Capitolo 1: Di
Maggiordomi in gonnella e sciamane nudiste.
Silvia
lanciò uno sguardo fuori dal finestrino, dove il mare limpido si estendeva a
vista d’occhio. Decisamente il luogo dove sorgeva l’isola Bolou
doveva essere incantevole e, probabilmente, anche il suo soggiorno su essa lo
sarebbe stato, tuttavia non riusciva proprio a rilassarsi. L’idea che da lì a
pochi minuti avrebbe rivisto suo fratello la faceva fremere di rabbia.
Come
l’avrebbe ricevuta? Festante e gioioso, come se nulla fosse, oppure serio e
pronto a chiederle scusa in ginocchio?
Sospirò,
stringendosi attorno alle spalle il sottile scialle, e squadrò l’aereo che
l’avrebbe trasportata a destinazione. Era un aereo piccolo, vecchio e, secondo
lei, sul punto di cadere da un momento all’altro.
Intorno
al suo sedile, l’unico fra l’altro, erano affollati sacchi di vario genere, la
sua valigia e addirittura delle gabbie, contenenti galline; inoltre, il
fastidioso ronzio che proveniva dai motori, le fece insinuare il sospetto che
quel viaggio fosse solo una macchinazione del suo astuto fratello al solo scopo
di ucciderla. In fondo, se la sua sorellina adorata crepava in un incidente
aereo chi poteva incolparlo? Certo, doveva trattarsi di sicuro di uno dei suoi
piani malvagi.
Oramai
era così convinta di questo che non poté reprimere un ringhio di rabbia, quando
l’aereo cominciò a perdere quota.
Sebbene
gli avessero severamente proibito di alzarsi, lo fece lo stesso e, barcollando,
si diresse verso la cabina di pilotaggio, intenzionata a dare il suo ultimo
messaggio al pilota, ma questo la accolse con un sorriso e, in un inglese
stentato, le annunciò che erano quasi giunti a destinazione.
Silvia
alzò il volto, rendendosi conto solo in quel momento dell’isolone pieno di
grattacieli che si stava avvicinando a loro, o meglio, a cui si stavano
avvicinando.
-
è-è questa Bolou?- chiese,
costernata.
Il
pilota la osservò confuso – no no!- disse, scuotendo
la testa – questa non Bolou. Questa isola maggiore.
Per Bolou aspettare traghetto!-
La
bionda sbiancò in volto – t-traghetto?- ripeté allarmata.
-
sì sì, traghetto. Signorina, voi sentire bene?-
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Gli
abitanti di Bolou erano sempre stati attirati dal
colorito pallido del loro futuro sovrano, così raro dalle loro parti, tanto da
considerarlo come il più bel incarnato mai visto. Ma quando videro la sorella
di costui, dovettero ricredersi.
Era
la sorella più piccola di questi ad avercelo più bello: così chiaro, quasi
traslucido, senza contare quella vaga sfumatura verdognola.
La
delicata creatura era, infatti, scesa dal battello e aveva incantato tutti
quando, probabilmente per la troppa gioia di vedere il futuro popolo del suo
amato fratello, era quasi svenuta tra le braccia di uno dei Naghar.
Quindi
pareva normale, ora, continuare a osservarla mentre la loro regina, la sfavillante
e bla bla bla Reika Honua, si avvicinava alla ragazza, per porgergli
i suoi omaggi.
-
mia cara- disse questa, inchinandosi lievemente – ti do il benvenuto sulla mia
isola. Io sono Reika, la regina di questo luogo e, spero, tua futura sorella!-
Silvia
fissò guardinga la donna che gli stava dinanzi. Alta e androgina, la futura
moglie di Sirius non gli sembrò poi una grande bellezza: aveva meno curve di
lei, il che aveva del paranormale, e nulla del suo volto lungo spiccava
particolarmente, se non due vivaci occhi verde smeraldo. Ora ne era sicura, suo
fratello la sposava solo per interesse.
Un'altra
ondata di nausea la invase, costringendola nuovamente a reggersi contro uno di
quegli strani individui con indosso le maschere che lei era solita vedere nelle
bancarelle dei vu’cumbrà – la ringrazio dell’accoglienza..- biascicò,
raccogliendo a sé tutta la forza che le era rimasta in corpo – dov’è mio
fratello?-
-
oh, Sirius si sta purificando in questo momento.- spiegò la mora, liquidando il
tutto con un gesto della mano – ma sorella, ti vedo così debole! È stata
l’emozione di vederci, vero?-
-
veramente..- cominciò Silvia, premendosi un fazzoletto sotto il naso – soffro
di mal di mare .- e detto questo si voltò, liberando il suo stomaco dalla zuppa
di gamberi mangiata all’aeroporto, sempre sorretta dal fedele Naghar, che si voltò verso la sua regina,
implorandola con lo sguardo di liberarlo da quell’increscioso compito.
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-
spero ti senta meglio.- mormorò Reika accarezzando lievemente il capo biondo di
Silvia che, in quel momento, sembrava aver ripreso quasi completamente la
lucidità perduta.
-
c-credo di sì .- mormorò lei, rendendosi conto solo in quel momento ti essere
sdraiata sopra un comodo pagliericcio – dove mi trovo?-
-
sei nel mio palazzo- spiegò la mora, aiutandola a sedersi – mi dispiace che il
viaggio non sia stato di tuo gradimento, Sirius non mi aveva detto che soffrivi
di mal di mare.-
È già tanto se sa come mi
chiamo, Sirius. Pensò
tra sé e sé, mentre lo sguardo vagava per quella che Reika aveva definito “ il
suo palazzo”: non era che una capanna circolare fatta di canne di bambù, con il
pavimento in terra battuta e pochi oggetti al suo interno.
Certo,
il letto dove era seduta era di ottima fattura, ricoperto di tessuti eleganti e
tutto, per carità, ma da qui a definirlo un palazzo; che diavolo era saltato in
mente, a suo fratello?
-
non fa niente.- mormorò, tornando a fissare la regina – Sirius non è mai stato
molto attento ai dettagli.-
-
oh, questo di sicuro.- rise lei – pensa che, certe volte, mi sembra dimentichi
persino il mio nome ma rimane comunque un uomo tanto dolce!-
-
eh già!- rispose la bionda, cercando di mitigare, fin dove ci riusciva,
l’ironia che le usciva da quelle due parole.
Povera
donna, pensò, Sirius se la sarebbe rigirata come un calzino, sempre se non gli
avesse già fatto sottoscrivere qualche contratto prematrimoniale.
-
mia cara sorella, vorrei poter rimanere con te ma, purtroppo, ho molti impegni
in vista dell’imminente matrimonio.- disse improvvisamente Reika,
distogliendola dai suoi pensieri – tu riposa quanto vuoi. Appena ti sentirai
più in forze il mio Naghar ti condurrà ai tuoi alloggi.-
-
Naghar?- ripeté Silvia, osservando lo strano tizio,
coperto solo da quell’orribile maschera e da un gonnellino di viticci, che per
tutto il tempo era stato immobile dinanzi alla porta.
-
sì, sono le mie guardie personali.- spiegò la mora, come se fosse la cosa più
naturale del mondo usare strani tizi nudi e dall’aria vagamente voodoo come
guardie .- di norma si occupano del mio benessere ma ho dato loro l’ordine di pensare
anche a te, quindi qualsiasi cosa tu voglia, basta che ti rivolga a loro.-
Che culo pensò Silvia ho sempre desiderato essere circondata da maggiordomi in gonnellino.
-
grazie mille Reika.- dichiarò – ma non vorrei privarti delle tue guardie.-
-
non sarà di certo un problema per me. Sull’isola ci sono altri undici Naghar, uno in più uno in meno non mi cambia nulla.-
rispose Reika, avviandosi verso la porta – ora riposa e non pensare a simili quisquilie,
sei di famiglia qui.- aggiunse, prima di uscire dalla capanna e abbandonarla al
suo mal di testa e al Naghar.
Silvia
fissò lo strano individuo, indecisa sul da farsi – ehm, ciao.-
disse, cercando di intavolare un dialogo.- io sono Silvia, tu sei…-
L’uomo
rimase immobile, continuando a fissarla da dietro la maschera.
-
ok, potrei chiederti un favore?-
Questo
fece un breve inchino ma continuò a rimanere muto.
-
ok, lo prendo come un sì. Per caso puoi procurarmi un’aspirina?- continuò la
bionda, ricevendo in risposta soltanto una lieve inclinazione della testa.
-
un’aspirina, hai presente?-
Nuovamente
di risposta ebbe solo il silenzio.
-
ok, lascia perdere. Dimentica quello che ho detto.- sbuffò, inserendo la parola
Naghar nella lista delle cose che non sopportava,
appena dopo suo fratello e i traghetti.
Lo
stano tizio annuì, mandandola nuovamente su tutte le furie.
Imprecò
tra sé e sé e si girò nel letto, dandogli le spalle.
Al
manicomio.
Era
finita al manicomio.
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Il
risveglio la colse troppo presto, quando non era riuscita a recuperare che un
quarto del sonno perso durante il viaggio.
Forse
era troppo scombussolata da tutti quei cambiamenti, forse non era abituata a
quella stuoia. O forse, più semplicemente, non riusciva a dormire con un enorme
maschera vivente che continuava a fissarla impietrita.
Si
sollevò a sedere, sbadigliando sonoramente – senti.- cominciò, tentando
nuovamente di istaurare una parvenza di conversazione – sai dove posso trovare
un telefono?-
L’uomo
parve pensarci un attimo su, poi s’inchinò e uscì dalla capanna, diretto chissà
dove.
Tornò
poco dopo, trascinando per un braccio un
signore di mezz’età, decisamente confuso, e iniziando a indicarglielo
freneticamente.
Doveva
essere lui il proprietario del telefono.
-
scusi se l’ho fatta disturbare – disse, rivolgendosi allo sconosciuto – ma, per
caso, lei possiede un telefono?-
-
telefono?- ripeté l’uomo, fissandola ancora più confuso – tu intendere
quell’apparecchio strano da cui escono strane voci?-
-
esattamente.-
-
io mai avere visto uno.- sentenziò.
A
Silvia per poco non caddero le braccia a terra. Ora ne era sicura, avrebbe
commesso un omicidio prima di ripartire.
-
tuttavia io sapere che la grande sciamana possedere uno.- continuò l’anziano,
mentre il Naghar, dietro di lui, annuiva convinto.
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In
un paese dove persino le guardie giravano coperte da grosse maschere tribali,
Silvia si aspettava che la sciamana fosse quantomeno conforme alla moda
dell’isola.
E,
sebbene la cosa la inquietasse non poco, era anche disposta ad accettarlo,
purché riuscisse a mettersi in contatto con il suo avvocato.
Purtroppo,
quello che le si parò davanti, era decisamente peggio di ciò che la sua fantasia
era riuscita a partorire.
Era
disposta ad accettare tutto, ma non quello.
Di
fronte a lei, infatti, c’era una donna, che di certo aveva passato il fior
fiore dei suoi anni da qualche decade, completamente nuda, se non per delle spirali rosse disegnate sapientemente
in vari punti del corpo ma che, di certo, nascondevano ben poco. Sulla fronte
rugosa, poi, erano stati tratteggiati un paio di occhi in più, che rendevano la
visione ancora più terrificante.
La
sciamana teneva il telefono tra la testa e la spalla e chiacchierava
amabilmente in una lingua sconosciuta, mentre le mani erano impegnate a tritare
delle erbe con un pestello.
Appena
si rese conto della sua presenza – a dir
la verità molto tardi per essere una sciamana – la fissò con astio ed
esordì in un – cosa vuoi?- molto poco sciamanico.
-
ehm, dovrei fare una chiamata.- iniziò Silvia, avanzando nella capanna – non è
che mi potrebbe prestare il telefono?-
La
donna la fissò per un lungo minuto. Poi si alzò – cosa che Silvia sperava non facesse mai – e mormorò qualcosa d’incomprensibile
al telefono, prima di passarglielo. – fai presto.- disse poi – devo chiamare
ancora molti spiriti.-
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Or dunque, che dire?
Prima o poi dovevo
ricominciare no?
In realtà, fosse per me
sarei ancora qui a tergiversare se tornare o no, perché io amo tergiversare, ma
qualcuno ha avuto l’idea di
minacciarmi, non potendone più di tutto questo rimandare, e mi son decisa.
In realtà non mi sento
ancora pronta ma penso che non lo sarò mai quindi è ora di farlo, il difficile
è ripartire ( me e le partenze in salita, una lotta senza fine * posa epica*)
poi la strada diventerà sempre meno ripida.
Spero.
Va beh, dopo questa parentesi
poetica-ma-ananche-no/simil-emo/da-alcolista-anonimo-al-primo-incontro vorrei
ringraziare E r a t o per aver
commentato il prologo ( solo tu potevi avere il fegato di farlo, dopo questa ti
manca anche il bungee jumping.
E grazie, tu sai per cosa) e tutti quelli che hanno letto e aggiunto la storia
( o forse è solo una persona che l’ha letto tante volte. Spero di no XD)
Va beh la pianto qua che
non so più che dire, ( se fossi stata brava con i discorsi starei a fare
giurisprudenza o scienze politiche invece che a studiare oggetti improbabili)
quindi me la filo, l’esame incombe e io devo STUDIARE STUDIARE
E ANCORA STUDIARE!
Fauteil-coussin
confortable, sto arrivando !
Baci
Laica ( e Special Guest Fauteil-coussin confortable)