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Autore: Katie88    04/09/2010    12 recensioni
Ecco a voi l'ennesima storia su una ipotetica sesta serie, dopo la tristissima 5x13. So che ci sono già moltissime fanfiction sullo stesso argomento, ma ho voluto comunque dare la mia versione. Spero che vi piaccia!
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2. My Daily Routine

 

 

 

Justin frugò freneticamente nella tracolla in cerca del suo cellulare. “Ma dove cazzo è finito?” Sibilò tra i denti, beccandosi un’occhiataccia di rimprovero da un’anziana signora lì vicino. Le restituì lo sguardo e affrettò il passo, la mano ancora nella tracolla.

“Oh, finalmente!” Estrasse il telefono. “Pronto?”

“Ciao, migliore amico!”

Justin sorrise immediatamente. “Ciao, Daph.”

“Che fai di bello?”

“Niente di che. Passeggio.”

Sentì Daphne sbuffare dall’altro capo. “Oh si, ci credo! New York è una città così noiosa! Non c’è mai nulla da fare e quindi non ti resta altro che vagare senza una meta tutto il giorno.”

Justin scoppiò a ridere. “Veramente sono sulla 5th Avenue… avevo voglia di fare shopping.”

“E io avrei voglia di ucciderti in questo preciso istante.” Replicò secco la ragazza. “Se penso che tu sei a fare shopping in una delle vie più belle del mondo mentre io…”

“… stai andando a lezione perché vuoi diventare il miglior medico del mondo e salvare tante vite?”

Daphne brontolò seccata. “Comunque quello che fai tu sembra sempre più allettante.”

“Si, ma io ho già compiuto il mio dovere.” Justin attraversò la strada, correndo. “E visto che le mostre a Toronto sono andate bene, ho deciso di farmi qualche bel regalo.”

“Anch’io ho fatto il mio dovere. Anzi, ad essere precisi, lo faccio tutti i santi giorni. E non vengo nemmeno pagata profumatamente per due scarabocchi su una tela!”

Justin scoppiò a ridere e si passò il telefono sull’altra spalla; si fermò davanti ad una delle tante vetrine e scorse velocemente la merce esposta. “Sarai contenta di sapere che quegli scarabocchi presto saranno esposti anche a Vancouver e Montreal, mia cara!”

“Oh mio Dio!” Esclamò Daphne eccitata. “Dici davvero?”

Justin annuì come se lei potesse vederlo. “Me l’hanno comunicato stamattina; ti ricordi di Edmund Summers?”

“Il critico che secondo Steve avrebbe dovuto diventare il tuo futuro suocero?” Gli domandò ancora palesemente divertita dall’idea del suo manager.

“Si è adoperato molto per avere altre rassegne che comprendessero alcuni dei miei ultimi quadri, insieme a qualche altra opera proveniente dalla mia galleria d’arte… magari quella di qualche esordiente.”

“Cazzo, Justin! È grandioso! Alla Austen Gallery devono essere al settimo cielo!”

“Oh, lo sono. Sono riusciti a piazzare due artisti in una sola mostra! E all’estero, per di più!”

Daphne gli schioccò un bacio attraverso il microfono. “Bravo il mio Andy Warhol! La mamma è molto fiera di te!”

Justin rise divertito, contagiato dal buonumore della sua migliore amica. Lasciò la 5th Avenue troppo affollata a quell’ora del mattino e s’infilò in un piccolo parco lì vicino. “Bè, Vancouver e Montreal non saranno grandi come Toronto, però almeno mi faccio conoscere al di fuori degli Stati Uniti.” Si avvicinò al chiosco degli hotdog e ne ordinò uno con maionese e ketchup. Pagò rapido e si diresse verso una delle panchine.

“Invece è fantastico, Justin! E poi non sono piccole! Praticamente contano dieci volte gli abitanti di Pittsburgh!”

“Si, e più o meno la metà di Toronto, ma tranquilla!” La interruppe prima che Daphne iniziasse a insultarlo. “Sono felice comunque! E poi la mostra di Toronto è stata un successone, quindi non potrei chiedere di più!”

“Bene.” Ribatté secca Daphne. “Perché stavo già per rovesciarti addosso le parole più volgari e oscene del mio dizionario.”

“Lo immaginavo.”

“E smettila di sminuire il lavoro fantastico che hai fatto; Cristo, sei un artista, Justin! Dovresti camminare per Rodeo Drive a tre metri da terra tanto è grande il tuo ego!”

Justin ridacchiò. “Rodeo Drive si trova a Los Angeles, non a New York, Daph.”

“Non importa dove cazzo si trovi Rodeo Drive, il succo non cambia! Dovresti uscire e spaccare il culo a tutti e non rinchiuderti in quel parchetto a mangiare hotdog da solo, come se fossi un mediocre come tanti!”

L’hotdog si fermò a metà strada, la bocca di Justin ancora aperta; si guardò velocemente intorno, aspettandosi quasi di avvistare la sua amica spuntare da dietro un cespuglio. “Ma come cazzo…” Brontolò tra i denti.

“… ad indovinare?” Scoppiò a ridere. “Ti conosco da quasi dieci anni ormai, Justin Taylor. E so esattamente cosa ti passa per la testa in ogni singolo istante, ora o giorno.”

“In pratica sei una stalker a distanza.” La prese in giro.

“Meglio, sono la tua fata madrina.” Justin rise. “Mi assicuro che mangi, che dorma a sufficienza…”

“Ah, quindi come mia madre…”

“… e che non ti monti la testa come tutti quei newyorkesi di successo con la puzza sotto al naso!”

La risata spensierata di Justin fece sorridere Daphne che si strinse di più nel cappotto. “Cazzo, oggi fa un freddo cane!”

Justin diede un altro morso al panino e deglutì rumorosamente. “Allora, raccontami qualche novità… Com’è andato poi l’appuntamento con quel tizio del college?”

Daphne sbuffò scocciata. “Lasciamo perdere. Un incubo!”

“È stato così terribile?”

“Per usare un eufemismo! Non ho mai incontrato qualcuno così arrogante, maleducato e pieno di sé! Ci mancava solo che mi facesse un rutto in faccia e mi palpeggiasse il culo per rendere la serata davvero indimenticabile!”

“Bè, almeno non l’ha fatto.” Sorrise appena, cercando di consolarla.

“L’avrei ammazzato in quel caso!”

“E io avrei dovuto farti visita in carcere.” Ci rifletté su un attimo. “Però sarebbe stata una bella pubblicità per me. Giovane artista emergente impegnato nella beneficenza: visita le detenute della prigione di stato. ‘È una causa a cui tengo molto.’ Ha dichiarato il diretto interessato. ‘Una mia cara amica è qui reclusa e ci tengo ad esprimerle il mio supporto e la mia amicizia’.

“Hai finito di fare lo spiritoso?” Borbottò Daphne contrariata. “E comunque sappi che se fossi stata arrestata, avrei dichiarato che eri mio complice.”

“Mentre ero in un altro stato?”

Daphne scosse le spalle. “Era tutta una tua idea.”

“E perché mai avrei architettato una cosa del genere?”

“Perché sei profondamente, pazzamente e sinceramente innamorato di me!”

Justin alzò gli occhi al cielo e sorrise. “Ovviamente. L’avevo dimenticato.”

“Bè, ci sono io a ricordartelo.”

“Ed io non potrei essertene più grato.”

Daphne rise. “Piuttosto, tu che hai combinato ieri sera? Mi hai accennato che saresti uscito.”

“Si, con Steve. Siamo andati a prendere una cosa e poi in un locale, niente di che.”

“Nessun bel ragazzone?” Gli chiese interessata.

“Niente che valga la pena segnalare.”

Daphne sospirò rassegnata. “Sei il solito incontentabile. Dovresti divertirti qualche volta.”

“Lo so.” Justin si stiracchiò le braccia e le gambe. “Ma preferisco concentrarmi sulla mia carriera che almeno mi dà qualche soddisfazione.”

“Alla galleria che dicono? Sono soddisfatti di come è andata a Toronto?”

“Entusiasti.” Ribatté Justin con un sorriso. “Non si immaginavano un successo del genere; adesso aspettano di vedere le altre mostre in Canada e poi decideranno se è il caso o meno di organizzarne altre. Nel frattempo, sono lieto di comunicarti che altre quattro gallerie hanno richiesto i miei lavori.”

“Ma è grandioso! Dove?”

Justin sporse il labbro, sforzandosi di ricordare. “Una a L.A., poi Denver, Seattle e Austin.”

“Wow! Ti stai allontanando parecchio!”

“Già…”

“Hai dei nuovi pezzi?”

“Ultimamente non posso lamentarmi.” Justin giocò con tovagliolino in cui era avvolto l’hotdog. “Sono una specie di vulcano, non faccio che creare nuovi quadri; delle volte ho quasi paura di esaurire tutta l’ispirazione e di non averne più in futuro.”

“Cazzate!” Lo rimproverò Daphne. “Tu pensa a dipingere e non preoccuparti di quello che succederà domani.”

“Si, mamma.” Justin sorrise.

“Oh, sai che ieri ho incontrato tua sorella? Faceva shopping con delle amiche in centro.”

“Come l’hai trovata? È un po’ che non la sento.” Chiese Justin curioso. Da un paio di giorni non faceva una bella chiacchierata con Molly e ogni volta che chiamava a casa, sua sorella o era fuori o era occupata.

Daphne si strinse nelle spalle. “Tua madre mi ha detto che è eccitatissima per il saggio di fine anno alla St. James e per il ballo; ieri stava cercando un bell’abito. Da quello che ho capito esce con un figo pazzesco, o almeno è quello che diceva.”

Justin storse il naso contrariato. “Credo sia il capitano della squadra di lacrosse; mia madre mi ha assicurato che è uno a posto, ma non mi fido. Sarà sicuramente un idiota.”

“Spero proprio di no.” Daphne si sedette sulle scale all’ingresso del facoltà di medicina e tirò fuori il suo panino. “Ti spiace se mangio mentre chiacchieriamo?” Chiese con la bocca già piena.

Justin sorrise. “Fai pure, l’ho fatto anch’io, no?”

Daphne deglutì e bevve un sorso d’acqua. “Dicevo che spero proprio che non sia così, dato il cervello che ha Molly! Tua madre mi ha detto che è stata ammessa a Yale! Non è fantastico?”

Justin si sdraiò sulla panchina, piegando le ginocchia. “Ho saputo. Mio padre mi ha telefonato apposta per darmi la lieta notizia.”

Sentì Daphne strozzarsi quasi col suo panino e tossire vigorosamente. “Tutto ok?” Le domandò con gli occhi chiusi.

Tuo padre?” La voce di un’ottava più alta del normale. “Tuo padre ti ha chiamato?”

“Già. Ieri.”

“E perché cazzo non me l’hai detto?”

Justin sospirò piano. “Ha chiamato poco dopo cena e dato che avevamo appena parlato, ho pensato di dirtelo oggi quando sicuramente mi avresti richiamato.”

Daphne fece una smorfia. “Certo che ti avrei richiamato, non voglio che tu ti trovi un’altra migliore amica e mi dimentichi. E soprattutto non voglio che tu pensi che io non abbia tempo per te e riesca a tagliarmi fuori come hai fatto con tutti gli altri.”

“Daph…” Justin si massaggiò stancamente gli occhi.

“E non dire che non ti va di parlarne, perché me ne frego! Non puoi far finta che tu non abbia mai avuto una vita qui!”

“Possiamo non parlarne adesso almeno? Sono già abbastanza incasinato con mio padre e tutto il resto.”

Daphne sospirò e annuì, persuasa anche dal tono stanco del suo miglior amico. “D’accordo.” Si arrese. “Ma sappi che non ho intenzione di mollare la presa.”

“Ne sono perfettamente consapevole, Daph.”

“Allora? Che ti ha detto quel coglione di tuo padre?”

Justin non trattenne un sorrisino. “Ha parlato con mia madre e le ha chiesto se poteva darmi lui la bella notizia su Molly, così avrebbe potuto sentirmi.”

“E non crede che sia abbastanza triste che un padre abbia bisogno di una scusa tanto patetica per fare una telefonata al proprio figlio?” Gli domandò piccata.

“Evidentemente sì, è stato lui il primo ad ammetterlo.”

Daphne fece un verso scocciato. “Perlomeno è onesto.”

“Perlomeno…”

“E che diavolo voleva?”

Justin aprì gli occhi e prese a fissare il cielo plumbeo sopra di lui. “Ha detto che è fiero di me, che gli dispiace per come sono le cose tra noi, per le incomprensioni…”

“Tipo quando ti ha fatto arrestare?”

“Credo di sì. E mi ha chiesto se poteva venire a trovarmi di tanto in tanto, senza forzature, solo un pranzo insieme, due chiacchiere.”

“E tu?”

“Gli ho detto che al momento sono molto occupato e che non so se avrò tempo da dedicargli.”

Daphne appoggiò la testa al muretto accanto a lei. “Hai fatto bene; non dovresti dargli questa opportunità.”

“Sarebbe cosa? La decimillesima?”

“Più o meno. E lui non ne ha colta nemmeno una. Che cazzo crede? Che ora che sei lontano da Pittsburgh tornerai ad essere il ragazzino quindicenne che passava i pomeriggi con lui a giocare a baseball in giardino?”

Justin scosse la testa. “Non ho idea di quello che voglia. E nemmeno mi interessa.”

“Probabilmente pensa che ora che non frequenti più Liberty Avenue e i suoi locali equivoci, il suo ingrato figlio finocchio possa tornare ad essere normale.” Fece una smorfia disgustata.

“Non era Liberty Avenue il problema, lo sai.”

Rimasero un attimo in silenzio, mentre un nome, quel nome, balenava nella mente di entrambi.

“Se devo essere sincera,” continuò Daphne “non ho mai capito perché tuo padre desse tutto questo credito a… Brian.” Sussurrò con cautela il suo nome. “Sembra quasi che lo ritenga responsabile del vostro rapporto difficile.”

“Ed è così infatti: mio padre è convinto che sia stato Brian a traviare il suo dolce bambino e a portarlo sulla via della perdizione dei froci; crede sia colpa sua se io sono gay, se mia madre l’ha lasciato e ha chiesto il divorzio e se la sua vita fa schifo.”

Daphne annuì. “Quindi adesso che sei a New York, lontano dai tuoi amici, da tua madre che può influenzarti e da…”

“…dall’orco che si è approfittato di me fin da quando avevo solo diciassette anni, ha la convinzione che possa aggiustarsi tutto tra noi.”

“Patetico coglione. Senza offesa, Justin.”

“Figurati, io stesso ne ho dette e pensate di peggio. E credo che nel profondo, mio padre nutra ancora la speranza che io…”

“… possa ravvederti e tornare all’ovile come una piccola pecorella smarrita?” Finì Daphne per lui facendolo ridere.

“E chiedere perdono per i miei terribili e innumerevoli peccati.”

Daphne lo imitò scoppiando in una fragorosa risata. “Oddio, scusa Justin, ma non ti ci vedo proprio a fare l’etero!”

“E tu che ne sai? Potrei trovarmi una bella ragazza, sposarla e fare tanti bei bambini! Una ragazza che non abbia una lingua pungente come quella di qualcuno di mia conoscenza!”

“Antipatico!” Si difese la ragazza ancora ridendo.

“Sei solo gelosa, perché in realtà sei tu quella profondamente, pazzamente e sinceramente innamorata di me!”

Daphne continuò a ridere. “Va bene, va bene, lo ammetto! Ti amo da morire, Justin! Il mio amore è più profondo di un oceano, più sterminato del cielo e più bruciante del fuoco!”

Justin fece una smorfia disgustata. “Oddio, è questa dove l’hai sentita? È terribile, Daph, dico davvero!”

“Che ingrato! Io sono qui, col cuore in mano che ti confesso i miei sentimenti e tu…?”

“Bè, ti ringrazio per l’interessamento, ma non ho mai sentito una dichiarazione d’amore peggiore! L’hai letta nei carte dei cioccolatini? O nei biscotti della fortuna?”

“Justin Taylor, ti avverto che sto per riattaccare e tu sei un vero cafone!”

Justin scoppiò di nuovo a ridere, tenendosi la pancia con una mano. “Dio, Daph, come farei senza di te?”

Daphne sorrise. “Davvero non lo so, Justin; probabilmente saresti già impazzito!”

“Senza la mia fata madrina.”

“Esatto.” Daphne strinse di più il telefono e sospirò piano. Quanto fosse vero il contrario lui non poteva nemmeno immaginarlo.

“Ehi, ci sei?” Le chiese Justin premuroso; dal tono con cui aveva parlato, Daphne capì che stava ancora sorridendo. Spostò lo sguardo verso la folla di studenti che si accalcava sulle scale e si rattristò all’istante. “Devo andare.” Disse solo.

Justin sospirò piano e si alzò a sedere. “Ok.”

“Mi dispiace.”

“Per cosa? Per avermi rallegrato la giornata con le tue insulse chiacchiere?”

“Scemo!”

Justin sorrise appena. “Vai a lezione, ci sentiamo più tardi.”

“Mi chiami tu?” Gli chiese speranzosa. La maggior parte delle volte che parlavano era perché era lei a telefonargli, senza preoccuparsi di dove, come, quando e con chi Justin potesse essere. Se aveva voglia di parlare col suo migliore amico, lei prendeva il cellulare e componeva  il numero. Punto.

Justin non era della stessa idea; aveva sempre il timore che potesse disturbare, scocciare o beccarla in un brutto momento; quindi non chiamava affatto. Daphne l’aveva rimproverato milioni di volte per quella sua sciocca idea.

“Dopo cena ci sei?”

Daphne sorrise raggiante. “Sarò tutta tua, amore.

“Ok allora, amore. Ci sentiamo stasera.”

“A stasera.”

Daphne stava quasi per chiudere la comunicazione quando Justin la richiamò. “Si?”

“Mi manchi.”

Daphne sospirò malinconica. “Anche tu, Justin, non sai quanto.”

 

 

 

 

 

Un’ora più tardi, Justin rientrava nel suo piccolo appartamento dell’East Village, la tracolla dondolante su un fianco, una busta con qualche schifezza stretta nella mano destra. Posò tutto sgraziatamente sul tavolo al centro del monolocale in cui viveva e si liberò del giubbino di pelle lanciandolo sul divano.

Si sfilò le scarpe e si diresse verso la segreteria telefonica: due messaggi.

“Justin, amore, sono la mamma… ma dove sei? Ho provato a chiamarti anche al cellulare.” Justin si maledisse mentalmente per non aver alzato il volume della suoneria. “Volevo solo sentire come stavi, papà mi ha detto di averti chiamato. Com’è andata? È stato sgarbato?” La voce di sua madre fece una pausa e dopo un attimo la sentì distintamente prendere fiato. “E poi ci sarebbe…” Si schiarì la gola. “Ci sarebbe una cosa di cui vorrei parlarti, possibilmente senza segreterie di mezzo. Richiamami appena senti il messaggio, ok?” Udì la voce di Molly gridare da lontano. “Ah si, tua sorella ti manda un bacio e ti chiamerà presto per raccontarti alcune novità. Un bacio, tesoro, ti voglio bene.” Justin aggrottò la fronte; che cosa aveva di così urgente da dirgli sua madre da non poter nemmeno accennargli qualcosa? Era forse successo qualcosa? Scacciò immediatamente quel pensiero: di sicuro Daphne glielo avrebbe detto e invece lei era stata assolutamente normale. Forse era qualcosa che riguardava Molly o suo padre…

“Cazzo…” Borbottò nervoso. Era inutile arrovellarsi il cervello: avrebbe ascoltato il secondo messaggio e poi avrebbe richiamato sua madre per sapere che succedeva.

“Ciao Justin!” Lo salutò allegramente la voce di Vanessa Austen, la comproprietaria della galleria d’arte per cui lavorava. “Senti qui, grande artista! Novità in vista! Prima cosa: mio padre mi ha appena dato la conferma delle mostre di Austin e Denver, se domani passi te le comunico; due: abbiamo scelto l’esordiente che ti affiancherà nelle rassegne ed è… attenzione, un po’ di suspense! Hayley Campbell! Congratulazioni, ottimo suggerimento, Jus!” Justin alzò le braccia in segno di vittoria; era felicissimo che Hayley avesse quell’opportunità. “Tre: il mio vecchio ha ricevuto molte offerte per i tuoi lavori, scusa se non ti ho informato stamattina quando sei passato, ma volevamo prima avere le conferme! Sono molto fiera di te, ragazzino! Proprio per questa ragione mio padre ha acconsentito a lasciarti qualche giorno di… riposo, che tradotto vuol dire…”

Justin sorrise. “Rinchiudermi nel mio appartamento a creare altre diecimila opere…”

“… che rimarrai chiuso a casa e produrrai i migliori quadri di sempre!” Vanessa rise allegra. “Contento?”

Justin scosse la testa, contagiato dal buonumore del suo capo. “Come una Pasqua, Nes…”

“Bene, credo di aver sproloquiato anche troppo, quindi adesso ti lascio alla tranquilla quiete del tuo focolare domestico e abbasso questa dannata cornetta prima che la segreteria vado fuori uso! Ci vediamo domani!”

Cancellò i messaggi e tornò al tavolo, in cerca del suo cellulare; compose il numero di Steve ma scoprì che era irraggiungibile. Guardò l’orologio: le otto e mezza, sicuramente si sarebbe presentato da un momento all’altro per scroccare la cena. Digitò il numero di casa sua, ma non ricevette alcuna risposta; tentò con quella di sua madre e dopo qualche squillo la voce di Jennifer Taylor lo invitò a lasciare un messaggio.

“Ma dove cazzo sono finiti tutti?”

Gettò il telefono sul tavolo e si sfilò la felpa, rimanendo con la maglietta a mezza maniche; afferrò pennelli e colori e cercò una nuova tela. La sistemò sul tavolo addossato al muro che usava come postazione di creazione, definizione coniata da Steve, e lasciò che le emozioni si riversassero con impeto sul tessuto immacolato. Felicità, rabbia, euforia, tristezza, nostalgia, vitalità furono riversate senza controllo; pennelli, spugne, impronte delle sue mani e forme strane e inusuali ricoprirono ben presto quasi tutta la superficie, dando finalmente voce a tutti i sentimenti contrastanti che lo possedevano in quel momento, cosi come accadeva ogni volta che si trovava da solo nel suo studio; in quel piccolo spazio esistevano solo lui, la sua arte e la valanga di emozioni che lo sopraffaceva e che, in uno specie di stato di trance, cercava di portare a galla e rappresentare affinché anche uno spettatore esterno potesse carpirne e scandagliarne la profondità e l’intimità.

Da quando era arrivato a New York, due anni prima, si era sempre sentito un po’… fuori posto in quella grande, caotica e frenetica città: certo, ormai era casa sua più di quanto non lo fosse Pittsburgh, ma c’era ancora qualcosa, nell’aria forse, o nelle persone o nell’atmosfera che lo rendeva un visitatore, come un… turista di passaggio più che un vero e proprio abitante della Grande Mela.

Ricordava ancora il giorno in cui era arrivato, spaesato e determinato a farsi valere, spinto anche dalla fiducia che tutti avevano in lui e nel suo talento; per i primi tempi era rimasto dagli amici di Daphne mentre cercava un posto tutto per sé e qualcuno che non gli lanciasse contro i propri lavori. Fin dal principio aveva scartato le grandi gallerie che non l’avrebbero nemmeno degnato di uno sguardo e si era concentrato su quelle più piccole; si era quasi dato per vinto – chiaramente per modo di dire, non si sarebbe di certo arreso così presto – quando una piccola galleria del centro si era mostrata interessata ai suoi lavori. Vanessa Austen, ventiseienne rampante newyorkese con un bel visino e un invidiabile fiuto per gli affari gli aveva chiesto di poter esporre alcuni dei suoi quadri dopo che aver letto la critica entusiastica che Lindsay aveva mostrato anche a lui e a Brian.

Aveva convinto suo padre, ancora restio alla presenza di un ragazzo così giovane e pressoché sconosciuto, e in tre settimane aveva pianificato una delle rassegne più belle che Justin avesse mai visto. E le sue opere erano inserite qua e là, a tradimento, in mezzo a quelle più celebri ed ammirate di artisti sicuramente più famosi. Quella serata fu un successone; successone che convinse in maniera definitiva il signor Clayton Austen delle sue doti. Alla galleria poi, Vanessa l’aveva aiutato a trovarsi un posto tutto suo dove avrebbe potuto lavorare in santa pace e, circa un anno prima, gli aveva presentato un tale Steve Whitman, giovane manager in ascesa, che si sarebbe occupato della sua neonata carriera: in pratica erano due esordienti sconosciuti che avevano, insieme, la possibilità di diventare qualcuno. Justin capì al primo sguardo che Steve sarebbe stato sicuramente vantaggioso per la sua carriera; per quel motivo non si stupì quando, dopo solo un mese di lavoro con lui, Steve riuscì a procurargli ottime occasioni di visibilità in alcune gallerie della città. Nel frattempo, però Vanessa si era assicurata, da donna previdente e accorta qual era, di avere l’esclusiva di tutti i suoi lavori, per i successivi quattro anni. “Questa è la mia dimostrazione di fiducia, Justin.” Gli aveva detto mentre Justin firmava entusiasta in contratto per la Austen Gallery.

E l’aveva avuta, altrochè se l’aveva avuta! Steve e Vanessa insieme erano una specie di macchina da guerra: avevano fatto di tutto, Justin temeva quasi fosse ricorsi alle minacce verbali e fisiche, per far uscire le sue opere dai confini di New York, ma alla fine ci erano riusciti e lui aveva iniziato ad esporre le sue mostre anche al di fuori della città, allontanandosi sempre più, fino al Canada e a Toronto.

Afferrò uno dei pennelli puliti e lanciò lontano quello che aveva appena finito di utilizzare; lo immerse in uno dei barattoli e lo mosse verso la tela, prima di ripensarci e cambiare idea. Immerse le mani nella tintura e prese a tracciare lunghe linee sinuose per tutta la grandezza del quadro.

Preso com’era dal suo lavoro, non si accorse di Steve che, senza nemmeno bussare, era entrato nel monolocale con un sorriso radioso e una busta del ristorante cinese all’angolo. “Ehi, uomo solitario!” Lo chiamò scherzosamente.

Dandogli ancora le spalle, Justin alzò una mano per farlo tacere e, dopo aver dato una nuova spruzzata di blu nell’angolo destra della tela, si voltò verso di lui con un sorriso allegro. “Ciao, Steve.”

Il giovane dai capelli scuri gli si avvicinò, scrutando attentamente la sua nuova creazione. “È bello…” Osservò ammirato. “Molto…”

Justin si pulì le mani con il solvente e gli sorrise. “L’ho appena iniziato… praticamente non c’è nulla.”

Steve sfiorò appena la superficie increspata dei colori. “Questo lo dici tu. Io vedo che c’è qualcosa, qualcosa di molto bello e molto intenso, quasi… intimo… personale.” Gli lanciò un’occhiata di sbieco. “Finirà nascosto come i tuoi migliori lavori o mi permetterai di portarla a Nessa?”

Justin si strinse nelle spalle e si voltò, iniziando a frugare nelle buste con la cena. “Ci devo pensare; non so ancora come è uscito fuori…”
”Hai parlato con Daphne…” Constatò serio.

Justin gli rivolse uno sguardo incuriosito. “E tu che ne sai?”

“È qui.” Indicò la tela mezza incompleta. “Guarda.” Seguì una delle onde violetto che abbracciava la parte inferiore del quadro e dava vita a forme ed intrecci quasi arabeggianti. “Questa è Daphne.”

Justin sorrise colpito. “Però… Non ti facevo così sveglio, Steve.”

“Poi c’è Molly…” Continuò Steve con la sua spiegazione, accennando ad una spirale che andava dall’arancione al dorato. “Molly e la sua impetuosa irruenza adolescenziale.”

“Disse l’uomo saggio…” Justin si sedette su uno degli sgabelli e rimase ad ascoltare l’interpretazione del suo amico con un sorriso sulle labbra.

“New York… eccola qui.” Seguì con un dito una specie di linea a zigzag grigio scuro che si schiariva pian piano fino a diventare bianco sporco. “E poi il blu. Il misterioso blu ormai diventato un tuo tratto distintivo…” Sorrise. “Tra qualche anno ci sarà il Blu Taylor.”

“Come il rosso Tiziano.” Gli fece notare Justin. “Potrei diventare una celebrità.”

“C’è in quasi tutti i tuoi quadri: è come se fosse così intrinsecamente parte di te da non poter più riuscire a scindere la tua persona, la tua arte, la tua essenza da quel tipo di colore, quel tipo di tonalità, quel tipo di riflesso. È un po’ la tua firma.”

Justin abbozzò un sorriso. “Bene, dottor Freud, adesso che ha terminato l’analisi, le andrebbe di mangiare qualcosa? Perché io sto morendo di fame.”

Steve gli lanciò la pezza sporca di pittura appoggiata lì accanto. “Per essere un artista sei un po’ troppo insensibile, sai? Io ti parlo di arte e tu pensi al cibo?” Justin rise. “Arido.”

“Scusa, non volevo urtare la tua sensibilità. Ora perché invece di borbottare come una pentola di fagioli non inizia a preparare?”

“Tu dove vai?” Gli chiese Steve sospettoso. “Te la svigni, eh?”

“Devo solo chiamare Daphne; e cercare di rintracciare mia madre, ha detto che deve parlarmi.”

Steve sbuffò e gli fece cenno di andare. “Vedi di muoverti, almeno.”

Justin annuì e si diresse verso l’angolo del monolocale che aveva adibito a sua camera da letto: lui e Steve erano riusciti a trovare una specie di paravento in legno che la separava dal resto dell’abitazione, così da avere almeno un po’ di privacy quando Steve si fermava a dormire, il che praticamente accadeva un paio di volte la settimana.

Superò il letto e fece un paio di passi verso l’armadio in cui teneva i colori e tutti gli altri attrezzi da lavoro; diede una rapida occhiata verso la cucina e sentì i movimenti di Steve. Aprì piano una delle ante e tirò fuori un paio di quadri, di diverse grandezze, sistemandoli sul materasso, in ordine uno accanto all’altro. Quando ebbe finito, un sorriso triste gli comparve in volto.

Sul letto, dieci tele di un blu cupo si mostravano fiere agli occhi del loro creatore mentre il viso serio ed indimenticato di Brian troneggiava su quasi tutte le tele, orgoglioso e bellissimo come era stato e come sempre sarebbe rimasto. Si chinò appena per sfiorare in punta di dita il pezzo più grande, al centro del materasso, il preferito tra tutti i suoi quadri: due sagome avvolte nell’oscurità, in un loft fin troppo noto, in un tempo ora troppo lontano, si amavano appassionate e fiduciose, l’una nella braccia dell’altra.

 

 

 

 

 

Justin chiuse la porta di casa e sospirò esausto: l’euforia e l’entusiasmo di Steve avevano il potere di sfinirlo. Raccolse controvoglia i contenitori e le buste vuote della cena e li gettò nel cestino. Avrebbe sistemato il giorno seguente, ora voleva solo fiondarsi a letto e dormire. Ah no, prima dove richiamare sua madre per la quinta volta.

Sbuffò contrariato e spense tutte le luci dirigendosi verso la camera; sfiorò leggermente l’armadio che custodiva i suoi tesori – ormai era diventato una specie di vizio, non si accorgeva più nemmeno di farlo – e sprofondò nel materasso. Cercò a tentoni il cellulare e compose il numero di casa sua.

“Pronto?” Si sentì rispondere dopo qualche squillo.

“Molly, finalmente!” Esclamò Justin sollevato. Aveva quasi iniziato a spaventarsi. “È tutto il giorno che vi chiamo? Dove cazzo eravate?”

“Non dire le parolacce, grande artista.” Lo rimproverò sua sorella.

Justin roteò gli occhi contrariato: odiava quando la sua sorellina minore si comportava come fosse la maggiore. “Allora mi dici che fine avevate fatto?”

Molly se ne uscì con un risolino eccitato. “Non posso dirtelo! È un segreto tra me e mamma e lei mi ha fatto promettere di non dire nulla!”

“Quindi perché mi ha chiesto di richiamarla urgentemente se non aveva intenzione di dirmi nulla del vostro misterioso segreto?”

Molly ridacchiò. “Non ho mai detto che non vuole dirti nulla, fratello.”

“Ti dispiacerebbe passarmela allora?”

“Non così in fretta! Perché prima non mi racconti che hai combinato oggi? Fantastico shopping nella Grande Mela?”

Justin abbandonò la testa sui cuscini e chiuse gli occhi. “Una cosa del genere; galleria, Daphne, shopping, poi un po’ di lavoro e ora vorrei solo andare a dormire se la mia adorabile sorellina me lo permette.”

“Quanto la fai lunga…”

“Tu invece che hai fatto di bello? Daphne mi ha detto di averti incontrata in centro.”

Molly fece un urletto isterico. “Sono andata con Natalie e Janie a comprare il vestito per il ballo! Oddio, Justin, dovresti vederlo! È F-A-N-T-A-S-T-I-C-O!”

Justin sorrise. “Me lo immagino: sembrerai una meringa ripiena coperta di tulle e… altre cose svolazzanti!”

“Non ci sono tulle nel mio BELLISSIMO vestito, idiota!” Replicò sua sorella con tono offeso. “Non vedo l’ora che Bradley lo veda!”

“Ok, adesso dimmi che non esci davvero con qualcuno che si chiama Bradley…”

Molly socchiuse gli occhi. “E questo che vorrebbe dire?”

Justin rise. “Scusa, non volevo prenderti in giro, ma… Bradley? No, davvero… Molly, per favore ritrova la ragione!”

“Bradley è un bellissimo nome! Allora che nome sarebbe Justin? È bruttissimo!”

“Ehi!” Justin scattò a sedere offeso. “Il mio è un nome bellissimo invece! Di sicuro più di Bradley!”

“Mammaaaaa!” Molly non si allontanò neppure dal ricevitore strillando a pieni polmoni nelle orecchie di suo fratello.

“Cazzo, Molly!” Si lamentò Justin staccandosi dalla cornetta.

“Quell’idiota di tuo figlio sta prendendo in giro il mio Bradley!”

Justin roteò gli occhi. “Il mio Bradley…” Borbottò sottovoce. “Vomito…”

“Mamma dice che devi smetterla oppure la prossima volta che torni a Pittsburgh ti farà dormire in giardino insieme al cane.”

“Bè, allora forse potrei non tornare più e risolvere il problema.” La minacciò con un sorrisetto sadico che scomparve appena rianalizzò la frase di sua sorella. “Aspetta… da quando abbiamo un cane?”

Molly scoppiò a ridere. “Mamma non te l’ha detto?”

“Che avete preso un cane? No che non l’ha fatto! Io mi sarei opposto!”

“E avrebbe contato qualcosa se avessi vissuto qui con noi, ma, guarda un po’, non ci sei! Quindi la cosa non ti riguarda affatto!”

Justin spalancò la bocca indignato. “E quando torno? Dovrò dividere casa mia con un cane, oltre che con te?”

“Ma tu hai già deciso che non tornerai a casa quindi non vedo quale sia il problema.”

“Nel caso non te ne fossi accorta non mi sto divertendo, Molly!”

Sua sorella rise. “Io sì, molto!”

“Passami mamma! All’istante!”

“Mamma!” Chiamò lei tra le risate. “La prima donna è in piena crisi isterica! Ti vuole parlare!” Justin sbuffò. “Ha saputo di Tinkerbell!”

“Hai chiamato quella povera bestia Tinkerbell?”

Sentì sua madre rimproverare Molly per avergli detto del cane. Che si aspettava? Che non lo avrebbe mai saputo? D’accordo, al momento non aveva alcun programma di tornare a casa, ma quella era comunque casa sua, Cristo Santo! Avrebbero dovuto chiederglielo prima! O perlomeno fargli sapere che avevano preso in considerazione l’idea di un cane!

“Non gli hai detto altro, spero…” Sussurrò sua madre piccata.

Justin inarcò un sopracciglio: che diavolo poteva esserci peggio di un cane? “Mamma?”

Jennifer prese il telefono e sospirò. “Ciao, tesoro. Come stai?”

“Un cane?!”

“Si, a questo proposito Justin…”
”Avete preso un cane?! E avevate in progetto di dirmelo prima o poi?”

“Ok, adesso calmati…” Lo tranquillizzò sua madre. “Non è per Tinkerbell che ti ho chiamato stamattina…”

“E poi perché gli avete dato quel nome assurdo, poverino?”

Jennifer si strinse nelle spalle. “È stata Molly a sceglierlo. Sai che Peter Pan è sempre stato il suo cartone preferito*.”

Justin alzò le mani in segno di resa. “Va bene, mi arrendo, tanto con voi è inutile.”

“Grazie, tesoro.”

“Allora che c’è che volermi dirmi di così scioccante da non poter accennare niente nel messaggio e da intimare a Molly di tenere il segreto?” Chiese tornando a sdraiarsi e sperando che il peggio fosse passato. Dopotutto, che cosa poteva esserci di più terribile dell’immagine di un quadrupede che irrompeva in camera sua azzannando i suoi preziosi disegni?

“Bè, ecco…” Sua madre riprese a balbettare proprio come aveva fatto nel messaggio in segretaria. “È una cosa… sciocca… cioè non è sciocca nel senso di frivola, perché in realtà è importante… però è inaspettata e tu potresti forse non… sebbene Molly abbia reagito molto bene, anche meglio di quanto mi aspettassi, anche se lei magari, vivendo qui con me e con Tuck può essersi in qualche modo…”

Justin si passò stancamente una mano sul volto. “Mamma, ti prego, non c’ho capito niente… che cazzo stai dicendo?”

La donna si schiarì la gola e rise nervosa. “Non è che ti andrebbe di fare una visita a tua madre e tua sorella?”

“Quando?”

“Quando vuoi, Justin; per esempio la prossima settimana?”

Justin scoppiò a ridere. “Non ho in programma di tornare a Pittsburgh entro una settimana, mamma! E nemmeno entro un mese!”

“Ma se…” Jennifer lanciò un’occhiata disperata a Molly che si morse un labbro nervosa vedendo sua madre torturarsi le mani. “Se te lo chiedessi io?”

“Mamma, adesso non posso.” Ribatté Justin paziente. “Alla galleria i miei lavori vanno alla grande e Nessa dice che devo dedicarmi al lavoro per le prossime mostre.”

Jennifer abbozzò un sorriso. “Capisco.” Molly alzò gli occhi al cielo. Per essere un genio, suo fratello alle volte era proprio ottuso. “Ma non torneresti nemmeno per una cosa importante? Veramente importante?”

“Tipo? Un funerale?” Scherzò Justin.

“No, tipo il matrimonio di tua madre.”

 

 

 

 

 

* per chi non lo sapesse Tinkerbell non è altro che il nome di Campanellino, la fatina di Peter Pan, in inglese. Ho preferito utilizzarlo così perché mi piaceva di più.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ed eccoci qua con il secondo capitolo! Abbiamo visto un po’ la vita del nostro Sunshine (spero non vi dispiaccia se non uso Raggio di Sole, ma da come avrete capito sono una fan sfegatata della lingua inglese) e ho iniziato a dare anche qualche accenno del suo rapporto con Molly: mi è sempre dispiaciuto il fatto che nella serie le abbiano dato così poco spazio nonostante il chiaro affetto di Justin per la sua sorellina, così ho deciso di rimediare io! Poi cosa c’è? Ah, si! Daphne! Bè, ormai dovreste saperlo dove c’è Justin c’è Daphne (sembra quasi lo spot della Barilla!) e non potevo non inserire anche lei! Abbiamo rivisto anche Jennifer (santa donna!) e intravisto il coglione per eccellenza di Queer As Folk, aka Craig Taylor che presto tornerà sugli schermi… e infine TA DAH! colpo di scena! Jennifer si sposa! Sì sì, proprio con quel figaccione di Tuck che abbiamo già conosciuto e che era tanto simpatico a Justin! Comunque ci saranno sviluppi interessanti (o almeno lo spero, dato che sto scrivendo la storia totalmente di getto!) e dal prossimo capitolo si entrerà nel vivo!

Ora però spazio ai ringraziamenti:

 

 

Alygreen: prima recensione di questa mia nuova storia! Grazie mille per i complimenti e il fatto che la storia possa risultare reale come una vera continuazione del telefilm non può che farmi piacere! Spero con tutto il cuore che apprezzerai anche questo secondo capitolo!

 

Kyelenia: a chi lo dici!! Anche io soffro per la lontananza dei miei amatissimi Britin e, per quanto abbia amato il finale, è stato davvero straziante vedere Brian tutto solo in quel letto e poi al Babylon senza il suo Sunshine! Nei prossimi capitoli comunque spiegherò come sono andate realmente le cose tra loro dopo la partenza di Justin… Sapere che trovi credibile la mia storia è per me il miglior complimento che potessi farmi! Il mio terrore è di risultare sempre OOC, quindi grazie davvero!

 

Mia85: bè, che dire? Dopo i tuoi complimenti sono arrossita come una dodicenne! GRAZIE DAVVERO! Come ho già detto, cerco sempre di rimanere IC il più possibile e vedere che le mie storie vengono apprezzate non può che rendermi onorata! Di Justin abbiamo saputo qualcosa in questo capitolo e sapremo di più nei prossimi (soprattutto di come è davvero andata con Brian) mentre di Mr Kinney avremo notizie moooooooooooolto presto, promesso! Per la frase che  ti ha lasciato spiazzata ti spiego subito: Justin non intendeva finita male perché loro hanno litigato, si sono traditi o si sono lasciati malamente, tutt’altro! Come abbiamo visto nel telefilm i nostri adorati si lasciano perché si amano, si amano davvero e preferiscono sacrificare questo sentimento per la felicità reciproca. Quindi Justin la definisce così perché non sono insieme, nonostante il forte legame, loro due non hanno e non hanno avuto la possibilità comunque di godere di tale amore. E da come si è capito in questo capitolo, Justin ama ancora moltissimo Brian. Spero di essere stata chiara! Altrimenti chiedi pure! Grazie ancora per tutte le belle cose che hai scritto!

 

Elysenda: come già detto, adoro il fatto che apprezziate le mie storie, non me lo sarei mai aspettato, davvero! Anche io adoro Gus, ma del resto, chi non lo adora? Fin dalla prima puntata e l’unico che riesce a far spuntare un lato assolutamente sconosciuto di Brian e questo non può che far sciogliere! Grazie dei complimenti e spero che ti piaccia anche questo capitolo!

 

Dany23: mi fa piacere sapere che non sono l’unica ad amare l’interazione tra Mel e Justin e soprattutto è un onore ricevere complimenti da una così accanita fan di QaF (quando ho aperto la tua pagina sono saltata dalla sedia… ma ti sembra il caso di piazzare una foto di Brian così, senza nemmeno avvertire del pericolo? Vuoi farci morire d’infarto? XD) come me, ormai totalmente ossessionata! Ho letto anche alcune tua ff su FreeFans Forum (Kyra Kinney, giusto?) e non posso che contraccambiare i complimenti! Come già suggerito dal titolo e da te, Brian e Justin non rimarranno separati tanto a lungo… loro non sono una coppia come tante, loro sono LA COPPIA! E io non posso che cercare di rendere giustizia alla storia d’amore più bella della storia della tv! Spero che continuerai a seguire il seguito!

 

E ora, torno allo studio e al mio esame di storia di lunedì! Un bacio a tutte e grazie per i complimenti e il sostegno! Un ringraziamento anche a chi legge soltanto e trova un po’ di tempo per la mia storia! 

  
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