Primavera
Luìs
l'aspettava in riva al
mare.
Occhi Verdi se ne accorse
all'imbrunire, quando Juan era andato, e Cèsar non ancora
tornato.
- Ti disturbo? - gli chiese
avanzando sulla sabbia.
Le caviglie le affondavano tra
i sassi al limite del mare.
Luìs non si mosse. Con la
veste polverosa rimboccata, tirava sassi piatti sopra l'acqua.
- Ti disturbo? - chiese di
nuovo lei. Si accoccolò subito dietro le sue spalle, vicino
a un masso
levigato, l'unico, su cui un lichene cresceva come brina.
Guardò cosa faceva. Raccoglieva
sassi sulla battigia. Non sassi di tutte le forme, solo sassi piatti,
quelli
che l’onda leviga fino a farli sembrare usciti dal tornio.
Con la veste
rimboccata alle ginocchia li pescava nel punto in cui rotolano avanti e
indietro sbattuti dalle onde. Sulla
riva
del mare si addensavano nuvole assenti, sembrava si preparasse una
tempesta di
quelle annunciate dal volo impazzito degli uccelli. La sabbia lambiva
la
risacca, e tutto era grigio, deserto. Sembrava una statua di sale.
- Ti sei fatto male?
Sotto la veste, Luìs aveva un
lungo rigo di sangue. Scendeva fin sotto la caviglia.
- Non mi sono fatto niente -
disse lui, e continuò a fare quello che stava facendo.
- Mi dispiace se io … ma cosa
fai?
Le lunghe mani di Luìs
accarezzavano le pietre lisce. Le sollevava dal limite del mare, dove
la sabbia
si confonde con l'acqua. Le lasciava un istante al sole e poi le
scagliava
lontanissimo, lasciandole planare sull'acqua. Alcune facevano decine di
piccoli
salti a pelo d'acqua prima di uscire dalla vista con un tonfo.
- Lascio che muoiano, come
dovrebbero. Come dovrebbe chi è malato e marcio, come
dovrebbe chi nasconde
morte.
Lei lo guardò, non capiva.
- Vai via. Cèsar sarà quasi
tornato. Vattene.
Lei strisciò fino alle sue
caviglie.
- Che ti ho fatto? - chiese
prendendogli un lembo della veste.
Luìs si allontanò senza
guardarla.
- Dove sei stata tutto il
giorno?
A Occhi Verdi venne da
piangere.
- Io …
- Non voglio saperlo - disse
lui - non mi interessa cosa sei o che fai.
Cèsar
tornò fregandosi le
mani, con un cestino di agrumi barattati al mercato con le uova e un
bel po' di
notizie senza senso.
- Tieni - disse a Occhi Verdi
- ti ho comprato questa.
Le tese un involto. Dentro
c'era una veste verde color smeraldo, con larghe maniche e un bordo di
pizzo.
Occhi Verdi la indossò felice.
- Non sai quanto mi è costato
comprarla senza dare nell'occhio! - rise il vecchio - Il vecchio
Cèsar che
scende al mercato e si avvicina ad un banco da donne! Non succedeva da
parecchio tempo …
Occhi Verdi stava rimestando
un ramaiolo di cavolo.
- Da quanto tempo? - chiese.
Cèsar si rabbuiò.
- Da tanto. Da quando lo
facevo per Maria.
- Chi è Maria? - chiese lei.
- Chi era. Era mia moglie,
Maria. Perché una volta il vecchio Cèsar aveva
addirittura una moglie.
Occhi Verdi si accostò alla
tavola e porse al vecchio un bicchiere di vino.
- Era bella tua moglie? -
chiese. Poi si sedette.
Il vecchio sorrise dentro il
vino.
- Se era bella? La più bella
donna del paese. I ragazzi se la litigavano. Non poteva andare per
strada che
la gente le fischiava dietro. Venivano dalla costa per vederla, dalle
montagne
intorno, dalle navi. Si passavano la voce, e se scendeva al mercato con
sua madre,
tutti, tutti giravano la testa per vederla. Era alta, era bellissima,
imponente. Sembrava una statua, la mia Maria. E la volevano tutti, ma
alla
fine, fu il vecchio Cèsar a portarsela via. C'è
altro vino?
Occhi Verdi glielo versò, e
si mise una mano sul mento.
- Non è ancora ritornato,
Luìs?
- Era alla spiaggia, ancora
poco fa.
- Ci va sempre a quest'ora.
- Lo so.
- E tu, che cosa hai fatto
tutto oggi? Era caldo, ti sei annoiata, in casa …
Occhi Verdi non seppe che
rispondere.
- Mi piacerebbe ascoltare di
Maria.
Il vecchio sorrise e bevve
tutto il secondo bicchiere di vino. Aveva il mento ancora polveroso, e
gli
occhi incrostati di fatica.
- Aspetta - disse Occhi
Verdi, e gli portò uno straccio e acqua perché
potesse pulirsi. L'acqua era
tiepida e il vecchio Cèsar fu grato alla ragazza per quel
gesto.
- Ti piacerebbe ascoltare di
Maria?
Occhi Verdi fece cenno di sì.
- La zuppa non è ancora
pronta - disse il vecchio - e Luìs non è ancora
arrivato. Non ci vedo niente di
male a raccontarti un po' della mia storia. Mettiti comoda.
Così il vecchio aveva
cominciato.
-
Un
tempo Cèsar possedeva una barca. Non era il Cèsar
che vedi ora. Non era
vecchio, stanco o rugoso. Era un bel ragazzo simpatico, con occhi neri
e tanto
amore nelle mani. Era nato per coltivare il mare, e aiutava suo padre
in una
barca presa in affitto. Non erano ricchi, anzi erano poveri, ma non
c'era una
sera in cui Cèsar non fosse felice, al tramonto, di come era
andata la
giornata. Le giornate erano tutte belle, perché erano piene
di onde, spruzzi,
acqua e reti. Lui
non aveva bisogno di
niente, e quindi aveva tutto, capisci? Ma poi un giorno, arrotolando le
reti
davanti al molo appena costruito, aveva visto qualcosa che luccicava in
pieno
sole. Non aveva capito subito cosa era, e si era avvicinato per capire
il
perché del luccicore. Il venditore della bancarella stava
mostrando certi
oggetti a delle donne. Erano collane di pietruzze colorate, piccoli
oggetti di
corallo, una stella fatta con cocci di vetro levigati. Era stata la
stella a
brillare, quando il mercante l'aveva alzata al sole. Ora invece la
teneva sopra
il palmo e la mostrava alle donne.
- E'
bellissima, ma è lontana, è fredda. E poi le
stelle non si muovono mai - stava
dicendo una all'altra, e a Cèsar venne fatto di alzare gli
occhi. La ragazza
che aveva parlato era bellissima, e piena d'amore in uno sguardo
luminoso e
inquieto. A Cèsar non era stato più capace di
scacciare il suo volto dagli
occhi.
Era così che l'aveva conosciuta, perché
lei aveva detto che le stelle non si muovevano e invece lui sapeva che
non era
così. Aveva atteso che le ragazze lasciassero il banco, e
poi le aveva seguite.
Aveva scoperto dove stava la ragazza dai capelli neri, e il giorno dopo
era
tornato al mercato con la segreta speranza di vederla. Si erano
affrontati
così, per giorni e giorni, lei senza sapere che aveva occhi
di diamante stretti
intorno, lui dietro un cesto, o contro un muro, o in un anfratto a
sognare
segretamente il giorno in cui le stelle, le avrebbe spiegato, si
muovono in
cielo come nubi e ogni notte rotolano fisse verso l'altrove. Voleva
spiegarglielo, voleva che lo sapesse anche lei che le stelle non
stavano ferme.
Lo voleva come mai non aveva voluto nient'altro. Al terzo giorno, messo
il
cappello della festa e una camicia che gli aveva regalato sua nonna,
uscì di
casa e andò a chiederla in sposa. Erano ricchi i genitori di
lei, per lo meno
possedevano una barca, ma suo padre conosceva gli uomini, e quel
giovane simpatico
gli piacque.
- Ti
frequenti con mia figlia? - chiese. Aveva lunghi baffi e una
pancia che
rotolava quasi fino a terra.
- No,
signore - disse lui - non ci ho
neanche
mai parlato.
- La
conosci di fama, perché è bella?
- Non
so neanche il suo nome, signore. Non lo sapevo fino a ieri, fino a
quando non
ho deciso di venirvela a chiedere.
- E
allora perché la vuoi sposare? - aveva chiesto il
padre, arrotolando un
grosso sigaro tra le dita cicciute. Era enorme, e come un colosso
prendeva
tutto il vano della porta seduto sul suo trono di banano
- forse perché e bella, o perché è
ricca, o ti piace il modo in
cui cammina, le sue gambe? Ha un bel seno, mi dicono, ma io non posso
giudicare, sono il padre.
Cèsar aveva riso, era arrossito. Non gli
andava di dirgli che quel seno gli aveva intossicato già tre
notti. Ma non era
poi quello il motivo per cui la stava chiedendo a suo padre.
Si era seduto su una panca, accanto a lui,
e di era tolto il cappello.
- Davvero
volete sapere perché la voglio?
- Avanti.
- La
voglio perché ha detto che le stelle stanno ferme nel cielo,
non girano. E
questo non è vero, signore. Le stelle girano, si muovono,
eccome. Solo che sono
come dei fantasmi. Non si muovono veloci, non si vede. Ma se uno stacca
l'occhio per qualche tempo, poi si accorge che sono mutate. Lei invece
ha detto
che non possono muoversi. Per questo voglio sposarla, perché
sappia, che tutto
ha una vita, anche il silenzio.
Il grasso vecchio lo aveva guardato come
si guardano le mosche per aria.
- Mi
stai chiedendo mia figlia per questo?
Cèsar aveva annuito. Il vecchio gli aveva
passato il suo sigaro.
- Scende
tra poco, se ti vuole è tua. Ma io spero che con un matto
del genere non ci si
metta. Non porta mai fortuna la follia.
Ma lei era scesa, e lo aveva voluto. Lui
le aveva mostrato come le stelle girano sempre e non stanno mai ferme.
Era
stato un amore profondissimo.
Occhi
Verdi sorrise.
- E poi?
- E poi, e poi … - sorrise Cèsar - e poi
guarda che ti brucia la zuppa!
Occhi Verdi corse al focolare. Era vero,
la zuppa stava bruciando. Trafficò qualche istante con la
pentola, provò a
tirarla via dal fuoco con un cencio, ma tutto invano. Quando
cercò di toccarla,
si accorse che era troppo calda, e si scottò. Lanciando un
grido si fece
indietro. La zuppa era tutta sul pavimento.
- Stai ferma - disse Luìs, comparso alle
sue spalle.
E prima che Cèsar fosse riuscito ad
alzarsi, aveva preso la pentola tra le dita e l'aveva rimessa al suo
posto.
- Ceneremo con qualcos'altro - rise il
vecchio - Vero, Luìs?
Ma Occhi Verdi che lo aveva visto rialzare
il metallo senza scottarsi, gli lanciò uno sguardo un poco
inquieto. Lui le
sorrise da un'altezza infinita.
- Non è detto che quello che brucia debba
per forza farmi male, sai?