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Autore: past_zonk    06/09/2010    7 recensioni
"Fuori s’inizia a sentire il rumore della pioggia che precipita dal cielo. La finestra semiaperta lascia che un soffio si vento gelido penetri nella stanza spoglia. Matt rabbrividisce, Dominic non s’accorge quasi di quell’alito puro. Nulla ha senso."
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dominic Howard, Matthew Bellamy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Breathe 5.

Nota: La ripetizione costante, quasi ossessiva, dei nomi dei personaggi è voluta.

 

‘And miss the opportunity to be a better man.’

 

Londra sembra essere scomparsa, volatilizzata, evaporata, distrutta, esplosa.

‘Immagina i mille modi con i quali una città può dissolversi.’

Fumo. Nuvole filiformi che vagano nell’appartamento poco illuminato.

L’aria è irrespirabile, sa d’incenso, di chiuso, di sigarette insapori, di tabacco pregiato che brucia la gola. Solite cose.

La città che avvolge quella casa instabile sembra non esistere per il giovane, segregato nelle latebre di quell’appartamento troppo polveroso, troppo umido.

Come le piante eternamente macchiate d’acqua che sua madre lasciava proliferare nei vasi da quattro soli comprati a Teignmouth.

‘A piedi nudi si pensa meglio’

Pensare.

L’eterna condanna d’ogni uomo. Pensare alla morte, alla malinconia, ai ricordi vividissimi delle urla dei tuoi genitori, mentre pensavi ‘moriranno, moriranno, moriranno’, come se potessero uccidersi da un momento all’altro.

Sul suo volto, acqua.

Una lacrima, piccola e incolore, una lacrima che gronda a sua volta vergogna e tristezza.

Una lacrima che per Matt Bellamy e solamente acqua distillata, è solamente una croce, è solamente un ricordo, è solamente una vergogna.

Piangere come quando da bambini l’unico rifugio era il porto o le braccia calde d’un amico.

Dell’amico.

Di lui.

Di Dominic.

Il suo collo profumava di un fiore ignoto al ragazzo, profumava come una sorgente pura.

Sgorgava quel suo dolce profumo da ogni piega della sua pelle trasparente, bianca come la superficie lunare. E le narici l’accoglievano, quella fragranza delicata, leggermente acre, come se sapesse di letto sfatto la domenica tardi. Profumavano persino i suoi capelli setosi, che pizzicavano il collo ossuto di Matt, tremante tra quelle braccia amiche.

Può sentirlo ancora Matt, quel profumo. Può ancora lasciarsi trasportare con quella nota di malinconia da quei ricordi setosi e gentili.

Ed ora? Il paragone è inevitabile. Ora è solo, in quel buco di casa, senza più le braccia accoglienti del biondo ad avvolgerlo. Ed è triste, oh sì se lo è.

Vorrebbe indietro la sua giovinezza, vorrebbe ritrovarsi in quel giorno di neve, nella sua odiata/amata città, in sala prove, quando, dopo una terribile litigata dei genitori, Matt scappò da Dom e andarono a suonare. Matthew, triste e malinconico accennò le prime noti di una ‘Falling Down’ ancora in provetta, ancora un feto tra le mani dell’inesperto gestante.

‘Immaginava  già di suonarla per uno stadio, incitando tutti a prendere gli accendini.’

I ricordi lo sommergono. Se solo Dom fosse lì, dolce e ingenuo come prima, quando Matt non aveva ancora depredato il suo corpo con cattiveria.

Senso di colpa. Amore assurdo. Nuvole e acqua.

‘Sempre la stessa vita, gli stessi sbagli che si tramutano in silenzio, che rimangono lì a marcire. Le stesse paure che lente scorrono, e che dilaniano il tuo corpo con fervore, come l’abbraccio troppo caldo di una fan, che piange sulle tue spalle, sussurrandoti amore eterno.’

Matthew Bellamy verga quelle parole sul suo pseudo diario di pelle, un libricino pronto ad accogliere i suoi pensieri più intimi, la bic sputa sul quel foglio ingiallito le parole espresse con grafia allungata, elegante.

Nella prima pagina del taccuino ci sono poche parole, anzi una frase ‘ Remember when you used to shine.’

Matt continua a scrivere e sulla pagina, su quel mucchio di alberi sacrificati, compare un accozzaglia di lettere dalla forma contorta.

‘Remember when you used to breathe.’

Il campanello quasi muto canticchia un fin troppo allegro ‘Din don’ e un paio di gambe gracili s’avviano verso la porta, trascinando con sé un ammucchio pensante di curiosità.

Un bouquet profuma dal tavolo in legno, profuma di nuvole e capelli.

Può fumare una rosa? Può emettere un alone d’odore colorato?

La porta è fin troppo alta, il pomello è insopportabilmente luccicante, ma si sa che quando si è tristi, tutto sembra orribile, persino il più fottutissimo pomello di questo mondo.

Il bouquet continua ad osservare la scena, impertinente.

Le viole si destreggiano con i propri amanti, sono delle puttane malpensanti.

Nei letti impiastricciati di tutti, puzzano di profumo, quelle viole.

La porta s’apre, per fortuna. Il moro pensa che potrebbe essere rimasto chiuso dentro, con l’aria che inesorabilmente si consumava e le viole che sfiorivano scenicamente.

Entra un respiro affannato, come quello della groupie di turno, bambola fra le braccia del moro.

Ma la groupie che si presenta e che si getta tra le sue braccia, non è la solita donnaccia, è un corpo solido fatto di affanno e pioggia, che geme sul suo collo, con la pelle pallida e giallastra, malata.

E’ un corpo di certezze svanite, è la mela/peccato che ti liquefa il cuore, che s’insinua nel tuo ventricolo destro e non si decide a scappare, che si lascia ferire e uccidere, e che eppure è lì per te.

Con te, ora.

Quella groupie è la tua gabbia toracica, che ti preserva il cuore caldo. Carta da parati che ricopre con la sua epidermide i tuoi muscoli, il muro del tuo corpo.

E’ troppe cose messe insieme, quella groupie, che ora stacca freddamente l’abbraccio e cerca di cimentarsi in un discorso.

-Scusa, Matt. -

- Dom?.-

-Sì?.-

-Nulla, vuoi un the?.-

-Sì, grazie.-

I due si dirigono verso la cucina di quella casa sfarzosa. Le viole tacciono, intimidite dalla scena clou di quel film che sembra francese, oh come adorano i film nonsense, quelle dannate viole!.

La teiera fischia, come se le sembrasse il caso, che indisciplinata!

-Ecco il tuo the, attento è caldo.-

-Grazie.-

Il moro si siede, la luce è soffusa, la notte è calata, il biondo sorseggia e le sue guancie si tingono di rosso.

-Lo sai che mi ricordi una scena? Quando tuo padre ci portava il the in camera tua, a casa. Eravamo così piccoli.- Matt accenna un mezzo sorriso.

-Già.- Dom sembra ricambiare. -Eravamo davvero molto giovani, ma avevamo le idee chiare.-

-Forse. O almeno, forse tu le avevi, Dom. Io non ho mai avuto nulla chiaro.-

- Matt ma tu ti ricordi come si respira?.-

-Non saprei, Dom. Non lo so, forse. L’ho dimenticato, credo.-

- Anch’io. -

La lampadina rotonda del lampadario minimal sembra vacillare, come se si stia per spegnere.

Luce, buio, luce, buio, luce, buio.

-Devo cambiarla. Vuoi andare di là?.- sussurra Matt.

- No. Parliamo.-

-Sì. -

- Matt, io credo d’amarti un po’.- Dominic, i suoi occhi, sembrano freddi, spenti. La lampadina ridacchia, in sintonia con gli occhi del biondo.

-Ah. -

-E credo di essere stanco, Matt, sai?.-

-Mhm. -

-Credo di non essere stupido.-

-Anche io penso che tu non sia stupido.-

Le vene scure di Matt pulsano di paura.

-Neanche tu lo sei, quindi basta.- Afferma il percussionista.

-E di che?.- Matt ride ma i suoi occhi hanno un espressione in netto contrasto con la postura delle labbra.

Il suono del suo riso riecheggia.

-Sei matto.- Dice Dom con voce amara.

-Sì. - Matt piagnucola.

-Non credo di riuscire ad andare avanti in queste condizioni, Matt. Se continui così credo che lascerò i Muse, Matt. Ora ridi, Matt?.-

‘Sei pronto ad urlare? Oh, riscalda la voce .’

- Cos’è un cazzo di ricatto? Cos’è ? -

Matt urla, e i suoi occhi si fanno febbricitanti.

-E’ una cazzo di affermazione. E’ la verità. Non c‘è più armonia.-

-Ma abbiamo il tour! Cosa dirai a tutti i nostri fan, eh?.-

-Che mi sono rotto il cazzo di te, Matt, ecco cosa diamine dirò!.-

Il volume della voce s’alza sempre più, in un moto di rabbia da parte d’entrambi.

-Per favore Dom! Sei totalmente fuori! E finiscila con ‘sto ruolo da vittima!.-

-Vittima? Sei un verme, Matt, sei un verme!.-

Le dita del biondo incolpano più delle parole stesse, contorcendosi rabbiose verso la gracile figura di Matt.

-E pensare che oggi … Oh, vaffanculo!.-

-Che oggi? Parla chiaro Matt!.-

-Che oggi quasi mi mancavi! E quasi mi sentivo in colpa!.-

-Quasi ti sentivi in colpa? Oh, dovrei sentirmi io in colpa? Scusa, scusa se mi sono lasciato usare da te Matt! Scusa se ti amo, Matthew!.-

-Scusa un cazzo! E’ colpa tua, stronzo! Non sei stato tu forse a baciarmi, quel pomeriggio? Non eri tu quello che m’abbracciava dicendo ‘lascia che ti aiuti’ ?-

-M- Matt. -

-Basta, Dom! Non vediamoci mai più! Perché a dirla tutta TU hai bisogno di me. Un bisogno immane, stupido, stupido, stupido Dom!-

Matt piange, ora. E non sapete, no, non lo sapete come sono intrise di vergogna quelle lacrime, neanche le viole lo sanno.

-I- io. - Dom è muto e i suoi occhi tremolano come la luce di una candela.

-E, Dom, tu non sai quanto ne ho avuto IO bisogno di te. -

- Matt … -

-Lasciami parlare, sfogare, per una volta!:-

- Dom tu non sei più il mio palliativo. All’inizio, dopo Gaia, ero distrutto e non riuscii a scacciare via le tue mani, Dom. Ma ora lo farei. Ora, se solo potessi, scaccerei con rabbia quelle tue manacce, Dom. Desidero non averti neanche sfiorato! Desidero ancora quell’amicizia felice e pura.-

E gli occhi sono sofferenti, e le labbra e gli arti anche.

-Sei diventato una luce, Dominic. La mia; Ma secondo te se potessi non vorrei amarti? Secondo te non t’amo? Secondo te sto bene? Secondo te non mi odio? No?-

-Perché non puoi amarmi?-

E’ solo una domanda, e quasi tutte le domande hanno risposta. Questa però pare un orfana senza madre, senza soluzione. Perché?

Il moro non sa rispondere. Non c’è una risposta. Non esistono parole giuste, in grado di spiegare davvero i sentimenti umani. Saranno solo mere simulazioni di quanto hai dentro, quelle parole. Non saranno mai totalmente vere. Saranno solo un espressione malconcia di quella gamma di colori indefinibili che sono le sensazioni umane; ‘Ho sete‘, non può esprimere veramente ciò che vuole il moro, eppure è ciò che vorrebbe dire. Ha una sete graffiante che striscia nella sua gola, una belva che graffia nella coscienza. Ha sete, ma sa che sete non è la parola giusta. Ha fame, ma sa che fame non è la parola giusta.

-Non lo so. -

-E allora fallo, amami.- Dom sembra calmo come un fiume, sembra racchiuda in sé una sicurezza disarmante.

-Non lo so. – sussurra, ancora, il moro.

Conoscete gli opposti? Ecco in questo momento Matthew e Dominic sono due opposti, due calamite contrastanti.

-E allora lo farò io per entrambi, per ora.-

E’ veloce e sembra tuttavia che il tempo si dilati, la linea temporale s’allunga come in un’allucinazione.

Un paio di dita sottili carezzano il collo di Matt, mentre un respiro incombente s’avvicina.

Le palpebre, senza un preciso perché, decidono di chiudersi, lasciando il dovuto spazio a quel buio perlato che costituisce il nostro vero inconscio. Il cuore pare quasi prendere il volo, uno dei tanti rullanti distrutti sul palco passionale di un concerto, la grancassa che vibra sul tuo bacino, che ti fa vibrare l’animo, che trascina la tua voce e l’accompagna per mano in un ritmo che sa di pioggia, sempre.

E poi le labbra. Accompagnano le parole invisibili che ora sanno esprimere concetti, attraverso i gesti, gli unici veri artisti in grado d’esprimere ciò che si prova. I gesti vinceranno per sempre sulle parole, con la loro forza d’espressione, riusciranno a scuotere il mondo dalle fondamenta, ed è una certezza.

Riusciranno a far addormentare l’animo irrequieto d’un bambino mai cresciuto.

La bocca di Dom culla quella di Matt, dolcemente, accogliendo tra le sue labbra anche le lacrime salate e saporite del moro, che s’insinuano in quel bacio di cannella.

Nella mente di Matthew soffia forte il vento del mare, insieme ad una voce, la sua probabilmente, che gli urla ‘Remember when you used to breathe’ e che ripete ossessivamente la parola respiro. Breathe, respiro, respirare, inalare, inspirare, far entrare in sé.

Matt crede di saper respirare, tra le labbra che gli occludono la bocca, pensa che ora Dom, la sua essenza, sta penetrando nel suo spirito.

Che ora più che mai, sono una sola cosa.

Esistono purtroppo incombenze vitali, come il respiro stesso, che ora unisce quelle due bocche e che ora le divide, con la sua arroganza.

Le mani del biondo continuano a carezzare, con le dita fredde, l’incavo sulla guancia di Matt.

I loro nasi si sfiorano. Le labbra stanno lontane.

E anche a Londra esistono cicale, anche da quelle parti friniscono violente e irritanti, e spiano le vostre conversazioni, come dei voyeur perversi.

E le cicale cantano, e ridono, e prendono in giro la stupidità umana.

Perché siamo uomini/bambini. Perché siamo adulti ma infantili.

Perché siamo di carne, imperfezione, dolore, sangue, vivi, tangibili, e le nostre angosce, anche esse sono tangibili.

Eppure esistono certi momenti, certi attimi, in cui ti sembra essere protetti.

Un tetto caldo, delle braccia avvolgenti, una voce rassicurante, una canzone contro il panico, la luna, un libro, un sano pianto, il mangiarsi le unghie, i tuoi genitori, le foto di famiglia, le mele d’autunno.

‘Aggiungi alla lista : Dominic.’

Mentre credi di cadere giù nel baratro, una mano ti tende la salvezza.

E tu vorresti urlare : E’ la sua, la sua mano, è qui, per me, sono salvo!

Al mondo vorresti urlarlo, ma capisci di dover nasconde nella pelle, nelle vene, quel segreto.

Matt capisce di dover covare quell’attimo, di doverlo proteggere dal mondo. Un feto malsano da scaldare.

Quella notte, non hanno fatto l’amore. Quella notte, non hanno parlato.

Quella notte, le labbra, i gesti, hanno semplicemente sostituito i mille stupidi interrogativi del mondo.

Londra s’è fermata, le viole si sono fermate, le cicale anche.

Solo un paio di mani e labbra e cuori continuavano a muoversi, ad amare.

E le palpebre di Matt rimasero chiuse, sbarrate, per lasciare spazio agli altri sensi. Le carezze del biondo sembravano amplificate, il suo respiro riecheggiava ovunque ed invadeva i polmoni di Matt.

Respiravano la stessa aria, parlavano lo stesso linguaggio, per una sera.



Spazio dell'autrice:

'Remember when you used to breathe' vuol dire: ricorda quando respiravi, quando sapevi respirare.

Allora, eccomi qui. Beh, questo capitolo è nato di getto. M'è uscito proprio dal cuore, anche se non sono pienamente soddisfatta.

Avevo paura d'essere ripetitiva e spero di non essere caduta nel banale o cose del genere.


Passo a ringraziarvi velocemente, miei 8 soli :


Deathnotegintama : ONORATA. Hai capito? ONORATA.


WhItE_mOoN92 : Grazie mille, sempre e immensamente. Non ho davvero altro da dire, spero ti sia piaciuto il capitolo. *Inchino*


Willow Street : Onorata d'esserti piaciuta. Te che sei un mito *u* <3 Grazie, sul serio.


Musetta93 : Adoro le tue semicritiche costruttive, e poi non so proprio come fai a pensarla ESATTAMENTE come me. Ti voglio bene; Grazie.


Lilla Wright : Ahahah, grazie mille tesoro. Spero ti sia piaciuto anche questo. Baci enormi per te *u* <3


_DyingAtheist : Se hai riletto 5 volte quella parte sono seriamente imbarazzata. Ciao tesoro, e grazie mille *Rossa* <3


Elleh : Elleeh! *Apparte che adoro il tuo nome, e dovevo dirtelo, cacchiarola! u_u* Sono sinceramente contenta della tua recensione *u* Grazie immensamente. Baci.


idiotofsuburbia : Onorata che ti siano piaciuti! *u* <3 Grazie mille, spero seguirai anche questo capitolo.

   
 
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