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Autore: nous    10/09/2010    1 recensioni
Arancio è il colore dell'ipocrisa. Gli eroi sono caduti: il presente è diverso dal futuro che si erano immaginati. La prepotente verità di Konoha nasconde la verità di Naruto. Sasuke non sa più qual'è la verità. Basta sapere che Madara è morto e che si festeggia un eroe fasullo. C'è chi ha aperto gli occhi. Chi vive di sogni. Konoha ignora tutto e continua a vivere.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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arancio VII

 

VII.

Se in quel mare di buio ci fosse stato anche solo il ricordo di quell’assurdo personaggio, Naruto sarebbe stato quasi felice. Ma lì forse c’era più di un’immagine sfuocata. Era lui. Era quell’animale strano e superbo. Il silenzio del suo avanzare, quell’abilità ninja di non farsi sentire.  La leggerezza di chi ha imparato a non avere peso e con non curanza fa finta di non esistere.

Il sensei gli aveva insegnato l’importanza di sapersi muovere il più silenziosamente possibile per non compromettere le missioni e farsi notare dai nemici. Sasuke lo aveva appreso molto velocemente. Sasuke era bravo a concentrarsi. Naruto  lo ammirava segretamente per questa sua capacità, lui aveva difficoltà ad assimilare gli insegnamenti di Kakashi. Era stupido. Per quanto fosse forte e coraggioso, gli mancava quel qualcosa in più che il suo compagno pareva possedere. E se adesso credeva  che chi avesse davanti fosse un dannato idiota, riteneva di non aver ancora raggiunto quella naturale abilità del suo nemico.

Riconosceva i profili umani dell’ombra e sapeva che nome assegnargli. Si era immaginato, qualche volta guardando il loro vecchio campo d’allenamento, quale forma il corpo del compagno avesse assunto. L’ultima volta che lo aveva visto era diventato un uomo come lui. Un demonio non tanto diverso da lui. Quel sorriso e poi la mente non ricordava altro.

I raggi solari leggermente delineavano la fisionomia di quel traditore. Ma quella luce sembrava perdere intensità su quell’essere.  Naruto pensava a quanto potesse essere cresciuta l’oscurità nell’altro. In quell’uomo non vedeva più il diavolo che lo aveva reso un eroe, non vedeva il compagno di un tempo. Quello sembrava un Sasuke diverso da tutto ciò che era venuto prima. Una persona completamente differente da quella che aveva vissuto nella memoria del biondo. Il tempo era passato e li aveva cambiati. Forse nemmeno l’Uzumani era quello di anni prima. Forse ,senza rendersene conto, era talmente cambiato da far sorgere il dubbio negli altri che fosse veramente lui. Erano diventati entrambi uomini, entrambi adulti, entrambi si erano affossati lungo quel percorso che così dolorosamente si erano scelti.

Quel Sasuke si fermò.  La luce del sole non era abbastanza forte per illuminargli il volto. Naruto, però, ne poteva scorgere l’incuria. Forse gli salì alla gola la nostalgia del vecchio compagno. Incredulo davanti  a quel corpo, avrebbe voluto scattare e dargli un pugno in pieno viso. Sentirsi insultare ancora,  come in un piacevole incubo in cui tutto si svolge come nel passato. Ma non riusciva a schiodare i piedi da terra.  Era l’oscurità di quella maschera scavata. Un contenitore di risentimento ed odio che era stato logorato da dentro. Non provava più invidia. Non aveva senso provarla. Non sentiva nemmeno pietà. Sasuke non avrebbe voluto.

Ad una decina di passi da lui vedeva quell’ombra aprire gli occhi. Sarebbe stato meglio che li avesse tenuto socchiusi ancora un poco. Il tempo necessario perché Naruto distogliesse lo sguardo e non potesse leggere il vuoto di quelle iridi insanguinate. 

Se solo avesse voluto, Naruto sapeva,  l’Uchiha avrebbe potuto farlo sprofondare nelle sue illusioni. Nessuna sarebbe stata eguagliabile alla visione del cadavere dell’amico, forse, mosso ancora dal rancore.

Aveva già visto quello sguardo,ne aveva già visto uno simile. Era a casa di Sakura. Non ricordava nemmeno più il motivo. Sopra la mensola vi erano delle bambole. Avevano quegli occhi vitrei, imperscrutabili. Occhi che portano dentro un’immensa tristezza senz’anima. Sasuke aveva rubato gli occhi ad una di quelle donnicciole di porcellana.

Era solo un fantasma senza tomba quello che aveva davanti, solo uno spirito maledetto che vagava per il bosco. La fattura che qualche nemico gli aveva lanciato prima di spirare.

Quella visione, però, era così reale. Non aveva la consistenza dei sogni ma l’odore di terra umida della realtà.

«Teme…».  Sussurrò con un filo di voce, aspettandosi di riceve come risposta dobe.

Non ci fu alcun fiato. Sasuke stava impassibile. Solo in capelli erano in movimento, scossi da una leggera brezza che aveva iniziato a far frusciare le foglie.

Il biondo si ritrovò di nuovo ad avere quel maledetto groppo alla gola. Aveva anche gli occhi lucidi, se qualcuno glielo avesse chiesto era colpa del vento e non della nostalgia di quegli insulti. Lui non era il tipo da piangere, non davanti ad un Uchiha. Non davanti a quel bastardo di Uchiha.

Abbassò la testa, stringendo i pugni. Raccolse la forza e riempì i polmoni d’aria. «Teme! », urlò con la voce rauca di chi trattiene a stento il pianto.

 

Teme, una parola da tempo taciuta. Il teme era lui. Il siparietto mai concluso di quei fraterni insulti. Nemmeno sta volta lui avrebbe risposto. Non ne aveva voglia. Non aveva la voglia di soddisfare quella tempesta che gli offuscava la mente. Non avrebbe dato una conferma al passato. Era stanco di quello strano gioco. Un passo avanti e due indietro. Come se gli fosse impossibile procedere. Ed inevitabilmente non restava che fermo sulla sua posizione.

Teme. Avrebbe dovuto tirargli un pugno. Ma che senso aveva colpire l’aria. Forse ancora stava sognando. Perché lui non si sentiva vivere. Non aveva una ragione d’essere, non un motivo per muovere il prossimo passo.

Konoha.

«Konoha…». Un impercettibile schiudersi delle labbra.

La faccia lamentosa del dobe davanti a lui sgranò gli occhi. Era nella sua testa, logicamente aveva sentito.

Doveva essere distrutta.

Perché quell’idiota continuava a guardalo meravigliato, quasi speranzoso. Non aveva sentito!?

Sasuke Uchiha  aveva distrutto, o doveva distruggere, Konoha. Non se ne ricordava. Aveva in mente le macerie di qualcosa. Casa sua. Un covo nascosto. Un villaggio. Era confuso.

Non c’era un luogo a cui fare ritorno, ma quella fastidiosa voce gli chiedeva di tornare. Più cercava di isolasi, più quella tampinante presente lo assillava. Naruto era sempre stato decisamente fastidioso.  Era un tarlo che gli divorava le sinapsi. Che gli faceva nascere dentro una rabbia profonda. Perché lui non era mai stato come il biondo. Preferiva morire, invece che mostrarsi debole. Solo odio. Konoha non esisteva più. Quel petulante essere doveva rassegnarsi. Non ci sarebbe mai stato un ritorno.

 

Quella maschera di ghiaccio portò il suo sguardo spento sul ninja biondo. Naruto rabbrividì, pronto per essere catapultato di una strana dimensione. Ma non sentì nulla. I suoi piedi erano ancora saldamente ancorati a terra. Sentiva il vento sputargli in faccia. Era lì, davanti a lui stava Sasuke. Tutto qui. Davanti a lui stava quello che era Sasuke. Non rammentava quel compagno dall’aria assente. Ora quelle biglie rosse puntavano lui.

Naruto si ricompose. Cercò di dare un contegno al suo volto. Si lisciava la maglia nera e si immaginava la reazione di Sakura al suo posto. Sarebbe scoppiata a piangere, come l’ultima volta. Si sarebbe bloccata. Gli occhi le si sarebbero riempiti di lacrime. Poi le mani alla bocca, per soffocare le emozioni. Con le prime stille anche lei sarebbe caduta a terra, con poca eleganza, atterrando sulle ginocchia. Avrebbe continuato a piangere, a testa china. In preghiera davanti all’icona del suo primo amore. Il grosso difetto della compagna, era che ragionava ancora come una donna e non come un ninja. Per questo lui era l’assassino e lei il dottore.

Sasuke, davanti all’addolorata non avrebbe reagito, sarebbe rimasto inespressivo, come ora lo era davanti a lui.

«Non credo che ora abbia senso riportarti al villaggio.» Disse in risposta al sussurrò dell’altro, con il tono serio di chi non ha più voglia di scherzare.

« Non ha più senso portati al villaggio.» ,distolse lo sguardo su un frammento di cielo,«Non ho voglia di sprecare tempo a convincerti a tornare per poi farti giustiziare.»

Abbassò lo sguardo analizzandosi le nocche della mano destra. C’era una vecchia cicatrice. Perse tempo attendendo una qualche reazione del suo interlocutore. E dopo quel nulla, diresse le iridi, ancora un poco lustri, sul moro, interrompendo la pausa.

«Tu, vuoi per caso tornare?»

Il silenzio rispose.

«Come immaginavo. Sai, neanche io ho voglia di tornare». Detto ciò, mise le mani in tasca e si mosse di qualche passo.

 

Il Naruto della sua testa era diverso dal vecchio Naruto. Gli venne il dubbio che quella fosse già la realtà e non fosse più parte del sogno. Forse quei suoi occhi lo avevano fatto impazzire e lo aveva spinto dove non si può più tornare indietro. Forse sarebbe bastato aprire bocca e provare a parlagli. Sentiva che doveva distogliersi da ciò che il suo cervello supponeva. Stava giocando una partita con la sua mente. Ora sentiva il dovere di scontrarsi con la realtà per toccare quanto fosse vera.

«Stai rinunciando al villaggio?». Si accorse di avere una voce raspante. Da quanto tempo non parlava. Non sapeva più che suono producesse la sua gola scossa dall’aria.

Il suo interlocutore nemmeno lo guardò. «Forse».

Quella non era la realtà. Il dobe non avrebbe mai asserito ciò. Sasuke si stava domandando in quale perversa illusione fosse caduto. Non gli era mai capitato di rimanere così lucido e consapevole.

 

«Perché continuate a tormentarmi?»Naruto potè notare come l’espressione di Sasuke si increspò. Un alone di ira ed esasperazione.

«Cosa!?»

«Perchè?», ruggì il moro. 

Naruto era visibilmente sorpreso da quell’inaspettata reazione. Avrebbe voluto chiedere il motivo di quella domanda. Venendo il nukenin riprendere fiato, nel vano tentativo di ritornare inespressivo, si trattenne.

«Perché anche tu?»

«Ma di che cazzo stai parlando?»

«Ti diverti Kyūbi. Il tono della voce del moro era di nuovo alterato. Il biondo lo vide guardarsi attorno. Fare qualche passo per avere una visuale più completa. Aveva abbassato le spalle e flesso gambe, come se dovesse prepararsi ad un combattimento. L’unico con cui scontrarsi era lui, il suo vecchio compagno di squadra. Ma il moro non degnava il biondo della minima attenzione. Sorrideva con quel suo ghigno terrificante e con quei dannati occhi offuscati scrutava furente attorno.

«Ti stai divertendo Madara? Bastardo, ti diverte, vero!?». Urlava, come poche volte Naruto lo aveva sentito fare. E gli fece una immensa pena, perché il nemico che cercava era morto.

«Sasuke», era difficile non far trasparire quel disagio che provava dentro,«Madara è morto. Lo…lo abbiamo ucciso insieme.»

Il traditore si bloccò. Gli stava dando le spalle, spoglie e cadaveriche. L’Ukumaki non ricordava come fossero le spalle dell’amico prima di quel giorno. In quel momento Naruto non riusciva proprio a ricordare come fosse il suo compagno. Aveva sempre avuto quell’aria trasandata? Forse sì e lui da ragazzo non ci aveva mai dato peso. A Sakura non sarebbe piaciuto. Lei se lo sarebbe voluto portare a casa, come uno stupido cucciolo, gli avrebbe sistemato i capelli  proprio come ad una delle sue bambole. Era un pensiero assurdo. Ma in quel momento gli venivano in mente le galline che inseguivano il perfetto Sasuke. Perché Sasuke era bello. Perché Sasuke era forte. Perché Sasuke aveva quell’aspetto misterioso che alle donne piaceva tanto. Per lui era solo un pallone gonfiato, ma per le ragazze era diverso. Per loro era sempre tutto diverso.

«Già…è morto…». Flebilmente l’Uchiha interruppe i contorti ragionamenti del biondo. Seguì quella che al ninja parve come una risata. «Giusto…». Il moro si era di nuovo spento, atono.

 

«Di tanti ..non mi sarei aspettato proprio te»

«Nemmeno io»

«Per quale motivo…»

Naruto non capiva se doveva rispondere  o meno. Non gli sembrava una conversazione quanto un soliloquio. Se lui ci fosse stato o meno non importava. Non riusciva a cogliere i fili del discorso dell’altro. Desiderava rispondere per sentirsi meno estraneo. Il motivo della sua presenza non lo sapeva, lo sospettava, ma era più una sensazione che una certezza.

«Ho sentito che dovevo venire…»

«Come gli altri, sei venuto per vendicarti…»

«Credo di essere venuto perché ho sentito che mi hai chiamato, amico…». Non pensò minimamente a quello che disse. Amico!? Il Sasuke che conosceva si sarebbe tagliato un braccio piuttosto di farsi chiamare amico da lui. Si dannò , perché non era stato capace di dare peso alle parole e quello che ne era uscito era stato un discorso melenso e senza logica. Aveva risposto d’istinto, aveva detto male. Si aspettava una reazione da quel ragazzo di spalle, una qualunque.

Quello, invece di lanciarsi all’attacco, stava fermo in un’ascetica calma, come se le cose di questo mondo non gli importassero più. Naruto espirò rassegnato. Se non erano già passati alle mani, allora erano veramente cambiati.

«Madara…»ridacchiò facendo voltare il biondo, che incontrò il profilo indecifrabile.

«Cosa vuoi…amico»

L’ultima parola suonava distorta, quasi stridente marcata dalla voce dell’Uchiha.

Forse era da una vita che si aspettava quel momento, ma non sapeva come agire. Si era sempre immaginato uno scontro all’ultimo sangue. Quella sembrava più conversazione senza argomenti da trattare. Era snervante. Tutte le parole che aveva infilato mentalmente una dietro l’altra negli anni, gli erano svanite dentro. Tutto ciò che aveva programmato di fare si era annullato in quell’inattesa esigenza di parlare di Sasuke. In fondo lui non voleva nulla. Aveva serbato la speranza di rivederlo, ma ciò non giusticava la sua presenza lì.

Si morse il labbro inferiore,  come se il dolore lo facesse ragionare più velocemente. Naruto credeva di essere in quel luogo semplicemente perché doveva esserci. Cosa voleva non era certo di saperlo. In quel momento avrebbe voluto sfogarsi e basta, perché gli stava salendo l’agitazione e quel groppo alla gola non voleva scendere.

Il vecchio compagno era migliore di lui a parole. Lo era sempre stato. Come poteva parlare con lui, le loro voci non potevano avere la naturalezza di quelle di due amici che non si vedono da tempo. I nemici si possono sconfiggere anche a parole, ma si deve conoscere per cosa si sta lottando. Lui ignorava tutto. Sasuke agiva in solitaria, come unico compagno aveva il suo orgoglio. Gli avrebbe voluto dire quanto fosse stato doloroso saperlo irraggiungibile. Non ne aveva la forza.

Lo guardò, sperando di trovare nel volto dell’altro la risposta. Ma non era facile leggere in quel profilo. Ci sarebbero state mille cose che in quel momento avrebbe voluto dirgli, sapeva che non gliele avrebbe chieste mai. Non avrebbe mai riversato anni di preghiere e maledizioni. Non era sicuro che quelle domande che gli vagavano in testa avessero soluzione.

Sasuke, intanto, attendeva che il biondo aprisse bocca.

Dischiuse le labbra, attendendo che uscisse un qualche suono. Silenzio. Solo il gelo nel volto del moro. Naruto si sentiva trafitto da quello sguardo scarlatto, che non si distoglieva da lui. Se non avesse detto qualcosa sarebbe stato Sasuke a tiragli fuori le parole dal profondo dello stoamco.

«Sasuke…». Quelle iridi maledette chiedevano di continuare.

Sai Sasuke, non so nemmeno io perché sono qui.

 Naruto cominciò ad analizzare i suoi calzari.

Quel che è fatto è fatto e certo ne tu , ne io possiamo tornare indietro e cancellare tutto quello che è successo. Forse sarebbe bello, ma non sono del tutto scemo come mi credi, so benissimo che noi non possiamo essere più compagni. Sinceramente ora ti considero più amico di altre persone.

Erano sporchi di polvere. Non era sicuro che avrebbe avuto voglia di pulirli.

Anzi tu sei l’unico che io possa considerare un vero amico.

Trovava i suoi pensieri strani ed ingestibili. Si sarebbe morso la lingua pittosto che esternarli. Se dalla sua bocca fosse uscito uno di quei discorsi mentali, si sarebbe morso la lingua fino a farsela sanguinare.

No, noi siamo stati amici.

«…Noi siamo nemici ».

 

Sentite quelle parole, Sasuke si voltò completamente verso il biondo. Era strano, ma per la prima volta dopo tanto tempo l’aria aveva una consistenza. Le parole erano taglienti. Quella era una dichiarazione di guerra. Ed era bellissimo. L’Uchiha pensò che poteva riconoscersi bene nel ruolo del nemico. Lui era il nemico. Nemico del suo stesso sangue. Lui era il nemico che conosceva l’avversario e sapeva dare una nuova dimensione alla crudeltà. A lungo il moro era stato nemico di se stesso, ed ora se ne compiaceva. Se non lo fosse stato, non sarebbe mai assaporato questo momento. Non si sarebbe mai riconosciuto nemico.

Il biondo era il suo passato. Sasuke non stringeva nelle mani il proprio futuro. E questa era una debolezza. Si era dimenticato il suo obiettivo. Forse le sue gambe dovevano solo condurlo fino a quel luogo, davanti all’unico amico, a confessarsi nemici. 

L'odore acre dell'erba inebriò i suoi polmoni.

 
 

«Cosa voglio?»

Sai cosa voglio, Sasuke? Ho promesso pace e voglio ottenerla. Ma se non conquisto la mia pace non potrò mai portarla in questo mondo. Tu, bastardo, sei la mia piaga. Finché io e te non regoleremo i conti, io non saprò se avrò la forza di rendere giustizia in questo mondo.

Naruto, guardando il suolo, prese a camminare. Contava i passi che li separavano. Cinque. Sei. Otto. Dieci. Undici. Undici passi per stare di nuovo al fianco del proprio compagno. Le gambe pesanti come mai nella sua vita. Ma ormai era l’istinto che lo guidava e quella nuova ragionata avventatezza.

Sasuke continuava a guardare avanti. Attendeva una risposta.

 Si desidera una cosa solo quando non la si può più ottenere. Il ninja della foglia aveva paura di perdere per sempre l’occasione per far finire tutto. Era certo che esclusivamente loro conoscessero il modo per  trovare le ragioni delle proprie esistenze.

Un attimo eterno pareva poter decidere il senso del loro incontro. Immobili nel silenzio della foresta cullata dal vento.

 

Naruto sollevo il braccio, caricando un pugno.

Sasuke sentì la pressione sulla spalla. La mano chiusa del nemico. Calda di calore umano. Il vento prese vigore e spazzò via le incertezze.

«Battiamoci». Un sibilo nella ritrovata voce del bosco.

La stretta si sciolse ed il palmo aderì alla spalla nuda. Una spinta per allontanarsi ed oltrepassarlo. L’ululato dell’aria tra gli alberi lì spinse l’uno agli antipodi dell’ altro.

«Ti va?».

I due si fermarono. In piena contemplazione del proprio nemico. Naruto aveva espresso la sua volontà. Sasuke  sembrava avere silenziosamente accettato. Il cielo si muoveva sopra di loro. Le chiome danzavano. Le ombre si rincorrevano.

 

Naruto portò le mani alla nuca, sul nodo che reggeva il comprifronte. Con calma, gustando la sensazione di quella stoffa sotto i polpastrelli, lo sciolse. La fascia si allentò e gli scese di un poco lungo la fronte. Lo afferrò per una delle sue estremità liberate e se lo sfilò definitivamente, lasciando la chioma libera di essere torturata dalla brezza violenta. Quel coprifronte se lo era sudato, ma ora lo odiava. Fu l’adrenalina in circolo a fargli chiudere il pugno attorno a quella dannata piastra di metallo. Forse, fu l’emozione a fargli scaraventare quell’oggetto lontano, oltre le sue spalle.

Gli occhi cerulei si incotrarono con quelli vermigli. Naruto sorrise, come non faceva da tempo. Seguendo il suo avversario si preparò per combattere. Non si sarebbe mai aspettato che in un situazione come quella, lui fosse felice. In quel ghigno di sfida c’era tutto quello che aveva provato in quella lunga lontananza. Gioia. Dolore. Vendetta. Sdegno. Ammirazione. Rispetto. Invidia. Nostalgia. 

Era felice. Finalmente si sarebbero compresi, come solo loro potevano. D’improvviso quegli anni parevano non essere mai trascorsi.

 

Grazie a coloro che leggono.....

p_chan, mi tocca ringraziarti di nuovo...mi fa sempre piacere leggere le tue recensioni. grazie ancora....


saluti,
nous


   
 
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