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Autore: The Corpse Bride    03/09/2010    5 recensioni
Ichigo Kurosaki inizia ad essere un problema per la Karakura High. Risse, cattiva condotta, nessuna intenzione di scendere a compromessi.
Ma, per evitare l'espulsione, gli viene fatta una proposta: una serie di incontri in gruppo organizzati da un consultorio per il sostegno agli adolescenti problematici, a cura di una professionista.
Ichigo se la sentirà di sviscerare la propria vita davanti a dei perfetti sconosciuti? Ma, soprattutto, chi sono questi sconosciuti, adolescenti problematici come lui, e che cosa li tormenta?
Perché in questo universo, Hollow e Arrancar non esistono, o, almeno, non sono quelli che ricordiamo. In questo universo, Ichigo e gli altri affrontano qualcosa di molto più pericoloso: i legami.
(Pairing principale: Ichiruki. Altri pairing verranno rivelati con lo svolgersi della storia.)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai, Crack Pairing | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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“Arrabbiato”.
Questo avrebbe risposto, se gli avessero chiesto come si sentiva. E, probabilmente, quella dottoressa Unohana gliel’avrebbe chiesto molto presto.
Come fossero riusciti a convincerlo che andare a quegli incontri gli avrebbe fatto bene, poi, doveva ancora capirlo.
Lei gli avrebbe chiesto “perché”, perché fosse tanto irritato. Cosa mai gli avessero fatto gli abitanti del mondo per odiarli a tal punto.
Non aveva una risposta logica. Li guardava e li odiava. Come potevano gli altri non essere infastiditi da quella marmaglia disposta in gruppetti?
Si guardò intorno, disgustato già in partenza.
Le madri che si lagnavano dei capricci dei rispettivi figli. I cosplayer che facevano gruppo in un angolo. Le ragazzine che lanciavano strilletti al cellulare.
Non avrebbe saputo puntare il dito su qualcosa in particolare, in quelle persone; quando tutti ti danno ai nervi, te stesso compreso, inizi a pensare di non odiare qualcosa in particolare, ma di odiare e basta, perché non ne puoi più di nessuno.
Forse, generalmente, l’unica cosa che poteva dire con precisione era che non sopportava il loro vivere le loro vite concentrati su cose stupide, rinchiusi nel loro piccolo cerchio rassicurante, e noncuranti di quanto accadeva attorno a loro.
A volte – a volte? No, era più corretto dire tutto il tempo - invidiava la loro stupidità e la loro cecità, la loro incapacità di vedere il mondo al di fuori del loro angolino. Proseguivano avanti dritti con gli occhi puntati sulle loro esigenze, sicuri di sé anche nella loro sconfinata insignificanza, con la fiera ottusità e l’ignoranza di un somaro, e senza alcuna vergogna per questo.
Toshiro lanciava spesso occhiatacce furiose in direzione della gente. E poi, quando se ne accorgevano, faceva una smorfia di disgusto, per chiarire quanto sconfinato fosse il suo disprezzo nei loro confronti… ma loro? Loro alzavano un sopracciglio e poi si voltavano, tornando alle loro insulse occupazioni.
Altri, invece, non si accorgevano nemmeno del suo sguardo. Quel tipo di stupidi non aveva alcun interesse per ciò che gli succedeva attorno. Quel tipo di stupidi non si metteva mai a osservare.
Toshiro, invece, osservava moltissimo.
E a volte pensava che avrebbe fatto meglio a guardare per terra e lasciar perdere quella marea di idioti che popolava il mondo, ché almeno ci avrebbe guadagnato il fegato e, chissà, quella ruga verticale che gli solcava la fronte a quindici anni magari sarebbe sparita.
Sospirò e tirò fuori le chiavi di casa dallo zaino; pregò che la casa fosse vuota.
-Ehi, scusa.
La voce di un ragazzo lo chiamò da dietro le sue spalle. Toshiro si voltò, preparando l’occhiataccia peggiore di cui era capace.
-Sei Toshiro?
Il ragazzo che si trovò davanti aveva capelli neri e un tatuaggio sulla guancia che recava la scritta “69”. Indossava un collare e abiti neri, e aveva una maglia aderente di rete che gli copriva le braccia muscolose.
-E tu chi saresti?
-Io sono… cioè, non lo sai? La signorina Rangiku non ti ha detto niente di me…?
-Rangiku…? – alzò un sopracciglio.
-B-beh, sì. Mi ha detto che posso chiamarla per nome.
-Ti ha detto così, eh…?
Toshiro si voltò senza più badare al tizio e girò le chiavi nella toppa con una certa violenza. Spalancò la porta e si liberò delle scarpe con un calcio.
-Senti, allora mi faresti entrare…?
Toshiro si voltò verso di lui. Sbatté lo zaino a terra e gli lanciò un’occhiata fulminante. Infine chiuse la porta con un botto.
-Dove accidenti sei? – gridò, con le mani a coppa.
-Aye, aye! Sto arrivando, Capitano!
L’aspettò con le braccia incrociate e le orecchie che gli bruciavano dalla rabbia.
Lei comparve con i lunghi capelli biondi bagnati, coperta da un accappatoio che le arrivava a metà coscia. Era ancora avvolta dal vapore del bagno.
-Oh, sei tornato a casa! Ma pensa, mi stavo facendo un bel bagno rilassante, a tutt’a un tratto ecco che l’ora di pranzo è arrivata!
Solita morale: avrebbe dovuto prepararsi da mangiare da solo. Non che si aspettasse qualcosa da lei; in un modo o nell’altro, trovava sempre il sistema per perdere la cognizione del tempo.
Ci era abituato, ma doversi preparare da mangiare era fastidioso. Dove finiva il piacere di abbandonarsi sul tavolo e gettarsi su un pasto caldo, se prima di concedersi quel misero piacere era costretto a mettersi mezz’ora ai fornelli, con ancora addosso la stanchezza della scuola?
E non c’era lo stesso gusto, questo l’avrebbe sempre sostenuto, a consumare qualcosa che aveva creato con le sue mani. Quello che abbiamo modellato dalla sua nascita alla sua forma finale non ha lo stesso fascino di quello che troviamo già costruito.
Ma erano riflessioni inutili, queste. Non gli avrebbero di certo preparato la cena, e poi c’era qualcosa, prima di tutto, che ci teneva a chiarire.
-Chi sarebbe quello? – indicò col pollice la porta.
-“Quello”? Di chi stai parlando?
-Quel tizio che mi ha chiesto di entrare.
-Oh, ti riferisci a Shuhei! Ma certo, l’avevo invitato a cena. Spero che abbia portato qualcosa da mangiare, perché io…
La lasciò blaterare finché non sentì silenzio; quando lei finì, tentando di conservare la calma, parlò scandendo bene le parole.
-Chi è quel tizio?
-Oh, lui è un ragazzo molto gentile che mi ha aiutato un giorno a portare la spesa in macchina. Ma non vorrai lasciarlo fuori dalla porta; ora vado ad apri…
-Non vorrai andare ad aprirgli in quelle condizioni! Vai a vestirti…
-Gli apri tu, allora?
Sospirò, troppo esasperato per urlarle dietro.
-Gli apro io. Ma renditi presentabile.
-Sissignore!
Mentre lei correva verso il piano di sopra, aprì la porta ed accolse Shuhei con l’occhiata più torva che gli riuscì di produrre.
-Hm. Allora permesso...
Lo lasciò passare e chiuse la porta dietro di lui con un altro botto. Quello sussultò.
-Dunque… tu devi essere Toshiro. Tua madre mi ha parlato molto di te.
Toshiro incrociò le braccia e lo fissò con odio.
-Ah, beh, mi aveva avvertito che non eri molto loquace. Beh, che c’è di buono da mangiare?
-Verifica tu stesso.
Gli indicò la cucina e lo seguì mentre, mettendovi piede, si rendeva conto che non solo non c’era niente da mangiare sul tavolo, ma che c’erano reggiseni appesi alle sedie, lattine di birra vuote sul pavimento e cosmetici sparsi per tutto il ripiano.
-Ma che…?
-Tsk… e dire che avevo pulito ieri…
Toshiro si inginocchiò e iniziò a raccogliere le lattine per buttarle via.
-Ti serve una mano?
-Sono abituato.
-Ti prendo un sacchetto.
-Ti ho detto che non mi serve.
Shuhei si allontanò cautamente e prese posto sul divano.
Toshiro lo controllò con la coda dell’occhio; questo qui era parecchio più giovane di lei. Doveva avere poco più di vent’anni.
-Sei tornato da scuola?
Non gli rispose; con la divisa addosso e uno zaino in spalla, gli sembrava che la risposta fosse evidente.
-Come mai non mangi in mensa?
-Che vorresti dire…?
-Oh, nulla. È solo che tutti gli studenti mangiano in mensa, di solito.
-Io mangio a casa mia, invece.
Un estraneo entrava in casa sua e insinuava anche che lui, legittimo abitante della casa, stava facendo la parte del terzo incomodo?
Gli suggeriva inoltre di starsene assieme i suoi compagni e di levare le tende…?
A uno così non valeva la pena di spiegare che non sopportava i suoi compagni, quel loro modo di raggrupparsi in tavolate e mangiare le schifezze della mensa e chiacchierare sempre delle stesse stupide cose: dell’ultimo stupido voto (potevate studiare di più), dell’ultima stupida cotta (ma quanto si può essere banali?), dell’ultimo stupido litigio con i genitori (tutte queste storie per andare a uno stupido karaoke).
-Allora, nel frattempo, potrei andare a prendere qualcosa da mangiare – disse quello Shuhei – che cosa ti piace?
Ironico che gli chiedesse una cosa simile, benché stesse parlando del cibo.
-Prendi quello che ti pare. Io me ne vado a studiare.
Lo lasciò con un palmo di naso e per le scale incontrò sua madre, pimpante come al solito.
Tanto valeva che non si vestisse: per quella magliettina scollata e quella gonnellina, forse sarebbe stata più coperta se si fosse tenuta l’accappatoio.
-Ehi, non ti unisci a noi? È ora di pranzo! Non hai bisogno di energie, per affrontare un pomeriggio di studi?
-Non ho nessuna fame. E poi, non dovevamo fare i conti delle bollette, oggi…?
-Ma certo! Ma possiamo farli con la pancia piena, no?
-Preferisco non rimandare. Dammeli, li faccio io nel tempo rimanente.
-Subito, Capitano!
Sbuffò.
Lo chiamava così, molto spesso; il più delle volte, quando dimostrava di essere lui il vero padrone di casa. Ovvero, praticamente sempre.
-Dove accidenti le avevo messe…?! Ero convintissima di averle lasciate proprio qui!
-Qui dove?
-Ma sì, qui! Qui in giro.
Quella scena si ripresentava ogni mese, ma ogni volta aveva il potere di fargli pulsare le vene delle tempie. Strinse i pugni, chiuse gli occhi e prese a contare per calmarsi.
-Ecco! Eccole qua. Tieni.
Gliele strappò di mano e le lesse velocemente.
-Queste… - mormorò, cercando di mantenere la calma – queste sono le conferme di un ordine su eBay! Che diavolo… che razza di oggetto
Arrossì violentemente e sentì le orecchie diventargli bollenti. Sua madre non fece altro che scoppiare a ridere.
-Ops, sembra che abbia fatto confusione! È quella lingerie speciale che avevo ordinato la settimana scorsa. Meno male che l’hai ritrovata, non sapevo davvero più dove…
-Le bollette!
-Certo, certo. Su, non agitarti, vedrai che saranno da qualche parte – si stiracchiò e, saltellando sui gradini, si diresse verso il piano di sotto.
Shuhei stava uscendo.
-Allora vado a comprare un po’ di carne… per festeggiare l’incontro mio e di Toshiro!
-Mi sembra un’ottima idea! Mmh, carne! Tu sì che sai come trattare una donna, Shuhei!
-Oh… - quello arrossì e si fiondò fuori dalla porta.
Toshiro si voltò furibondo verso sua madre, che fissava soddisfatta la porta con le mani ai fianchi. La fissò finché lei non si accorse di essere guardata.
-Mh? Che c’è? Tutto a posto, Capitano?
-Mi chiedi che c’è…? – A volte dubitava di aver sentito bene. – Io… questo tizio, ti pare…
Ma lei lo guardava stupita, chiaramente chiedendosi quale potesse essere il problema.
Inutile parlarci; se non capiva le cose più elementari, figurarsi se avrebbe seguito la sua ramanzina.
-Fa’ come ti pare, non voglio saperne niente – concluse, poi girò i tacchi e imboccò le scale.
Mentre cercava le bollette in giro per la casa sentì che quello Shuhei entrava in casa, poi che i due si erano accomodati in cucina, e poi rumore di risate e bicchieri che tintinnavano.
Le risate e il tintinnio di bicchieri a un certo punto salirono di volume e di frequenza, segno che probabilmente sua madre ci aveva dato dentro di saké fin dal mattino. Scosse la testa, indignato, e tornò alle sue bollette.
Il fatto che disponessero solo dello stipendio di sua madre, che faceva l’estetista e non la dirigente, non aiutava a far quadrare i conti a fine mese. Se Toshiro non avesse avuto quella borsa di studio, non avrebbe mai potuto frequentare la costosissima scuola che frequentava; figurarsi il doposcuola, poi.
Come se tutto questo non fosse bastato, quella donna aveva il brutto vizio di sperperare i soldi; se almeno avesse conservato gli scontrini o si fosse annotata da qualche parte i suoi acquisti, almeno Toshiro avrebbe capito dove finivano parecchie migliaia di yen. Di solito gli toccava indagare in lunghe sessioni d’interrogatorio.
Non avrebbe mai voluto tornare di sotto, ma doveva farlo, se voleva capire dove fossero finiti ventimila yen che sembravano essersi persi in un varco spazio-temporale.
-Ehi – chiamò, dalle scale. Non ebbe risposta. Aggrottò le sopracciglia e si rassegnò ad entrare in cucina, dove il tizio si era addormentato sul divano e sua madre direttamente sul tavolo, con la lattina di birra ancora stretta tra le mani. – Svegliati!
Quella mugolò, aprì e richiuse la bocca un paio di volte, poi tornò a dormire serena. Toshiro iniziava a innervosirsi.
-SVEGLIA! – urlò a due centimetri dal suo orecchio, e lei, con un lamento, si svegliò.
-Insomma! Potevi anche chiamarmi con più gentilezza!
L’aveva fatto, ma lei non…
… ma a che serviva puntualizzare?
-Hai speso ventimila yen, di recente?
Non era quello che avrebbe voluto dirle. Il discorso che avrebbe voluto farle, e che, involontariamente, era andato formandosi nella sua testa mentre scendeva le scale pestando i piedi, suonava più o meno così:
-Si può sapere che accidenti stai facendo?! Ti sembra normale ubriacarsi dal mattino?! Ti rendi conto che devo sempre fare tutto da solo?! E, tanto per sapere, chi diavolo sarebbe questo tizio, appena uscito dal liceo, che si siede sul divano di casa mia e si comporta come se io e lui fossimo obbligati ad avere qualcosa a che fare?!
Quante volte aveva raffinato il discorso nella sua testa, gustandosi il momento in cui finalmente avrebbe sfogato tutta la sua rabbia, lanciando una raffica di accuse che non avrebbe tralasciato niente, neanche una singola mancanza che normalmente sarebbe stata perdonabile.
Tuttavia sapeva bene cosa sarebbe seguito a una simile scena: due occhi spalancati, un battito di ciglia, e l’espressione di chi non capiva che bisogno ci fosse di prendersela tanto per un completino di lingerie. Fosse stata una che capiva, si pentiva e abbassava il capo, annegata nella vergogna, un simile sfogo avrebbe anche potuto avere un senso. Ma nulla poteva abbattere il muro dell’ottusità. Con una simile fannullona, qualunque discorso pratico era inutile.
Il che non sarebbe stato un grosso problema, se quel suo modo di fare si fosse limitato alle piccolezze. Alla spesa extra, alla dimenticanza occasionale, insomma, quelle cose a cui si poteva passare sopra. Ma sua madre non era una persona affidabile con dei momenti di debolezza, che sarebbero stati perdonati, dato che era una madre single e che, teoricamente, avrebbe dovuto mandare avanti una casa e un figlio da sola. No. Sua madre era una farfallona nullafacente che delegava a lui il lavoro di genitore, punto e stop. Non cooperavano, non l’aveva semplicemente coinvolto nella gestione familiare: l’aveva investito di tutte le responsabilità che le spettavano ed eletto a padrone di casa, pensando che, dato che gli concedeva pieni poteri e piena libertà, allora sarebbe stato uno scambio equo.
-Non lo è – mormorò.
-Uh?
-Dicevo, ventimila yen. Dove hai speso una cifra simile?
-Ventimila… yen…?
Vide i suoi occhi farsi vacui e la sua espressione perdersi in pensieri nebulosi.
-Sì, ventimila yen. Non puoi dimenticare in che cosa hai speso una tale somma di denaro!
-Hmm… - si portò un dito alla bocca e aggrottò le sopracciglia. Disgraziatamente, notò il proprio riflesso sul vetro della finestra e, trovandosi particolarmente carina, si fece l’occhiolino e si mandò un bacio.
-Ehi!
-Ah, sì, sì, ventimila yen. Sto pensando.
-Hai forse fatto la spesa?
-Ma no, Capitano, sei sempre tu che vai a fare la spesa.
-Già – strinse i denti – e allora che cos’è?
-Proprio non lo so – mormorò incantata, chinando il capo di lato.
-Se solo capissi dove è stato effettuato l’acquisto, potrei venirne a capo. Invece hai prelevato la somma per poi farne qualcosa. Cosa?
Lei fece sporgere e tremolare il labbro inferiore, inscenando un’espressione da cucciolo sperduto. Cosa che aveva unicamente il potere di fargli perdere gli ultimi residui di pazienza. Ma non aveva più voglia di urlarle dietro; ci aveva provato tante volte, in passato, senza risultato. L’unica era andare avanti. Avanti senza sbraitare, senza stupirsi; avanti cercando di lasciar perdere. Fissarsi su qualcosa di immutabile sarebbe stato stupido, e lui, lui, non era uno stupido.
Cercò di calmarsi; tirò un respiro profondo, poi mantenne un tono fermo.
-Ti do tempo fino a questa sera per pensarci. Capito? Poi dovrò detrarre questa somma dai tuoi soldi.
-Eeeh? Ma nooo! Volevo comprarci quell’abitino così carino che…
-Non se ne parla. Prima i ventimila yen. Se mi dimostrerai che sono stati investiti in qualcosa di utile, nessuno toccherà i tuoi soldi; altrimenti sarò costretto a requisirteli.
-Sei cattivo, capitano! Uff!
Fece sporgere le labbra a ciuccio e si abbandonò su una poltrona. Toshiro le lanciò un’occhiata fredda, che poi però, vista sul riflesso della finestra, era solo un’occhiata arrabbiata.
Quella rabbia muta e non espressa, sul punto di esplodere in mille schegge incandescenti, che non riesce mai a essere fredda. È calda come brace.
Eppure lui avrebbe voluto essere freddo e maestoso come un dragone di ghiaccio, così che nessuno gli si avvicinasse, nessuno osasse infastidirlo, altrimenti lui l’avrebbe ingoiato in un inferno di gelo, paralizzandolo per sempre con la bocca spalancata a vuoto.
Voleva troneggiare sul suo cielo ghiacciato, rilucendo come una luna piena ghiacciata.







(Nda: eccomi qua :D.
So che la mia velocità d’aggiornamento è diminuita, chiedo scusa; del resto due settimane mi sembrano un tempo più che equo u_u, considerato che sono stata (e sarò sempre di più, purtroppo :( ) abbastanza impegnata.
Comunque, eccoci. Penso che sia chiaro a tutti il riferimento finale (strizzata d’occhio, la chiamerei piuttosto :D) ma non ho potuto resistere, era troppo appetitosa.
Una cosa vorrei aggiungere (e varrà sempre di più nei prossimi capitoli): è chiaro che i rapporti, rispetto a quelli esistenti in Bleach, sono un po’ alterati o, come in questo caso, amplificati. Perciò ricordo che queste persone, nel mondo reale, non conducono una vita militare, e sono persone per lo più qualsiasi, alle prese con problemi qualsiasi. Questioni di natura sentimentale o personale assumono dunque molto più rilievo e acquistano più peso. Cose che nella SS verrebbero giudicate disgustosamente umane qui sono il punto focale della storia. Questa fic è nata per essere drammatica – cosa che Bleach non è affatto – per cui i personaggi si faranno influenzare e ferire da cose che nel manga li scalfirebbero appena.
Infine: il titolo, riconoscibilissimo :D, dai Radiohead (benché sia la theme song di Uryuu :°D).
In risposta a voi recensori :* (e gli altri? Dove vi siete nascosti è_é?)
@NekoGirl94: alla fine ho guardato un episodio di Durarara!, ma non mi è piaciuto ‘’XD il mio pane quotidiano è il dramma! Spero che ti sia piaciuto anche questo capitolo, benché privo di pugni e nasi rotti XD!
@nick nibbio: ci mancherebbe che non rispondessi ai miei recensori u_u grazie a te per i commenti! ;D
@Exodus: non dirò a cosa mi riferisco, ma… accidenti, o sono io prevedibile o tu hai l’occhio lungo XD! Sono felice comunque di aver reso bene la scazzottata, e mi dispiace di averla interrotta presto ;_; la prossima la stoppo solo quando saranno tutti attaccati al respiratore.
Tra l’altro mi sembrava di aver letto da qualche parte che Toshiro ti piacesse (o ti ci riconoscessi)… spero davvero di aver fatto un buon lavoro con questo!
Ciao a tutti, alla prossima ;D!)
  
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