“Tony?” bisbiglia, a fatica.
“Sì?” rispondo, con il respiro altrettanto affannato.
“Mi sento vagamente in imbarazzo.”
“Perché?”
“Perché un gruppetto di adolescenti ci sta tenendo d’occhio dall’altra parte
della strada.”
Maledetti teenagers.
Mi volto di nuovo verso di lei, e lei risponde abbassando gli occhi sulla pelle
del sedile.
“Vorresti… ti va di salire?”
Riesco a resistere fino al suo appartamento senza toccarla,
ma non appena mi sento al sicuro oltre la pesante porta in legno, cerco di
nuovo un contatto con lei. Non mi respinge, il che significa che sono
finalmente riuscito a buttare giù il muro tra di noi. Mi rincresce, ma devo
dare ragione a Gibbs quando dice che “Agire è l’unica risposta per qualsiasi
tipo di domanda”.
Le sue mani, le sue bellissime mani, mi aiutano a sfilare la
giacca, che cade da qualche parte nell’ingresso. Usiamo più prudenza nello
sfilarci le fondine, poi riprendiamo a camminare verso la sua stanza. È lei a
guidarmi: io mi limito a seguirla, completamente rapito dalla sua bellezza,
dalla magia di quest’attimo.
La sollevo tra le braccia, e senza smettere di baciarla la
appoggio sul grande letto matrimoniale. Lei, di solito, dorme a destra: lo
capisco dal libro appoggiato sul comodino. Riporto gli occhi su di lei: è
finalmente arrivato il momento, quel momento che inseguo da mesi. Mi sollevo su
un gomito e le accarezzo i capelli: Ziva è qui, ed è mia.
Faccio correre il mio sguardo sulle linee del suo volto, che
mai come in questo momento mi sembra dolce e armonico. Con il pollice percorro
il contorno delle sue labbra, riabbassandomi per baciarle ancora. Le labbra,
poi il viso, la mascella, il collo: non esiste un solo punto sul quale non
desideri posare le labbra.
“Tony…”
“Sì?”
“Questo significa che ci sono riuscita?”
“A fare che cosa?”
“Il primo salto.”
Sorrido contro la pelle morbida del suo collo. “Sì, Ziva.
Hai fatto un ottimo primo salto.”
Ricomincio a baciarla, mentre le mie mani scendono lungo il
suo corpo, cercando uno spiraglio attraverso il quale arrivare alla sua pelle. La
sento fare lo stesso: i suoi polpastrelli si muovono leggeri sul mio torace, ed
è una sensazione decisamente piacevole. Sorrido, quando mi accorgo che sta pian
piano aprendo i bottoni della mia camicia. Lei, l’integerrima Ziva, è fatta di
carne e sangue come ogni altra donna. La lascio fare, ed è fantastico
accorgersi che tutto ciò che vuole è liberarmi dei vestiti. Ricambio la
cortesia, spingendo verso l’alto la sua maglietta, e scoprendo un corpo a dir
poco perfetto: non avrei mai immaginato che sotto i vestiti sformati che è
solita indossare si nascondessero delle forme come le sue.
Anche la biancheria che indossa è spartana, ma
incredibilmente le dona. Scendo ad accarezzarle il seno con le labbra, mentre
faccio scivolare i pantaloni lontano dalle sue gambe. Sento le sue mani
avvicinarsi alla mia cintura, e mi sposto appena per facilitarle il compito.
“Tony…”
“Sì?”
“Io… no, niente.”
Non mi soffermo ad interrogarla ulteriormente, ma la libero
dai pochi indumenti rimasti e mi preparo a renderla mia. Si muove sotto di me,
preparandosi al momento.
“Tony…”
“Sì, Ziva?”
“Sono felice.”
Quelle due parole, pronunciate in quel momento, mi inducono
a baciarla ancora. Non ho mai trattato una donna con tanta cura, e mi rendo
conto in questo istante che non ho mai amato nessuna quanto amo lei. Le sue
mani stringono forte le mie spalle, mentre la rendo mia, con estenuante
lentezza. Ogni movimento del mio corpo suscita una risposta equivalente nel
suo, così come ogni emozione, ogni sussurro, ogni gemito, trova in lei un
doppio.
I nostri respiri cambiano, il ritmo si fa più frenetico,
mentre ci avviciniamo a quel momento che ci renderà ufficialmente una cosa
sola.
Il suo viso è immobile contro il mio petto.
I suoi capelli sparsi sul cuscino mi fanno il solletico.
Con le dita traccia ghirigori invisibili sulla mia pelle.
Non posso fare a meno di sorridere, perché so che sta per
farmi una domanda.
E so qual è.
“Ziva…”
“Sì?”
“Su, fammi quella domanda.”
“Quale domanda?”
“Lo sai. Chiedimi se sono felice.”