CAPITOLO 2 Cambiamenti
Il risveglio della mattina successiva
fu più facile di quanto mi aspettassi e stranamente ero di buon umore. Scesi le
scale e mi diressi in cucina. Mentre versavo il latte nella tazza controllai
l’orologio a forma di gallo appeso al muro: erano le sette e due minuti. Solo
allora mi resi conto che quello era il mio primo giorno di scuola del mio
penultimo anno. Mi prese una piacevole angoscia.
Mi sedetti sullo sgabello e cominciai
a mangiare. Mia madre era già partita. Odiava le persone che arrivavano in
ritardo, perciò arrivava sempre due ore prima l’inizio delle sue lezioni.
Misi la tazza nel lavandino e corsi
in camera. Aprii tre cassetti del mio armadio quasi simultaneamente alla
ricerca dei vestiti da mettere. Presi una t-shirt blu e un paio di vecchi jeans
che non mettevo da un po’. Mi infilai il tutto e mi precipitai in bagno. Feci
il minimo indispensabile per non sembrare un mostro: mi pettinai i capelli e
accomodai la frangia dietro all’orecchio sinistro sistemandola con una forcina.
Alla fine dell’estate i miei capelli assumevano sempre qualche sfumatura
rossastra che mi piaceva molto.
Misi in spalle lo zaino e mi
precipitai fuori dalla porta. Mi voltai automaticamente verso il garage. Solo
dopo mi ricordai dell’incidente e delle foto della mia povera macchina
distrutta. Sbuffai e guardai l’orologio al mio polso: erano le sette e
venticinque. Avevo solo cinque minuti per arrivare in fondo alla via, dove si
trovava la fermata dello scuola-bus.
Non mi ricordavo più cosa volesse
dire andare a scuola con il bus finché lo sportello del veicolo non mi si parò
davanti e si spalancò. Solo allora fui presa da un insensato panico: erano
tutti ragazzi del primo anno, in fondo si nascondeva qualcuno del secondo che
molto probabilmente non era riuscito a trovare un passaggio. Scrutai gli unici
tre posti che erano rimasti vuoti: dovevo scegliere se sedermi vicino a un
ragazzo con il cappuccio della felpa che gli copriva il viso, una ragazza
bionda dall’aria snob che ascoltava l’mp3 oppure vicino a un ragazzo più grande
rispetto agli altri che guardava nella mia direzione. Scelsi la terza opzione e
mi sedetti accanto allo sconosciuto. Per tutto il tragitto non ebbi il coraggio
di voltarmi verso di lui. Tenni il viso chino e
feci finta di leggere la copertina del mio libro di matematica.
Ogni tanto riuscivo a dagli una
sbirciata. Era un bel ragazzo con la pelle abbronzata, i capelli ricci di un
color castano chiaro e piuttosto muscoloso. Non ero riuscita a notare
nient’altro però avrei riconosciuto le sue mani tra mille. Quest’ossessione
l’avevo sempre avuta. Le mani del ragazzo erano grandi, maschili ma curate e
all’apparenza morbide.
Arrivati al parcheggio della scuola,
scesi dal bus, misi lo zaino sulle spalle e mi voltai per poter osservare
meglio lo sconosciuto ma lui era già sparito.
Proprio in quel momento suonò la
campanella della prima ora. Presi il mio orario dalla tasca dei jeans e lo
studiai mentre mi dirigevo verso l’edificio D. Iniziare il nuovo anno
scolastico con matematica mi sembrava piuttosto deprimente ma finché il sole
fosse stato fuori dalla portata delle nuvole, niente avrebbe potuto rovinarmi
quella giornata.
Arrivai in classe quando la maggior
parte dei miei compagni avevano già preso posto. Mi sedetti in seconda fila, vicino
alla finestra e attesi di vedere chi sarebbe stato lo sfortunato che arrivando
in ritardo avrebbe dovuto sedersi accanto a me. Il professor Herrè entrò
accompagnato da una ragazza poco più bassa di me, con i capelli castani chiari
che le arrivavano all’altezza del mento e accentuavano le curve del suo
bellissimo viso.
La ragazza nuova si guardò attorno e
si sedette nel banco affianco al mio. Passò il resto della lezione a disegnare
stelline e cuoricini sul suo taccuino. Solo quando la campanella suonò di nuovo, si girò verso
di me e mi fissò per due interminabili secondi, sorridendo.
– Ciao! Io sono Janet! Tu devi essere
Margaret Taylor, giusto? –
In un primo momenti non risposi. Era
raro che una persona conoscesse il mio nome, non ero certo una delle ragazze
popolari della scuola.
– Chiamami Meg. Come fai a sapere il
mio nome? –
– L’ho letto sulla copertina del tuo
libro! – rispose indicando il mio banco.
– Già è vero – Avrei voluto chiederle
ancora molto cose, ma avevo paura di passare per una ragazza logorroica e di
far scappare anche l’unica persona che mi aveva rivolto la parola dopo un anno.
Così misi in pila i miei libri e mi diressi verso l’uscita dell’edificio.
– Quale’è la tua prossima lezione? –
La ragazza mi aveva raggiunto e ora
mi affiancava continuando a sorridere.
–
Ehm… Credo sia Inglese. –
– Splendido! Anch’io ho inglese.
Potresti mostrarmi l’aula? –
– Okay…– risposi. Non volevo sembrare
maleducata ma ero abituata alla solitudine e le sue domande, se pur semplici,
mi mettevano ansia.
– Scusa se te lo chiedo. Quanti anni
hai? Sembri più piccola di me. –
– Ne ho quindici. – Non sembrava
scocciata dalla domanda, come se fosse abituata a sentirselo dire. – Diciamo
solo che nella scuola che frequentavo prima ho fatto parecchi corsi accelerati,
ecco perché frequento le tue stesse classi. –
Ora era chiaro: anche lei era
un’emarginata. Molto probabilmente le altre persone della scuola, come avevano
fatto con me, non le avevano rivolto la parola.
Lo trovavo stupido e infantile. Le
persone di Fort Fairfield non erano aperte alle novità e tendevano ad
emarginare le nuove persone.
Percorremmo il resto del corridoio in
silenzio. Negli occhi di Janet si rifletteva lo stesso entusiasmo che si poteva
vedere nei miei un anno fa. Ma per lei era diverso, non le avrei certo fatto
passare tutti i momenti di solitudine che avevano riempito le miei giornate per
un anno. Ero decisa a fare di lei la mia nuova amica.
– Eccoci! Questa è l’aula di inglese…–
dissi con un leggero tono di euforia. Infatti le lezioni del signor Peterson
entravano a far parte delle mie preferite.
Ci sedemmo in fondo all’aula.
Aspettando che il resto della classe prendesse posto.
– Dimmi qualcosa di te – sussurrai,
cercando di sembrare il meno imbranata possibile.
– Cosa vuoi sapere? – mi chiese,
guardandomi come una bambina alla sua prima interrogazione.
– Non saprei… dove vivevi prima? – iniziai con una domanda semplice
sperando di far scaturire qualcosa di più. Per mia fortuna fu così.
– La mia famiglia e io viaggiamo
molto, e ci trasferiamo in continuazione da un paese all’altro. Prima di Fort
Fairfield c’è stato Portland, prima ancora eravamo a Buffalo o forse a Atlanta.
Come ti ho già detto cambiamo posto di continuo, posso dirti con precisione che
questo è il mio diciassettesimo paese. –
Rimasi un po’ perplessa. Reazione
dovuta alla strana situazione o forse alla possibilità di trovarmi di nuovo
sola. Quanto tempo sarebbe rimasta? Quando i suoi avrebbero optato per un nuovo
paese?
– I miei genitori mi hanno promesso
che questo è il nostro ultimo trasferimento… credo che anche loro siano stufi
di cambiare! – mi disse sempre sorridendo. Mi rilassai e feci in modo che il
mio respiro tornasse regolare. Molto probabilmente Janet se ne accorse e emise
una leggera risata. Mi voltai verso di lei e le sorrisi.
– Perché vi siete spostati spesso? –
– Mio padre William lavora per una
ditta di automobili molto famosa e che ha molte sedi in tutto il Paese,
dobbiamo trasferirci in base alle esigenze del suo capo. – Sembrava contrariata
di questo ma decisi di non indagare oltre.
Il professore entrò nell’aula e
chiamò la classe all’attenzione.
– Oggi ragazzi, andiamo tutti in
giardino! Non dobbiamo perderci neanche un solo minuto di questo preziosissimo sole.
Veloci! Prendete i libri e seguitemi! –
Ecco perché adoravo il professor
Peterson: era bizzarro, divertente e le sue lezioni erano davvero coinvolgenti.
Ci alzammo tutti contemporaneamente e
seguimmo il professore fino al piccolo giardino che si affacciava sulla
palestra della scuola. Posammo i libri a terra e ci sedemmo.
– Andate a pagina ventitre, oggi
iniziamo la parte che riguarda la nascita del teatro in Inghilterra… – disse
mentre anche lui si sedeva con le gambe incrociate.
– Oh, adoro il teatro! A Buffalo
avevo partecipato alla messa in scena di Sogno
di una notte di mezza estate, io interpretavo Ipolita – disse Janet mentre
il professore parlava con Anne, una delle ragazze più brave della mia classe.
Sorrisi alla dichiarazione e mi voltai nuovamente verso il professor Peterson
che aveva ricominciato a parlare alla classe.
Restammo in silenzio, ascoltando la
lezione e aspettando che suonasse la campana della scuola.
Quando la lezione finì, percorremmo
il corridoio orientale per raggiungere il mio armadietto.
– Io devo andare a ginnastica, tu? –
domandai un po’ impacciata.
Sbirciò il foglio stropicciato che
aveva tra i libri e si voltò verso di me.
– Devo andare a Biologia, credo si
trovi nell’edificio C o sbaglio? –
– No, hai ragione. Non è lontano da
qui, devi solo imboccare il prossimo corridoio e continuare finché non ti trovi
nelle vicinanze della mensa – cercai di parlare gesticolando il meno possibile.
– Okay, credo di aver capito. Ci
vediamo dopo! – mi disse sorridendo.
– A dopo! – dissi, mentre già mi
stavo dirigendo verso la palestra.
Entrai nello spogliatoio e cominciai
a togliermi la maglietta e a infilarmi quella della tuta. Condividevamo la
palestra con un'altra classe perciò lo spogliatoio era pieno di chiacchiere e
di risate, una però era più forte e fragorosa delle altre. Mi girai in quella direzione e sbirciai
da dietro gli armadietti. C’era un gruppo di ragazze del mio stesso anno che
conoscevo, tra loro riconobbi Lyra e Andrea. Sapevo che avrei sicuramente
frequentato qualche classe con Lyra ma speravo non fosse ginnastica. In
quell’ora sarebbe stato inevitabile non incontrarci e non c’erano file di
banchi e di studenti a proteggermi da lei.
Mi appoggiai all’ultimo degli
armadietti e mi protesi in avanti per ascoltare la conversazione. Il discorso
era continuamente interrotto da sospiri e risate, ma riuscii comunque a capire
di cosa stessero parlando. Tutte le ragazze parlavano della stessa cosa fin dal
prima giorno di scuola: il ballo di fine anno. Discutevano sul perché andarci,
sul come e la cosa più importante con chi. Lyra era particolarmente interessata
a un ragazzo che si era appena trasferito a Fort Fairfield ed era già sicura di
poterlo avere.
Inciampai nei miei piedi e nel tentativo di non
rompermi una gamba, afferrai lo sportello del mio armadietto, non caddi per
terra ma non potei evitare il rumore. Tutte le ragazze della stanza si
voltarono verso di me scambiandosi sguardi misti di pietà, compassione e
cattiveria. Erano queste le reazioni che scatenavo nelle mie coetanee?
Uscii dallo spogliatoio e mi diressi
verso l’angolo più lontano della palestra.
Basket sarebbe stato lo sport in cui
ci saremmo cimentati quel giorno; lo capii dalle grosse ceste di palloni
disposte ai lati del campo. Non era il mio passatempo preferito ma gli esercizi
che di solito dovevamo svolgere erano per la maggior parte semplici e da fare
in coppia o da soli. Quindi avrei avuto poche possibilità di incontrare Lyra.
La professoressa si avvicinò con un
elenco in mano e il fischietto al collo.
– Ben tornati ragazzi! Come avrete capito
quest’anno inizieremo con il basket! Sento tra di voi il malcontento delle
ragazze, ma non preoccupatevi arriveremo anche al mese in cui i maschietti
dovranno affrontare la ginnastica artistica! –
Sorrisi al pensiero dei miei compagni
che si sforzavano di fare una spaccata.
– Chiamerò due nomi alla volta, la coppia deve
prendere una palla dal cesto e cominciare a fare dei passaggi, mi avete capito?
–
La professoressa Endess era la
preferita di molti studenti della scuola eppure nella sua sforzata ironia, io
trovavo un non so ché di inquietante.
– Taylor, sei dei nostri? – mi stava
scrutando in modo severo ma manteneva il sorriso – Devi andare con Smith! –
Mi alzai e mi diressi verso il
ragazzo che mi aveva indicato. Avevo conosciuto Aaron l’anno prima,
frequentavamo la stessa classe di matematica. Era il capitano della squadra di
football e il suo fisico ne era la dimostrazione. Solo quando mi avvicinai a
lui notai che la mia testa arrivava solo ai suoi pettorali.
L’ora di ginnastica mi agitava
sempre, ma essere compagna di Aaron la faceva diventare l’ora più pericolosa
che avrei potuto trascorrere all’interno della scuola. Il ragazzo probabilmente
aveva notato la mia disperazione, perché mi si avvicinò e mi mise una mano
sulla spalla sinistra .
– Tranquilla, ci andrò piano con te! – mi
disse strizzandomi l’occhio.
Certo questo non migliorava il mio
umore anzi mi fece aumentare i battiti cardiaci. Percorremmo il perimetro della
palestra fino ad arrivare a uno dei canestri disposti a fianco della parete.
–
Attacco o difesa? – mi disse Aaron mentre palleggiava.
–
Ehm… Difesa? – al momento mi sembrò
il ruolo in cui avrei potuto evitare il maggior numero di colpi.
Mi posizionai vicino al canestro e
aspettai che Aaron segnasse. Lo fece per ben quindici volte e quando si accorse
che il gioco non sarebbe andato avanti mi propose di invertirci i ruoli.
Afferrai la palla e comincia a
palleggiare avvicinandomi al canestro. Avevo gli occhi puntati sulla palla e
non mi accorsi che mi trovavo proprio di fronte a Aaron. Cercai di scartarlo,
ma lui mi precedette e mi sorrise divertito. Sbuffai e riprovai a scartarlo ma
fu l’ennesimo tentativo fallito. A quel punto decisi che la cosa migliore era provare
a fare un tiro a parabola da quella posizione. Saltai nel disperato tentativo
di superare il ragazzo ma scivolai e finì su qualcosa di duro. Aprii gli occhi
e mi ritrovai faccia a faccia con Aaron. Sentii un leggero calore sulle miei
guance e con un unico gesto rotolai sul fianco e mi distesi sul pavimento
freddo della palestra. Poi mi girai verso Aaron, ci fissammo per un minuto e
poi scoppiamo in una fragorosa risata, mentre continuavamo a ridere lui si alzò
e mi tese la mano per aiutarmi.
– Tu si che sei un vero uragano! Hai
mai pensato di iscriverti nella squadra di basket della scuola? – Scoppiai
nuovamente a ridere e recuperai la palla per tentare un nuovo tiro. La
professoressa Endess fischiò proprio in quel momento.
– Ragazzi mettete via il materiale e
andate negli spogliatoi! –
Per fortuna quella tortura era finita
anche se dovevo ammettere che era stata meno terribile di quanto l’avessi
immaginata.
Fuori dagli spogliatoi un gruppo di
ragazzi della squadra di football stava chiacchierando e tra loro intravidi
anche Aaron. Quando gli passai accanto mi strizzò l’occhio. Arrossii e
proseguii lungo il corridoio tenendo lo sguardo fisso sui miei piedi.
Io, Meg Taylor, interessavo a uno dei
ragazzi più ambiti della scuola? Non riuscivo a crederci. Aaron non era affatto
il tipo di ragazzo con cui mi sarebbe piaciuto trascorrere il resto della mia
vita ma di una cosa ero certa: avevo diciassette anni e non avevo mai avuto un
ragazzo!
Fantasticai su Aaron per il resto
della mattinata finche finalmente non arrivò l’ora di pranzo.
Raggiunsi la mensa sperando di
trovare Janet. La conoscevo da pochissimo tempo eppure sentivo la necessità di
parlargli e di raccontagli tutto quanto.
Arrivata nella grossa sala piena di
ragazzi intenti a consumare i loro pranzi, scrutai speranzosa tutti i tavoli
finché finalmente la trovai. Era seduta con un ragazzo che mi dava le spalle.
Riuscii solo a capire che si trattava di un ragazzo più grande, con i capelli
castano chiaro, un fisico slanciato e abbastanza muscoloso. Anche se non ero
riuscita ad identificarlo avrei giurato che quello fosse il ragazzo che avevo
incontrato sul bus. Peccato!
Pensai che nel poco tempo che avevamo
avuto per conoscerci, Janet si fosse dimenticata di dirmi della sua relazione.
Ma non ci badai più del dovuto, presi il vassoio e mi incamminai verso il loro
tavolo. Arrivata a metà della stanza Aaron mi venne in contro e cingendomi le
spalle con il suo braccio mi accompagnò verso il suo tavolo.
Il pensiero di pranzare sola con
Aaron sotto lo sguardo di tutta la scuola mi faceva paura ma allo stesso tempo
mi divertiva l’idea di vedere la faccia di Kristen mentre sedevo con il suo ex.
– Vieni! Ti ho tenuto il posto! –
– Non pranzi con gli altri della
squadra? – dissi imbarazzata.
– No. Preferisco te! – disse
sorridendomi.
Una vampata di calore mi arrossì gli
zigomi. Sorrisi e mi voltai verso il tavolo di Kristen. Stava ancora parlando
con Mark ma nei suoi occhi leggevo del disprezzo mentre mi guardava.
– Allora, cosa hai preso per pranzo? –
mi chiese Aaron con un tono del tutto disinvolto.
– Un sandwich con il formaggio… –
cercai di essere il più naturale possibile anche se la mia voce tremava e mi
faceva sembrare molto impacciata.
–
Meg, voglio essere del tutto onesto con te. Tu mi piaci molto e mi
piacerebbe conoscerti meglio. – lo disse con una tale sicurezza che mi lasciò
senza parole. Aaron mi prese la mano e me la accarezzò dolcemente, poi con
l’altra mi sistemo la frangia dietro l’orecchio.
Avevo caldo, mi sudavano le mani e il
mio battito cardiaco era aumentato drasticamente. Non ero certo abituata a
questo tipo di attenzioni.
– Ti andrebbe di andare al cinema
questo weekend? – mi chiese mentre continuava a cercare il mio sguardo per
capire forse ciò che provavo. Sapevo che non ci sarebbe riuscito. Nemmeno la
sottoscritta sapeva che cosa le stava passando
per la testa, figuriamoci un estraneo.
Mi piaceva quel ragazzo? Non ne ero
certa ma comunque decisi che valeva la pena di provarci.
– Mi piacerebbe uscire con te Aaron,
che ne dici di venerdì sera? – pensai che sarebbe stato meglio toglierci lo
sfizio subito.
La campana che segnava la fine della
pausa suonò riportandomi alla vita normale.
– Passo a prenderti alle sette! Così avremo
il tempo anche per mangiare un boccone –
Non mi diede il tempo per rispondere.
Si alzò dalla sedia e mi prese la mano. Sentivo nuovamente il calore che
coloriva le mie guancie. Era così strano che stesse succedendo tutto così
velocemente.
– Ehm… io ora dovrei andare… – sperai
che non insistesse e per fortuna fu così.
Mi cinse la vita con il braccio
sinistro e mi baciò sulla testa. Poi si allontanò soddisfatto. Bastava poco per
rendere felice un ragazzo e per mettere me nella più totale confusione.
Mi voltai e mi diressi verso l’aula
di Arte. Entrata mi sedetti in ultima fila dove sarei riuscita meglio a
crogiolarmi nei miei pensieri e a lasciare vagare liberamente le mie fantasie.
Dovevo ammetterlo: Aaron era
veramente bello e da poco avevo scoperto che era anche molto dolce e gentile a
differenza di quello che sembrava ai suoi nemici sul campo di football.
Le ore successive passarono veramente
molto velocemente e quando l’ultima campana suonò mi ci volle un po’ di tempo
per capire che le lezioni era terminate.
Arrivata nel cortile ovest mi
ricordai della mia agenda e quando tornai nel parcheggio della scuola l’autobus
era già partito.
Sbuffai e pensai ai chilometri che avrei dovuto farmi
per raggiungere casa.
Mi voltai verso la scuola e vidi un
enorme Mercedes nera con i finestrini oscurati. Non sapevo che nella nostra
scuola ci fosse qualcuno in grado di permettersi una macchina come quella.
La vettura partì molto velocemente e
solo quando arrivò vicino a me rallentò. Il finestrino posteriore si abbassò e
spuntò il viso di Janet.
– Ehi! Ciao! Dove eri finita? È tutto
il giorno che ti cerco! Sali ti diamo un passaggio –
La portiera si aprì e Janet mi fece
spazio accanto a lei.
– Innanzitutto le presentazioni: Meg,
questo è mio padre William! –
– Molto lieto! Nessuno mi chiama più
William da vent’anni, chiamami Bill, ti prego! – mi disse voltandosi verso di
me.
– E’ un piacere conoscerla.. –
risposi sorridendo mentre mi voltavo verso l’altro ragazzo seduto accanto al
posto di guida.
– Finalmente ti conosco! È tutto il
giorno che Janet mi parla di te! Il mio nome è James. Io sono … –
– … il ragazzo di Janet. – le parole
mi uscirono di bocca contro la mia volontà e diventai immediatamente rossa in
viso.
Un insieme di risate riempì l’interno
dell’auto, seguito da sguardi divertiti.
– Io sono cosa? O mio Dio, no! Non
potrei mai uscire con mia sorella! È questo che racconti alle tue amiche per
sembrare più grande? –
Ero totalmente senza parole. Suo
fratello? Erano completamente diversi a parte il colore dei capelli! E da
quello che avevo visto alla televisione i fratelli e le sorelle non andavano
mai d’accordo. La sintonia che avevo visto tra loro durante l’ora di pranzo era
innaturale per un rapporto di parentela.
– Guarda che io non ho detto proprio
niente! – intervenne Janet sbuffando.
– Scusatemi, è tutta colpa mia. È
solo che vi ho visto andare così d’accordo che ho supposto foste fidanzati.. –
arrossii nuovamente. Dire che ero imbarazzata non avrebbe espresso in modo
realistico il colorito che avevo assunto.
– Bene. Ora che tutto è chiarito
potresti dirmi dove abiti? – intervenne Bill.
Solo allora mi accorsi che eravamo
ancora fermi nel parcheggio della scuola. Gli indicai la strada e in pochi
minuti la macchina era già accostata lungo il vialetto di casa mia.
– Grazie per il passaggio! Ci vediamo
domani Janet! – chiusi la portiera e mi avvicinai alla porta di casa.
– Meg! – urlò la mia nuova amica dal
finestrino. – Volevo chiederti se sabato ti andrebbe di venire a casa nostra? –
Annuì col capo e sorrisi. Poi mi
fermai sotto il portico ad osservare
Entrata in casa mi accorsi che Vivien
era già arrivata.
Non feci in tempo ad appoggiare la
cartella sul pavimento che l’interrogatorio iniziò.
– Di chi era quella macchina? –
cominciò.
– Era del padre di Janet, una mia
nuova compagna di classe. – fuori la prima, pensai.
– Come mai ti ha portato a casa? –
– Cortesia, credo. –
Non sembrava molto convinta. Che
altro voleva sapere?
– Hai conosciuto qualcun altro di
interessante? –
– Ehm… Mamma venerdì sera verrà a
prendermi un mio amico. Abbiamo in programma di mangiare qualcosa fuori e poi
di andare al cinema. – dissi tutto d’un fiato.
Le espressione di dubbi di un momento
prima si trasformarono in un sorriso radioso.
– Hai un appuntamento? – disse
divertita.
– Una specie … – cercai di essere il
più evasiva possibile.
– E lui come si chiama? Quanti anni
ha? –
– Mamma! Per favore! Si chiama Aaron
e ha la mia stessa età. Ora se non ti dispiace.. – finii la frase mentre salivo
velocemente le scale.
Nuovamente libera. Mi tolsi i vestiti
sporchi e mi dedicai completamente al suono rilassante dell’acqua calda che
colpiva il mio corpo e scivolava fino ai miei piedi.
Quando uscii dalla doccia mi sentivo
molto più rilassata. Mi infilai i vecchi pantaloni della tuta grigi e una
maglietta rosa antico. Poi entrai in camera e chiusi la porta dietro le mie
spalle.
Accesi il mio portatile e controllai
i nuovi film proiettati al cinema quella settimana. Non c’era niente che valeva
la pena di guardare quindi decisi che avrei fatto scegliere a Aaron.
Trovai appoggiata su uno scaffale
vicino alla scrivania la mia macchina fotografica e così decisi di caricare le
fotografie della mia estate. Mentre le facevo scorrere sul mio computer mi
accorsi di quanto mi mancava Philadelphia con il suo orizzonte pieno di
grattaceli, i monumenti, la mia scuola, le luci e le musiche che si sentivano
di notte lungo le strade e soprattutto le miei amiche.
Fui interrotta dalla mia malinconia
dalla voce di mia madre che mi chiamava a tavola per la cena.
Papà era già seduto a tavola e
sfogliava il giornale locale mentre mia madre serviva del pollo con patate in
salsa agrodolce. Era uno dei piatti preferiti di Robert e lo cucina per delle
occasioni speciali. Mi ero persa qualcosa?
–Papà ha ottenuto una promozione ora
è secondo al vicedirettore– disse Vivien sfoderando un enorme sorriso.
– Wow, complimenti papà! Il che vuol
dire che possiamo tornare a
Philadelphia? –
– Non è cosi semplice tesoro. Non ti
piace Fort Fairfield? – disse speranzoso.
– Ehm.. non esattamente. Non importa
papà era solo una semplice domanda! – tagliai corto. Non volevo certo rovinare
il suo buon umore.
Finii di cenare in silenzio e poi mi
diressi in camera mia.
Accesi il televisore e guardai una
serie televisiva degli anni ottanta.
Prima di addormentarmi ripensai a
quella incredibile giornata e a quante cose fossero cambiate dall’anno
precedente. Innanzitutto con Janet e James la scuola sarebbe stata senza dubbio
meno noiosa e soprattutto sarei stata spesso in compagnia. James non era il
fidanzato della mia amica ma suo fratello, il che mi lasciava qualche
possibilità di uscire con lui e infine il prossimo venerdì sarei uscita con il
ragazzo più bello della scuola, ovviamente prima che arrivasse James!
Chiusi gli occhi e mi girai su un
fianco. Pensai per l’ultima volta al magnifico volto del mio nuovo compagno di
scuola e poi mi addormentai.
Ma nonostante tutto anche quella
notte non riuscii a sognare.