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Autore: nous    05/09/2010    1 recensioni
Arancio è il colore dell'ipocrisa. Gli eroi sono caduti: il presente è diverso dal futuro che si erano immaginati. La prepotente verità di Konoha nasconde la verità di Naruto. Sasuke non sa più qual'è la verità. Basta sapere che Madara è morto e che si festeggia un eroe fasullo. C'è chi ha aperto gli occhi. Chi vive di sogni. Konoha ignora tutto e continua a vivere.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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arancioVI

VI.

Cosa è un ninja se non un mercenario. Dov’è l’eroismo nell’essere un assassino?

Dal suo nascondiglio fissava il suo obiettivo, come un cacciatore che ha trovato la sua preda. In quell’appostamento, Naruto non trovava giustizia. L’attesa mancava di adrenalina, non c’era nulla che annunciasse uno scontro. Nulla. Forse quell’uomo sarebbe caduto a terra e basta. Morendo non si sarebbe accorto che la sua vita stava finendo.

Aveva sentito dire che prima di morire si rivive tutta la propria esistenza, ma non vi credeva. Se il biondo fosse morto in quel momento, pensava, avrebbe maledetto il suo nemico. Se la sua vita finisse in quel momento non l’avrebbe rivista come un vecchio film, con le lacrime agli occhi e la nostalgia nel cuore. No. Sarebbe morto. Fine.

Dubitava che dopo la morte ci fosse qualcos’altro.  Aveva idee confuse a riguardo. Pensare che la sua anima potesse vagare su questo mondo senza un corpo era una fantasia. L’essenza dimora nel corpo. E finito il corpo rimane il ricordo. Poi non dovrebbe esserci altro.

Ma era un ipocrita e lo sapeva. Anche se non ci fosse stato nessun dopo, lui regalava una morte rapida: aveva paura di lasciar al nemico il tempo per maledirlo.

Dalle fronde vedeva chiaramente i movimenti di quell’uomo. Era ancora lontano, proseguiva incurante lungo il sentiero che costeggiava il fiume.  Cosa avesse fatto, a Naruto non era dato sapere. Era un uomo scomodo, per questo un signore lo voleva morto. Era un assassinio scomodo, per questo avevano chiamato lui. Era un mercenario, nulla di più.

Leggeva il quel passo cadenzato tranquillità.  Più si avvicinava, più se ne convinceva. Vedeva  sul volto del suo obiettivo la quiete di chi non ha nulla da temere. Ciò lo turbava. Perché quell’uomo non aveva le sembianze di un ladro, di un traditore, di un truffatore o di un assassino. Sembrava un uomo con una famiglia a casa. Una persona rispettabile e ben voluta da tutti. Ma quelli non erano discorsi da farsi. Quell’individuo doveva morire.  D'altronde anche lui era un assassino e non lo dava a vedere.

Scrutò ancora quella faccia alla ricerca di qualche increspatura che rivelasse le sue intenzioni. Ma quello camminava.

La morte doveva essere talmente veloce da non rompere quella sacra quiete.  Aprì la bisaccia e estrasse un kunai. Attese. Una statua nel fitto del bosco.

Un istante preciso per far scattare  fulmineo il braccio in un gesto pulito. 

Il suo obiettivo aveva seguito le previsioni del ninja. Era passato incurante davanti alla sua postazione, lo aveva sorpassato e dato le spalle.

Per tutte le abilità che quell’individuo avesse dimostrato per essere giustiziato a morte, a Naruto non pareva che un semplice uomo. La katana che portava alla vita, a mo di samurai, gli sembrava più una vanità, che una necessità. Aveva imparato a dare nobiltà al proprio nemico per non sentirsi un vile cecchino. Ed ora, a missione finita, gli balenò il dubbio che l’uomo, con il kunai conficcato alla base della nuca, sapesse già della sua morte e la avesse accettata stoicamente.

A questo punto sarebbe potuto scendere e controllare che effettivamente ci fosse un cadavere dinnanzi a lui. Chissà se quel presunto samurai, con la katana legata alla cintola e il bel vestito, avesse imparato a morire nella quiete in cui era vissuto. Quel corpo era caduto a terra senza un rantolo ne uno spasmo. Naruto leggeva eleganza in quella morte silenziosa.

Aveva gli occhi ancora aperti. Una sorta di antico rispettoal ninja impediva  di voltare il cadavere. Non voleva guardarlo in faccia oltre quel vago profilo che ne percepiva. Nella sua quiete probabilmente faceva finta di respirare polvere.  Sarebbe stato inutile scavare una tomba per uno sconosciuto, sapendo che  avrebbe dovuto lasciare il corpo al bosco, in bella vista a far dar monito ai viandanti. Il signore voleva che alle sue vittime non fosse dato il riposto della terra. Forse più tardi degli scagnozzi sarebbero passati e avrebbero fasciato quei resti di bombe carta e li avrebbero fatti brillare. O altro. Il suo compito era finito lì.

«Ti lascio il kunai.»

Si congedò dal caduto e si inoltrò tra la vegetazione.

Nonostante il suo unico compito fosse stato svolto alla perfezione, avvertiva un forte senso di insoddisfazione. Un vuoto allo stomaco che raffreddava il sangue e pretendeva che le gambe andassero più veloci. Un ritmo più incalzante. Puro vento tra gli alberi. La tuta nera che aderiva come seconda pelle al corpo a causa nella velocità.  Essere più rapido del proprio flusso di pensieri. Sfidare la logica del cervello e seguire l’istinto delle viscere. Solo per far sparire quella sgradevole sensazione che avrebbe finito per annullarlo. Inseguire qualcosa che non c’era, un obiettivo che era già stato oltrepassato.

Un rovo gli graffiò la guancia, ma non si accorse di un segno in più. Sentiva di dover correre e seguire quel senso d’instabilità che gli dava la terra appena toccata dai piedi che solcavano più l’aria che il suolo.

Correva fino ad annullarsi nel bosco, fino a perdere ogni concezione di se, fino a regolarizzare il proprio respiro con quello che vi era attorno.

Lui non era più Naruto Uzumaki.

Lui non era più il ninja eroico di Konoha.

Lui non era più colui che avrebbe portato avanti il sogno di chi non c’era.

 Lui era solo vuoto da colmare.

Lui era un uomo in stato vegetale.

Lui era un dipinto venuto male.

Lui era un libro che non valeva la pena di essere letto fino alla fine.

 Lui era il fratello che non si era riuscito ad uccidere.

Ora, il ragazzo, voleva solo correre fin dove le gambe lo avrebbero portato. Se necessario al di là del bosco, dell’orizzonte, delle nubi, della sua vita.

Correva, perché correre in quel momento, pareva dare senso a tutta la sua esistenza.

Era l’istinto a dire che forse in quella direzione c’era chi aveva dato per perso. Si aspettava che appena superata quella fitta barriera di alberi avrebbe visto la sua prepotente aria da ragazzino snob. Era naturale ricostruirselo mentalmente con tutta la superbia del passato. Con tutto l’egocentrismo degli anni  in cui ancora erano compagni.

Dietro quell’ultima cortina di alberi, nella luce che filtrava ad illuminare una piccola radura, Naruto  credeva nel ragazzino del passato.

Invece non vi era altro che erba. Tutta lo splendore del sole allo zenit non ha il potere di illuminare un’illusione vinta dalla più cupa delusione. Naruto aveva avuto l’impressione che lui lo stesse chiamando, che lui fosse sempre stato lì a chiamarlo. Ma in quel luogo non vi era nessuno. Sarebbe stato più semplice se fosse morto, se fossero morti insieme anni prima. Entrambi si sarebbero rassegnati alla loro inconciliabile solitudine. Invece lui continuava segretamente a sperare. Non era una questione di orgoglio ferito, ma una ricerca necessaria come quella d’aria. Sperare segretamente che il suo compagno camminasse ancora tra i vivi. Il nome Uchiha era morto con Madara. Nessun comunicato parlava più di lui. Anche i villaggi ninja si erano dimenticati di volerlo morto.

Il vento gli stava scombinando i capelli biondi. Appena ritornato a casa li avrebbe tagliati, pensò.

Si era fermato su limitare del bosco e si guardava attorno cercando la ragione che lo avesse condotto lì. Un fantasma.  Sentiva la presenza. Ma forse era solo un ricordo che si trascinava dentro. Attorno a lui vi era solo vegetazione, un muro nero d’alberi che lo osservavano.

Sapeva che non era solo. Non si sentiva in pericolo. Se ne stava là, imbambolato come un pivello, a dare un nome alle ombre. Si muovevano con il vento. Avanti. Indietro. Ritmicamente.

La pace di quell’uomo abbandonato lungo la via, la pace eterna dei morti era il respiro della terra. La sentiva salire dai piedi. Il desiderio di movimento era morto. A quel punto, forse, non c’era nemmeno la necessità di fare ritorno. No, non c’era. Lui voleva stare fermo a godere di quella danza di ombre. La pace che tanto aveva cercato di raggiungere era tutta lì. Le promesse che non aveva mia mantenuto stavano tutte lì.

Naruto provava una sensazione troppo grande per avere un nome. Un fulmine che attraversa tutto il corpo e che fa venire i brividi lungo la schiena. Qualcosa che secca le labbra e azzera la salivazione. Era come sentire gli organi cambiare disposizione. Era un po’ come  quello che si diceva dell’amore, solo che non lo era.

I ninja non devono essere confusi. Un bravo guerriero non deve esternare le proprie emozioni. Si deve essere impassibili e lasciare che dentro bruci l’inferno. Bisogna crescere per scoprire che non si sa più piangere, come quando si era bambini. E il biondo quelle lacrime di gioia le avrebbe fatte cadere a terra se solo ne fosse ancora stato capace. Quello spettacolo, quel piacevole malessere interiore valeva più della rabbia e del dolore. Pareva più efficace del benessere di un intero villaggio. Ciò che riappacifica il tormento del cuore non aveva valore. Per quanto poteva essere da egoisti, l’Uzumaki, davanti a quell’ombra che emergeva dalle altre, avrebbe rinnegato la sua nazionalità. Avrebbe voluto urlare, strapparsi i capelli, saltare. Ma gli anni gli aveva portato via tutto. Forse nulla era sparito e quello che Naruto sentiva dentro era solo confinato nella scorza dell’eroico shinobi che gli si era calcificata addosso.

grazie a tutti

(lode a p_chan)

   
 
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