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Autore: PaleMagnolia    30/08/2010    2 recensioni
Credere di essere migliori degli altri è un potente catalizzatore di eventi. E frequentare le persone sbagliate può condurre a scelte pericolose."[...]“Con questo, naturalmente, non voglio dire che non debbano avere le stesse opportunità di istruzione di tutti gli altri”, stava dicendo lei. “Però non si può nemmeno negare che le classi con un’alta percentuale di nati Babbani siano parecchio indietro col programma. Insomma, come si può parlare di Cura delle Creature Magiche, quando metà della classe non è nemmeno sicura che le creature magiche *esistano davvero*?”...".
Cosa possono condurti a fare le cattive compagnie lo sa fin troppo bene Severus Snape, che vive tormentato dai rimorsi per le sue azioni. Non lo sa altrettanto bene Altea Von Wasser, la cui giovane, suggestionabile mente sarà profondamente condizionata dall'incontro con uno studente dagli occhi neri... E quando quel ragazzo emaciato le ricomparirà davanti qualche anno dopo, adulto e perseguitato dai ricordi, nei panni austeri dell'insegnante di Pozioni...
PS: sto cercando di mantenere Snape IC. E' un tentativo disperato e uno sforzo quasi disumano (per una Snapeaholic come me), ma ci sto provando. Apprezzate l'impegno :)
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mangiamorte, Severus Piton
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Altea raccontò della sua vecchia casa di pietra spersa nelle moorlands, degli acquitrini neri di torba nei quali, qualche volt

Altea raccontò della sua vecchia casa di pietra spersa nelle moorlands, degli acquitrini neri di torba nei quali, qualche volta, un viandante perdeva la strada e scompariva; raccontò di come soffiava il vento nelle notti di novembre, facendo sbattere i rami nudi del grande olmo contro i vetri della sua finestra, come dita scheletriche; di come, d’estate, la brezza muovesse le lunghe tende come fantasmi, e le eriche e le ginestre riempissero l’aria di un profumo impresso in modo indelebile nella sua memoria.

Raccontò di come l’interno della grande casa sembrasse sempre in penombra per colpa dei troppi mobili, scuri e imponenti, delle tende polverose e degli arazzi sbiaditi alle pareti. Spiegò ad uno Snape dagli occhi socchiusi che gli unici abitanti della grande casa erano lei, Altea, e suo padre; le grandi stanze deserte non erano posto per una bambina, e quando lei si era stancata di sfogliare i vecchi libri e seguire col dito i minuscoli profili ricamati sulle tele, non aveva avuto altro passatempo se non vagare per la landa come una zingara.

La sua infanzia era stata tutta un camminare su e giù per le colline aride e sassose, da sola, uno scivolare sbucciandosi gambe e braccia sulla terra riarsa; aveva passato i suoi pomeriggi ad osservare, sotto le eriche, i nidi dei serpenti - con quei corpicini viscidi e lucenti che si contorcevano in modo ipnotico – e le buche delle volpi, dalle quali, se si aveva abbastanza pazienza, si poteva vedere emergere una guardinga testolina triangolare.

Così, Altea era venuta su silenziosa e circospetta come gli abitanti delle sue terre: una bambina stravagante, curiosa e paziente, estremamente solitaria.

Standosene praticamente sempre per i fatti suoi, si era abituata a parlare poco e a fare quasi sempre quello che le pareva: l’unica persona che vedeva regolarmente – a parte qualche rara visita di parenti, o gli elfi domestici, che comunque non erano esseri umani – era suo padre, per il quale nutriva una sorta di venerazione.

Aldous Von Wasser, naturalista di fama nel mondo magico, era un uomo massiccio dal viso squadrato e gentile, introverso quasi quanto la figlia e completamente assorbito dal suo lavoro - talmente assorbito che tutte le stranezze della figlia venivano tollerate, e lei era lasciata libera di fare ciò che più le piaceva.

Altea adorava suo padre e, per attirarne l’attenzione, non c’era giorno che non tornasse a casa portando nelle tasche del vestito una pianta dall’aspetto insolito, o qualche strana creaturina delle paludi chiusa in un vaso di vetro: con questo o quel campione in mano andava a sdraiarsi sul grande tappeto tarmato, rosso-cupo, della biblioteca – l’unica stanza davvero luminosa della casa – e confrontava l’esemplare con le figure sui grandi libri rilegati in pelle, con l’imponente figura del padre che la osservava, orgoglioso, alle spalle.

Era così che aveva imparato a riconoscere i demonietti acquatici dalle lunghe dita forti e sottili- Snape parve sul punto di dire qualcosa - e i viscidi Vermicoli, e a guardarsi dalle strane creature con la lanterna che sembrano fatte di nebbia, nella torbiera.

La sua frequentazione della biblioteca di famiglia era anche la ragione per cui conosceva, almeno di nome, incantesimi che venivano insegnati nelle classi più avanzate della sua: certo, non sarebbe stata in grado di riprodurre buona parte delle fatture di cui aveva letto, ma il semplice fatto di conoscerne la formula la faceva sentire importante, superiore ai suoi compagni.

Altea parlò (in un modo stranamente chiaro e nitido per una ragazzina) di quanto si sentisse, stranamente, molto più sola ad Hogwarts, dov’era circondata da centinaia di coetanei ma lontana dal suo mondo e da suo padre, di quanto non si fosse mai sentita nelle stanze in penombra o sulle colline spazzate dal vento. Parlò della somiglianza straniante che aveva Hogwarts – con le pareti di pietra che odoravano di muschio e gli alti soffitti, i vecchi mobili e i ritratti sui muri – con il suo cottage pieno di libri in mezzo alla brughiera.

Parlò di quanto fosse strano, qualche volta, svegliarsi nel letto a baldacchino del dormitorio di Corvonero e, per una frazione di secondo, pensare di essere nella sua camera, a casa – pensare, per un attimo, che un elfo domestico le avrebbe portato di lì a poco latte e pane scuro col miele.

Parlò di come talvolta, a colazione, mentre i suoi compagni si allungavano a prendere biscotti al rabarbaro e succo di zucca, e ridevano, si sfregavano gli occhi assonnati o chiacchieravano delle lezioni, lei fosse improvvisamente presa da una lancinante nostalgia di casa, e lo stomaco per un momento le si chiudesse.

Parlò di come, a volte, desiderasse intensamente di stare da sola - mai un minuto per se stessi, convenne Snape -, solo per un po’; le ragazze del suo dormitorio erano tutte più alte di lei, e dall'aria più adulta; ragazze che fuori dalla scuola usavano il lucidalabbra profumato e i jeans tagliati. Le loro conversazioni (i ragazzi più grandi, i vestiti) la infastidivano, l'annoiavano.

Altea parlò e parlò, come non aveva fatto con nessuno da quando era arrivata a Hogwarts; quando infine il flusso di parole si esaurì, e rimasero entrambi seduti qualche minuto sul pavimento senza dire nulla - ma senza imbarazzo, come vecchi amici - si accorsero che la luce era cambiata, e ora l’aula era illuminata solo da un tenue riverbero rossiccio.

“È sera, ormai”, disse infine Snape, alzandosi da terra e stirandosi. “Dovremmo andare a prepararci per la cena.”

La guardò, e abbozzò una specie di sorriso. “Be’, è stato un piacere conoscerti, Altea Von Wasser”, dichiarò; poi uscì dall’aula deserta.

Altea aspettò che fosse fuori portata d’orecchio e si alzò anche lei in piedi. Si appoggiò allo stipite della porta. “Piacere mio”, sussurrò alla stanza ormai buia.

 

Quella notte, Altea quasi non dormì per l’eccitazione. Le ragazze del suo dormitorio provarono a interrogarla, vedendola tornare in camera - per una volta - sorridente, col viso acceso e gli occhi che brillavano, ma lei si infilò a letto in fretta senza dire nulla a nessuno. Rimase a fissare il soffitto per ore - ore meravigliose - sorridendo, pensando e ripensando a cosa avrebbe potuto raccontare al suo nuovo amico il giorno successivo, e poi quello dopo, e quello dopo ancora... A cosa avrebbe potuto interessargli - doveva forse portargli un Avvincino? Lui era sembrato incuriosito, quando ne aveva parlato. Forse gli avrebbe fatto piacere averne uno. Poteva farsene mandare un esemplare da suo padre – ne aveva tanti, nei loro vasi rotondi pieni d'acqua verdastra - , oppure, se non avesse acconsentito, chiedere ad un elfo domestico di spedirgliene uno di nascosto: loro le obbedivano sempre...

 

La mattina dopo, Altea fu la prima ad alzarsi. Filò in bagno e si preparò con particolare cura, lisciando le pieghe della divisa, spazzolando i lunghi capelli neri fino a farli brillare, pizzicandosi le guance per farle diventare rosse. Entrando nella Sala Grande, quasi non riuscì a credere alla sua fortuna: proprio davanti a lei, fermi in capannello a lato della porta, stavano tre o quattro ragazzi dell’ultimo anno: uno di loro, impegnato a spiegare qualcosa che fece ridere gli altri in un modo sinistro, c’era lui, i capelli neri che gli ricadevano flosci davanti al viso.

Altea aspettò di essergli vicina e poi, col cuore che batteva all’impazzata, sollevò una mano in un timido gesto di saluto e gli sorrise.

Le sembrò che Snape l’avesse vista – ma doveva essersi sbagliata, perché invece di rispondere al suo saluto, lui sembrò leggermente a disagio e riprese a parlare ostentatamente col suo compagno.

Altea si avvicinò ancora, fece in modo di incontrare il suo sguardo – stranamente, sembrava che lui cercasse invece di evitarlo – e disse, a voce alta e cristallina: “Buongiorno”.

Il gruppetto di studenti si voltò verso di lei – un paio di loro, notò, aveva visi davvero cattivi – e la fissò con espressione insieme interrogativa e altezzosa. Altea si sentì sprofondare: si girò verso Snape - che, come tutti gli altri, la guardò con aria di superiorità (con una smorfia di scherno sul viso pallido che le spezzò il cuore), come a dire, e questa chi diavolo è?.

Altea sbiancò, scioccata. La Sala sembrò retrocedere e rimpicciolire davanti all'enormità della sua mortificazione, in un modo che le diede le vertigini. Le sembrò di cadere da una grande altezza, al rallentatore.

Perché questo? Perché perché, perché, perchè...?, chiedeva a ripetizione una piccola voce addolorata, da qualche parte in fondo alla sua mente.

La scacciò con forza. Stupida!

Impietrita dalla collera e dalla vergogna, sentendosi tradita e umiliata - lei, che - stupida, stupida, stupida! - aveva ingenuamente aperto il suo cuore ad uno sconosciuto, e ne aveva ricevuto in cambio indifferenza e derisione. Proprio lei, che aveva sempre nascosto ciò che pensava a tutti, si era fidata - sciocca, che sciocca! Povera, stupida, ridicola bambina - del peggiore di loro.

Ricacciando indietro lacrime che il suo orgoglio di undicenne le impediva di versare, si allontanò in fretta e si sedette rigidamente al tavolo della sua Casa, senza guardarsi mai alle spalle. Prese con gesto meccanico un bicchiere e lo riempì di tè freddo, poi lo poggiò sul tavolo senza prendere nemmeno un sorso.

 

L’anno scolastico finì senza che loro due si fossero mai più rivolti la parola; Severus Snape uscì da Hogwarts senza avere risposto al suo saluto.



ninive : sono sicura che ad Altea piacerebbe da matti parlare giorni e giorni di scarabei (o di qualsiasi altra cosa) con Sev (e poi secondo me lei ne sa a pacchi, c'ha il padre naturalista, potrebbe stare per ore a chiacchierare delle abitudini sessual-gastronomiche degli stercorari!), ma temo che per questo capitolo il futuro Potion Master (che è nel suo periodo emo/mangiamorte post-delusione-d'ammoreh) non le abbia lasciato molte possibilità - e comunque, accidenti, non divulgare in questo modo ottime idee per una fanfiction (adesso mi viene davvero voglia di renderli tutti e due carini e coccolosi mentre scambiano figurine - aww!) - se la prossima Ff che scrivo si intitolerà "Harry Potter e il Digimon raro" puoi accusarmi di plagio con tutte le ragioni! XD
PS: Altea è anche la fidanzata storica di Ginko (nonchè, per essere un personaggio di carta, una gran gnocca - ma questo è il mio parere) come ci tiene a specificare il mio moroso che ha (quasi) tutti i numeri di Diabolik compreso copia del magggico n° 1!
sawadee: chissà come mai, ho questa idea che io e te andremmo mooolto d'accordo! :-)
Thiliol: chiedo umilissimamente (umilerrimamente?... no, fa schifo) perdonoH! Ho corretto, giurin giurello!
E dire che sono io la prima ad essere puntigliosa con gli errori degli altri... e poi li faccio io! Beccata in flagrante delitto! :-D


Messaggio ai lettori (solo a veri amanti della grammatica)
confesso che, sinceramente, non so se l'ultima frase sia scritta in lingua italiana. Avrò provato almeno sette o otto versioni diverse, e questa è quella che mi sembra più corretta - o almeno, a quelli a cui l'ho letta suonava meglio/più chiara delle altre.
Le altre comprendevano almeno un paio di righe di subordinate e ripetizioni a gogo, tipo
"l'anno scolastico giunse al termine",
+
congiunzione/punteggiatura
+
"Altea non parlò più con Snape per tutto il resto dell'anno scolastico"
+
congiunzione/punteggiatura
+
"Snape non parlò più con Altea per tutto il resto dell'anno scolastico".
Insomma... fate finta che vada bene, oppure suggeritemi un altro modo più corretto per esprimere il concetto "in tutti quei mesi non si parlarono mai più e l'anno finì senza che nessuno dei due avesse rivolto la parola all'altro un'altra volta", però, ecco... senza tutte queste parole.

...

... Ok, ok, lo so, sono fuori come un balcone, non c'è bisogno che me lo diciate voi...
  
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