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Autore: kenjina    05/09/2010    2 recensioni
[Dal prologo] Quanto tempo era passato da quel giorno? Non lo ricordava, ma sentiva che era troppo poco, insufficiente per sbiadire il dolore che ancora provava forte e vivido, ogni istante, come se fosse accaduto solo pochi attimi prima. [...] Ma perché rimaneva ancora così attaccato alla vita? Aveva per caso qualche ragione per cui valesse la pena continuare a nascondersi per tenersi stretta l’unica cosa che odiava con tutto se stesso? I fantasmi continuano a vagare per il mondo dei vivi finché non risolvono le loro questioni in sospeso... Forse anche lui ne aveva una? Non lo sapeva, non voleva saperlo.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bonjour

La Vita Nova.

 

Capitolo VI

 

Caldo.

Tanto caldo.

Ecco cosa sentiva da quando aveva lasciato il palazzo, anche al solo pensiero di quella danza. Neanche durante il Don Juan Triumphant si era sentito così eccitato. E sì che quella canzone era erotismo allo stato puro e rappresentava esattamente quelli che erano i suoi sentimenti per l'amata Christine, ma guardare Phénix danzare con così tanta sensualità l'aveva semplicemente sconvolto.

Sì, sconvolto era la parola esatta.

Se non l'avesse conosciuta e non avesse saputo che quei due non si erano mai incontrati prima d'allora, avrebbe detto senza dubbi che erano amanti e che la loro passionalità e la loro complicità era trapelata in maniera fin troppo evidente durante quel tango. Il tempo sembrava essersi arrestato mentre tratteneva il fiato nel seguire i movimenti della giovane zingara, mentre si perdeva a guardare i suoi occhi smeraldini che fissavano con malizia e sensualità quelli del suo compagno, o i lineamenti dolci del suo corpo che pareva nato solo per quel ballo.

Era malefica proprio come una strega, sì. Altrimenti non si sarebbe spiegato del perché non fosse riuscito a toglierle gli occhi di dosso, nascosto dietro quello specchio, o del perché non riusciva a pensare ad altro se non immaginarsi al posto del ballerino.

Non era riuscito nemmeno a pensare alla sua Christine quando questa aveva scambiato due parole con la rossa. Così come non era riuscito a collegare il cervello alle orecchie per sentire cosa si stessero dicendo.

O stava ammattendo lui, il che era probabile, o quella zingarella gli aveva fatto un sortilegio, non c'era altra spiegazione.

Prese un respiro profondo, cercando di darsi una calmata, e portò tutta la sua attenzione – o presunta tale, dato lo stato d'animo che aveva – alla donna che aveva di fronte e che aveva perfettamente capito che in quel momento stava facendo di tutto fuorché ascoltarla.

«Erik, posso sapere che ti prende?», chiese esasperata Louise Giry, incrociando le braccia e lanciandogli un'occhiata affilata.

«Niente, non è niente.», borbottò lui, alzandosi dalla sedia su cui stava e iniziando a camminare avanti e indietro per tutta la lunghezza della cantina. Si passò stancamente una mano tra i capelli per riordinare le idee, poi puntò i suoi splendidi occhi acquamarina sulla direttrice del balletto. «Cosa stavamo dicendo?»

«I manager dell'Opéra.»

«Sì, sì, bene.» Sì schiarì la gola, portandosi un pugno davanti alle labbra per educazione. «Andrai da loro dopodomani e gli spiegherai un po' la situazione. Non penso che faranno storie, è quello che in realtà stanno aspettando da settimane.»

«Sei consapevole che quei due, quando verranno a conoscenza del fatto che sei ancora vivo, mi possono crollare per infarto davanti agli occhi?»

«A questo proposito gli porterai un anticipo sui tempi, così potranno ragionare a mente lucida. Sempre che ne abbiano mai avuta una.»

«Erik…», lo rimproverò bonariamente lei.

«Che c'è? Non posso manifestare la mia simpatia per quei due imbecilli?»

Louise sospirò, scuotendo mestamente la testa, mentre lui le si fermava a pochi passi di distanza. «E se dovessero rifiutare?»

«Accetteranno.»

«Non puoi esserne sicuro.»

«Invece lo sono.», sbottò irritato, assumendo quello sguardo tanto freddo quanto terribile. «Deve andare così.»

«Se Firmin e André non dovessero accettare…», proseguì imperterrita la donna, facendogli contrarre la mascella contrariato. «…Hai per caso pensato ad un piano per togliermi dai pasticci nel caso andassero a denunciarmi?»

«Non lo faranno.»

«Erik, per l'amor del cielo!», esclamò Claire, alzandosi con veemenza e fronteggiandolo. «È mai possibile che quello che dici e progetti non possa avere i suoi pro e i suoi contro? O ti sei dimenticato di come sia andata a finire l'ultima volta?» Si pentì immediatamente delle sue parole non appena vide lo sguardo dell'uomo diventare un mare in tempesta. «Perdonami, non volevo dirlo.»

«Ma l'hai detto, Claire Louise, l'hai detto!» Erik sbatté un pugno guantato di nero sulla parete di pietra della stanza, respirando velocemente per la rabbia. Quanto era dolorosa e crudele la verità…

«Quello che intendo dire è che devi pensare anche alla possibilità che non vada esattamente tutto secondo i tuoi piani. Ne hai avuto le prove, Erik, e per quanto questo possa essere doloroso dovresti imparare dai tuoi sbagli.» La donna gli si avvicinò senza paura, posandogli una mano sul braccio teso verso il muro. «Non pensare che ti dica certe cose per cattiveria. Lo sai bene che voglio il meglio per te e mi piangerebbe il cuore se ti trovassi nuovamente in quello stato pietoso.»

Erik chiuse gli occhi, cercando di pensare a tutto tranne che a quei giorni funesti dopo l'incendio. Mai aveva sofferto così tanto, mai aveva versato tutte quelle lacrime. E non era colpa né di Christine, né di quel damerino, né di nessun altro. Era solo ed esclusivamente colpa sua. Era stato lui l'artefice di tutto, lui l'aveva indotta ad una scelta più grande di lei, lui l'aveva fatta scappare. E tutto quello perché? Perché era fortemente convinto che tutto sarebbe andato alla perfezione, liscio come l'olio. Non aveva considerato un atto stupido come quello di Christine di togliergli la maschera davanti a tutti, né il fatto che Claire stessa avrebbe mostrato la via al Visconte per raggiungere la sua casa. E mai aveva lontanamente preso in considerazione una risposta negativa da parte della giovane cantante.

I risultati, alla fine, si erano visti perfettamente.

«Nel malaugurato caso dovessero rifiutarsi... Io sarò lì a fargli cambiare idea. E non voglio sentire discussioni.»

La donna sospirò indispettita, conscia che non sarebbe riuscita a farlo ragionare. Quando si metteva qualcosa in testa, quell'uomo era più duro di un diamante. «Solo una cosa, Erik. Stai attento.»

Lui ricambiò la sua preoccupazione con un solo sguardo serioso e fece per andarsene, avvicinandosi alla porticina di servizio che dava sul giardinetto retrostante, proprio sotto la cucina.

«Non vuoi parlarle?»

Erik fremette all'idea di trovarsi Phénix di fronte mentre era ancora pervaso da quello strano senso di calore in tutto il corpo. No, non avrebbe retto, ne era sicuro. Per quanto fosse un uomo dai sani principi era e restava pur sempre un uomo. «Verrò a parlarle quando avrò qualcosa da dirle, e non è oggi. Buona notte, Louise.»

«Buona notte, amico mio.»

 

Phénix sapeva che quella notte Erik era andato a trovare Madame Giry. L'aveva visto entrare furtivamente  dalla porta di servizio della cantina sul cortile, proprio lo stesso lato su cui si affacciava la finestra di camera sua. E così com'era arrivato, furtivo e nascosto come un'ombra, ugualmente se n'era andato.

Le dispiacque il fatto che non avesse voluto incontrarla; gli avrebbe voluto raccontare di quello che era successo quel pomeriggio, del ballerino gentile, delle occhiate sbieche che le altre ragazze le avevano lanciato, dei complimenti di Madame Giry, che non sembrava proprio una donna tanto disposta ad elargirne in grande quantità... E invece non si era fatto vedere. Magari aveva qualche affare da portare a compimento, ma provare a capirlo, delle volte, risultava difficile anche per lei.

Fu quando si accorse che in realtà non si era allontanato dal palazzo, immobile come una statua appeso a mezz'aria su una grata nel muro, mentre evidentemente aspettava il passaggio di qualcuno, che decise di seguirlo. Phénix scavalcò il suo gattino che dormiva placidamente accucciato in un cuscino, ed uscì dalla sua camera, scendendo i gradini a piedi scalzi per non fare rumore. Sperò vivamente di non incontrare nessuno durante la sua piccola scappatella. Si diresse verso la cucina, dove uscì sul retro del palazzo, e camminò verso il cancello che chiudeva il cortile interno dalla strada. Erik, nel frattempo, era già sparito.

Si guardò intorno nel tentativo di scorgerlo mentre sgusciava via, ma riuscì solo ad intravedere il suo mantello che spariva dietro un angolo, tra la foschia della notte. Sempre a piedi scalzi, per non far risuonare la suola sul ciottolato, prese a correre nella direzione in cui si era infilato. Non sapeva esattamente perché lo stesse facendo, né aveva pensato alle possibili conseguenze se lui o qualcun altro di sua conoscenza l'avessero scoperta. Continuò a seguirlo fino ad un vicolo stretto e buio, deserto, che puntava direttamente alla grande mole dell'Opéra. Peccato che non vide l'uomo da nessuna parte. Dov'era andato?

Quasi non riuscì a finire di formulare il pensiero che si ritrovò spalle al muro, con una grande mano che premeva violentemente contro la sua gola, nel chiaro intento di strozzarla o di spezzarle l'esile collo con un colpo secco.

Fortuna volle che Erik si accorse in tempo di chi avesse tra le mani, altrimenti non riusciva a pensare a cosa sarebbe potuto succedere. «Cosa stavi facendo?», scandì bene la domanda, mollando la presa dalla sua gola.

Phénix tossì un po' e cercò di riprendersi dallo spavento. «Facevo due passi, è vietato?»

«E guarda caso questi passi ti hanno portata a seguirmi.»

«Volevo scambiare due parole con te... È così grave?», sbuffò la zingara, facendogli letteralmente perdere un battito. Che si fosse accorta di lui quel pomeriggio?

«Cosa hai di così importante da dirmi?»

Phénix assottigliò gli occhi, avvicinandosi di un passo all'uomo che la sovrastava per altezza e robustezza. «Si può sapere che ti prende? Da quando sei diventato così freddo e antipatico? Ora non posso neanche avere la voglia di farmi due chiacchiere?»

Erik si sentì spogliato da quello sguardo offeso che pesava come un macigno sulla schiena. Non voleva essere sgarbato, ma l'idea che qualcuno, per di più una donna, avesse voglia di parlare con lui, lui!, lo metteva solo ed esclusivamente a disagio. Non era mai stato bravo a comportarsi normalmente con le altre persone, dato che gli unici rapporti normali, se così poteva definirli, che aveva avuto con il mondo erano quelli con Claire. E ora c'era quella ragazzina impertinente che lo stava mettendo in soggezione con una facilità disarmante. Quasi si vergognava di stesso per non riuscire a prendere in mano la situazione.

«Non credo di essere la persona più adatta con cui scambiare due parole.», borbottò, sviando lo sguardo verso la traversa illuminata che aveva appena lasciato.

«Ah no? Beh, scusami allora se ti consideravo un amico!»

Erik non ebbe il tempo di ragionare bene su quello che aveva appena sentito, perché nel giro di due secondi si ritrovò a sigillare la bocca della ragazza con una mano e a trascinarla velocemente contro una porta, appiattendosi contro di lei. «Zitta.», le sibilò in un orecchio, mentre i passi cadenzati di un gruppo di soldati diventavano sempre più udibili.

Phénix cercò di voltare il viso per guardare quel gruppo di uomini che proprio in quel momento stavano passando davanti al vicolo. Uno di loro stava proprio dicendo agli altri di aver sentito qualcosa provenire dalla loro direzione e che sarebbe andato a controllare. Non ci impiegò molto a togliere la mano di Erik dalle sue labbra, per lasciarle libere di cercare quelle dell'uomo che la stava stringendo per proteggere entrambi.

Erik credette di perdere i sensi quando sentì quella bocca infuocata premere contro la sua con una voluttà e una passione che mai avrebbe creduto potesse esistere. Incapace di muovere un solo muscolo, si lasciò baciare ed accarezzare come una bambola nelle mani di una bambina intraprendente. La stessa bambina che, contro le sue labbra, gli mormorò decisa di assecondarla. Fu così che le sue mani scivolarono ormai senza rendersene conto lungo i fianchi di lei, libere poi di salire e scendere sulla sua schiena, mentre si lasciava trasportare da un bacio che di casto aveva veramente poco. Sarà stato il ricordo di quel ballo, o semplicemente l'idea di avere una donna tra le braccia, ma si sentì sconvolgere da un desiderio così intenso quanto doloroso che mai aveva provato.

Phénix portò una mano sulla maschera di lui, per levarla via nel caso il soldato fosse passato avanti, e si staccò un attimo da quelle labbra carnose per riprendere fiato.

«Ehi, voi due! Non l'avete una casa?», esclamò il soldato, fermandosi a pochi metri da loro, dopo essersi accorto che si trattava solo di una coppia di amanti.

Erik nascose il volto nell'incavo del collo della zingara, e lei guardò l'altro con un'espressione maliziosa e birichina. «Ci piace l'avventura, monsieur.»

Il soldato scoppiò a ridere, scuotendo la testa e tornando indietro dai suoi colleghi. «Ah, sono solo due che amoreggiano!»

Phénix tirò un sospiro di sollievo quando il gruppo si allontanò definitivamente e si voltò a guardare Erik, ancora con la fronte poggiata sulla sua spalla. «Scusami, ma dovevamo passare inosservati.»

Gran bel modo di passare inosservati, pensò l'uomo, mentre prendeva un respiro profondo, alzando poi lo sguardo sulla giovane. «Certo... Hai... fatto bene.» Non gli sembrava tanto presa da quello che era appena successo, anzi. Del resto, aveva agito solo per proteggere entrambi. Per cosa, altrimenti? Era solo lui che non riusciva più a ragionare lucidamente e non poteva certo sperare di farlo, non se sentiva ancora sulle sue labbra il sapore di lei, non se non riusciva ad allontanarsi dal suo corpo, ancora incollato alla porta dietro la sua schiena.

«Va tutto bene?», gli chiese, piegando incuriosita il capo.

«Sì, sì.», fece lapidario lui, sviando lo sguardo per evitare che gli leggesse in faccia l'imbarazzo che stava provando. «Tornatene a casa, è pericoloso qui fuori.»

«Ma finché ci sarai tu con me sarò al sicuro.», ribatté la zingara. «E poi ti sei già dimenticato del fatto che avevo voglia di scambiare due chiacchiere?»

«Sei noiosa e petulante.» Si mise a camminare, senza guardarla. «Muoviti, non ti aspetto.»

Phénix sorrise sotto i baffi e allungò il passo per non perdere la sua guida. Non sapeva spiegarsi bene il motivo – o meglio, poteva solo immaginarlo – ma le sembrava che fosse diventato tutto d'un colpo un bambino dopo la marachella. Era a disagio, tremendamente a disagio: il fatto che guardasse ovunque tranne lei ne era la conferma. Forse quel bacio era tanto inaspettato quanto... nuovo? Stando al racconto di Meg, Erik aveva amato solo Christine e non le sembrava certo uno di quegli uomini che cercavano la compagnia di altre donne per consolarsi delle pene amorose. Probabilmente non aveva mai baciato una donna in vita sua che non fosse la sua musa, sempre che avesse mai baciato anche lei.

L'unica cosa che trovò problematico, e anche parecchio a dirla tutta, era il fatto che baciare quelle labbra le era piaciuto. Oh, se l'era piaciuto! Tremanti all'inizio, timide poi, e totalmente passionali alla fine. Poteva ancora sentirle fremere contro le sue, alla ricerca disperata di un loro contatto più intimo.

Entrambi completamente persi nei loro pensieri, arrivarono in silenzio all'Opéra, passando da Rue du Scribe. Erik, dopo essersi assicurato che non ci fossero occhi indiscreti a guardare, la prese per un polso e la trascinò verso una grata-finestra, che aprì con una chiave che teneva in tasca. Si ritrovarono, così, in una sorta di cappella votiva, un tempo illuminata dalle candele per la Madonna, ora totalmente al buio. Sempre tenendola per un polso, per paura che lo perdesse di vista in tutta quell'oscurità, la guidò per numerosi corridoi, alcuni in vista, altri totalmente nascosti, tanto che Phénix si chiese come facesse a muoversi così a suo agio al buio e a ricordarsi esattamente i punti in cui doveva armeggiare con qualche leva invisibile. La ammonì spesso di stare attenta a dove metteva i piedi, per evitare di cadere nelle numerose trappole seminate ovunque in quei sotterranei, e di mantenere sempre una mano sopra il livello degli occhi; e lei vide bene di appendersi al suo mantello per cercare di seguire una traiettoria quanto meno sicura. Non voleva certo sparire nel nulla in qualche botola!

Arrivarono finalmente in una zona più illuminata, grazie ad alcune sporadiche torce ancora accese, e proseguirono fino ad un “porticciolo”, dove c'era attraccata una gondola di piccole dimensioni, finemente intagliata nel legno e con i sedili riccamente coperti da cuscini bordeaux.

Phénix non poteva credere ai suoi occhi: non pensava certo che ci fosse un lago sotterraneo in quel posto.

«Sali.», fece Erik, porgendole una mano per aiutarla.

Phénix dovette mordersi la lingua per non sbottare contro i monosillabi che aveva preso l'abitudine di pronunciare. Non che fosse un uomo loquace, quello l'aveva capito da sola, ma non pensava certo che un semplice bacio potesse scioccarlo a tal punto da fargli perdere l'uso della parola.

Fu quando si perse a contemplare quel posto magico fatto di canali che si snodavano a perdita d'occhio, di archi e sculture scolpite nella roccia nuda, che non pensò ad altro. Erik remava lentamente, in piedi dietro di lei, e non poté fare a meno di frenare un sorriso, nonostante tutto. Era orgoglioso di quello che era riuscito a costruire e vedere lo stupore negli occhi della ragazza, soprattutto quando davanti a loro si aprì la vista della sua casa, poteva solo essere il culmine del suo compiacimento.

Phénix non aveva mai visto un posto simile. Se da piccola le avessero letto storie per bambini, avrebbe sicuramente detto che quello era un luogo proveniente direttamente dalle favole. Il lago terminava contro una lingua di terra ampia abbastanza da contenere tavoli, mobili, specchi coperti da drappi rossi e sedie; c'era una nicchia rialzata, poi, dove un organo tirato a lucido faceva bella mostra di sé, come se tutta quella grotta convergesse in lui come il nucleo principale. Ed era proprio così, dato che la musica era l'essenza che aveva fatto crescere quel genio che era Erik. Sulla destra, infine, dopo aver salito qualche gradino, si arrivava ad un'altra nicchia, che conteneva un bellissimo letto a forma di cigno, coperto da lenzuola di raso cremisi. Tutto l'ambiente pareva ancor più surreale dalla nebbiolina di vapore che saliva dall'acqua tiepida del lago e dalle decine e decine di candele che l'illuminavano tremolanti.

«Questo posto è... incredibile.», mormorò la ragazza, mentre Erik scendeva dalla barca e poggiava il lungo bastone contro una parete.

L'aiutò a raggiungerlo a riva, poi si allontanò verso una sedia, dove si tolse con grazia il mantello e lo piegò con cura quasi maniacale. Lanciò un'occhiata alla zingarella, completamente persa a guardarsi intorno per prestargli attenzione.

«Hai fatto tutto questo... da solo?»

«Sì. Questo posto, in origine faceva parte di un complesso di catacombe... Io gli ho solo dato una sistemata.»

«Solo? Erik, ti rendi conto che è splendido qui giù?», esclamò lei, curiosando ovunque. Spartiti, appunti, disegni... Poteva trovare di tutto tra quei tavoli disordinati, che raccontavano di una vita in piena attività, instancabile.

«Sì, soprattutto se passi i tuoi giorni in totale solitudine. Lo trovi ancora splendido?», replicò amaramente Erik, prendendo distrattamente uno spartito tra le mani.

Phénix lo guardò, ora completamente attenta. «Perché? Spiegami, perché hai vissuto la tua vita qui? Solo?»

La gola dell'uomo divenne secca di colpo, mentre si rendeva conto che doveva stare molto attento a quello che le avrebbe raccontato.

«È per via di quella maschera che indossi?», continuò imperterrita lei, inconsapevole di aver centrato la questione.

Erik riuscì a rimanere serio ed impassibile solo per il suo incredibile autocontrollo. «La maschera non c'entra.»

«E allora perché nascondi il tuo viso? Perché così risulti più spaventoso e temibile per rendere onore al soprannome che ti hanno dato? O per un gusto puramente estetico?»

L'uomo strinse i pugni in un moto di stizza. «Parli senza sapere.»

«E allora spiegami come stanno le cose!», esclamò, allargando le braccia esasperata. «Perché hai vissuto sempre qui? Volevi nasconderti da qualcosa? Da qualcuno? Spiegamelo!»

«Non sono fatti che ti riguardano.», sibilò, lanciandole un'occhiata che era tutto un programma. Non voleva sentire altro, nient'altro che avesse a che fare con lui. Ma forse ancora non aveva imparato che se c'era una cosa che Phénix sapeva fare bene era insistere, sempre e comunque, finché non otteneva ciò che cercava. Da quel punto di vista era maledettamente uguale a lui.

«Oh, bene, ora non mi riguarda la tua vita. Ti ho raccontato di me, del mio passato... Perché ora non posso conoscere quello dell'uomo che mi ha salvata

«Perché niente di quello che è stato il mio passato vale la pena di ricordare.», mormorò con un filo di voce. «A volte mi domando se non sia il caso di dimenticare anche il presente.»

Phénix si sentì stringere il cuore sentendo quelle parole pronunciate con così tanto dolore e vedendo quegli occhi acquamarina diventare lucidi per la commozione. «Non volevo riportarti alla mente brutti ricordi, Erik. Voglio solo farti capire che puoi sempre parlare con me. Pensavo ti avrebbe fatto bene sfogarti un po'.»

Senza quasi rendersene conto, Erik allungò una mano al viso di lei, per accarezzarla riconoscente. «Apprezzo molto quello che mi offri, Phénix. Ma il ricordo, per me, è un brutto male.»

La sua mano venne raggiunta da una della ragazza, che gliela strinse con forza. «Non voglio obbligarti a parlare, ma sappi che quando vuoi io sarò pronta ad ascoltarti. Voglio poter fare qualcosa per aiutarti, Erik. D'accordo?»

Lui annuì debolmente, il cuore che gli scoppiava immensamente di gioia per aver trovato una persona così pura e gentile con uno come lui. Si sentiva quasi un verme nel ripensare a quello che inconsapevolmente le aveva fatto. Chissà come avrebbe reagito se avesse scoperto chi fosse veramente? Avrebbe continuato ad essere così buona con lui, o l'avrebbe trattato alla stregua di un mostro, come il resto delle persone?

«Posso farti una domanda?», gli chiese, facendolo sospirare.

«Dipende dalla domanda.»

Phénix abbassò lo sguardo, osservandosi distrattamente le punte dei piedi. «Sai, non ne ho mai avuto la possibilità e mi piacerebbe... Ecco, mi piacerebbe essere come Meg, che sa così tante cose, che sa... Leggere, e scrivere. Tu potresti insegnarmi, vero Erik?»

Lui corrugò la fronte, perplesso per la richiesta. «Io?»

«Vedi altre persone qui?», esclamò lei, gonfiando le guance per l’imbarazzo.

Dopo averci pensato un po', la sua espressione divenne più rilassata, quasi divertita. «Bene, ma sappi che sono un insegnante molto intransigente. Iniziamo subito?»

Lei si lasciò andare ad un bel sorriso. «D'accordo, Maestro.»

 

 

 

Continua...

 

Come sempre ringrazio Francesca per il commento, gentilissima! *-* Ti spiego, ora, la "rigidezza"delle ballerine: è una descrizione dal punto di vista di Phénix, una zingara che non ha mai avuto la possibilità di vedere delle ballerine d'opera all'opera (scusa il gioco di parole xD), una donna che ha sempre creduto che dovesse essere la musica a dettare i movimenti, e non viceversa. Forse non l'ho spiegato bene, ma è il fatto che le ragazze mettessero avanti prima la tecnica e poca passione, secondo lei, a dettare questa "rigidezza e forzatura". Per  me le ballerine d'opera sono angeli, altro che forzate! :D Spero di essere stata chiara. :)

Ah! Son contenta ti stia drogando con quella canzone, è splendida! *o*

A presto! :)

 

Grazie mille anche a aliena, Keyra93 e leschatnoir per le seguite, e tra le preferite sempre Keyra93, masked_lady e sydney bristow. Grazie! <3

Al prossimo aggiornamento! ;)

 



   
 
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