Fanfic su attori > Cast Twilight
Segui la storia  |       
Autore: Annina88    31/08/2010    4 recensioni
New York. Rain è americana, studia letteratura e vorrebbe insegnare. Robert è inglese, studia scienze politiche e vorrebbe scrivere i discorsi per Obama. Rain e Robert hanno tante cose in comune. Amano leggere. Amano la musica. Amano le passeggiate nel parco. Amano studiare imparare ogni giorno qualcosa di nuovo. Amano sentire il vento nei capelli. Amano il calore del sole sul viso dopo una bufera invernale. Amano l'aroma del caffè e il profumo delle paticcerie. Sarebbe tutto perfetto...se non fosse che Rain ha un modo diverso, molto diverso, di vedere il mondo...
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Robert Pattinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Mie dolcissime donzelle, buonasera!
Eccomi qua, con la mia ennesima storia...che vi devo dire? Questo ragazzo è troppo infinitamente ispirante (se ispirante si può dire : D)...ed ogni minuto mi si accende una lampadina in testa.
Questa storia, come forse avrete già capito dal prologo, è molto particolare...e sarà anche molto difficile da scrivere, perciò vi chiedo giù scusa per le schifezze che certamente usciranno qua e la...ma abbiate pietà :D Spero la apprezzerete lo stesso.
Saluto Katy,white e Fritty che hanno già avuto la bontà e la dolcezza di commentare l'intro. Vi amo!
Buona lettura!


CAPITOLO 1. Le regole dell'attrazione

Lo vide.
Chiunque conosceva Rain Wallace avrebbe di certo detto il contrario, che non era possibile, nonostante a separarli, in quel momento, ci fosse poco più che un metro. Perché Rain Wallace non aveva più visto nulla da quando aveva sei anni. Nulla, tranne che il buio della sua cecità.
Ma il fatto, la verità, fu che lo vide. Perché Rain aveva il suo modo speciale di vedere le cose, ed erano anni che non vedeva qualcuno, uno sconosciuto, così nitidamente come in quel momento. Ne avvertiva la presenza, come se i sensori sulla sua pelle avessero subito una qualche sorta di impennata nei loro meccanismi di funzionamento. Le antenne invisibili della sua mente erano tutte puntate verso la direzione di quello sconosciuto, come se da quel corpo si sprigionasse una sorta di particolare calore.
Ma più di ogni altra cosa, a colpirla fu il suo profumo di uomo. Odore di dopobarba, di muschio, odore di tabacco, di sigaretta abbandonata da poco. E l’odore di qualcosa che non conosceva, un odore che era solo suo e che lo rendeva diverso da ogni altro. Un odore che l’avvolgeva, e che mischiato al profumo dei libri nuovi era qualcosa di irresistibile, che non poteva essere ignorato.
Rain rimase immobile, attenta ai movimenti di quello sconosciuto. Le orecchie tese come quelle di un cane a caccia. Non poté vedere il suo braccio allungarsi, ma lo sentì chiaramente afferrare un libro, lo strusciare delle sue dita sulla copertina liscia ed il fruscio delle pagine sfogliate. Poi lo rimise a posto e ripeté gli stessi gesti con un altro libro. Poi con un altro, e ancora un altro.
Rain sorrise tra sé e sé quando lo sentì sbuffare. Si chiese se la sua fosse rabbia verso se stesso e la sua fastidiosa indecisione o rabbia verso l’assenza di libri interessanti. Nel primo caso, poteva trattarsi, Rain dedusse, di una qualche specie di frustrazione dovuta alla scarsa stima di se stesso, e questo lo rendeva oltremodo interessante. Nel secondo caso, era evidente che si trattava di un uomo che non si accontentava di una lettura qualunque, che per lui leggere era una cosa seria, e anche questo lo rendeva oltremodo interessante.
Dopo aver esaminato quattro o cinque libri, lo sentì spostarsi, avvicinarsi a lei per oltrepassarla alle spalle. Il cuore di Rain andò in subbuglio e la giovane temette che potesse scoppiarle nel petto quando la spalla dello sconosciuto le sfiorò i capelli color cioccolato che proprio quel giorno lei aveva deciso di tenere sciolti. Le sue mani strinsero così forte l’inseparabile bastone bianco che se il suo corpicino non fosse stato così gracile di certo lo avrebbe potuto sbriciolare. Rain non perse tempo a domandarsi il perché di quelle reazioni così violente e destabilizzanti, perché tutta la sua vita non era altro che un susseguirsi di domande senza risposta, quesiti che lei aveva ormai smesso di porsi per evitare mal di testa e fitte al cuore.
Non poteva sapere perché quello sconosciuto aveva tanto attirato la sua attenzione, così come non poteva sapere perché proprio lei dovesse essere una dei cinquantacinque milioni di persone affette da glaucoma. Problemi senza soluzione. Domande senza risposta. Tragedie senza spiegazione. Tutto questo, Rain lo aveva accettato da tempo, perché non esisteva altro modo per essere serena. E se non si è sereni, tanto vale non vivere. Tra la morte e l’accettazione, Rain aveva scelto l’accettazione, l’unica alternativa che aveva qualcosa in comune con la vita.
Perché un giorno, le sarebbe potuta capitare una cosa simile. Un giorno, avrebbe potuto sentire un profumo che le avrebbe ricordato che il mondo è pieno di cose belle che non si possono vedere, ma che rimangono belle. E che forse, lo sono ancora di più proprio perché private dell’inganno dell’apparenza. Questo era ciò che rendeva Rain serena e felice: la consapevolezza che la vista, molto spesso, era la più grande delle bugiarde, quella barriera che impediva di conoscere le cose per com’erano veramente.
Se gli occhi di Rain non fossero stati solo apparentemente normali, avrebbe potuto sapere se lo sconosciuto accanto a lei fosse bello oppure brutto. Ma se gli occhi di Rain fossero stati normali e avessero visto un bel ragazzo, di lui avrebbe solo visto il suo bell’aspetto e ci avrebbe fantasticato sopra dimenticandosi di tutte le altre cose importanti. Se gli occhi di Rain fossero stati normali e avessero visto un brutto ragazzo, probabilmente non lo avrebbe degnato di uno sguardo, perché è una comune tendenza umana quella di ignorare il brutto e lei non osava definirsi tanto speciale da dissociarsene. In entrambi i casi, non avrebbe mai notato il suo amore per i libri, la sua scarsa autostima, e soprattutto il suo profumo.
Forse era eccessivo considerare la sua disabilità una fortuna, ma non esisteva altro modo per continuare a vivere. Ché vivere e sopravvivere non erano la stessa cosa, soprattutto per una come Rain.
Lo sconosciuto era ancora lì, vicino a lei. Rain si chiese se l’avesse notata, se avesse notato il suo bastone che in quel momento era seminascosto nelle pieghe del suo cappotto di lana grigio. Se non fosse stato per quell’oggetto, e per il suo sguardo perennemente fisso davanti a sé e perso nel vuoto, nessuno avrebbe potuto capire che era cieca. La malattia non aveva scalfito nulla dei suoi grandi occhi color nocciola. Non che a Rain importasse molto, perché il suo aspetto era una delle tante cose che non poteva verificare. Ma non si affannava a nascondere la sua diversità, perché era sufficientemente intelligente da sapere che è inutile tentare di nascondere ciò che è evidente. E non ci avrebbe provato nemmeno con lo sconosciuto, la cui attenzione, finalmente, era stata catturata da un libro da circa un minuto.
“Trovato qualcosa d’interessante?” domandò Rain, ruotando lievemente il corpo verso la sua sinistra.
“Ehm…dice a me?”
Rain riconobbe la voce roca e balbettante di un ragazzo che di certo non aveva ancora trent’anni. Il suo accento era strano, forse nemmeno americano. Una voce calda, timida, gentile, che faceva un po’ a pugni con quel suo forte profumo di uomo.
“Si, dico a lei. Ormai ha dato un’occhiata a metà dei libri di questa libreria e mi chiedevo se finalmente avesse trovato qualcosa che le piace…”
“Oh! Si..beh...io…io…”
“Per uno a cui, a quanto pare, piace leggere, è di poche parole…O sono io che forse l’ho messa a disagio?”
“Oh no! No per carità…quale…quale disagio? Assolutamente, io…”
Rain rise, divertita dalla dolcezza di quel ragazzo che stava tentando in tutti i modi di nascondere l’imbarazzo che qualunque persona proverebbe al suo posto, di fronte a un non vedente. Avrebbe potuto scegliere di ignorarla completamente, puntando sul fatto che lei non riuscisse nemmeno a vederlo, e invece se ne stava lì, timoroso e farfugliante, a cercare di rendere quella situazione un po’ più normale. Tentativo inutile con una persona come Rain, fin troppo consapevole di essere diversa.
“La prego, non abbia paura di offendermi. Sono cieca, non stupida.”
Ci fu una pausa di silenzio, durante la quale Rain smise di sorridere, perché ebbe paura che la sua eccessiva franchezza l’avesse spaventato ancora di più. Nemmeno il suo handicap poteva impedirle di provare senso di colpa, perché sapeva che nulla le dava il diritto di far sentire inopportune le persone più fortunate di lei.
Stava quasi per scusarsi e andarsene, ma i suoi propositi furono mandati all’aria dallo stesso ragazzo, che parlò finalmente con voce ferma e sicura.
“Non mi ha proprio dato l’opportunità, a dire il vero”
“Di fare cosa?” domandò Rain, colta alla sprovvista.
“Di considerarla una stupida”
Rain ritrovò improvvisamente il sorriso, e poteva scommettere che anche lui in quel momento stava sorridendo. E improvvisamente non le importò più delle barriere e delle menzogne della vista. In quel momento, avrebbe dato qualunque cosa per poter vedere il suo sorriso. Perché era indubbiamente un sorriso vero, e probabilmente bellissimo a prescindere da tutto il resto.
Si sentì arrossire, e questo non le capitava da tantissimo tempo. Fu un’emozione, un caos che non seppe come gestire. Avrebbe potuto ridere, o piangere, o saltare, o gridare. Oppure, avrebbe potuto andarsene ed evitare così che la perfezione di quel momento venisse intaccata da una parola di troppo o da un gesto sbagliato. Si, questa le sembrò la scelta migliore…
“Mi scusi se l’ho disturbata. Vorrei dirle arrivederci, ma immagino che non sia il termine più appropriato nel mio caso!”
Rain rise per la sua stessa battuta, o almeno per quella che avrebbe dovuto essere una battuta, ma si sentì una sciocca quando dall’altra parte non ci fu la stessa reazione, bensì un gelo totale. Un silenzio così forte che se non fosse stato per quel suo profumo persistente avrebbe anche potuto pensare che se ne fosse andato.
Eccola, la parola di troppo che lei temeva…alla fine era arrivata. Rain aveva dimenticato che l’autoironia degli handicappati non era sconveniente solo in presenza di parenti e amici stretti. E quel ragazzo adorabile non era né l’uno né l’altro.
“Be…salve…” bisbigliò Rain, senza nemmeno preoccuparsi di farsi sentire, volendo solamente scomparire.
Si voltò dando le spalle al ragazzo che non avrebbe più rivisto e iniziò a sondare il terreno con il suo bastone, come faceva di solito per evitare di incappare in un qualche ostacolo. Ogni passo che faceva corrispondeva ad un crampo al cuore. Si, di solito i crampi vengono allo stomaco, ma in quel momento il dolore non giungeva dallo stomaco, bensì dal cuore.
“Le regole dell’attrazione”
Al suono di quella magica voce, Rain si bloccò sul posto, come quando da piccola giocava a un, due, tre, stella. Quella voce…dolce e un po’ arrochita. Se quella voce avesse avuto un sapore, sarebbe stato il sapore del cioccolato con il riso soffiato. Ruotò piano il corpo per tornare a fronteggiarlo, l’unico modo che aveva per dare l’impressione guardare negli occhi una persona.
“Cosa?”
“Mi hai chiesto se avevo trovato qualcosa di interessante. ‘Le regole dell’attrazione’, di Bret Easton Ellis. Sembra carino…tu lo hai letto?”
Rain voleva avvicinarsi, ma non si mosse di un millimetro. Perché sentì chiaramente i passi del ragazzo muoversi verso di lei. E questa volta, erano i passi di quello sconosciuto a provocarle crampi al cuore, ma era un dolore molto diverso.
“No…ma il titolo ha un so che di…curioso. L’attrazione ha delle regole?”

  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su attori > Cast Twilight / Vai alla pagina dell'autore: Annina88