Capitolo
16
La festa di
plenilunio rappresentava l’ultimo giorno di sosta prima di trasferirsi altrove,
per l’Ombra. Anche dopo la morte improvvisa di Nhat, Gammon aveva deciso di non
posticipare la partenza e aveva dato l’ordine di sistemare l’accampamento per
la festa.
Tseng guardava
il centro della piazza, dove alcuni ragazzi, tra cui Loi e James, stavano
sistemando alcune fiaccole agli angoli di un quadrato disegnato a terra. Quello
doveva essere il famoso ring dove si sarebbe svolto il combattimento di cui gli
aveva parlato Nhatan. Sembrava un po’ troppo casalingo, ma solo perché l’occhio
di Tseng era abituato all’alta tecnologia della ShinRa.
Il Turk vide
Sephiroth vagare intorno alla tenda di Gammon, con aria assorta.
Nara stava
accatastando la legna per il falò giusto a pochi metri di distanza dal ring,
mentre
Shon gli correva
dietro con un accendino in mano. Forse voleva venderglielo, perché vide Nara
fare una faccia che spaventò Shon a tal punto, da spingerlo a cambiare
direzione. Solo allora Tseng notò Uriah,
in disparte. Sembrava molto pensieroso. Quando Shon gli si avvicinò per dirgli
qualcosa annuì, e insieme entrarono nella tenda-negozio.
Non c’era
traccia di Helinor da nessuna parte. Erano tre giorni che quella ragazza era
latitante.
Più o meno da
quando Tseng aveva tentato di mettersi di nuovo in contatto con Verdot,
fallendo. Il GPS non funzionava più, la batteria era esaurita.
Tseng guardò
l’orologio. Erano le undici e mezza. Si era quasi abituato a stare in quel
posto, era quasi strano pensare che quella sera la missione sarebbe terminata
definitivamente. Ancora qualche ora, e l’Ombra non sarebbe più esistita.
Chissà cosa
sarebbe successo...
Alzò lo sguardo
al cielo azzurro. Quella pace non sarebbe durata a lungo.
(...)
-Hai visto
Helinor per caso?- domandò Gofna a Sephiroth, non appena lo vide apparire
vicino alla tenda di Gammon.
Sephiroth scosse
la testa, ma non le disse che la stava cercando anche lui.-Sono tre giorni che
non la vedo.-
Gofna sospirò,
affranta.-Mi aveva promesso che sarebbe stata con me prima della festa...-
-Io mantengo
sempre le promesse, non lo sai?- disse una voce rauca e stanca alle loro
spalle.
Sephiroth e
Gofna si voltarono. Dietro di loro c’era Helinor, con il viso sporco di terra e
un bel taglio sanguinante sulla fronte.
-Dove sei
stata?!- gridò Gofna, arretrando alla vista del sangue.
Helinor sorrise
e si passò una mano sulla fronte, poi la guardò e disse:-Non me ne ero accorta...
non volevo spaventarti...-
-Dove vai tutta
sporca in quel modo?!- squittì Gofna, inorridendo.-E sudata, anche!-
-Mi sono
allenata- tagliò corto la ragazza.
Sephiroth notò
che i pantaloni erano strappati all’altezza delle ginocchia. Un segno di artigli,
e la pelle era stata lacerata insieme alla stoffa sporca. I suoi occhi corsero
dalle gambe alle braccia di Helinor e si fermarono in un punto preciso. Stette
in silenzio ad osservare il sangue colare dall’avambraccio destro fino alla
mano.
-Ma dove sei
andata?! Guarda come ti sei ridotta!!!- la rimproverò Gofna, mettendosi le mani
sui fianchi.-Guarda che Nhat non c’è più! Non farti del male in questo modo!
Aspetta! Ti curo io... vado a prendere del disinfettante. Sai, me la cavo
piuttosto bene come medico! Mia madre mi ha insegnato un sacco di cose utili!-
e corse via trotterellando allegramente.
Helinor si morse
il labbro inferiore con i denti e cercò di evitare lo sguardo indifferente di
Sephiroth. Si immaginava che dietro quella maschera di compostezza, lui la
stesse rimproverando.
-Sei ferita.-
Constatò Sephiroth.
-Se vuoi dirmi
qualcosa fallo, perché devo andare...-
Lui alzò le
spalle.-Niente. Tu non sei un mio subordinato, e anche se lo fossi, saresti
comunque libera di decidere cosa fare del tuo corpo. Sei stata nel deserto,
vero?-
-Già. Lì i
mostri sono tanti- disse Helinor, scostandosi la frangia spettinata dagli
occhi.-E poi posso allenarmi senza avere paura di ferirli.-
-Ho capito. Ci
vai tutti i giorni?- domandò Sephiroth, più per curiosità che altro.
Helinor annuì
con vigore.-Mi diverte stare sotto il sole...-
-Anche farti
sbranare, a quanto pare- replicò ironicamente il Soldier, indicando lo strappo
ai pantaloni. Lei sorrise furbetta.-Ne hai di fegato... combattere con quel
pugnale da due soldi...-
-Non è un
pugnale da due soldi, ma un’arma resistente e versatile!- esclamò Helinor,
irritata.-Pensa per te, con quella katana enorme!-
Sephiroth
sorrise con evidente sarcasmo.-Perché non la provi, una volta di queste?
Scommetto che non riusciresti a brandirla neanche con cinque anni di
allenamenti...-
-Lo dici tu!-
gli buttò in faccia Helinor.- Io posso fare qualsiasi cosa, capito?!- e scoppiò
a ridere con arroganza.
Dall’ultima “ah”
lugubre della sua risata, Sephiroth capì che Helinor doveva essere a pezzi sia
fisicamente che psicologicamente. Forse lei non se n’era accorta, ma la sua
risata assumeva un suono diverso ogni volta che cercava di nascondere qualcosa.
Se si stava attenti, si potevano capire i suoi veri sentimenti. Inutile
guardarla negli occhi, era troppo abituata a recitare per trovarvi qualcosa che
lei non volesse trasmettere di sua volontà.
-Stasera sarà
tutto finito- disse Sephiroth, pensando che il motivo della sua preoccupazione
fosse l’imminente irruzione della ShinRa.
Lei smise immediatamente
di ridere.-Lo so.-
Spero che i Soldier arrivino prima della fine del
combattimento tra Nara e Uriah...
-Helinor... tu
hai idea di chi sia tuo padre?- domandò Sephiroth all’improvviso. Non voleva
gettare la discussione sul passato della ragazza, ma la storia di Karima era
ancora troppo confusa per un perfezionista come lui.
-No!- esclamò
Helinor, tranquillamente.-Credo che sia di questo posto, però. Considerando che
mia madre abitava ancora qui, diciassette anni fa...-
Sephiroth annuì.
-Perché lo
volevi sapere?-
-Niente, solo
curiosità.-
Helinor lo fissò
per qualche istante, poi gli sorrise di nuovo e disse:-Adesso devo andare.
Queste ferite iniziano a bruciarmi.-
-Certo... ci
vediamo stasera...- rispose Sephiroth, guardando a terra con aria
impenetrabile.
-Ciao...- fece
Helinor, prima di scappare via.
Sephiroth girò
sui tacchi e andò da qualche altra parte ad informarsi sulla festa.
Era stato Taiji
a cedere la propria tenda a Gofna, in modo che potesse sistemarsi al meglio.
Lui era andato a dormire insieme ad un quanto mai contrariato Uriah.
La piccola tenda
era stata personalizzata con ogni accessorio che Gofna era stata capace di
recuperare tra le cianfrusaglie di Shon. Mazzolini di finti fiori rosa, un
sacco a pelo verde chiaro e una buona dose di ghirlande spelacchiate a causa
del troppo uso. Roba vecchia, ma che Gofna aveva saputo apprezzare.
La bionda aveva
dovuto faticare un bel po’ prima di riuscire a convincere Helinor a togliersi i
pantaloni, ma alla fine era riuscita ad ottenere una resa.
-Ecco, stai
ferma così...- disse Gofna, mentre imbrattava di disinfettante un batuffolo
d’ovatta.-L’ho trovato nella tenda di Nhat, quindi è un rimedio testato.-
-Ok, ok. Fai in
fretta, però- protestò Helinor, mentre Gofna le tamponava la ferita alla
gamba.-Fa male, sai?!-
Gofna conticchiò
un motivo allegro mentre puliva i graffi di Helinor, poi prese un po’ di bende
e le fasciò la gamba.-Fatto!!- esclamò soddisfatta. Buttò a terra l’ovatta e ne
prese dell’altra.-Adesso facciamo qualcosa per quella brutta ferita sul
braccio!-
Helinor le porse
l’avambraccio con stizza e rassegnazione.-Ma fai piano! Mi fa male!-
-Quanto sei
lagnosa!- esclamò Gofna, mentre prendeva il secchio d’acqua e bagnava un po’
d’ovatta per ripulire il braccio dal sangue.-Dovresti ringraziarmi, sai? E poi
a me tutto questo pomodoro fa impressione...- miagolò.
-Non è pomodoro,
è sangue!- disse Helinor, ritraendo leggermente il braccio quando Gofna posò
l’ovatta sulla ferita.
-Io lo chiamo
pomodoro. È rosso uguale, no?-
-Non proprio-
sospirò Helinor, rassegnata.-Chiamalo come ti pare... anzi, fai finta che sia
pomodoro, così non ti impressioni.-
-Bene!- disse
Gofna, sollevata.-Adesso non muoverti che disinfetto la ferita...-
Helinor soffocò
i gemiti che le salivano alla gola. Le mani Gofna erano piuttosto pesanti, e la
ferita le bruciava maledettamente. Si morse il labbro.
Gofna intanto
aveva ripreso a canticchiare. Fichiettò per qualche istante, poi si interruppe
e passò l’ovatta sul taglio. Fuoriusciva ancora un rivolo di sangue rosso.
-Qualcosa non
va?- domandò Helinor, quando notò che Gofna si era bloccata.
-Tu hai ucciso
delle persone?- chiese Gofna improvvisamente.
Helinor fece
roteare gli occhi, scocciata.-Sì- disse, tagliente.
-E... usciva
tutto questo pomodoro?-
La ragazza
castana sorrise dolcemente e le posò la mano libera sulla testa.-Se ferisci una
persona a morte, esce molto più sangue...-
-Anche da mio
padre?-
Helinor
deglutì.-Sì.-
-Io non ho mai
visto una persona morire- disse Gofna.-Quando sono arrivata a casa, mamma era
già... era già... andata via.-
-Non
preoccuparti, Gofna- disse Helinor in tono spento.-Non pensare a queste cose.-
Gofna annuì e
continuò a medicare la ferita.
Helinor sospirò.
Gofna doveva stare molto male per la perdita dei suoi genitori. La sentì un po’
più vicina, e per un attimo si sentì meno sola. Forse anche Gofna provò la
stessa cosa, perché quando finì di fasciare la ferita le regalò un sorriso
sincero e triste. Aveva giudicato male quella ragazza. Doveva sentirsi sola
proprio come lei.
-Grazie di
nuovo, Gofna...- mormorò Helinor, mentre l’altra le progeva i pantaloni
sporchi.
-Non c’è di
che!- esclamò Gofna in risposta.-Fa sempre piacere aiutare un’amica in
difficoltà.-
Helinor prese i
pantaloni e annuì. Forse era un po’ piagnona e viziata, ma gli amici si devono
accettare a vicenda, no? Così aveva detto Zack... e Uriah...
Non sarai sola. Te l’ho detto, tu hai il coraggio
necessario per vivere. Io credo in te...
Solo allora
capì. Comprese il significato di quelle parole guardando Gofna.
Non sarebbe più
stata sola, e neanche Gofna. C’erano tante persone come Helinor, a quel mondo.
Persone che avevavano bisogno di aiuto per sentirsi meno abbandonate... persone
indifese, incapaci di combattere il destino...
Strinse la
stoffa dei pantaloni tra le dita.
È questo che farò da grande. Aiuterò la gente in
difficoltà. Perché anche io vorrei che qualcuno mi aiutasse. Ci sono tante
persone sole come me, ma insieme... potremmo non esserlo più!
-Non te li metti
quelli?- domandò Gofna.
Helinor si
riscosse e guardò i pantaloni neri.-Sono praticamente distrutti...- osservò.
-Dai, mettili
per stasera. Poi te li aggiusto!- esclamò Gofna.
La compagna
rabbrividì. Non che Gofna fosse un asso nel cucire, ma avrebbe dovuto
accontentarsi.-V-va bene.-
E poi,
probabilmente , quei pantaloni non le sarebbero mai più serviti dopo quella
sera.
-Vuoi venire ad
aiutarmi a preparare lo show?- chiese Gofna, sorridendo allegramente.
-Show?-
-Il mio
spettacolo di magia!- rispose Gofna, tirando fuori dal nulla il suo cilindro
nero.
Helinor
sussultò.-Ma come...?!-
-I prestigiatori
non rivelano mai i loro trucchi! Non lo sai?- rise Gofna.
Le labbra di
Helinor ebbero un leggero tic nervoso.-Em... sì, certo che lo so...-
Gofna continuò a
ridere di gusto, e visto che non accennava a smettere, Helinor decretò che era
meglio andare via. La ringraziò crecando di sovrastare le risate con la sua
voce, si infilò i pantaloni e se ne andò.
(...)
-Hey!!!-
Una voce immatura, da bambina.
-Svegliati, signorina!!-
Karima sentì qualcosa di soffice sotto le sue mani.
Mosse un po’ le dita per cercare di capire cosa fosse quella cosa morbida.
Seta? No... c’era qualcosa che pungeva, tra la roba morbida. Era erba. Erba e
fiori.
Fiori?
Karima avvertì distintamente due piccole mani
posarsi sul suo petto per scuotere leggermente il suo corpo. Sorrise. Quanto
avrebbe voluto che quelle fossero le mani della sua bambina... lo desiderò con
tutto il cuore, e tentò di aprire un po’ le palpebre. Vide due occhi smeraldini che la fissavano
preoccupati.
-Chi sei?- domandò flebilmente la donna.
-Aerith!- esclamò vivacemente la bambina.
-Aerith...- ripetè piano la donna, delusa.
No, non era sua figlia. Ma come aveva potuto
sperarlo? Forse era ancora troppo insonnolita e poco lucida.
-Ti sei addormentata qui...- disse Aerith.
Karima si ricordò. Era entrata in una chiesa
deserta, poi aveva avuto uno svenimento, causato dalla malattia. Era caduta a
terra, e probabilmente quella bambina l’aveva soccorsa. Si tirò a sedere,
piegando una gamba e avvicinandola al petto.-Scusa.-
La bambina rise, avvicinandosi una mano alla
bocca.-Non preoccuparti! Ma potresti alzarti?I fiori si rovineranno tutti...-
-Fiori?- domandò Karima,facendo appello a tutte le
forze che aveva in corpo per alzarsi e andarsi a sedere su una delle panche
della chiesa. Gemette.
-Li ho piantati io!- esclamò Aerith,
sorridendo.-Volevo fare un esperimento, e qui crescono molto bene!-
-Non avevo mai visto dei fiori a Midgar...- disse
Karima, fissando le belle piante colorate.
Aerith fu contenta di sentirselo dire.-Già!-
-Non mi sono ancora presentata. Mi chiamo Karima-
disse la donna, con un sorriso materno.-Ti sono grata per avermi aiutata.-
-Sei malata?- domandò Aerith, dispiaciuta.
Karima la guardò negli occhi. Erano così profondi e
vivaci, di un verde intenso... si leggevano tutti i sentimenti di Aerith
attraverso di essi. Si chiese se anche gli occhi di sua figlia fossero così...
-I tuoi vestiti sono tutti sporhi... vuoi venire a
casa mia?- chiese la bambina.
Karima sbarrò gli occhi.-No, non credo che sia una
buona idea...-
-Puoi farti una doccia, mangiare qualcosa di
caldo... e poi potrò lavare i tuoi vestiti!- esclamò Aerith, prendendola per
mano.-Vieni, casa mia non è lontana da qui!-
-Aspetta!- tentò di protestare Karima.-E tua madre
cosa dirà...?-
-Non preoccuparti! Vieni con me!-
La casa di Aerith era come immersa in un’atmosfera
mistica, magica. Era tutto così tranquillo e irreale, che Karima si sentì
subito meglio.
Aerith la portò dentro casa mentre le parlava di
come era risucita a piantare tutti quei fiori e di quanto le piacessero.
Karima la seguiva, e intanto pensava a quanto le
sarebbe piaciuto poter abitare in un posto così con sua figlia. Un sogno ormai
irrealizzabile, visto com’erano andate le cose.
Appena le due ebbero messo piede nella casetta, apparve
il volto precoccupato di una madre.-Aerith...-
-Karima, ti presento mia madre, Elmyra! Mamma, ti
presento Karima!- esclamò Aerith, prendendo anche la mano di Elmira
costringendola a stringere quella di Karima.
-P-piacere...- farfugliò Karima, imbarazzatissima.
Era ovvio che Elmyra non desiderasse estranei in casa, soprattutto se
indossavano una veste vecchia e sporca...
Invece, Elmyra sorrise e la invitò a sedersi attorno
al tavolino rotondo al centro del salotto.-Ti preparo un tè caldo, va bene?-
Karima annuì, senza sapere cosa dire.
Aerith saltò su una sedia all’altro capo del tavolo
e, dopo aver messo i gomiti sulla tovaglia, posòla testa sulle mani.-Visto?
Mamma è molto comprensiva.-
La donna non seppe che rispondere.
Non aveva mai trovato nessuno così accogliente, in
anni di vagabbondaggio. Negli Slums l’aria era avvelenata, e la gente diffidava
degli sconosciuti come lei.
-Puoi anche restare a dormire, lo sai?- domandò
Aerith.-Sei stanca.-
-Un pochino.- Disse Karima, sforzandosi di
sorridere.
Era molto stanca, non un pochino. Era colpa della
malattia, e lo sapeva bene. Sicuramente le rimaneva un altro anno di vita, o
forse due...
Guardando Aerith, era come vedere sua figlia
cresciuta. Aveva solo due anni quando l’aveva vista l’ultima volta... quei
pensieri le strapparono un sorriso commosso.
-Tu ce l’hai una figlia?- chiese Aerith, quasi
avesse captato i suoi pensieri.-Può venire qui anche lei.-
Karima sentì una fitta al cuore quando
rispose.-No... non ce l’ho...-
-Peccato, una donna giovane come te dovrebbe
averne.-
Elmyra le mise una tazza piena di liquido fumante
davanti al naso.
-Anche se non sembra, ho i miei annetti- rispose Karima.-La
ringrazio, signora Elmyra...-
Aerith ridacchiò.
-Non si preoccupi, non mi fermerò a lungo- disse
Karima, avvicinandosi la tazza alle labbra.
Il liquido bollente le bruciò la lingua e la gola,
ma non se ne preoccupò. Dopo tutto il freddo che aveva affrontato, quel caldo
eccessivo era quasi un sollievo. Sentì il calore scendere nello stomaco e si
sentì immediatamente meglio. Quella sensazione la portò a sperare di poter
stare meglio, in qualche modo. Forse la morte non era certa...
-Karima è malata, lo sai mamma?- disse Aerith,
preoccupata.
Elmyra esaminò il volto scarno di Karima.-Non credo che
sia il suo unico problema. Vuoi mangiare qui da noi?-
-Io non credo che sia il caso...- fece Karima,
arrossendo.-Non voglio approfittare...-
-Ma ti ho invitata io!- esclamò Aerith, sporgendosi
sul tavolo.-Puoi farmi un po’ di compagnia...-
Karima guardò di nuovo la bambina con aria sognante.
Elmyra sorrise.-Ma certo. Può rimanere qui, Karima.-
-Mi sdebiterò...- esordì Karima, ma Aerith era già
scesa dalla sedia, aveva fatto il giro del tavolo e l’aveva presa per la mano,
trascinandola di nuovo fuori di casa.
-Voglio farti vedere il mio giardino!- esclamò la
bambina.
-Aspetta!- tentò di protestare Karima.
-Questo è il mio angolo di paradiso!- disse Aerith,
lasciandosi cadere su una fazzoletto di terreno coperto da fiori colorati. Sembrava
un altro fiore in mezzo a tanti altri.
Karima notò che se sua figlia fosse stata lì, le due
avrebbero subito stretto amicizia, e avrebbero potuto piantare fiori e giocare
insieme.
Invece...
Affondò la mano nella grande tasca della casacca e
ne estrasse alcuni fogli rovinati e accartocciati.
Aerith guardò il blocco, interessata.-Cos’è?-
-Un cosa che dovrei nascondere...- rispose Karima,
in tono flebile.-Sono documenti importanti.-
-E perché vuoi nasconderli?-
-Perché così nessuno potrà trovarli. Perché quello
che c’è scritto potrebbe fare del male a della gente- disse Karima.
Aerith si alzò e si fece seria.-Dalli a me. Li
nascondo io.-
-Eh?-
-Li metterò al sicuro e mi assicurerò che nessuno li
trovi- le assicurò Aerith, con l’aria di chi la sa lunga.-Almeno non sarai più
preoccupata!-
Karima sorrise e glieli porse. Pensò che nessuno
avrebbe mai immaginato che documenti di quella portata fossero nelle mani di
una bambina fissata con i fiori. Li consegnò nelle mani di Aerith e si sentì
più tranquilla. Almeno adesso poteva sbarazzarsi di quel peso.
Neanche Gammon li avrebbe trovati, ne era sicura! E
così non avrebbe più fatto del male a sua figlia.
Quella sera, Karima ritrovò il piacere di mangiare.
Elmyra era un’ottima cuoca, e persino i bocconcini sbruciacchiati di Aerith
sembravano squisiti.
Poi, Karima aiutò Aerith a sparecchiare, mentre Elmyra
lavava i piatti.
-Vado a preparare il letto di Karima!- esclamò
Aerith, una volta sistemata la cucina.
Elmyra annuì e le raccomandò di metterle il pigiama
sulle coperte, in modo che Karima avesse potuto trovarlo in fretta.
-Davvero peperina, eh?- domandò Karima, mentre
Aerith correva su per le scale.
Elmyra sorrise malinconicamente.-Già... è veramente
piena di energie...-
-Dev’essere bello averla in giro per casa- disse Karima,
più a se stessa che a Elmyra.
-Lei ce l’ha una figlia, vero signora Karima? Ha
mentito prima- disse la madre di Aerith.
Karima abbassò lo sguardo.-Sì. Non volevo dire una
bugia, ma poi Aerith avrebbe insistito per incontrarla... e in questo momento
non è possibile...-
Elmyra guardò la donna.-Le è successo qualcosa?-
-Purtroppo, la guerra...- farfugliò Karima. Prima
che potesse aggiungere altro, Elmyra le aveva posato una mano sulla spalla e le
aveva detto:-Capisco- con voce tremante.
-Mio marito è morto in guerra- spiegò poi.
Karima pensò al suo, di marito, e le vennero in
mente molti ricordi confusi.
-E Aerith non è mia figlia naturale- aggiunse Elmyra.
-Ah, no?- domandò Karima.
-Sai, qualche anno fa, è arrivata in treno insieme a
sua madre... lei stava per morire, e mi ha affidato sua figlia. Per fortuna
Aerith è una bambina forte, e ha superato tutto- disse Elyira.
-Lo immagino-
-Si è ambientata molto in fretta!- esclamò la madre
di Aerith.-Lei è l’unica persona che mi fa compagnia, dopo la morte di mio
marito. Non sai che dispiacere ho provato... io lo amavo tanto... eravamo così
giovani...- mormorò Elmira.
Karima sentì le lacrime salirle agli occhi.
-Spero soltanto che Aerith abbia una vita felice.
Solo questo è importante- disse Elmyra, con voce tremante.
-Karima! La stanza è pronta!- gridò la bambina, dal
piano di sopra.
Elmyra sorrise a Karima.-Vai pure, sarai molto
stanca. Laverò i tuoi vestiti, almeno potrai indossarli puliti...-
-Grazie.-
-Non c’è di che. Mi ha fatto piacere conoscerti.-
Karima guardò il calendario dopo essersi infilata
una maglietta di cotone a righe. Quella notte ci sarebbe stato il plenilunio,
quindi all’Ombra doveva essere festa. Chissà se dopo tredici anni si sarebbero finalmente
sistemati vicino a Midgar. Avrebbe potuto rivedere Nhat e Harila, sapere cosa
era successo in quegli anni...
Sicuramente Nhat sarebbe andato in quel negozio dove
andava sempre quando sif ermava a Midgar. Maria, la moglie del titolare, era
una donna molto accogliente, che aveva offerto ospitalità a Karima varie volte,
durante la sua latitanza a Midgar. Doveva avere anche un figlio, perché
l’ultima volta che Karima aveveva visto Maria, quest’ultima era incinta. Chissà
se era maschio o femmina...
Femmina, come Helinor? Sorrise a quel pensiero.
Chissà dov’era sua figlia... come stava... aveva
fatto bene a lasciarla al Gold Saucer? Aveva pensato che lì avrebbe potuto
trovare qualcuno che l’avrebbe portata via dalla strada, ma forse si era solo
illusa. Tuttavia, non riusciva ad immaginare uno scenario diverso. Era l’unica
speranza che le rimaneva... la felicità di sua figlia. E certamente, vedere sua
madre morire da un momento all’altro non l’avrebbe resa di certo felice.
Meglio lasciarla da piccola, invece di farla
soffrire da grande.
Eppure, guardando Aerith, non poteva fare a meno di
vedere sua figlia. Si era affezionato a quella bambina in meno di un giorno.
Parte di lei
le ricordava Harila, la sua migliore amica... chissà se l’avrebbe rivista,
prima o poi... avevano diviso così tante avventure.
Prima Harila era stata fidanzata con Gammon. Si
chiese se ce l’avesse avuta con lei perché si era sposata con il suo ex.
Beh, in fondo non c’era nulla da invidiare. Sposare
Gammon era stato l’errore più grosso di tutta una vita. Era un folle, e dopo
l’arrivo di Taiji era notevolmente peggiorato.
Karima si sedette sul letto e si sdraiò tossendo.
Il materasso
era così morbido che Karima arrivo a pensare che morire lì non sarebbe
stato male.
Chiuse
gli occhi.
All’accampamento
doveva essere notte di festa...
La
festa di plenilunio.
Angolino dell’autrice!
Rieccomi!!! La vostra autrice è tornata e si porta dietro anche un vagone di scuse! Bene, adesso mettiamoci comodi qui nell’angolino e facciamo due chiacchiere XD. Ora vi spiego com’è andata...
Volevo aggiornare come al solito, però avrei dovuto farlo dal computer della biblioteca... fin qui nessun problema, ho ricontrollato il capitolo, l’ho fatto bello in html e l’ho salvato sulla pennetta USB per portarlo in biblioteca. Quando sono arrivata, quello st**** (censura) del bibliotecario mi ha detto che, a causa di un virus che gli ha fuso i computer, non si potevano più mettere le pennette USB (perché avevano paura che ci fossero virus). Beh, io da brava ragazza ho pensato che se non mi facevo vedere avrei potuto farlo comunque XD. Ma gli st**** (censura) hanno bloccato le risorse del computer con un programma… e mi hanno fregata. Morale della favola i miei programmi sono saltati, e con loro anche gli aggiornamenti ç_ç.
Comunque ho continuato a scrivere, e sono arrivata fino alla fine della storia (ventesimo capitolo). Intanto aggiorno sia questo che il 17, così mi metto un po’ in pari con le pubblicazioni che il bibliotecario st*** (aricensura) mi ha fatto saltare con il suo giochetto U.u.
Se non rispondo alle recensioni è perché sono appena tornata e devo andare a disfare le valige, e imploro perdono in ginocchio... comunque ho messo Sephiroth al banco reclami, quindi se avete bisogno di uccidere qualcuno c’è lui.
XD Adesso devo salutare che vado a mettere a posto… *si rimbocca le maniche*
Ciao a tutti…
Volevo anche augurare buon ferragosto SIGH. COLPA DEL BIBLIOTECARIO! GRRRRR… >.<