A CACCIA

Arrivai al Red Dragon alle undici e mezza e ritrovai Emmet già impegnato a cercar di attirare l’attenzione di una rossa niente male. Ero sicuro che stesse dando fondo a tutto il suo repertorio: cosa faceva per vivere, della casa ad Aspen, del jet privato. Quella ragazza era spacciata. Quando Emmet puntava qualcuna, era difficile che la malcapitata non cedesse alle lusinghe di un bel ragazzo e pure ricco sfondato.

Mi avvicinai al bancone del bar, salutando con un cenno Eric, e ordinando un Martini dry. Avevo bisogno di distendere i nervi. La mattinata dal rettore era stata impegnativa: dovevo fare da baby sitter alla figlia e me l’avrebbe presentata l’indomani. Trovavo il comportamento del rettore alquanto patetico, come poteva pensare di poter controllare una ragazzina di ventanni?

Buttai giù tutto d’un fiato il mio martini e facendo un cenno ad Eric ne ordinai immediatamente un altro. Non potevo pensare che io, professore di Lettere dalla Standford, pluripremiato, dovessi fare da baby-sitter. Era inconcepibile. Sospirai, e buttai giù anche il secondo martini. Sentii il liquido bruciare al suo passaggio e pian piano i miei nervi rilassarsi.

Mi appoggiai al bancone di schiena, voltandomi verso i divanetti, feci un cenno di saluto a Emmet e mi voltai verso la pista. Ciò che vidi mi fece cadere la mascella. Una ragazza, di spalle, con un culo divino, stava ballando come se nella stanza non ci fosse nessun altro che all’infuori di lei stessa. Lo capivo dal fatto che teneva gli occhi chiusi, assaporava il ritmo, la musica era parte del suo corpo.

Decisi che quella sarebbe stata la mia preda. Avevo un dannato bisogno di distrarmi.