezze, esse verranno assorbite dalla Repubblica, che le userà per i suoi scopi… Immaginate, secoli di sangue blu, di lotte per il potere, di tesori accumulati che si disperdono nel vento come se non fossero mai esistite.» La sua voce si indurì al solo pensiero, e il suo sguardo si perse verso un punto indefinito. «Io sono vecchio, la mia vita è quasi giunta al termine e non ho nessun erede legittimo. Sposarsi nuovamente è fuori discussione, non voglio assumermi una simile responsabilità alla mia età. Ed è qui, Erik, che entrate in gioco voi.»

Riportò nuovamente gli occhi sul Fantasma, sperando ch’egli dicesse qualcosa che gli facesse intendere che aveva compreso – e soprattutto che apprezzava – l’idea che gli stava frullando in testa. Ma monsieur Destler rimase ostinatamente in silenzio, sostenendo il suo sguardo senza battere ciglio per invitarlo in una muta sfida a concludere il suo discorso.

Con un breve sospiro, il duca si accinse a continuare. «Voi siete mio figlio, Erik. Siete il frutto di una relazione clandestina che io ebbi in gioventù con una bellissima contadina di nome Madeleine Cochois, e pertanto il mio sangue scorre nelle vostre vene. Ancora non capite? Siete voi il mio erede! Questo è l’affare che vi propongo: alla mia morte, voi erediterete tutti i miei possedimenti e un titolo che vi spetta di diritto, con l’unica clausola di poter perpetuare il nome di questo casato ancora per lungo tempo.»

L’anziano duca tacque, in attesa che il figlio che aveva appena ritrovato lo ringraziasse per l’enorme opportunità che gli stava offrendo – non si aspettava né desiderava alcuna manifestazione d’affetto, dato che si trattava di una mera contrattazione d’affari e non di una piacevole riunione familiare.

Ma dal gelido Fantasma dell’Opera non ebbe nulla di tutto questo.

«Che cosa vi fa pensare che io voglia accettare tutto questo?» Sibilò infatti quest’ultimo, stringendo gli occhi. «La sola risposta che avrete da me è no, nel modo più assoluto

«Voi non capite cosa vi sto offrendo!» Esclamò allora il duca, sconvolto, sbattendo il bastone sul pavimento.

Erik non si lasciò turbare dalla sua reazione. «Au contraire, lo comprendo perfettamente.» Ribattè, ostentando tranquillità per celare la rabbia. «Ma ciò non mi obbliga ad accettare la vostra offerta. Per un semplice e misero dettaglio, monsieur, al di là del fatto che non ho nessun interesse nell’aiutarvi, e cioè che io verrei meno alla mia parte dell’accordo: vedete, non credo che sarò in grado di perpetuare il vostro nome, e il vostro prezioso casato cesserà comunque di esistere insieme a me.»

Negli occhi del nobiluomo passò un guizzo malizioso che a Erik non piacque per niente. «Mi state dicendo che quella deliziosa cantante, mademoiselle Sanders se non erro, non è la vostra promessa?»

«Come diavolo…?» Sbottò il Fantasma, prima di essere nuovamente interrotto.

«Come faccio a saperlo?» Disse con un ghigno, concludendo per lui la domanda. «Voi credevate forse di avermi tenuto sotto controllo per tutto questo tempo, ma in realtà anch’io ho fatto lo stesso con voi. Dovevo pur conoscere il mio erede.»

«Vi ho già detto che io non sarò il vostro erede.» Ringhiò Erik, stringendo i pugni talmente tanto forte che le nocche sbiancarono.

Il sorriso di monsieur de Lescroart divenne più tangibile. «Non mi avete risposto, comunque. Mademoiselle Sanders è o no la vostra fidanzata?»

«Tutto ciò non ha nulla a che vedere con voi.» Replicò, piuttosto irritato. «Ad ogni modo, mademoiselle non è nulla di tutto questo. Lei è soltanto la mia allieva, sono stato io ad istruirla nel canto.»

L’altro annuì, compiaciuto. «E avete fatto un ottimo lavoro. La sua voce è celestiale.»

«Se pensate che questa conversazione possa portarvi da qualche parte, monsieur, allora vi state sbagliando.» Ci tenne a precisare, guardandolo dritto negli occhi di un azzurro glaciale. «Vi ho già detto tutto quello che volevate: da me non otterrete altro.»

Le dita sottili del duca si strinsero maggiormente attorno al pomo del suo bastone da passeggio. «Se posso permettermi, Erik, vi consiglio di fare in modo che questa non sia la vostra ultima parola.»

Se c’era una cosa che il Fantasma dell’Opera non tollerava, erano le minacce rivolte alla sua persona o a coloro che gli appartenevano. Pertanto, le ultime e taglienti parole del duca non fecero che alimentare ancora di più la sua furia e la sua indignazione, e se avesse potuto avrebbe accarezzato l’idea di mettere a tacere quel vecchio pazzo con il suo fidato laccio del Punjab.

«A voi, che avete l’ardire di minacciare me, voglio consigliare di non sottovalutare troppo la mia intelligenza – non avete nessuna idea di quello che sono capace di fare.» Sibilò, guardandolo sempre dritto negli occhi come si fa in un duello, quando non si abbassa lo sguardo per timore che l’avversario possa colpire a tradimento. «Potrei lasciarvi in vita abbastanza a lungo per uscire dal mio teatro, ma non per cercarvi un altro erede. Perciò, badate bene al tono che usate per rivolgervi a me.»

Sulle labbra dell’anziano duca passò un ghigno sardonico e derisorio. «In un’altra situazione vi avrei fatto frustare per il tono irrispettoso che state usando nei confronti di vostro padre.»

Tutte quelle insinuazioni sul loro – a suo avviso – inesistente legame di sangue non facevano che innervosirlo sempre di più. «Credo di avervi già fatto capire che io non mi considero vostro figlio.»

«Oh, voi potete pensare ciò che più vi aggrada», replicò, per nulla impressionato. «Ma ciò non cambia la realtà, e il fatto che il mio sangue, volente o nolente, scorre anche nelle vostre vene. Dunque, perché non sfruttare questa situazione a vantaggio di entrambi?»

«Ciò che forse voi vi ostinate a non voler capire è che io non ho alcun bisogno dei vostri soldi.» Ribattè Erik, compiaciuto per la prima volta in quella serata. «Possiedo un patrimonio che mi consentirebbe di vivere negli agi tanto e più di voi, e senza nessuno degli obblighi che il vostro rango potrebbe impormi. Per quale motivo dovrei abbandonare una simile posizione per accettarne una che non sarebbe in alcun modo vantaggiosa, per me?»

«La fama e la reputazione non sono forse motivi sufficienti?» Proruppe il duca, riuscendo a stento a controllare l’ira che sembrava essere passata da Erik a lui in un battito di ciglia. «Inoltre, devo ricordarvi che a Parigi esiste ancora una taglia sulla vostra testa, Fantasma

«Non osate servirvi di appellativi che non comprendete!» Ringhiò Erik, sbattendo un pugno sulla sua scrivania di duro mogano. Sentire quella parola sulle sue labbra era stata la classica goccia che fa traboccare il vaso.

«Oh, credevate che non ne fossi a conoscenza? Che illuso.» Lo derise de Blanchard, con un luccichio nello sguardo. «Come vi ho già detto, Erik, conosco ogni cosa di voi, so cosa avete fatto e dove siete stato negli ultimi nove anni. Per un momento ho temuto di dover coinvolgere anche i De Chagny in questa faccenda, ma noto con piacere che essi non hanno più nulla a che vedere con voi. Il vostro unico interesse sembra essere quello nei confronti di mademoiselle Sanders, e credetemi quando vi dico che non mi farò scrupoli ad utilizzarlo a mio vantaggio.»

«Vi ho dedicato anche troppo del mio tempo.» Sibilò l’altro, stringendo con forza i pugni. «Non ho più voglia di ascoltare le vostre vuote provocazioni. Se questo è tutto ciò che avevate da dirmi, adesso siete libero di andare. E spero mi farete il piacere di non apparire più in mia presenza.»

Il duca si mise in piedi, reggendosi sul suo bastone ma mantenendo una compostezza rigida e regale che compensavano i suoi difetti fisici dovuti all’età avanzata. «State commettendo un grosso errore, Erik.» Lo ammonì, stringendo gli occhi grigi come la lama di un coltello e altrettanto pericolosi. «Ricordate, io non sono uno che si arrende al primo ostacolo: e dovreste saperlo, visto che io e voi siamo fatti della stessa tempra.»

«Probabilmente questa è l’unica cosa che abbiamo in comune, monsieur.» Ringhiò Erik, alzandosi a sua volta e compiacendosi, in cuor suo, di sovrastare il vecchio nobile in altezza.

«Ricordate che siete stato avvertito.» Insistè, prima di indossare il cilindro e sistemarsi la giacca. «Non disturbatevi ad accompagnarmi; so perfettamente dove si trova l’uscita. A presto, mio caro.»

Erik lo osservò dirigersi alla porta del suo ufficio, aprirla e richiuderla alle sue spalle con un tonfo secco. Solo allora le sue spalle si rilassarono e l’uomo si abbandonò sulla sua sedia, versandosi un altro bicchiere della sua acquavite.

«Addio, De Blanchard.» Sussurrò, prima di berlo tutto d’un fiato.

 

 

 

 

***

 

 

 

Quando Giulia raggiunse l’abitazione di madame Giry era ormai completamente fradicia a causa della pioggia che non si era risparmiata neppure per un istante: piuttosto scioccamente non aveva neppure pensato a prendere un ombrello, così il mantello le gravava addosso zuppo di acqua. Afferrò il batacchio sulla porta e bussò con forza, sperando di attirare subito l’attenzione degli abitanti della casa prima che l’acqua le penetrasse fin dentro le ossa. Fu Meg stessa ad aprirle, e la giovane ballerina sussultò dal sollievo nel vedersi di fronte l’amica.

«Oh, mon Dieu! Giulia!» Esclamò, portandosi le mani alla bocca. Cercando di trattenere le lacrime la prese poi per un polso, attirandola velocemente dentro casa; si affacciò sulla soglia per dare un’occhiata alla strada come se avesse voluto accertarsi che nessuno l’avesse seguita, e dopo aver appurato che la via era del tutto vuota richiuse il portone dietro di sé. Si voltò verso l’amica, prendendole il mantello fradicio.

«Non hai idea di quello che ho passato in queste settimane nel saperti con… Oh, Dio, se solo avessi potuto sarei corsa io stessa a portarti via, ma non potevo, Giulia, capisci? Non potevo! Mi è stato tassativamente vietato di fare qualsiasi cosa, e… In nome del Cielo, sei completamente bagnata! Vieni, ti do dei vestiti asciutti.» Non le diede quasi il tempo di parlare, mentre la trascinava al piano superiore non prima di aver chiesto alla cara Agnese di preparare un thè bollente per lei, che sembrava averne tanto bisogno.

«Meg, vuoi dire che tu sapevi dov’ero?» Domandò alla fine, una volta al sicuro nella loro stanza.

La giovane Giry distolse lo sguardo, aprendo l’armadio e perdendo tempo nella scelta di un abito da casa adatto all’amica. Ma quando si voltò nuovamente verso di lei, l’espressione grave che dipingeva il suo viso, solitamente spensierato, fece comprendere a Giulia che presto avrebbe saputo qualcosa di più.

«Purtroppo sì, ma chère, lo sapevo. Lo sapevamo tutti, mia madre per prima.» Esordì, parlando a bassa voce. «Ma siamo state costrette a non immischiarci in questa faccenda, per quanto mi uccidesse saperti nelle sue mani.»

«Dunque, lo conoscete…» Mormorò l’altra, tormentandosi le dita. Continuava a capirne sempre meno, la soluzione di quell’enigma sembrava volerle sfuggire in eterno. «E perché, Meg… Perché non me l’hai mai rivelato?»

Meg sospirò, disperata. «Te l’ho detto, chèrie, non potevo!» Si avvicinò a lei ed iniziò a sbottonarle il corpetto bagnato, gettandolo su di una poltrona e passando poi a slacciarle la gonna. «Ce l’ha impedito. Voleva essere lui a rivelarsi a te per primo, e… credo che ci avrebbe fatto del male, se non avessimo obbedito ai suoi ordini.»

Giulia scosse la testa, incredula, sfilandosi la gonna e l’ampia sottoveste. «No, non è possibile… Il mio Maestro non potrebbe farvi del male…» Balbettò, cercando di convincersi.

Lo sguardo della giovane Giry, piuttosto scettico, interruppe le deboli scuse che Giulia sembrava voler ad ogni costo trovare per giustificare il comportamento dell’uomo – aveva cessato da tempo di pensare a lui come ad un’entità incorporea proveniente dagli abissi infernali – che l’aveva presa sotto le sue ali. Aiutando l’amica ad asciugarsi con un ampio telo, quindi, Meg riprese il suo discorso, decidendo che avrebbe detto a Giulia tutto ciò ch’ella aveva bisogno di sapere.

«Ti ricordi quello che ha raccontato Corinne, la notte che… che sei scomparsa?» Esordì, parlando istintivamente a bassa voce; benchè non si trovassero tra le mura del teatro, dove potevano essere spiate in qualsiasi luogo, le abitudini di discrezione erano dure da abbandonare.

Giulia scosse la testa, frizionandosi i capelli. Meg proseguì.

«Ha raccontato di essere stata aggredita dal Fantasma dell’Opera. Rammenti che ne abbiamo parlato, vero?» Domandò, e ad un cenno affermativo dell’amica andò avanti. «So che forse stenterai a crederci, ma questo fantasma esiste… E non è altri che il tuo Maestro.»

A quelle parole, improvvise come un getto d’acqua gelata, Giulia si voltò di scatto, fissando la Giry con uno sguardo a metà tra l’incredulo e il terrorizzato. «Stai scherzando, Meg?» Mormorò, cercando nella sua espressione qualcosa che le desse un altro tipo di risposta. «Le tue amiche hanno parlato del Fantasma come di un essere malvagio che si prende gioco di chi è inferiore a lui e che tenta di abusare di giovani ragazze sole! Il mio Maestro non è nulla di tutto questo!»

«E tu come fai a saperlo, eh? Te l’ha detto lui?» Sibilò Meg, afferrando l’amica per le spalle. «Non puoi essere così ingenua da credere a tutto ciò che esce dalla sua bocca! Ha incantato anche te con la sua musica, non è così? E ora pensi di conoscerlo, lo difendi addirittura! Ti ha solo mentito, Giulia, possibile che tu non lo capisca? Non sei curiosa di sapere cosa nasconde sotto la sua maschera? Io lo so, e ti assicuro che non potresti neanche immaginare l’orrore che vi è al di sotto!»

Ma Giulia si liberò da quella stretta, allontanandosi di qualche passo dalla ballerina. «Io so perfettamente com’è il suo volto.» Ammise sottovoce, tristemente. «E non ti chiederò come tu faccia a saperlo. Ma visto che ne sei a conoscenza, allora devo dire di essere molto delusa dal tuo comportamento: non credevo che fossi una di quelle altezzose fanciulle che giudicano qualcuno solo in base al loro aspetto!»

Ignorando poi lo sguardo sorpreso di Meg, continuò con il suo sfogo. «Lui può anche avermi mentito sul fatto di essere o meno il Fantasma dell’Opera, sempre che una cosa simile sia vera, ma di certo è stato sincero fin da subito sul fatto di chi fosse, per me, e di come avesse intenzione di aiutarmi. Non come voi, Meg!» Aggiunse, trattenendo le lacrime. «Se c’è qualcuno che mi ha mentito, porta solo il nome di Giry! Voi avete sempre saputo il nome del guaio in cui mi stavo cacciando, ma non avete mai, mai!, fatto nulla per impedirmelo. E adesso dovrei crederti quando dici che di lui non ci si può fidare? Non osare, Meg, non osare mai più dirmi una cosa simile!»

Meg era rimasta letteralmente senza parole. Indubbiamente non si aspettava una reazione simile da parte dell’amica: che fosse soggiogata da lui non v’erano dubbi, certo, ma da qui a proteggerlo anche quando si trovava al sicuro dalla sua vista, come se fosse effettivamente convinta di ciò che stava dicendo… No, non poteva comprenderla. Il Fantasma dell’Opera era un assassino, questo era un semplice dato di fatto: ma Giulia non conosceva quella vicenda, d’altra parte, e forse, se l’avesse saputa… Magari poteva aprirle gli occhi e convincerla a non fidarsi più di lui. Le faceva male sapere che l’amica la considerava una traditrice e una bugiarda, ma purtroppo le sue parole erano vere. Se le avesse raccontato tutto dal principio, adesso non sarebbero arrivate a tanto. Perciò, con uno sguardo addolorato e un leggero tremito delle mani, Meg andò a sedersi sul bordo del letto, invitando Giulia a fare altrettanto.

«Voglio raccontarti ogni cosa riguardante la vicenda del Fantasma dell’Opera, ma chère.» Esordì piano, guardandola seriamente negli occhi. «Quando sarai a conoscenza di tutto quanto, allora potrai giudicare tu stessa. Non voglio che mi consideri ancora una bugiarda, perciò non ti nasconderò più nulla. Spero solo che un giorno tu possa perdonarmi.»

Giulia annuì lentamente, gettandosi sulle spalle una vestaglia e aspettando che l’amica trovasse le parole giuste per iniziare il suo racconto. In fondo aveva paura di quello che poteva scoprire, ma ormai si era convinta che nulla poteva essere peggio di quello che era già accaduto.

«Bene,» cominciò, con un sospiro. «Avevo sette anni quando il Fantasma apparve per la prima volta nelle nostre vite: era il 1862, e fu mia madre a trovarlo…»




















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AA - Angolo Autrice:
Ehilà! Come promesso, ecco a voi il capitolo 18 a tempo di record! Sono o non sono un genio? xD L'importante è crederci ù.ù
Comunque! Spero che questo capitolo sia all'altezza delle vostre aspettative, finalmente il velo di mistero sulla figura del Duca si è sollevato... E la mia domanda è: ve lo aspettavate?? =O Erik si, contro ogni previsione :D E adesso spetta a Meg rivelare tutto ciò che sa su di lui a Giulia, ma questo avverrà nel prossimo capitolo ù.ù
E ora passo alle recensioni:

Kenjina: Carissima! *_* Innanzitutto grazie mille per la recensione =* Comunque sono d’accordissimo con te, Erik non può comportarsi in questo modo ambiguo – è troppo lunatico ‘sto benedetto ragazzo! ù.ù Poi lo vorrei proprio vedere mentre cerca di saltarle addosso come un allupato, ahahah x’D Credo che uno di questi giorni manderò Erik a farsi un giretto al Moulin Rouge… Che tu sappia era già aperto nel 1877? ù.ù Scherzi a parte, sono felice che l’evoluzione della cosa ti stia piacendo *_* E spero che quest’ultimo capitolo non ti abbia fatto schifo! ^_^; Chissà se il duca è stato all’altezza delle tue aspettative?? [modalità Paranoia: ON] Mi dispiace non averti potuto dare un assaggio in anteprima, non ci siamo più incontrate su msn ç__ç ma per i prossimi capitoli recupererò ù.ù A proposito, tu a che punto sei??? *__* Fammi sapere *O* Un bacione chèrie, a presto! =*

Sydney bristow: Ehilà cara, grazie mille per la recensione! =* Eh lo so, Erik sta perdendo colpi, e mi dispiace per l’entrata in scena di Bamdad ma purtroppo è un male necessario ù.ù Corbezzoli, vai a vedere Love Never Dies??? ç___ç che tristezza, non sopravvivrò all’idea ç__ç Comunque divertiti, o come dicono gli inglesi, enjoy your stay :D Un bacione, al prossimo capitolo! =*

Keyra93: Ciao cara! Grazie per la recensione *_* Dunque, passiamo a noi: so bene che la faccenda degli specchi è un po’ forzata, forse, ma mi sembra che nel libro citi una cosa del genere, e siccome non avevo voglia di andare a controllare se effettivamente era così l’ho inventata a modo mio ù.ù Visto che l’elettricità ancora non era in pieno uso dovevo pensare a qualcosa che si adattasse al genio di Erik! Che poi non è neanche tanto impossibile visto che questo cristiano [cito le parole del libro] “concepiva un palazzo più o meno come un prestigiatore può immaginare uno scrigno truccato, e lo shah-in-shah gli commissionò una costruzione di questo genere, che Erik portò a compimento e che, a quanto pare, era così ingegnosa che Sua Maestà poteva passeggiare ovunque senza essere visto e sparire in modo davvero inspiegabile.” Ora, uno che inventa una cosa così non è capace di portarsi la luce in casa tramite due specchi? xD Comunque non voglio fare polemica e apprezzo il tuo tentativo di riportarmi con i piedi per terra, ma tanto ormai sono andata x°D Ah, un’altra cosa! In un’altra recensione mi avevi detto che ti dava fastidio il fatto che mi rivolgo a Erik come “Lui”, con la lettera maiuscola: non volevo certo essere blasfema, per carità! Semplicemente, se non erro anche nel libro lo cita in questo modo, per il semplice fatto che tutti hanno paura di lui e ne parlano come di un’entità sovrannaturale. Non preoccuparti di essere brusca, se c’è qualcosa che non ti convince tu chiedi e ti sarà dato! :D Farò sempre il possibile per soddisfare le vostre curiosità ù.ù Ancora grazie per le tue recensioni assidue, continua così! Ci sentiamo al prossimo capitolo, smack =*

Inoltre voglio ringraziare tutti coloro che leggono senza recensire, perchè è anche merito loro se continuo la storia - comunque non abbiate timore a farmi sapere ciò che ne pensate, soprattutto le critiche! Io non mordo, anzi, mi farebbe piacere ^^ 

E con questo vi saluto! Ci sentiamo al prossimo capitolo, ma per quello non vi faccio promesse temporali :( 

Un bacione, a presto!

Rimango, signori, il vostro umile servo,

GiulyRedRose

 

   
 
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