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Autore: beesp    06/09/2010    2 recensioni
“Le cose che perdiamo trovano sempre il modo di ritornare da noi”.
Contesto: Pre-saga. Malandrini.
“Allora, vi abbiamo chiamato qui oggi” cominciò James. “perché abbiamo qualcosa da dire”.
Finalmente, i due si voltarono a fissarsi, domandandosi mentalmente se fosse possibile che sapessero già; ma non ne fecero troppo un dramma, l’avrebbero scoperto comunque prima o poi.
“… abbiamo capito. Noi vogliamo soltanto dire che ci fa piacere, che siamo felici e che speriamo che non cambi nulla”.
“Perché dovrebbe modificarsi qualcosa? Siamo sempre gli stessi, dopotutto”.
“Sì, sono diverse soltanto alcune situazioni, è qualcosa che so che prima o poi sarebbe accaduta, meglio non perdere troppo tempo, giusto?”.
“Hai perfettamente ragione, è per questo che ci si sposa, per lo più”.
“E perché ci si ama”. Aggiunse, saggiamente, Lily.
“Eh?”. Domandò, intervenendo, Sirius. “Ma noi- io e Remus non siamo sposati…”.
Genere: Drammatico, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans | Coppie: Remus/Sirius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le Lune di Miele di Remus John Lupin e Sirius Black.



Il giorno in cui arrivò La Lettera a casa Lupin, Remus, con gli occhi fuori dalle orbite, dopo molti anni fu finalmente e completamente felice, senza riserve; in seguito a infinite lune piene, riuscì a dimenticare per la prima volta il Lupo Mannaro e tornare il ragazzo. Remus con gli occhi ambrati che stringeva tra le dita una pergamena e, tutto un fremito, la mostrava alla madre in lacrime, orgogliosa più che mai. Del suo bambino.


La madrea gli aveva gettato in grembo una lettera dalla scrittura raffinata, elegante, senz’alcun interesse, ritornando dal suo Kreacher per ordinargli di spazzare in un angolo, o di lavare qualche tappeto; dentro il primogenito Black cresceva un sentimento di spensieratezza che era stato ben lontano durante la sua infanzia – fino ad allora; sarebbe uscito da quella casa per nove mesi, non avrebbe rivisto sua madre, suo padre; probabilmente sarebbe riuscito a non essere uno Slyterhin, avrebbe potuto ignorare quelle idiozie sui Mug-blood[1] e i traditori del proprio sangue, il comportamento perfetto e l’esclusione completa di elementi babbani nella vita dei maghi.


Le seconde ventiquattro ore migliori della sua vita, Sirius aveva raccolto i libri che erano caduti a Remus sul pavimento, e gli aveva stretto la mano, presentandosi e notando, con piacere, che non accennava riferimenti al suo cognome. Stentò una smorfia simile a un sorriso e subito dopo uno sguardo di scuse, forse per il non riuscire a sembrare convincente, oppure per la sua stessa presenza.

Black fu subito convinto che si somigliassero.


Amici sbagliati: un albero genealogico appeso al muro che puzza di individualismo e anni trascorsi a illustrare le nobili imprese degli uomini raffigurativi sopra. “Disgustoso, eh?”

Domandò Sirius, quando Remus emerse dal Pensatoio. “Quella era davvero casa tua?”

Ebbene sì, sono un miracolo vivente, non mi vedi?” Una piccola giravolta. “E anche di bell’aspetto”.


Un faggio nel giardino della scuola di Hogwarts. Si erano impegnati a fissare il loro amico studiare talmente tante volte; ripetere, appena esausto, le lezioni a Peter perché lui le comprendesse; le gesta eroiche di James per impressionare Lily che, puntualmente, lo definiva ‘immaturo’; le capriole di Sirius: anche da umano aveva sviluppato un amore immenso per i grattini dietro le orecchie; Remus sorrideva beato mentre fingeva d’esser impegnato con qualche libro.


La foresta del castello, nella quale, durante le notti di luna piena – le più magnifiche, lontani dal fasullo contegno umano, dall’ipocrisia delle parole; parti di quella meravigliosa natura che è l’istinto, che li conduceva attraverso le loro scelte – correvano abbaiavano ululavano squittivano raspavano il terreno, lottavano uggiolavano scodinzolavano esploravano, pronti al mattino seguente a disegnare altri pezzi della Mappa che si sarebbe trasmessa attraverso le generazioni di Studenti tra le mura di quella seconda – o in alcuni casi prima – dimora.


Il treno per la Scuola, dove raccontarsi le (dis)avventure estive, le esperienze, le spiagge, gli acquisti, le nuove scope messe sul mercato, i regali ricevuti dai parenti, i pranzi orripilanti, i nuovi epiteti con cui Sirius definiva Walburga, James e le diavolerie di sua madre in cucina, la mania di spettinarsi i capelli acquisita al terzo anno, Peter e gli occhi sbrilluccicanti d’affetto e d’ammirazione, l’amore per il criceto di suo cugino Frank[2], Remus e il cuore che si riempiva di felicità all’idea che avrebbe trascorso altri nove mesi in quel modo fantastico che aveva reso suo, che apparteneva ai Malandrini e che nessuno avrebbe potuto strappar loro via. Durante il viaggio, il Lupo mannaro dimenticava – di nuovo come a undici anni – che ogni ventotto giorni avrebbe dovuto subire una trasformazione dolorosa: c’erano tre volti divertiti che non attendevano altro che orripilare ragazze, ricevere punizioni, la luna piena, festicciole in dormitorio, racconti dell’orrore, cucine nei sotterranei, elfi domestici schiavizzati, aeroplanini volanti nell’aula della McGonnall, incantesimi agli studenti del primo anno, scherzi nella Sala Comune Slytherin.


La gita al lago il Sesto anno, con la presenza altera di Lily che osservava Potter con un occhio interessato ma che, quando veniva scorta da un Malandrino qualsiasi che non fosse il suo amico Remus, si trasformava subito in una maschera di disgusto. Il buttare all’aria i vestiti e festeggiare perché erano giovani, felici, e l’anno scolastico si era appena concluso. La scoperta di James dell’alveare d’api e i cinque minuti seguenti, in cui era stato rincorso da numerosi insetti che Lily era riuscita a disperdere con un incantesimo; James era parso parecchio offeso, sentimento che veniva fomentato dalle risatine del suo migliore amico: subito dopo lui, Wormtail e Prongs avevano dato spettacolo delle loro doti di Animaghi, tra qualche sbuffo di noia della ragazza – in realtà era veramente impressionata, ma non avrebbe mai permesso che quei tre sbruffoni lo sapessero.

E infine la ragazza con i capelli bagnati che, nel sedile posteriore dell’utilitaria di Moony, s’era addormentata sulla spalla di Prongs, mentre s’incamminavano verso le loro case, con un Padfoot che avrebbe di gran lunga preferito volare o smaterializzarsi.


Il primo appuntamento che Lily aveva concesso a James; era stato così nervoso il loro amico… Non riusciva ad abbottonare la camicia, e gironzolava per la sala comune e il dormitorio tirandosi su i pantaloni e domandando dov’era questo o quello agli insonnoliti Marauders che, soltanto per pura solidarietà, fingevano di avere gli occhi e le orecchie ben spalancate; alle urla dell’amico non potevano comunque rifiutarsi di rispondere.

L’espressione del ragazzo quando i due si erano incontrati – “TRE ORE DOPO” aveva fatto notare Sirius – ai piedi delle scale… Lily era bellissima, ma quel giorno aveva una strana lucentezza sul viso, forse perché finalmente aveva deciso di cedere al bell’imbusto, o magari per il viso di James che era tutto un luccichio meravigliato. Il naturale prendersi a braccetto e iniziare a parlare, parlare, parlare sino a che la gola non si sarebbe seccata e gli argomenti terminati – ma per Padfoot, Wormtail e Moony che li guardavano dalla loro posizione, più indietro e dall’alto, non c’era alcun dubbio.

Scommetto quello che volete che rimarranno insieme per tutta la vita – se non anche oltre”. E avevano soltanto annuito in silenzio, incerti se quella fosse una buona o una cattiva sicurezza.


Il bacio di Natale – il primo in assoluto, in realtà – tra Lily e James. Si erano trovati per puro caso nella Sala Comune, mentre i compagni Gryffindor si salutavano, scambiandosi qualche regalo e facendo volare per scherzo valigie qua a là; il fuoco scoppiettante nel camino, le fate delle decorazioni che picchiettavano i loro pugnetti sulle spalle dei malcapitati, indignate per quella confusione. I Marauders in un angolo, che si spiegavano l’un l’altro come avrebbero trascorso quelle due settimane. Sirius e Remus si sarebbero fatti compagnia nella grande Hogwarts, la scuola sarebbe stata tutta per loro. “E naturalmente lavoreremo a quella cosa, Wormtail, non so se mi spiego”.

Qual- Oh, certo, certo”.

Sirius scosse la testa, evitando di commentare: dopotutto era Natale, poteva ignorare le stupidaggini di Wormy. “Ma dov’è Prongsey?”

È laggiù con Lily”. Sirius stava per mettersi a strillare e richiamare il compagno all’appello, quando si accorse che i due, sistemati sotto un rametto di vischio e accortisi di quest’errore del Destino – o forse accurata attenzione da parte di James, a dir poco diabolica – James disse qualcosa che parve molto come un “se non ci baciamo saremo sfortunati”. La Evans, che doveva aver afferrato tutto il piano, aveva scrollato le spalle sorridendo – dopotutto era Natale anche per lei – e aveva lasciato che James le prendesse piano la faccia tra le mani e le sfiorasse la bocca leggermente, perché si avvinghiasse al ragazzo e si premesse contro di lui con più trasporto.

Hai capito la Evans…” commentò Sirius, e nessuno ebbe cuore di contraddirlo, impegnati com’erano a stare attenti che nessun moscerino entrasse nelle loro bocche aperte (naturalmente, Peter quasi rischiò di affogarsi con una mosca, ma erano abituati alla sua goffaggine).


Il breve telegramma da parte di Narcissa e Bellatrix che giunse a Sirius in una notte tempestosa; Remus l’aveva rinchiuso in un abbraccio caldo che valeva più di mille case o Stamberghe Strillanti.

Il problema” aveva subito eruttato Black, con un odio profondo che non era rivolto a nessuno della sua famiglia in particolare, a meno che non si trattasse proprio di lui, di Sirius Black, spostando con mala grazia l’amico “è che non m’importa nulla”.

In realtà, e se ne rendevano ben conto tutti, era la sua genitrice, la donna che l’aveva messo al mondo e che, volente o nolente, aveva stipulato un legame – anche se assomigliava più a quello tra un cameriere e un datore di lavoro – che sarebbe durato in eterno.

Forse non si esibiva in pianti disperati o starnazzi, né parole doloranti, ma almeno un po’ ne soffriva.


In una sera d’estate di fuoco, Sirius era accomodato in una sedia a dondolo sistemata sul balcone della sua nuova casa. Remus era rannicchiato sul divano, di fronte la televisione che aveva regalato all’amico: girava i canali, sembrava interessato, ma non doveva essere troppo attento con quell’afa.

Black non se ne curava, occupato con la musica che proveniva da due piani più sotto, una ragazzina dai capelli rossi che ascoltava un mucchio di melodie blues del passato, sfocianti nel rock, malinconiche e apparentemente inadatte a uno spirito leggero di una teenager.


“…and every day and every night

There were just me and you

And nothing else there was in our life”.[3]


Improvvisamente, come illuminato, il ragazzo si voltò verso Remus che, a sua volta, un po’ intontito lo fissò senza proferire parola, aspettando che l’altro aprisse bocca.

Perché, ormai, ogni giorno della loro vita era intrecciato.


Un’altalena le cui corde resistenti erano attaccate a un albero maestoso. La prima casa dei Potter era un verso splendore, la targa d’ottone alla porta recitava:


Mrs. Lily Evans in Potter

&

Mr. James Potter”.


Il maritino si rannicchiava per un numero indecente di ore vicino alla porta a rimirarla e borbottare che ancora non poteva credere che LEI avesse accettato di sposare uno come lui.

Un giardino disseminato di germogli di campo, coloriti e fioriti in quel mese caldo. Un soleggiato pomeriggio insieme agli amici. Lily saliva e scendeva, saliva e scendeva, mentre i Marauders giocavano a carte sul prato e si raccontavano dei vari impegni; la donna rifletteva su cosa avrebbe potuto preparare per la cena.

Che ne dite del pollo?” chiese all’improvviso, interrompendo un’accesa discussione a proposito del Ministro della magia, al che tutti scoppiarono a ridere. “Che cosa c’è?”


Una mattina di metà ottobre del ’79 Remus Lupin si trovò, inspiegabilmente, sul divano del suo amico Sirius Black, con le braccia di quest’ultimo ai lati della testa e la faccia a pochi centimetri dalla sua.

Quando Lily Potter entrò senza bussare, rubata la chiave dell’appartamento del suo migliore amico a suo marito, per annunciare la lieta notizia, si trattenne dallo sghignazzare vedendo Remus e Sirius avvinghiati sul divano con delle espressioni corrucciate, e troppo impegnati per dar conto a una sposina neo-mamma. Così, arretrando lentamente, si chiuse la porta alle spalle; saltellando e gioendo, sempre di più, tornò dal marito per spettegolare assieme a lui: sembrava proprio che la bella novella, quel giorno, fosse giunta da altri.

A cena, quella sera, c’era una strana elettricità. Remus era rosso in volto e spesso balbettava, mentre Sirius era pensieroso e non alzava la testa del piatto.

Allora, vi abbiamo chiamato qui oggi” cominciò James. “perché abbiamo qualcosa da dire”.

Finalmente, i due si voltarono a fissarsi, domandandosi mentalmente se fosse possibile che sapessero già; ma non ne fecero troppo un dramma, l’avrebbero scoperto comunque prima o poi.

“… abbiamo capito. Noi vogliamo soltanto dire che ci fa piacere, che siamo felici e che speriamo che non cambi nulla”.

Perché dovrebbe modificarsi qualcosa? Siamo sempre gli stessi, dopotutto”.

Sì, sono diverse soltanto alcune situazioni, è qualcosa che so che prima o poi sarebbe accaduta, meglio non perdere troppo tempo, giusto?”.

Hai perfettamente ragione, è per questo che ci si sposa, per lo più”.

E perché ci si ama”. Aggiunse, saggiamente, Lily.

Eh?”. Domandò, intervenendo, Sirius. “Ma noi- io e Remus non siamo sposati…”.

Oh. OH!” Esclamò allora James. “Voi non stavate parlando di noi, quindi… - risatina – beh, sappiamo del vostro rapporto, oggi Lily è entrata in casa tua, Sirius, e vi ha trovati – uhm – allacciati”.

Le guance di Remus divennero blu e Sirius scoppiò a ridere.

Però noi volevamo soltanto informarvi – come ha provato a fare oggi Lily – che aspettiamo un bambino”.

Urla di giubileo e stappo di champagne che, naturalmente, la Potter non bevve.


Quindici anni dopo.


Si pensi a com’è… leggere un nome che non avrebbe mai dovuto avere a che fare con il mondo dei vivi. Un turbinio di idee, di colpevolezza, di amore, di affetto, di speranze perse in una prigione in mezzo all’Oceano, nella quale si smarriscono la forza, le idee, qualsiasi parvenza d’umanità… figurare a pochi centimetri da tre ragazzi indifesi quello che potrebbe essere un pericoloso assassino e ricordare quello stesso uomo che stringeva tra le braccia uno di quei giovani uomini, con un sorriso che avrebbe potuto essere scambiato per quello di un bimbo, tant’era sincero e raro. E poi vederlo di nuovo nella propria mente in un vicolo, dodici babbani intorno e Peter Pettigrew a pochi passi da lui, mentre urlava le parole che avrebbero portato la distruzione a tredici innocenti.

Un viscido Peter che non aveva mai conosciuto che strisciava accanto a Voldemort e che sussurrava il luogo dove si trovava il nascondiglio dei Potter.

Tutto il dolore di Harry, Lily e James traditi dal loro migliore amico, il cuore che si era frantumato quando aveva ascoltato la storia da Dumbledore, la voglia di ucciderlo o, peggio, di lasciargli subire le punizioni dell’inferno per il resto della sua miserabile vita di traditore – e oltre.

Ma c’era soltanto un uomo spezzato sul pavimento della Stamberga Strillante – che sì, avevano conosciuto l’inferno, ma senza averlo meritato – a cui erano stati strappati via gli anni migliori, proprio come a Remus, e che guardava il mondo con disprezzo e disgusto, molto simile alla prima volta in cui Remus l’aveva incontrato, quando gli era finito contro.

Gli tese la mano, stava soltanto ricambiando quel gesto di cortesia di tempo prima; si abbracciarono. Tutti quei silenzi e quegli anni morirono, appassirono, per un attimo su di loro il tempo fu meno impietoso, e parve proprio di leggere tra le pieghe delle loro storie una nuova felicità: quella di essersi ritrovati, nonostante tutto, nonostante Azkaban, nonostante il male più profondo che aveva diviso e distrutto e che aveva a che fare con menzogne e confessioni mai esalate ad alta voce…

Lì, in quella catapecchia, Remus aveva ritrovato la sua serenità perduta. Non importava quanto avessero da risanare, c’era tempo per il vuoto e per i rimpianti; nel frattempo avrebbero ricostruito quella vita che a entrambi era stata negata: un’esistenza con, se pur poca, gioia.












Le cose che perdiamo trovano sempre il modo di ritornare da noi”.


Harry Potter lo scrisse sul retro di una foto di Black e Lupin, sbucata da chissà dove, risalente al periodo di Grimmauld Place. Aveva visto quell’immagine e null’altro gli era venuto in mente se non quella frase, perché pareva proprio che avessero ritrovato… tutto.





















































[1] Mezzosangue, in questa accezione, è un insulto. Il modo che non lo fa essere una 'parolaccia' è “half-blood”, come il titolo del sesto libro della saga (“Harry Potter & The Half-blood Prince”). Ma usando “mug-blood” o “mud-blood” è un insulto.

[2] Personaggio totalmente inventato.

[3] Strofe di una canzone immaginaria, che magari potrebbero essere davvero presenti in una sdolcinata melodia, non lo so questo.


Angolo dell’autrice: Piccola depressione estiva, di quelle che spuntano all'improvviso e ti tormentano fin quando non le butti giù. Ed eccola qui, in tutta la sua tristezza e voglia di esplodere. Ho scelto dei particolari momenti, molti dei quali non sono affatto inseriti nella saga di Harry Potter, e ovviamente i personaggi appartengono interamente alla carissima J.K. Rowling. La citazione finale fa parte del quinto film della saga, ed è una frase che mi piace troppo. E che c'entra moltissimo con tutto il contesto di Harry Potter e di questa fan fiction e del mondo in generale. Ecco tutto. Spero che sia stata una fan fiction piacevole.

   
 
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