CAPITOLO 3 Farfalle
nello stomaco
Come avevo previsto la settimana
passò molto velocemente. Le lezioni con Janet al mio fianco erano meno noiose e
ogni mattina non vedevo l’ora che arrivasse la pausa pranzo per sedere accanto
a lei e a James. Suo fratello era del tutto eccezionale.
James era diverso dagli altri ragazzi
che avevo conosciuto. Era veramente bello ma nonostante le ragazze della scuola
ci provassero spudoratamente, lui rimaneva impassibile e a volte sembrava
addirittura imbarazzato.
Speravo sempre che la fine della
pausa pranzo non arrivasse mai. Ogni giorno mentre James era impegnato a
parlare con Janet lo osservavo e riuscivo a scoprire un particolare del suo
viso che il giorno prima non avevo notato.
Amavo il suo carattere, amavo il suo
aspetto, i suoi modi di fare, la sua gentilezza, la sua simpatia e la sua
dolcezza nascosta dietro il suo aspetto da ragazzo serio.
Durante l’ora di arte quel venerdì
pomeriggio tornai nel mondo reale e capii che la situazione era peggiore di
quanto sembrasse. Senza accorgermene avevo scarabocchiato il mio foglio da
disegno con tanti piccoli cuoricini e J. Per mia fortuna riuscii a strapparlo e
a nasconderlo nella borsa prima che la professoressa Robinson se ne accorgesse.
L’ultima ora avevo scienze. Il
laboratorio era sommerso dalle voci dei miei compagni. Entrai nell’aula e mi
sedetti a fianco di Michael. Era il ragazzo più bravo della scuola e sarebbe di
certo diventato uno scienziato famoso se non avesse avuto me come compagna di
laboratorio. Negli esperimenti di scienze ero una vera frana e mi dispiaceva
che lui dovesse continuamente correggere i miei errori. Michael però era sempre
carino con me e mi rassicurò dicendomi che il suo sogno era diventare uno
scrittore di poesie e non uno scienziato.
Il professor Costa entrò nell’aula
chiudendosi alle spalle la porta. Non appena fu seduto però qualcuno bussò.
James entrò nell’aula e consegnò un
foglio con delle firme al professore.
– Benvenuto in questo corso signor … Kent. – disse mentre porgeva i libri al ragazzo e lo faceva
accomodare nel banco vuoto davanti al mio.
Dopo quel giorno ero sicura che le
lezioni di scienze sarebbero diventate le mie preferite.
James si sedette e si girò verso il
mio banco per salutarmi.
– Non sapevo fossi in questo corso. –
mi disse sorridendo.
Risposi al sorriso e attesi che si
girasse verso il professore. Perché diventavo così imbranata in sua presenza?
Passai il resto della lezione a
osservare il colore dei suoi capelli che era di un castano chiaro con alcune
sfumature dorate e le sue spalle erano così ampie e ben definite che mi venne
voglia di sfiorarle accidentalmente, ma non lo feci.
Alla fine dell’ora James raccolse i
suoi libri e mi aspettò fuori dalla porta.
– Janet mi ha detto di dirti che
domani passiamo a prenderti alle dieci. –
– Okay – dissi sillabando ogni
lettera.
Percorremmo il corridoio in silenzio.
Ero troppo imbarazzata per parlare di nuovo con lui e inoltre dovevo
concentrarmi per non far cadere la pila di libri che avevo fra le braccia.
–Posso aiutarti? Mi sembri piuttosto
impacciata. –
Diventai rossa in viso. Se ne era
accorto.
– Ehm…
Grazie– gli risposi porgendogli la metà dei libri.
Lui mi guardò divertito e mi tolse
tutta la pila.
Ero sudata, agitata e non sapevo cosa
dire. Perché? Non mi era mai successo. Prima ero sicura di me stessa, audace e
testarda. Ora mi sentivo debole, un oggetto fragile che necessitava di
protezione e terribilmente senza spirito d’iniziativa. Non ero più
Uscimmo dall’edificio e attraversammo
il parcheggio fino alla grossa Mercedes nera. Da quando James e Janet avevano
detto a Bill del mio incidente e del fatto che la mattina dovessi prendere lo
scuolabus, lui cercava sempre una scusa per darmi un passaggio alla fine delle
lezioni e io accettavo sempre con piacere.
Ero ancora con la mente tra le nuvole
quando sentii chiamare il mio nome. Mi girai verso quella direzione e vidi
Aaron che mi salutava e mi chiedeva di raggiungerlo con la mano.
– Passo a prenderti alle sette
stasera se per te è okay– disse mentre con la coda dell’occhio guardava il suo
riflesso nei finestrini dell’auto che avevamo di fronte.
L’appuntamento con Aaron! Me ne ero
del tutto scordata!
– Alle sette è perfetto – cercai di
mascherare il mio imbarazzo. Il ragazzo mi sorrise e mi diede un bacio sulla
guancia.
Girai su me stessa e tornai da Janet
che mi aspettava fuori dall’auto.
– E quel bel ragazzo chi era? – disse
pizzicandomi un braccio.
– Chi? Aaron? È solo un mio amico –
dissi mentre cercavo lo sguardo di James che però non sembrava coinvolto dal
nostro discorso.
– Solo un amico? – mi domandò mentre
chiudeva la portiera.
– In effetti credo di piacergli e
stasera usciamo insieme, ma non preoccuparti non è niente di serio, altrimenti
te ne avrei parlato! –
– Mmm… non
sei molto brava a mentire vero Meg? – disse sorridendomi.
Era vero ma non risposi.
Arrivati davanti al mio vialetto,
scesi dall’auto contemporaneamente a James che mi passò la fila di libri.
– A domani allora! – disse
sorridendomi e si voltò per rientrare nella Mercedes.
Entrai in casa e approfittando del
fatto che Vivien stava guardando un documentario, la salutai velocemente e
salii le scale.
Buttai i vestiti sulla poltrona
vicino alla finestra. Raccolsi quelli sporchi e li misi in una cesta che portai
in lavanderia. Poi corsi in bagno per farmi una doccia calda.
Quando uscii mi sentivo molto più rilassata e pronta ad
affrontare la serata.
Scelsi di vestirmi in modo comodo. Optai
per un paio di blu jeans e una t-shirt nera. Mi pettinai e fermai la frangia
con un fermaglio a forma di margherita. Infine mi truccai leggermente e mi misi
le scarpe che preferivo.
Quando finalmente terminai i
preparativi mi sentivo più sicura di me e pronta ad affrontare Aaron.
Il clacson suonò e prima che mia
madre potesse aprire corsi giù per le scale, afferrai la borsetta e la salutai,
poi mi piombai fuori dalla porta e corsi verso la macchina: una vecchia Ford
del ’69 come ci tenne a precisare Aaron durante una nostra conversazione.
– Ehi! Non sono in ritardo, perché
così di fretta? – mi chiese mentre mi baciava la guancia.
– Lascia perdere! – sbuffai.
Il ristorante che Aaron aveva scelto
era un piccolo locale sulla strada principale che conduceva fuori città. Era un
posto molto rustico ma allo stesso tempo mi faceva sentire a casa.
Una vecchia cameriera si avvicinò al
nostro tavolo.
– Buona sera ragazzi! Cosa posso
portarvi? – ci chiese sorridendo.
– Io gradirei una bistecca della casa.
– rispose Aaron mentre sfogliava il menù.
– E per lei signorina? –
– Per me un piatto di spaghetti al
pomodoro.. – risposi.
La cameriera scrisse tutto sul suo
libretto e si diresse in cucina.
Avrei voluto che non se ne andasse:
stare solo con Aaron mi metteva in agitazione.
– Sei vegetariana? –
– No.. perché me lo chiedi? –
– Ho semplicemente notato che mi
guardavi in modo strano mentre ordinavo la bistecca.. – replicò
Sorrisi. Mi sembrava dolce il fatto
che osservasse le miei espressioni anche quando stava parlando con un'altra
persona.
– Non me ne sono accorta. –
– Meg, parlami un po’ di te!
Frequentiamo la stessa scuola da un anno eppure non so nemmeno la data del tuo
compleanno o dove vivevi prima di trasferirti qui a Fort Fairfield
–
– È il 18 luglio e ho vissuto a
Philadelphia per 16 anni anche se sono nata in Florida, durante una vacanza. –
– Interessante.. ho dei cugini che
abitano a Philadelphia e quando ero piccolo andavo sempre là a passare
l’estate. Chissà se ci siamo già incontrati da bambini! –
Forse non sapeva quanto fosse grande
la mia città e quanti abitanti essa contenesse perché era un caso del tutto
raro incontrare la stessa persona nelle vie di Philadelphia due volte. Ma
lasciai correre.
– Tu invece? Da quanto tempo giochi a
football? – cercai di sembrare interessata anche se i miei pensieri in quel
momento erano in un'altra casa, appena fuori da Fort Fairfield.
Immaginavo Janet intenta nella lettura di un libro mentre James guardava una partita alla tv con Bill. Quanto
avrei voluto essere là con loro. Li conoscevo da pochi giorni e già mi sembrava
di sapere tutto di loro. Come se li conoscessi da sempre.
Ricollegai la mente giusto in tempo
per sentire la fine del discorso di Aaron.
Mentre parlava ebbi il tempo di
osservare ogni tratto del suo viso. Era veramente bello e mi persi per un
attimo nel blu dei suoi occhi.
Arrivarono le otto e ritornammo nella
Ford per andare al cinema della città più vicina Presque
Island.
Per fortuna non c’era coda alle casse
e il cinema quella sera sembrava piuttosto deserto.
– Due biglietti per A caccia di ex! –
Mentre Aaron pagava osservai il
tabellone con il numero di posti liberi e sperai di non rimanere sola con lui.
– Eccoli! Andiamo? – mi disse
mostrandomi i biglietti.
Era troppo euforico. La cosa mi
spaventava e mi divertiva allo stesso tempo. Ero curiosa di sapere fin dove si
sarebbe spinto.
Rallentai improvvisamente. E io
quando l’avrei fermato?
Entrammo nella sala che per fortuna
era abbastanza popolata da rendermi più calma. Ci sedemmo ai nostri posti e
aspettammo l’inizio della pellicola.
Un film che parlava di un uomo che
arrivato a cinquant’anni aveva deciso di uccidere tutte le sue ex fidanzate non
avrebbe dovuto avere scene di sesso che sarebbero state al quanto imbarazzanti.
Dopo dieci minuti Aaron usò la
tecnica dello sbadiglio e mi cinse, appoggiando la testa alla mia spalla.
Quella posizione doveva essere scomoda perché dopo pochi minuti torno
appoggiato allo schienale.
Non riuscii a capire molto della
storia se non grazie a quello che avevo letto nella trama, ero troppo
concentrata a prevedere le sue mosse e a sperare che non mi baciasse. Cosa
avrei fatto se si fosse avvicinato?
Quando il film finì raggiungemmo il
parcheggio e salimmo in macchina mantenendo il silenzio.
Aaron parcheggiò nel vialetto di
fronte a casa mia. Erano solo le dieci eppure tutte le luci all’interno erano
spente. Forse Vivien e Robert erano usciti oppure erano semplicemente andati a
letto.
– Mi sono molto divertito stasera.. –
Aaron si era rivelato meno
interessante di quanto avevo fantasticato, certo era molto carino, desiderato e
anche dolce ma vedevo in lui solamente un amico.
– Anche io mi sono divertita e sono
contenta di aver scoperto che potremmo diventare buoni amici. – cercai di
pronunciare la parola amici sillabandola e sperando che se ne accorgesse.
– Meg, tu mi piaci. Non so se posso
accontentarmi di un’altra amicizia.. –
Provai tenerezza. Ma dovevo essere
forte. Era meglio strappare il cerotto subito e non esitare, perché in quel
caso gli avrebbe fatto solo più male.
Mi voltai verso di lui per guardarlo
negli occhi.
Lui però era già molto vicino al mio
volto. Prese il mio volto fra le mani e premette le sue labbra contro le mie.
Non sentii nulla, nessuna sensazione.
La conferma che ciò che provavo per
lui non andava oltre l’amicizia.
Si staccò dalle mie labbra e mi
guardò negli occhi. Evitai il suo sguardo interrogatorio e aprii la portiera
della Ford.
– Buona notte. – chiusi la portiera,
aprii la porta di casa. I miei genitori erano già andati a dormire perciò mi
diressi verso il mio rifugio.
Mi infilai il pigiama e mi
rannicchiai sotto le lenzuola per scappare dai troppi pensieri che affollavano
la mia testa.
Quello non poteva essere il mio primo
bacio. No, doveva essere qualcosa di diverso, qualcosa in grado di farti
perdere la cognizione del tempo e dello spazio. Decisi che avrei scelto io
quale fosse il mio primo vero bacio.
Prima di dormire pensai al volto di
James. Il giorno seguente avrei potuto ammirare la sua bellezza per l’intera
giornata, perdermi nei suoi occhi e vedere il suo sorriso.
Mentre pensavo a lui una serie di
emozioni mi invase: inquietudine, ansia ma anche desiderio e voglia si stare
con lui. Erano queste le famose farfalle nello stomaco che avevo cercato di
sentire con Aaron?
Chiusi gli occhi e immaginai per
l’ultima volta il suo viso sperando che questo mi avrebbe aiutata ad avere dei
sogni. Ma non fu così. Caddi nuovamente
in un sonno profondo circondata dall’oscurità della mia stanza.
***
La stanza era vuota eppure mi sentivo
osservata. Il buio mi circondava: era ancora notte. Accesi la lampada alla mia
sinistra e mi guardai intorno preoccupata: non c’era nessuno.
Guardai verso la finestra e vidi le
foglie degli alberi che si muovevano come se fossero scosse da una leggera
brezza o da un lieve movimento. Poi tornò nuovamente la tranquillità e il buio
si rimpossessò della scena.
***
Il rumore assordante della sveglia mi
fece desiderare che quel momento facesse ancora parte del sogno ma non era
così. Mi alzai lentamente e mi trascinai fino al bagno.
Scrutai l’immagine riflessa nello
specchio: avevo i capelli arruffati, gli occhi gonfi ed ero pallidissima. Feci
il possibile per rendermi presentabile e poi tornai in camera da letto. Solo
allora mi resi conto di che giorno fosse. Era sabato, il che voleva dire che il
weekend era appena iniziato. Ripensai alla sera precedente e fui contenta del
fatto che non avrei rivisto Aaron fino al lunedì successivo.
Guardai la sveglia sul mio comodino.
Ancora un’ora prima che Janet sarebbe apparsa davanti a casa mia.
Ero talmente eccitata che mi infilai
la maglietta al rovescio. Poi corsi in cucina e rovesciai un po’ di cereali
nella tazza, li sommersi dal latte e comincia a mangiare velocemente.
Tornai in bagno e mi sistemai i
capelli in una treccia morbida che lasciai cadere sulla spalla destra. Presi il
mio beautycase e con un leggero tocco di fard cercai di nascondere la mia
pallidezza.
I miei preparativi erano già finiti.
Avevo impiegato meno tempo di quanto sperassi, così scesi le scale e mi diressi
in cucina.
Mi affacciai alla finestra con la
speranza di trovare
Guardai nuovamente l’orologio al mio
polso: erano le dieci, Janet sarebbe arrivata da lì a poco.
Cominciai a lavare le tazze della
colazione e a canticchiare una vecchia canzone che riusciva sempre a
tranquillizzarmi e a mettermi di buon umore. Mentre passavo le tazze sotto
l’acqua corrente mi accorsi che le mie mani tremavano.
Perché ero così agitata? Continuare a
interrogarsi non aveva senso, sapevo il perché delle mie farfalle allo stomaco.
Il mio corpo reagiva al pensiero del fratello di Janet: James.
Quel ragazzo aveva qualcosa di
speciale anche se forse questo aggettivo banalizzava ciò che pensavo di lui. I
suoi occhi mi attraevano in un pozzo senza fine, mi ci perdevo e la mia mente
si scollegava completamente dal il mio corpo tutte le volte che li incrociavo.
Finalmente sentii dei passi sulla
ghiaia e una mano leggera che bussava alla porta.
Mi asciugai le mani e corsi ad
aprire, pensando di trovarmi faccia a faccia con il viso eccitato di Janet.
Eccoli di nuovo gli occhi che erano
in grado di farmi perdere il controllo.
– Ehi! Ciao! –
Restai ferma incapace perfino di
respirare. Stringevo ancora lo straccio con una mano mentre con l’altra cercavo
disperatamente la mia giacca appesa dietro la porta.
Riuscì a riprendermi solo quando
notai la sua espressione incuriosita.
– Ehm.. Ciao! –dissi sospirando.
O mio Dio, agli occhi di un estraneo
sembrerei davvero patetica, pensai mentre distoglievo lo sguardo.
– Sei pronta? – mi disse sorridendo.
Ero stata talmente affascinata dai suoi occhi verdi che non avevo notato quanto
in realtà ogni parte di lui mi attraeva, perfino il suo sorriso.
– Si. Prendo la borsa e andiamo! –
Corsi in cucina e afferrai la
borsetta sulla sedia, poi mi precipitai in salotto.
James stava sorridendo e guardava la
vecchia foto di famiglia appesa alla parete.
– Eri davvero carina da piccola.. –
sorrise di nuovo. All’improvviso però divenne rosso in viso e abbassò lo
sguardo. – Non che tu non lo sia ancora.. –
Risposi al suo sorriso e cercai di
mascherare il mio imbarazzo. Era la prima volta che lo vedevo arrossire.
Chiusi la porta dietro di noi.
Salii sull’auto e mi allacciai la
cintura di sicurezza.
– Janet avrebbe voluto venire ma era
intenta nella preparazione del nostro pranzo! – disse mentre inseriva un disco
nel lettore.
C’era qualcosa che quella ragazza non
sapesse fare?
– Perciò spero proprio che tu abbia
fatto una colazione abbondante perché l’ultima volta che mia sorella si è
cimentata in cucina, abbiamo dovuto ordinare delle pizze! – Scoppiò in una
fragorosa risata che invase l’abitacolo e mi costrinse a ridere a mia volta.
Il motore silenzioso della Mercedes
si avviò e contemporaneamente un sottofondo musicale interruppe il breve
silenzio. Era una specie di rock anni novanta. Non conoscevo la canzone ma la
musica era piacevole.
Silenzio. Si sentiva solo la voce del
vecchio cantante e forse il mio cuore che martellava nel petto.
Le farfalle allo stomaco erano
tornate. Cercai di distrarmi e osservai la strada cercando di memorizzarla.
Uscimmo da Fort Fairfield
e prendemmo una strada secondaria di cui non avevo mai notato l’esistenza.
Raggiungemmo una strada sterrata
circondata da campi. James indicò un punto lontano di fronte a noi.
– Siamo arrivati! – disse con un filo
di entusiasmo.
Come potevo non aver mai notato una
casa come quella in un paese come Fort Fairfield? Era
stupenda! Aveva le sembianza di un piccolo castello scozzese del sedicesimo secolo,
mancavano solo le torrette.
Le pareti di pietra erano ben curate,
di una tonalità calda tendente al marrone e con grandi finestre.
Parcheggiammo di fronte a quella che
doveva essere la porta di ingresso. Scesi lentamente e rimasi a bocca aperta:
da vicino la casa sembrava immensa.
La porta si aprì e due persone
sorridenti ci vennero in contro. La donna aveva dei lunghi capelli mossi color
cioccolato fondente che aveva fermato con un fermaglio azzurro e indossava un
abito estivo color bianco lungo fino al ginocchio che le sottolineava le curve.
L’uomo, che avevo imparato a riconoscere come Bill, portava una semplice
maglietta azzurra e un paio di pantaloni color avorio. I suoi capelli biondi
erano leggermente spettinati e gli davano l’aspetto di un ragazzino.
Sembravano
pronti per un brunch con gente importante dell’alta borghesia.
Mi sentii improvvisamente fuori
luogo. Avrei dovuto vestirmi più elegantemente.
– È un piacere rivederti Meg. –
sembrava del tutto a suo agio. Poi si volto verso la donna e gli cinse la vita
con un braccio – Lei è mia moglie, Elinor –
La donna mi sorrise e mi porse la
mano.
– E così tu sei la famosa Meg. Janet
ci ha parlato molto di te! –
– È un piacere conoscerla. Grazie
ancora per l’invito – dissi mentre stringevo la sua mano.
Salii lentamente i gradini di marmo e
entrai nella struttura.
L’ingresso era abbastanza buio,
arredato con mobili antichi e curato nei
minimi dettagli.
Attraversammo l’atrio e raggiungemmo
il salotto. Anch’esso sembrava arredato da un architetto di interni molto
costoso ma al contrario della stanza precedente tutti i mobili erano di una
tonalità avorio e emanavano luce e tranquillità. Le pareti erano occupate da enormi finestre
che si affacciavano sul cortile dietro la casa. Gli unici oggetti scuri della
stanza erano un enorme televisore al plasma e il tavolo da pranzo già
apparecchiato.
Infine arrivammo nella cucina.
Quest’ultima era invece arredata con mobili decisamente moderni. Al centro
della stanza c’era un enorme isolotto e dietro a questo riconobbi il viso di
una ragazza bionda, con i capelli legati in una coda di cavallo e le mani
sporche di farina.
Appena si accorse di essere
osservata, lasciò andare il cucchiaio e mi corse in contro.
– Finalmente! – mi disse mentre mi
abbracciava.
– Anche io sono contenta di vederti –
le risposi sorridendo. Era vero. Avevo lo strano bisogno di stare con lei come
se fosse sempre stata nella mia vita. Forse era solo il mio disperato bisogno
di un’amicizia.
Ci sedemmo al tavolo dell’enorme
salotto e aspettammo che la nostra cuoca ci raggiungesse.
Il tacchino con le zucchine non era
per niente male, forse solo un po’ bruciacchiato, mentre la torta di mele e
cannella era squisita.
Ci complimentammo tutti con Janet e
James sembrava sconvolto dal pranzo della sorella.
Le due ore seguenti le passammo passeggiando
nell’enorme giardino antecedente la casa e sul retro di essa dove si estendeva
un enorme orto con un fienile e molti attrezzi per la cura dei campi. In quel
momento mi immaginai James su uno de trattori rossi intento ad arare un campo e
mi scappò una piccola risata che fortunatamente non fu colta da nessuno.
Verso le tre di pomeriggio Bill e Elinor andarono a fare qualche commissione in città e
assicurarono ai loro figli di essere di rientro per l’ora di cena. E così
noi tre restammo soli nell’immensa
tenuta dei Kent.
James andò in cucina per lavare i
piatti mentre io e Janet ci sedemmo al piccolo tavolo con una tazza di the in
mano. James era talmente concentrato in quello che stava facendo da non
accorgersi che lo stavo fissando e così io ero impegnata nelle mie fantasie da
non notare che Janet mi guardava con un’aria incuriosita.
– Allora Meg che te ne pare? – mi domandò con
un sorriso malizioso.
Mi risvegliai dalle miei fantasie. –
Di cosa stai parlando? –
– Della casa, ovviamente! –mi rispose
ridacchiando.
– È davvero bella ed enorme. Mi
chiedo come ho potuto non notarla in tutto questo tempo…
–
– Oh non è colpa tua. Quando siamo
arrivati a Fort Fairfield all’inizio dell’estate,
questa casa era un vero disastro. Era stata lasciata vuota per parecchi anni e
la vegetazione ne nascondeva una parte. Ma papà ha assunto degli ottimi
muratori che l’hanno sistemata in meno di due mesi. Nessuno di noi si aspettava
di traslocare così velocemente! –
– Capisco…
e dimmi che lavoro fanno i tuoi genitori? – chiesi cortesemente. Se Bill era
stato in grado non solo di comprare un’antica villa ma anche di pagare un
gruppo di muratori perché facessero tutto quel lavoro extra, di certo doveva
fare un mestiere in qui si guadagnava davvero molto.
– Pensavo di avertelo detto. In ogni
caso mamma è una psicologa, aveva uno studio privato nelle città in cui
abitavamo prima, ora invece ha deciso di prendersi una pausa dal troppo lavoro
però continua a scrivere i suoi manuali. –
–Wow questo si che è interessante. Mi
ha sempre incuriosito il lavoro delle psicologhe! – dissi sorridendo. – e Bill
invece? –
– Mio padre lavora nel campo della
meccanica. È vicedirettore di un’azienda internazionale di vendita e esportazione
di auto. –
Ecco spiegata la lussuosa Mercedes.
Ma se davvero possedeva numerose automobili per quale motivo James non ne aveva
una?
Janet sembrò leggermi nella mente.
– Vuoi vedere le nostre auto? Sono
sul retro, nella parte del fienile che usiamo come garage. James perché non
porti Meg a vederle mentre io finisco di pulire qui? – disse rivolta al
fratello, poi si girò verso di me e mi strizzò l’occhio.
Janet era davvero incredibilmente
intelligente oppure ero io che non sapevo nascondere i miei sentimenti. Mi
fidavo di lei e sapevo che non avrebbe mai fatto nulla per mettermi in
imbarazzo.
James alzò lo sguardo dal lavandino e
sorrise dolcemente.
– Certo. Anche se no so quanto
possano interessare le auto a una ragazza. –
In effetti era vero. Non mi
interessavo di automobili e tutte le volte che la mia vecchia automobile aveva
qualche problema era sempre stato il nostro meccanico di fiducia ad
occuparsene.
Uscimmo dalla porta della cucina e ci
ritrovammo in una piccola veranda sul retro. Poi attraversammo il prato ed
entrammo nell’enorme fienile color panna.
L’interno era esattamente come
l’avevo immaginato. Sulle pareti erano appesi alcuni strumenti per
l’agricoltura a me del tutto sconosciuti, mentre al centro della stanza c’era
un enorme tavolo da lavoro e una scala che divideva il fienile dal garage.
Passammo a fianco della scala e ci
avvicinammo alle auto coperte. James scoprì la più vicina a noi.
– Accidenti! – rimasi senza fiato per
la meraviglia. Era una Lamborghini nera. Stupenda in tutte le sue curve, era la
macchina più bella che avessi mai visto.
– Già. Questa è di Bill. Un regalo
del suo capo ma la usa solamente per i viaggi lunghi di lavoro. Non crediamo che andare in giro per le strade
di Fort Fairfield con una macchina del genere sia una
buona idea. – disse sorridendomi.
Di certo se James fosse arrivato a
scuola con quell’automobile sarebbe diventato uno dei più popolari, ma avevo
capito che era troppo onesto e umile per queste cose.
Scostò il telo dalla macchina di
fianco alla Lamborghini. Era una Audi TT grigio metallizzato. Davvero niente
male.
– Un regalo da parte dei miei
genitori per il mio sedicesimo compleanno. –
– O mio Dio, è tua? Ma è stupenda! –
Ridacchiò e la ricoprì con il telo
grigio.
– Si non è niente male. È la mia automobile
futura. Potrò usarla solo dopo aver finito il liceo. – si girò verso di me e
finse di essere pensieroso. – In effetti credo che arrivare al college con una
macchina del genere non farà altro che aumentare la mia popolarità! – mi fissò
negli occhi e entrambi cominciammo a ridere. Ormai potevo dire di conoscerlo
abbastanza da sapere che piuttosto di usare quell’auto avrebbe percorso
chilometri a piedi per arrivare al college.
L’ultima automobile era un semplice Maggiolino
della Volkswagen color panna.
– Questa è quella di Janet. È stata
lei a sceglierla e ne è follemente innamorata. Quindi stai attenta se in futuro
vorrai criticare quest’auto –
– Ne terrò presente, grazie – sorrisi
a mia volta.
– Ed infine il mio gioiello! – disse
poggiando le sue mani sulle mie spalle e facendomi voltare nella direzione
opposta. Un brivido mi attraversò la schiena e la mia pancia cominciò a
brontolare come se avessi fame.
James si girò verso di me con un
sorriso carico di divertimento.
– Okay ammettilo dove hai nascosto il
tacchino? –
– Come scusa? – non capivo a cosa si
riferisse.
– Be, tutti hanno visto che Janet ti
ha servito del tacchino ma poi ammetto di essermi distratto e quindi non ti ho
visto mangiarlo. E il tuo stomaco suggerisce che non l’hai fatto. Non ci credo.
L’hai nascosto nella borsetta? – scoppio a ridere.
Mi unii a lui e gli diedi un leggero
colpo sulla testa.
– Dai non prendermi in giro! Il
tacchino non era male e la mia borsetta è intatta! – dissi facendogli una
linguaccia.
– Allora cosa era quel temporale nel
tuo stomaco? – Sorrisi e mi girai verso la direzione in cui mi aveva voltato.
– Dov’è questo gioiello della
meccanica? –
James mi sorpassò e imitò il suono
dei tamburi prima di sollevare un piccolo telo grigio chiaro che copriva una
moto nera con alcune parti argentate.
– È una Yamaha, l’ho comprata con i
soldi che ho guadagnato durante l’estate scorsa in un bar a Portland. – mi
dichiarò fiero.
Ero sempre stata poco fiduciosa delle
motociclette. Erano molto belle ed eleganti ma non sarei mai stata capace di
guidarne una.
– Vuoi farci un giro? – mi chiese
speranzoso James.
– Ehm.. magari un’altra volta. –
dissi mostrandomi interessata alla proposta.
– Okay. Che ne dici di domani? O
avevi qualcosa in programma? –
Deglutii forte e forse James se ne
accorse perché mi fissò negli occhi e sorrise.
– Non dirmi che hai paura? –
– Non sono mai salita su una moto ma
devo ammettere che la cosa mi spaventa.– ammisi.
– Suvvia, fidati di me! –
Come potevo dire di no a quegli occhi
verdi così belli e così eccitati e a quel sorriso magnifico?
Ricambiai il sorriso e feci cenno di
si con il capo.
Lui mi abbracciò stretta. Questo
davvero non me l’ero aspettato. Mi mancava il fiato e sentivo le mie ginocchia
cedermi.
Per fortuna lui sembrò non accorgersi
di niente e staccatosi dall’abbraccio continuò a lucidare il manubrio della
moto Ero così diversa quando ero con lui, ed anche James sembrava diverso. In
qualche modo cominciavo ad essere a mio agio e capivo che essere solo con lui
era qualcosa che mi rendeva felice e non ansiosa.
Ripercorremmo il fienile e quando
passammo a fianco della enorme scala di legno cercai di sbirciare con la coda
dell’occhio cosa ci fosse al piano di sopra ma non riuscii a vedere nulla se
non qualche balla di fieno.
Janet era seduta su un vecchio
dondolo nella veranda e stava ancora finendo di bere il suo the caldo.
– Il tuo Maggiolino è davvero carino –
le dissi mentre prendevo posto accanto a lei.
James ci sorpassò e entrò in cucina.
Janet continuava a dondolarsi e
teneva gli occhi fissi sull’orizzonte.
– E cosi ti piace mio fratello? –
disse ridacchiando.
Avevo ragione, lei lo sapeva.
– Suvvia Meg. Sei un libro aperto.
L’ho capito quando stavamo parlando di Aaron e tu cercavi in tutti i modi di
far sentire a James ciò che stavamo dicendo!—
– Ho parlato così forte? – chiesi
turbata.
– Non esageratamente. Ma credo che lui
ti abbia sentita. – disse sogghignando. – Ieri sera mentre eravamo a tavola
abbiamo parlato di te e mi ha chiesto se Aaron era il tuo ragazzo? –
– O mio Dio. E tu cosa gli hai
risposto? – chiesi preoccupata.
– Ehm… che
uscivate ieri sera ma che a te non piaceva. – mi guardò con aria interrogativa.
– Come facevi a saperlo? –
Sorrise. – Diciamo che per queste
cose ho una specie di sesto senso! –
L’abbracciai forte. Non sapevo perché
ma avevo bisogno di un suo abbraccio.
– E cosa pensi del fatto che mi piaccia
James? – chiesi mantenendo l’abbraccio.
– Credo che sarebbe piuttosto
complicato vedere la mia migliore amica e mio fratello insieme. Ma la cosa più
importante sarebbe che entrambi siate felici. –
L’abbracciai più forte e poi entrammo
in casa.
James era seduto sul divano del
salotto e stava guardando una partita di football ma spostò lo sguardo verso di
noi quando percorremmo la sala.
Salimmo le scale nel salone
d’ingresso e Janet mi mostrò il primo piano, tranne ovviamente la stanza di
James e quella dei suoi genitori.
La stanza di Janet era esattamente
come me l’ero immaginata. Un’enorme libreria copriva un intera parete della
stanza mentre sulle altre erano appese vecchie fotografie di famiglia. Quella
dietro al letto di ferro battuto color avorio era la più grande. Nella foto
erano rappresentati tre bambini seduti per terra con alcuni giocattoli.
– Ti piace? Quelli siamo io, James e
Matthew, mio fratello più grande. Ora studia in un college in Texas. Io avevo
poco più di un anno mentre James ne aveva tre e Matt sei. –
Il bambino più grande assomigliava
molto a James però aveva preso molto di più da Elinor
che da Bill. Infatti anche i suoi occhi come quelli della madre erano di un
colore simile al nero e i suoi capelli erano più scuri rispetto a quelli di
James.
Passammo il resto del pomeriggio a
sfogliare vecchi album di famiglia e a parlare delle nostre vecchie scuole e
dei nostri vecchi amici.
Verso le cinque del pomeriggio
sentimmo le ruote di automobile percorrere il vialetto alberato di fronte alla
casa e Janet mi annunciò il ritorno dei suoi genitori.
Scendemmo le scale e aspettammo nel
salotto, sedute sul divano accanto a James.
La mia spalla destra sfiorava
leggermente il suo braccio sinistro e le farfalle allo stomaco iniziarono di
nuovo, fortunatamente questa volta in modo silenzioso.
– Ehi ciao! – disse Janet non appena Elinor entrò in casa seguita da Bill.
– Ciao tesoro. Papà ha deciso che per
cena mangeremo cinese e non c’è stato modo di fargli cambiare idea. –
Bill entrò nella stanza con una borsa
bianca piena di scatoline con scritte cinesi e sfoderava un sorriso
compiaciuto.
Non potei fare altro che sorridere
insieme agli altri e sedermi con loro a tavola per mangiare.
Finito di cenare James mi
riaccompagnò a casa.
Il silenzio in auto questa volta era
diverso. Non era più qualcosa di imbarazzante ma qualcosa di naturale. Ogni
tanto James interveniva con qualche opinione riguardante la canzone che la
radio stava trasmettendo e io dicevo la mia senza paura di un suo giudizio. Con
lui e con Janet era diverso. Sentivo di non essere mai giudicata, a differenza
di come succedeva con le altre persone che conoscevo.
Arrivammo di fronte al mio vialetto
in meno di dieci minuti e aspettai che l’auto fosse completamente ferma prima
di aprire la portiera.
– Domani passo a prenderti dopo
pranzo nel primo pomeriggio, se per te va bene. –
– Si, certo. Ci vediamo domani,
grazie per la magnifica giornata. – dissi voltandomi verso la portiera.
– Grazie a te per averla resa
magnifica – disse riavviando il motore.
Non mi girai verso di lui per non
fargli notare il rossore delle mie guancie. Scesi dall’auto e percorsi il
vialetto. Prima di entrare in casa mi girai e lo salutai con la mano.
Robert era steso sul divano e
guardava un vecchio film del far west.
– Ciao papà! – dissi sfilandomi la
borsetta e appendendola dietro la porta.
– Ah ciao cara. Come è andata la
giornata? –
– O benissimo! – dissi mentre mi
sedevo nella poltrona accanto a lui. – Non immagini nemmeno quanto sia grande
la casa di Janet, la mia nuova amica. E i suoi genitori sono davvero molto
carini! –
– Sono contento che tu ti sia fatta
una nuova amica, mi sembravi un po’ sola ultimamente…
–
Ultimamente?
– Già… Ora
vado a dormire, buona notte papà. Ma dov’è la mamma? –
– È di là nel suo studio, credo stia
correggendo dei compiti. Buona notte. –
Andai a salutare Vivien e poi mi
distesi sul letto. Era stata una lunga e meravigliosa giornata.
Dopo essermi infilata il pigiama e
lavato i denti, mi rannicchiai sotto le coperte, immaginai che James fosse li
con me e aspettai che il sonno prendesse il sopravvento.