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Autore: Flaminia_Kennedy    02/09/2010    1 recensioni
Ambientato dopo Dirge of Cerberus, ma mantenute alcune cose del gioco originale. La mano rimasta umana prese un pacchetto scuro dalla tasca poco sopra la fondina della pistola, aprendola con uno scatto e rivelare cinque spugnette candide, in fila, accanto a un accendino a scatto, di metallo placcato come il braccio. Ma si, ancora una, dopotutto la mancanza era tanta, doveva tamponare la ferita con qualcosa di diverso e meno vergognoso delle lacrime.
Pairing: CidxVincent
Genere: Avventura, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Cid Highwind, Un po' tutti, Vincent Valentine
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dirge of Cerberus
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La neve turbinava attorno a lui, senza però riuscire a sfiorare anche solo un lembo della sua pelle sensibile, e gli catturava ciocche di capelli neri per spedirli sulla sua faccia o sulle sue spalle, a dipendere dalla direzione del vento.

Trovò un’insenatura poco lontano dalla strada che partiva da North Corel e la rese il suo bivacco per due giorni, mentre la furia della tempesta gli impediva anche solo di vedere il panorama.

L’unico segnale che gli diceva di essere ancora vivo era il freddo pungente che lo scuoteva da capo a piedi, nonostante il lungo mantello rosso fosse totalmente avvolto attorno a lui.

Le gambe erano serrate al petto e le braccia trattenevano il tessuto rosso e pesante attorno al corpo.

Gli occhi sanguigni erano chiusi mentre le ciglia nere erano tempestate di piccoli cristalli di ghiaccio, soffiati dal forte vento che spirava fuori dall’insenatura.

Sentiva la temperatura glaciale fargli rabbrividire la pelle e i capelli neri sembravano essersi irrigiditi fino a far male; le sue condizioni per fortuna erano perlopiù ottime e quindi a parte il freddo non sentiva particolari forme di dolore.

La solitudine faceva più male di qualsiasi cosa, quella lo stava divorando lentamente come un virus infettivo di cui lui era portatone sano e senza che se ne potesse accorgere, si ritrovò l’ennesimo lumicino rosso a qualche centimetro dalle labbra, il fumo caldo a scaldarlo da dentro ogni volta che inspirava bruciando la carta.

L’artiglio gli graffiò la guancia quando un soffio più freddo gli fece tremare le membra e una piccola goccia di sangue scivolò giù fino al collo, senza che lui lasciasse uscire dalle labbra un solo mugolio di dolore: la bocca era troppo impegnata a bruciare per la nicotina.

Un rumore fuori dall’insenatura spezzò il monotono movimento del vento che a malapena sfiorava l’entrata della grotta, mandandolo a sbattere direttamente all’interno, spedendovi fiocchi impazziti e spegnendo il leggero e tiepido fuocherello che lui era riuscito ad accendere.

Si alzò, tenendo la sigaretta tra le dita della mano umana per impedirle di volare via, e mentre il mantello rosso si gonfiava e sventolava frenetico uscì per controllare cosa stesse accadendo fuori.

Il lumicino rosso improvvisamente sparì dalla sua mano, finendo chissà dove; la presa aveva ceduto alla sorpresa, ritrovandosi, pochi metri dal fianco della montagna, l’enorme e illuminato Shera, il metallo lucido accarezzato dalla neve mentre le pale creavano il soffio di vento che aveva riempito l’insenatura.

Il portellone si aprì mentre Vincent assottigliava gli occhi per vedere chi fosse l’ombra scura che si stava sbracciando per indicargli di saltare dentro.

Indovinò la figura esile e femminile di Yuffie e con una imprecazione inudibile in quel fracasso rombante, voltò la schiena e rientrò nella caverna, ignorando le grida della ragazzina.

Non voleva più avere nulla a che fare con loro, non finchè non avrebbe imparato come asportarsi quella parte di cervello in cui risiedevano le emozioni.

Sentì lo Shera aumentare i giri del motore e ritornare in alta quota, forse per allontanarsi e lasciarlo lì, per fortuna, ma quel pensiero divenne inutile quando dei passi nella neve alta del passaggio si fecero sentire.

Probabilmente avevano solo fatto atterrare la grande aeronave da qualche parte per poi raggiungerlo a piedi «Vincent!» chiamò la ragazzina, spostandosi dalla testa un grosso cappuccio peloso che l’aveva protetta dal vento gelido «Vincent abbiamo bisogno di una mano, vieni con me!» esclamò lei, mentre l’uomo tornava a sedersi sul fondo della grotta e riaccendere la sigaretta che si stava godendo solo qualche secondo prima «non avete bisogno di me» disse, rimanendo con gli occhi fissi sul lumicino rosso e le dita che facevano cadere la cenere sulla roccia fredda e umida.

Non poté vedere la ragazzina venir scostata e una mano afferrarlo per il colletto del mantello rosso per rizzarlo in piedi «smettila e vieni con noi, depresso del cazzo» la voce gracchiante e gioviale nonostante l’età lo scosse totalmente e gli occhi rossi ebbero un guizzo mentre osservava un tipico cerotto bianco sulla tempia sinistra, quasi un simbolo «avanti, muovi il culo» aggiunse Cid, lasciando che ritornasse sui propri piedi e indicando l’entrata della grotta.

Il corvino sospettò lo zampino di Cloud in quell’azione di reclutamento forzato, ma non disse nulla finché non si ritrovò sulla nave, sollevato parecchi chilometri dalla neve e dal gelo, le ossa che ritrovavano calore e la carne che ritornava a essere più morbida «andarsene così, senza dire una parola» stava borbottando Cid al timone, mentre lui si dirigeva verso una delle tante cabine presenti in coperta.

Tifa passò di lì in quel momento, proprio quando il corvino si voltò e con lo stesso passo calmo e cadenzato con cui stava andando via raggiunse il capitano «qualcosa di cui lamentarsi?» chiese, con la voce profonda incrinata da una tonalità diversa, sconosciuta a tutti, quasi a lui stesso.

Cid si voltò, stringendo la spugnetta del filtrino tra i denti e prima ancora che potesse proferire una sola parolaccia del suo vocabolario, un flash arrivò repentino e in un secondo l’altro si ritrovò a terra, una guancia ammaccata da un potente pugno.

Un taglio era rimasto sullo zigomo e la pelle stava iniziando a diventare di un colorito violaceo.

L’altro era rimasto statuario, solo il mantello ancora in movimento aveva tradito il suo scatto «ma ti sei fottuto il cervello??» gridò Cid, saltando in piedi e fronteggiando il corvino.

Vincent non disse nulla, guardandolo con quel sottile astio che riusciva a trasparire attraverso gli scudi del suo cuore, poi si voltò per camminare a passo sostenuto fuori dalla plancia fino in coperta.

Tifa rimase immobile appena poco lontano dalla porta d’entrata in plancia e guardando l’uomo poté vedere qualcosa di liquido passare sulle sue guance, nascosto dai capelli scarmigliati e dalle piccole goccioline in cui si erano trasformati i fiocchi di neve «ma è impazzito? Che gli è preso?» stava chiedendo Yuffie a un Cloud totalmente allibito.

La donna si avvicinò a Cid e diede un’occhiata all’alone scuro che il pugno metallico aveva lasciato dopo lo scatto d’ira «vieni, ti ci vuole un po’ di pomata qui» disse, toccando appena con le dita il volto del capitano e lo accompagnò verso l’infermeria mentre la nave veniva controllata attraverso il pilota automatico.

I due arrivarono nella stanzetta adibita a farmacia di bordo e mentre Tifa iniziava a tamponare il livido con del disinfettante per impedire che il taglio infettasse, il biondo aveva iniziato a borbottare ogni singolo insulto disponibile su quella Terra «di certo non sono stato io a scomparire nel vuoto, almeno ho avvisato dove avreste potuto trovarmi…almeno non ho tirato un pugno a Cloud quando mi siete venuti a chiamare!» e la donna per bloccare quel fiume di parole irose premette il cotone idrofilo nell’aureola blu attorno all’occhio ottenendo un urlo un po’ strozzato «Cid fermati un attimo» disse sofficemente, iniziando a sistemare quell’occhio nero con più delicatezza «tu non sei un acume di uomo, lo sai benissimo» disse «sarebbe bene chiedersi perché Vincent ti ha fatto un occhio nero, giusto?».

Mai nessuna frase sarebbe stata più giusta.

Nella sua camera, Vincent si era liberato del mantello rosso e del guanto metallico protettivo, osservando nella propria intimità il braccio destro, trasformato in un artiglio nero dall’aspetto liscio, levigato come la pelliccia di una pantera.

Quel colore svaniva oltre il gomito, un po’ a pezzi, come se fosse stata una macchia di petrolio impossibile da eliminare.

L’uomo, magrissimo nei pantaloni di pelle e nella maglia dello stesso materiale, aveva aperto l’unico oblò della camera e aveva guardato fuori, la notte stellata sopra la sua testa e una distesa di nuvole sotto i suoi occhi, illuminata dalla falce di luna in mezzo al cielo; il vento d’alta quota gli scompigliò i capelli, ma niente di più.

Furono le lacrime a uscire da sole dai suoi occhi, quelle maledette che non era riuscito a bloccare se non prima di raggiungere il lungo corridoio fuori dalla porta, le stesse che avevano approfittato del vento freddo per uscire di nuovo.

Lui era scomparso senza dire nulla a nessuno?

E lui? Lui non era partito per tornare da quella svampita della sua assistente -che aveva persino dato il nome a quella aeronave, la sciagurata!- per fare cosa? Cercare di andare nello spazio…con tutto quello che c’era da fare sul Pianeta, lui voleva andare nello spazio! Per morirci, magari, visto che il primo razzo al mondo sarebbe stato un insieme di metallo più o meno resistente che poi sarebbe esploso al primo problema.

Quel pensiero lo fece guardare in alto, alle stelle che brillavano come diamanti: si chiese cosa fosse successe per richiedere una tale riunione di vecchi amici che non dovrebbero più vedersi.

Si chiese perché avevano avuto bisogno di lui, poi un’idea lo trapassò.

Ma certo, lui poteva diventare come quei mostri che avevano sconfitto parecchie volte, poteva diventare il peggior mostro in circolazione, con quel potere così sconfinato ma al tempo stesso addormentato dentro il suo petto.

Quella considerazione gli fece posare l’artiglio al centro del petto, appena sulla sinistra, dove sapeva esserci quella strana Materia.

L’artiglio scivolò dalla pelle della maglia nera e si insinuò nella tasca per prendere il pacchetto scuro di quelle particolari sigarette per accendersene una, senza allontanarsi dall’oblò, lo scatto dell’accendino fu l’unico rumore a parte il debole soffio dell’aspirare del fumo e il silenzio cadde pesante e concreto nella stanza, finché un bussare improvviso lo fece appena sobbalzare, strappandolo dai suoi pensieri.

Vincent si girò, torcendo il busto per guardare la porta, ma sapendo essere aperta non si diede la pena nemmeno di invitare lo sconosciuto a entrare «hey, posso?» la sua voce arrivò alle orecchie dell’altro e Vincent chiuse gli occhi, inspirando a fondo dalla sigaretta, sentendola bruciare come mai aveva fatto «oh beh io entro lo stesso» lo sentii borbottare poi il cigolio della porta gli indicò che era appena entrata la persona che avrebbe voluto vedere di meno in quel momento.

Cid entrò e non chiuse la porta, ma si mise le mani in tasca «allora, perché quel pugno?» domandò secco, le labbra per metà occupate a trattenere una sigaretta.

Vincent non parlò, rimase immobile con i gomiti appoggiati al bordo dell’oblò e le ginocchia piegate a causa della bassezza della finestra, mentre il biondo sbuffava «per caso ho urtato dei sentimenti? Andiamo, cosa vuoi che possa anche solo sfiorare in quel guscetto vuoto?» aggiunse e dalla bocca dell’altro uscì il fumo sottile e grigio, prima che le parole lo rincorressero «esci da qui» disse, cacciando dalla finestra la cicca oramai arrivata al suo ultimo millimetro utile «subito» e mentre Vincent si muoveva per prendere una nuova sigaretta, Cid si avvicinò e gli posò una mano rude sulle spalle «hey, ho fatto qualcosa che non dovevo?».

Subito gli occhi rossi si voltarono a fulminarlo e nel giro di qualche secondo scattò veloce, allontanandosi come se si fosse trattato di qualcosa di schifoso.

Quello che Cloud vide mentre si stava dirigendo verso l’infermeria fu il corpo di Cid volare fuori da una porta lasciata aperta, che però sbatté qualche secondo dopo accompagnata da un ruggito violento all’interno.

Il biondo raggiunse il capitano, rimasto steso contro il muro del corridoio, e gli offrì una mano «pensavo che Tifa fosse stata di aiuto» disse mentre l’altro si alzava mugolando «oh la tua fottuta moglie mi ha suggerito di capire cosa stesse succedendo e di chiedere scusa, cosa che ho fatto» brontolò e Cloud si ritrovò a ridacchiare «certo, immagino come tu abbia chiesto scusa» e detto ciò lo spedì in plancia, dove la radio aveva cominciato a mandare strani segnali, per poi dare una bussata alla porta di Vincent «Vincent, sono io» disse, sperando di ottenere qualcosa di più che un grugnito «posso entrare? Vorrei parlarti» aggiunse e vedendo che la porta era aperta diede una piccola spinta.

Entrando sospettò la rabbia dell’amico a causa dei pesanti graffi sulle pareti della cabina e dal letto praticamente sventrato «Vince…» chiamò di nuovo Cloud, ricevendo un ringhio scontroso da fuori l’oblò, quasi praticamente il doppio della larghezza, deformato in vari punti dalla presa furiosa di lui.

Non poteva essersi allontanato di molto, infatti lo vide seduto su un’ala dello Shera, trasformato nella parte demoniaca di se stesso.

Gli occhi dorati e lucenti guardavano lontano, forse anche troppo, e l’espressione irata sul viso era nascosta dalla mano artigliata, senza la protezione platinata che giaceva in un angolo della stanza devastata.

Cloud si sporse dall’oblò e lo chiamò ancora, nonostante il vento gli ricacciasse le parole in gola; quello che ricevette fu un’occhiata superficiale, niente di più, da cui stavano scendendo alcune gocce rosse che sembravano molto simili al sangue.

Il liquido rossastro stava scendendo da un profondo taglio sopra l’occhio destro e l’artiglio inumano grondava dello stesso sangue «Vincent!» chiamò ancora Cloud, ma ottenne soltanto silenzio e dopo qualche minuto lo vide svolazzare via per posarsi di nuovo sul tetto dello Shera, le ali richiuse attorno al corpo come un involucro impenetrabile.

Sarebbe stato difficile scoprire cosa stesse succedendo nella mente labirintica di Vincent, ma prima avrebbero dovuto raggiungere la grotta di Lucrecia, dove tutti i problemi avevano avuto inizio.



Lo Shera atterrò poco lontano dalla grotta, nella grande piana richiusa fra le montagne, e il gruppo era smontato per entrare tra lo scintillio dei cristalli e dell’acqua limpida.

Tutti si fermarono poco dopo l’entrata e mentre Tifa stava parlando con Barrett di quello che era successo, a bassa voce, Vincent si guardò intorno, trovando il luogo diverso.

Mancava qualcosa e in effetti dalla grande formazione di cristalli azzurrini era scomparso il corpo della dottoressa Crescent, come svanito nel nulla mentre la bara trasparente era come stata fatta a pezzi da qualcosa di incredibilmente potente.

Gli occhi sanguigni non poterono credere alla vista che gli si parava d’innanzi: il suo angelo protettore era scomparso, era stato preso senza pietà.

Solo qualche secondo dopo si accorse che l’acqua attorno all’enorme cristallo spezzato si stava muovendo e alcune bolle interrompevano la calma della superficie «meglio prepararsi» disse Cloud, guardando però l’amico corvino con occhi colpevoli.

Loro sapevano cos’era successo e non avevano trovato il coraggio per dirgli nulla.

No, non può essere!

Dalla superficie del lago spuntò prima una testa di capelli color miele, poi un volto che di umano non aveva più molto.

Dal corpo filiforme spuntavano parecchi tentacoli, da dietro la schiena, che si dimenavano come serpenti senza testa.

Riconobbe le cellule di Jenova dal loro odore, ma il volto era sempre quello che aveva guardato attraverso le pareti sfaccettate di quella bara.

Il volto senza espressione dagli occhi bianchi era orribile, un colpo atroce per il suo cuore provato «L-Lu…» riuscì solo ad esalare mentre muoveva un passo verso la creatura che aveva posato i piedi umidi sulla riva, ondeggiando la testa prima a destra e poi a sinistra, come se stesse cercando di capire cosa stessero facendo quelle persone lì.

Prontamente Cid gli posò una mano sulla spalla, bloccandolo e scuotendo la testa «ce ne occupiamo noi» disse Cloud, mentre Barret e Cid lo affiancavano «state fuori» aggiunse e il biondo aeronauta cercò di sorridere come solito, senza riuscirci per davvero.

Vincent non poté fare altro che stare a guardare le tre armi dei compagni iniziare a crivellare, squartare e dilaniare il corpo latteo e perfetto di Lucrecia, mentre esso ritornava ogni volta al suo stato originale.

Il sangue che macchiava la lama della Buster Sword era lo stesso che lui aveva visto parecchi anni prima, ma allo stesso tempo non era più lo stesso.

Non poteva tenere l’animale che aveva dentro, non poteva continuare a guardare, sentire le grida della donna trasformata e quelle dei tre combattenti «Vinnie…» lo chiamò triste Yuffie, guardandolo dal basso con gli occhioni color nocciola.

Aveva intuito cosa stava pensando? Molto probabilmente lo aveva notato dalle pupille verticali nei suoi occhi e dagli ansiti sempre più faticosi che gli uscivano dalla gola.

Oppure dai denti improvvisamente più affilati.

Con un ruggito Vincent divenne un’enorme bestia simile a un lupo dal pelo violastro e con un altro lamento si lanciò in mezzo ai compagni, sbaragliandoli come fossero stati birilli e lanciandosi sul corpo mutato di Lucrecia, finendo entrambi nel laghetto.

I denti affilati affondarono nei grossi tentacoli, lacerandoli ogni volta che ricrescevano e graffiando con gli unghioni il corpo sempre più grande. Le lacrime non si poterono notare in mezzo ai milioni di bollicine che li avvolgevano «Vincent?» sentì chiamare nella sua testa, la voce della donna, quella che ricordava «Vincent» disse ancora e la bestia si placò, mentre le mani pallide di lei si erano alzate nella nuvola di sangue che fluttuava attorno al corpo mutato.

L’uomo alzò la mano sinistra, scioccato da quella voce angelica «MUORI».

Immediatamente l’acqua divenne un turbinio di bolle e sangue, mentre l’uomo veniva sballottato a destra e a sinistra, mentre il corpo di Lucrecia mutava, diventando enorme e inglobando la stessa acqua che stava muovendo con tanta frenesia.

Come una spugna divenne il doppio, il triplo di prima «che cazzo…??» si sentì Cid mentre Cloud stringeva la presa sulla spada.

L’essere diventò come un’enorme ragno, i tentacoli sorreggevano il peso del corpo rotondo mentre la testa e il busto spuntavano da un lato, completamente trasfigurati.

E dentro l’enorme corpo pieno d’acqua lottava Vincent, cercando di obbligare le pareti gommose di quel mostro a cedere.

L’ossigeno stava iniziando a finire e i suoi polmoni iniziarono a bruciare «ragazzi occupatevi della signorina!» esclamò Cid mentre correva contro il mostro, per poi saltare e piantare la punta della propria lancia in quel ventre gonfio ed enorme, tirando e lacerando.



The one winged angel: Non trovando nulla in giro riguardo a una Valenwind ho deciso di metterla io :P
Chiedo venia per gli errori, ma le storie le scrivo prettamente la notte e quindi a volte ci scappa qualcosa.
Mi servirebbe qualcuno come Beta, ma non saprei a chi rivolgermi ^^"
   
 
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