Non è mai una scelta vantaggiosa condividere una stanza di quattro metri per quattro con il tuo ex ragazzo. Soprattutto se l'ex ragazzo in questione è Akito Hayama, e siete più o meno in pessimi rapporti.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Aya Sugita/Alissa, Fuka Matsui/Funny, Sana Kurata/Rossana Smith, Tsuyoshi Sasaki/Terence | Coppie: Sana/Akito
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2.12: Home: Where your
heart is. SECOND PART.
Il fatto che avessi prontamente scollegato il cervello non stava di
certo ad indicare che io avessi smesso di
sentire. Affatto,
la pelle d’oca sulle braccia ne era la prova lampante.
Sorrisi tra me; se solo se ne fosse accorto, Akito avrebbe ribadito
quella faccenda della “gallina” che, mi ripromisi,
avrei vendicato non appena mi si fosse presentata davanti
l’occasione propizia.
Certo la suddetta occasione propizia, volendo, la stavo vivendo in quel
momento: la faccia di Hayama nel caso in cui l’avessi preso
per le spalle e allontanato sarebbe certamente andata a braccetto col
termine
impagabile.
Ma, come già detto, avevo scollegato il cervello e, detto
tra noi, staccarmi dai suoi baci sarebbe stato un autentico
peccato.
Se non altro mi presi una piccola anticipazione di rivincita
mordendogli il labbro inferiore.
« Dannata » inveì, tastandosi la bocca
per controllare la presenza - l’ovvia assenza - di sangue.
« Questo era per “gallina” »
risposi risoluta.
« Oh, te lo concedo. »
Rimase in attesa.
« Ne ho un’altra » confessò,
spostandosi nuovamente alla mia destra.
« Sempre di quelle che mi fanno arrabbiare? Spara. »
Giocherellò con un mio ciuffo di capelli, poi
alzò gli occhi.
« Mi hai proprio
beccato
»
Ora, ero seriamente indecisa se mollargli un ceffone o scoppiare a
ridere per la lucidità mentale. Io, in quelle condizioni, di
allusioni proprio non sarei riuscita a farne nemmeno mezza.
« Ah, Hayama » risolsi infine « Ma quanto
sei di buonumore oggi? »
E mi voltai a guardarlo - Kami, non poteva permettersi di negare un
dato di fatto simile.
« Mmh » si abbandonò ad una leggera
smorfia, ed io inarcai l’ormai famoso sopracciglio destro:
quello delle grandi occasioni.
« Tu » gli puntai un dito in fronte, nel tentativo
di allontanarlo maggiormente - in modo da riuscire a guardarlo bene in
faccia - e anche di costringerlo a un qualsiasi tipo di
confessione.
Forse era
quello
il nostro modo di parlarne
seriamente.
« ..ammettilo. » conclusi.
Salvo poi rendermi conto della temperatura della sua fronte, sostituire
prontamente la punta dell’indice all’intero palmo
sinistro e spalancare gli occhi, allarmata.
« Hayama » biascicai « tu…
Scotti! »
Dopo aver constatato che la sua temperatura corporea era pari alla
bellezza di trentotto gradi e due, mi chiesi ripetutamente chi me
l’avesse fatto fare.
Penso ormai siano ben noti sia il mio equilibrio che la
fondamentalmente assente capacità di stare in piedi sugli
arti inferiori (cosa che agli altri cinque miliardi
novecentonovantanove milioni novecentonovantanove mila novecento
novantanove abitanti del pianeta Terra risulta assolutamente automatica
ma a me causa non poche difficoltà), quindi non mi
dilungherò a raccontarvi quanto impervio mi sia parso il
tragitto dalla nostra - ehm - camera allo scaffale-medicine del bagno,
vi chiedo solo di sommare il fattore
oscurità.
Credo che la vostra immagine mentale corrisponda almeno in parte alla
realtà dei fatti.
« Mi è morto un fianco accanto al lavandino!
» oltrepassai la coltre di piume massaggiandomi la suddetta
zona menomata - entro tre ore sarebbe comparso un livido. Fantastico.
« Ne hai un altro » ad Akito, invece,
l’avere bisogno della crocerossina causava malumore.
Non che io mi vedessi in quelle vesti, sia chiaro, ero semplicemente la
persona più a portata di mano. E con persino
due fianchi da
immolare alla causa, in caso.
Versai il contenuto della bustina nel bicchier d’acqua,
valutando come solo poche settimane prima sarei stata allettata
dall’idea di sostituire il medicinale con una buona dose di
cianuro. E la bocca parlò senza il mio comando.
« Akito, lo sai che giusto qualche settimana fa avrei
approfittato di quest’occasione per avvelenarti? »
porsi il bicchiere.
Non lo prese subito: rimase lì a guardarlo, probabilmente
ponderando la possibilità che un qualche tipo di veleno
l’avessi comunque versato.
Deglutì.
« E’ veramente confortante, Kurata, veramente
» afferrò il bicchiere e mandò
giù tutto d’un sorso.
Si alzò barcollante dal mio letto - forse avrei dovuto
chiedergli di restare fermo dov’era - e si
trascinò fino al suo.
Ricordò l’assenza del cuscino con un grugnito
rivolto alle piume sul pavimento e si stese, faticando per una buona
ventina di minuti a trovare la posizione per dormire bene - io guardavo
esterrefatta il display del cellulare, che segnava in alto a destra un
alquanto preoccupante 04:16 AM.
Pur non essendo propriamente ferrata in matematica non ci impiegai
tanto a capirlo: il mattino dopo - sveglia alle sette e trenta per
registrare il programma con Fuka - sarebbe stato
tragico.
« Buonanotte » comunicò Hayama,
l’indice sull’interruttore, pronto a spegnere la
luce.
« Buonanotte, e cerca di dormire » con un sonoro
click ci ritrovammo al buio.
***
« Sana. Sarò sincero: ti infili troppo spesso nel
mio letto » borbottò quando alzai le coperte per
sistemarmi accanto a lui.
« Continui a ripeterlo »
« Ma tu continui a farlo! »
Nella mezz’ora precedente avevo pian piano acquisito la
lucidità necessaria a rendermi conto che dormire sarebbe
stato sicuramente fuori dalle mie possibilità.
Come farlo, se nell’esatto istante in cui abbassavo le
palpebre mi scorrevano davanti agli occhi
quelle-dannate-immagini?
Lo sfiorarsi delle mani sotto al tavolo.
La battaglia dei cuscini.
Il ghigno che gli avrei volentieri tolto dalla faccia.
Il suo respiro sul collo.
Siamo sinceri: sarei anche potuta impazzire.
« Hayama! Se proprio la cosa ti disturba, diamo un taglio
originale alla faccenda e vieni tu a dormire da me » replicai
esasperata.
E seguì l’ennesimo imbarazzato silenzio -
necessario a me per rendermi conto della frase appena pronunciata e a
lui per assimilarla.
« Sei sicura di non avere la febbre anche tu? »
Gli tirai un pizzicotto sul braccio. « No, idiota! Sono
sull’orlo di una crisi di nervi » decisi
inconsciamente di non badare al suo sarcastico “mi pare di
averlo notato, sì.” « ..sono le cinque
ed io sono ancora sveglia perché
qualcuno qui adora
correre come un imbecille sotto la pioggia! »
« Ricordo » obiettò « che gli
imbecilli l’ultima volta erano due »
Stargli accanto mi rendeva
decisamente
violenta. Soffocai un ringhio.
« Non adoro propriamente correre sotto la pioggia. E
l’imbecille con un febbrone da cavallo non credo
d’essere io »
« Certo, certo » e le sue braccia mi avvolsero.
L’intenzione era quella di divincolarmi, ovviamente, ma un
po’ per la stretta ferrea e un po’ per la
temperatura febbricitante vi rinunciai, chiudendo gli occhi.
Il cuore impazzito contro le costole era deciso a non calmarsi.
« Accidenti ».
Spalancai gli occhi nel buio più completo, timorosa che la
febbre fosse salita ancora.
« Cosa succede, Hayama? »
Sospirò. « Digli di darsi una calmata. »
« A chi? »
« ..Al cuore, dannazione! Rischi di perforarmi una spalla
così! »
Oh.
Oh.
Mi ritrassi dal suo abbraccio per quanto mi era possibile, mordendomi
il labbro inferiore. Era vero, il mio cuore continuava a battere come
un forsennato - e la faccenda si stava rivelando non poco imbarazzante,
a dir la verità.
« Hai… Hai la febbre » balbettai, poco
sicura « farnetichi. E comunque lo nego con tutta me stessa.
»
« Andiamo, lo senti? E’ un dato di fatto!
» le braccia mi strinsero.
Sentivo le guance bollenti - e dentro ribollivo, possibile che non
avesse ancora smesso di farmi quell’effetto?
« Hayama? » azzardai.
« Che altro vuoi? Ho la febbre, lasciami riposare. »
« Scusa. Volevo solo mandarti a quel paese.
Ora puoi riposare.
» sferzai, allontanandomi un po’.
«
Adesso
ti riconosco » ed avvertii un lieve incurvarsi di labbra
appoggiate al mio mento.
I rari e nascosti
sorrisi di Hayama.
***
« No… » mormorai girandomi
dall’altro lato, per quanto possibile « non
può essere già ora di alzarsi. »
A tastoni cercai la mia sveglia sul comodino di Hayama - che avevo
spostato prima di dormire - e spensi l’allarme.
Mi voltai nuovamente verso.. Verso chi definiremo
colui-con-cui-avevo-diviso-il-letto,
ma solo per dormire, soltanto per rendermi conto che
l’insistente BIP che mi aveva fracassato i timpani fino ad un
paio di secondi prima non l’aveva minimamente scosso.
Dormiva beato.
Mi puntellai coi gomiti sul materasso, pronta a svegliarlo.
« Hayama, alzati. Misurati la febbre »
Niente.
Espirai.
« Hayama, devi controllare la febbre » alzai di
poco il tono di voce. Si mosse leggermente, ma le palpebre continuavano
a restare chiuse.
« Hayama! » stavolta lo urlai davvero.
« Mmm. E’ tremila volte peggio di quando mi
svegliava Natsumi » commentò bisbigliando.
Il suo braccio destro mi avvolse la vita e mi trascinò
addosso a lui.
« Dormi, Kurata. E non rompere. »
Morale della favola, l’unica cosa che riuscii a fare prima di
riaddormentarmi fu mandare una misera mail a Fuka comunicandole che non
sarei arrivata in tempo.
“Tranquilla” mi rispose “ci vedremo
domani. Sempre colpa di Akito, eh?” e non riuscii a non
arrossire immaginando cos’avesse pensato.
Se non altro Hayama si era ri-misurato la febbre, e fortunatamente
questa era scesa al molto più rassicurante trentasette e
sei. Certo nel mentre mi aveva inveito contro ottantatré volte per
averlo svegliato dal suo sonno, ma perlomeno mi aveva dato ascolto.
In quel momento - mezzogiorno e dieci - piluccavo un po’ di
sushi in cucina.
Ero in condizioni pietose: maglietta sbrindellata, profonde occhiaie e
capelli raccolti in una coda alta. Non solo, a dir la
verità: raccolti in una coda alta e zeppi di piume.
« Dammi da mangiare » e il piattino che avevo sotto
al naso scomparve.
Alzai gli occhi al soffitto.
« Buongiorno a te, Akito. Sì, tutto bene.
Sì, mi fa piacere che la febbre sia scesa e sì,
se vuoi mangiare
non
farti troppi problemi. Chiedi pure. » commentai
sarcastica.
« Sono malato, vedi di non essere logorroica »
rispose mentre già si ingozzava.
« Altrimenti ci saranno ripercussioni sulla tua salute?
» Kami, io, io… lo detestavo.
Insomma no, ovviamente non lo detestavo, ma il suo modo di parlare mi
faceva saltare i nervi.
« Sulla mia salute no, sui miei nervi sì
»
Senza troppe sorprese, ero completamente ricambiata.
Andai a recuperare del ramen istantaneo. Non che ne andassi pazza, ma
la fame chiamava e dato che qualcuno mi aveva appena privata della mia
razione quotidiana di cibo non avevo scelta.
« Programmi per la giornata? » chiesi,
tanto per coprire il silenzio.
E poi era un
venerdì.
« Tu ed il tuo vizio di conversare, non l’ho mai
sopportato. »
Alzai gli occhi al cielo. « Ti ricordavo meno esasperante, da
ammalato. »
Gli occhi dorati si alzarono per un secondo dal piattino già
vuoto. « Ricordavi male. In effetti non hai mai avuto una
gran memoria. »
« Beh, fortuna che stasera » mimai due goffe
virgolette con le dita « “quella con poca
memoria” leva le tende. E’ venerdì,
questo me lo ricordo. »
Akito si alzò dal tavolo in due secondi, piazzandosi proprio
di fronte a me. Sembrava quasi confuso.
« Ma io sono ammalato. »
Sorrisi. « Ed io non sono la tua infermiera. »
Si grattò la testa, indicò la stanza. «
Alla luce degli ultimi avvenimenti fino a qualche ora fa lo eri.
»
Nascosi il sorrisino divertito - vederlo imbarazzato mi faceva sempre
reagire in quel modo - ed assunsi l’aria più
tragica che riuscii.
« Mi dispiace, ho smesso. »
Mi diressi in camera, decisa a prendermi un cambio per poi fare una
doccia - e dire addio ai residui di
gallina tra i miei
capelli prima che Hayama ne sparasse un’altra delle sue, non
sarei umanamente riuscita a reggerla - e dalla porta chiusa sentii
mormorare “sbaglio o mi hai appena paragonato al vizio del
fumo, in un certo senso?”
«
In un certo
senso sì, sei un vizio. Peccato che non sappia
come riuscire a smettere. » bofonchiai, stando attenta a non
farmi sentire.
Ormai era innegabile.
***
« Ma quanto siete carini! » Sayuki non riusciva a
trattenere l’entusiasmo.
Aveva ascoltato adorante il mio sommario racconto della serata -
nottata, mattinata - ed era sul punto di dichiararci marito e moglie,
ne ero certa.
« La febbre gli ha giocato un brutto scherzo. Più
che altro il tuo spirito da crocerossina, Sana. Scommetto che aveva
altri piani per la serata. Povero ragazzo. » Sota scosse la
testa, melodrammatico.
« Ahia! Ma che diam- »
« Sei fissato, Sota, sei fissato. » scoppiai a
ridere alla constatazione di Sayuki, che scuoteva la testa rassegnata -
Sota si massaggiava la spalla che lei gli aveva appena pizzicato.
« Per me ha ragione Sota » s’intromise
Den, la matita in bilico sul naso.
« Vedi, amore? Vanno così le cose. » al
che Sayuki inarcò un sopracciglio.
« Per tutti i Kami. Sei incorreggibile. » scosse la
testa.
Espirai.
Sì, ci voleva.
Era stata una fortuna averli trovati tutti e tre lì - avevo
bisogno della lista dei libri consigliati, e li avevo incontrati per
puro caso nella biblioteca dell’Università - stare
con Sayuki, Sota e Den mi faceva evadere da quel gran casino che era
l’appartamento numero undici, sentimenti strani compresi.
« Io dico che dovete parlarne seriamente » non
riuscii a distinguere chi tra i due ragazzi avesse parlato.
« Io invece dico che stasera esci con noi e lo lasci solo
soletto in casa » senza il minimo dubbio Den.
« Io invece dico che dovresti stare con lui. »
« Ma no, tesoro. Non capisci? Ora è fondamentale
che lei non gliele dia tutte vinte. Deve farsi rincorrere almeno un
po’. »
« Sota ha ragione. Qualcosa del tipo
“l’attesa aumenta il desiderio”,
già. »
E due dei libri consigliati di certo avevano guadagnato
quell’aggettivo per la facilità con cui volli
stamparli uno in faccia a Sota e l’altro a Den, sotto lo
sguardo altrettanto imbarazzato della povera Sayuki.
Non mi sarei dovuta sentire in dovere di accontentare nessuno, ma alla
fine il piano - che piano non era - si rivelò consistere in
una veloce cena a base di onigiri
(*)
coi miei tre amici sulla via di casa mia.
Avevo avvisato Aya per telefono, comunicandole che sarei arrivata in
compagnia.
Era un buon compromesso: in un certo senso sarei
“uscita” con loro, come desideravano Den e Sota, ma
sarei anche rimasta a casa con Akito, come aveva proposto
Sa’. Inoltre i miei amici di
sempre avrebbero finalmente conosciuto i miei nuovi amici.
Il bello del “piano”, senz’altro, era che
mi aveva occupato interamente il cervello. Impedendomi così
di massacrarmi mentalmente circa l’argomento Akito.
« Eccoci » sorrisi quasi al punto di rischiare una
paralisi mentre sferragliavo di fronte alla porta di casa.
Che stupida.
Solo al momento di percorrere gli ultimi dieci metri necessari a
raggiungere lo stabile realizzai che
anche Akito avrebbe
conosciuto Sayuki, Sota e Den. Chissà perché la
prospettiva di immaginare i miei due amici maschi - solo Den, a dir la
verità, dopotutto Sota era fidanzato - ed Akito nella stessa
stanza non mi piaceva.
Scrollai le spalle, liberandomi del pensiero - era in ogni caso troppo
tardi per farci i conti -, ed aprii la porta.
« Benvenuti a casa mia - cioè, nostra »
con un cenno del capo indicai Aya e Tsu, seduti sul divano.
Di Akito nemmeno l’ombra, sicuramente era ancora in
modalità
ammalato
petulante nella nostra stanza. Il che, detto tra noi, non
era completamente un
male.
Tsu si spettinò i capelli e, con un po’ di
imbarazzo, diede il via alle presentazioni.
« Ma non ne manca
uno?
» ammiccò Sayuki, scatenando le risa degli altri
quattro.
Alzai gli occhi al soffitto. « Oh, andate già
d’amore e d’accordo voi, eh? »
« Se intendi
Akito,
è ancora sotto le coperte. Va da un estremo
all’altro, quel ragazzo. » risolse Aya.
Annuii nella sua direzione, ricordando come da bambino la febbre non
fosse mai riuscita a fermarlo. In particolare a fermare le sue
maratone.
« Direi che comunque potresti tirarlo giù dal
letto e portarlo qui, Sana. Ragazzi, vi va un torneo di Mahjong? Un
classico. » propose Tsu.
(**)
I miei tre nuovi amici reagirono con entusiasmo, io mi avviai nel
corridoio che portava alla mia stanza.
La porta si aprì prim’ancora che sfiorassi la
maniglia.
« Oh, allora ci sei. » constatai, ritrovandomi
Akito in camicia leggera e jeans di fronte a me.
« Ho sentito delle voci. »
« Già, i miei amici. Vieni, te li presento. La
febbre? » mi morsi un labbro, leggermente tesa.
Mi seguì senza rispondere fino al salotto, e constatai che
non era mai stato di grande aiuto quando si trattava di smorzare la
tensione.
Strinse i pugni e squadrò Den, il quale ricambiò
trattenendo un sorriso e osservando me, poi tentò con Sota
allo stesso modo, ma non appena lo sguardo cadde sulla sua mano
intrecciata a quella di Sa’ i pugni si rilassarono.
Morivo dalla voglia di obbligarlo ad ammettere una qualche forma di
gelosia, ma mi morsi la lingua.
« Il
famoso
Akito! » Sota sorrise apertamente, Hayama corrugò
la fronte ed io, immancabilmente, arrossii.
La situazione si stava facendo imbarazzante.
« Poi me la spieghi, eh? » commentò
Akito. Sota annuì.
« Io direi che non ce n’è bisogno,
ragazzi » scoccai un’occhiataccia generale
« Giochiamo e
basta.
»
« Ma se Akito vuole sapere, Sana.. » si oppose Den.
« Simpatici, i tuoi amici » Hayama ci stava
prendendo fin troppo gusto, così gli tirai una gomitata
sulle costole.
Col solo risultato di massacrarmi un gomito.
« State zitti e giocate, okay? » queste alleanze
erano ignobili.
Ignobili!
Fu una partita piacevole, per certi versi. Ovviamente persi
clamorosamente, scatenando le incontrollabili risate di Sota e
beccandomi un “pivellina” da parte di Akito.
Inutile dire che stavo già programmando vendetta.
Stavo trangugiando un bicchiere d’acqua, Tsu e Den parlavano
di lavoro, Sota ed Akito di qualcosa che sinceramente non volevo
sapere, Sayuki ed Aya di un programma televisivo, fuori diluviava.
Suonò il campanello e nessuno a parte me parve accorgersene.
A compiere quei pochi passi che mi distanziavano dalla porta
d’ingresso mi sentii invadere da un assurdo senso di
déjà-vu - come se mi ritrovassi dentro ad un
film, quasi.
Il campanello suonò di nuovo, insistentemente, guadagnandosi
anche le attenzioni degli altri.
« Fuka ha sentito il richiamo del Mahjong e ha trascinato il
suo ragazzo qui, ci scommetto » alzai entrambe le mani,
esasperata.
Sarebbe stato da Fuka, probabilmente: il vizio di eccellere in
qualunque campo non l’aveva perso mai. O forse era
lì solo per ripetermi che ero una pivellina.
In realtà era tutta colpa delle tessere numeriche. I
numeri ed io
eravamo due universi opposti.
(***)
Girai la chiave nella toppa ed aprii velocemente, piazzandomi in viso
un’espressione esasperata.
« Oh. » fu l’unica cosa che riuscii a
dire.
_____________________________________________________
(*)
QUESTO
è l’onigiri.
(**)
Mahjong, gioco cinese molto diffuso in Giappone.
QUI
tutto quel che c’è da sapere. Grazie Ellie ;D
(***)
Il Mahjong è un gioco formato da diverse tessere, alcune
numeriche ed altre letterali, che vanno abbinate secondo degli schemi.
Sana e la matematica. C’è bisogno
d’aggiungere altro? xD