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Autore: Evazick    14/09/2010    2 recensioni
Il sogno più grande di una Romancer? Di sicuro ce ne sono molti, ma uno supera tutti gli altri: entrare nella Parata Nera. La sfortunata protagonista di questa storia ci sarà catapultata dentro per caso, ma non tutto è quello che sembra e forse il suo sogno potrà trasformarsi in un incubo… Mi è venuta in mente mezz'ora fa e non so nemmeno se avrà seguito, ma volevo sentire cosa ne pensate... enjoy! ^^
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Eve.'
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“Ma che caz…” esclamai appena la mia testa smise di girare come una trottola impazzita. Ebbi un momento di amnesia, poi ricordai tutto: la tempesta, Mama, la pioggia, il poster…
Ripensai all’ultima parola che avevo pensato.
Il poster.
Della Black Parade.
Oddio.
Riuscii a trovare il coraggio di aprire gli occhi solo qualche minuto dopo, dopo aver pregato tutti gli dei passati, presenti e futuri. Il paesaggio lì intorno mi era molto, pure troppo, familiare: una città grigia sotto un cielo dello stesso colore. In lontananza si vedevano dei grattacieli integri, ma tutto intorno a me c’erano solo macerie sparse sul terreno. Fissavo stupita e incredula tutto questo, quando qualcosa di morbido mi sfiorò la spalla. Mi alzai in piedi e girai la testa a destra: rimasi di sasso quando vidi un’immensa ala nera dietro di me. Mi girai per vedere a chi appartenesse, ma ero sola, non c’era nessun altro. Ancora più stupita mi toccai la schiena: sulla mia maglietta nera c’erano due tagli per far uscire comodamente le ali. Toccai anche qualcos’altro che non riconobbi subito: mi accorsi però della fascia che mi attraversava il petto, e me la levai. Quella ondeggiò pericolosamente, come se fosse legata a qualcosa di particolarmente pesante. Ed infatti era così: quando me la tolsi e la guardai, vidi che era legata ad un fodero da cui usciva l’elsa di una spada. Non sapevo se essere stupita, contenta, incredula o tutte e tre le cose insieme.
“Allora, ricapitoliamo: sono nel posto dove è ambientata la Black Parade, mi sono spuntate le ali e mi ritrovo con una spada che non so nemmeno usare,” pensai ad alta voce ed elencando i punti sulle dita della mano. “Il problema è: come diavolo torno a casa?”
Nessuno mi rispose, tranne che il silenzio più totale. Qualcosa mi diceva che a casa non ci sarei tornata tanto presto e sospirai, sull’orlo delle lacrime: cosa sarebbe successo quando i miei genitori si fossero accorti che ero sparita nel nulla? La cosa che mi preoccupava di più era cosa raccontare loro quando (e se) sarei tornata. ‘Dove sono andata? Bè, durante il temporale ascoltavo Mama e poi il poster della Black Parade mi ha risucchiato e sono finita dove è ambientato il video. Ah, e inoltre mi erano spuntate le ali e avevo una spada’. Mi avrebbero spedita al manicomio più vicino in un batter d’occhio.
Tirai su col naso e mi asciugai le lacrime. “E ora che faccio?” mormorai, con il fodero ancora in mano.
Bè, potresti provare a volare, mi consigliò la mia vocina interiore. Sorrisi a quel pensiero: volare con un paio di ali era sempre stato il mio più grande sogno, anche se era parecchio strano per una quindicenne. Osservai le ali: erano interamente di piume nere e, quando le allargai, avevano un’ampiezza di circa tre metri. Volare non sarebbe stato facile, ma ci dovevo comunque provare.
“Forza, Eve. Ce la puoi fare,” mi dissi. Mi legai il fodero e la spada in vita, e ci misi un po’ prima di trovare i muscoli per muovere le ali (muscoli alari, forse?), vicino alle scapole. Mi affidai all’istinto e, in men che non si dica, le ali sbatterono e mi sollevarono da terra di un metro buono. “Uao!” esclamai, ma mi scordai di continuare a muovere i muscoli e caddi pesantemente a terra. Mi rialzai dolorante e tentai di nuovo. Andai avanti così per quelle che mi sembrarono ore: battevo le ali, alzandomi ogni volta sempre di più, perdevo la concentrazione e cadevo a terra, alzando un polverone. Quando finalmente riuscii a sollevarmi di una decina di metri, mossi le ali in direzione dei grattacieli ancora intatti e filai via, come se in tutta la vita non avessi fatto altro.
Volare era una sensazione bellissima: sentivo il vento in faccia e tra i capelli, e riuscivo a distinguere ogni singolo movimento delle piume. Padroneggiai sempre di più il volo finchè non riuscii ad alzarmi ed abbassarmi senza cadere per terra. Lanciai un urlo di gioia e risi. Sempre più audace, provai a fare un paio di acrobazie come dei giri della morte, ma tutte e due le volte rischiai di cadere da un’altezza parecchio alta e di sfracellarmi, se non fosse stato per la mia prontezza nel ritornare in equilibrio.
Volai per quelle che mi sembrarono ore, e poi finalmente notai qualcuno, giù tra le macerie. “Allora non ci sono solo io qui,” dissi, poi scesi in picchiata verso il ragazzo. “EHI! ASPETTAMI!” gli urlai per attirare la sua attenzione. Lui si voltò verso l’alto e mi guardò con due occhi stupiti mentre scendevo giù sempre più velocemente. Solo all’ultimo momento tornai in posizione eretta, ma ormai andavo troppo veloce e mi sfracellai al suolo, rotolando nella polvere per parecchio. Quando mi fermai, le ali sbatterono per terra, stanche per il volo e quel penoso atterraggio.
“Ti sei fatta male?” chiese lui, avvicinandosi a me. La sua voce mi suonava familiare, ma non mi ricordavo a chi appartenesse.
“Insomma…” mormorai. “Per ora ho solo imparato il volo, mica l’atterraggio.” Il ragazzo rise e mi diede una mano ad alzarmi. Mi rimisi in piedi e mi scrollai la polvere di dosso. “E tu come sei finito da…” iniziai, ma appena lo guardai in faccia capii perché la sua voce mi era familiare.
Il ragazzo altri non era che Frank Iero in divisa da Black Parade. Quasi mi strozzai con la mia stessa saliva per la sorpresa, e rimasi a fissarlo. Lui mosse la mano davanti ai miei occhi. “Che c’è? Hai l’aria di una che ha visto un fantasma!”
Un fantasma no, ma di sicuro non mi aspettavo di vedere te qui, pensai.  “Scusa, è solo che non capita tutti i giorni di finire in questo posto e trovarci il chitarrista del tuo gruppo preferito.”
“MCRmy?” chiese lui, incredulo.
“Già. Ed è colpa vostra se sono finita qui.”
Frank mi guardò con una faccia alquanto confusa, e io gli raccontai tutto, dal temporale fino al poster. Speravo che non mi prendesse per pazza, ma d’altronde anche lui doveva essere finito in quel posto in un modo simile. “E quelle… le hai sempre avute?” mi chiese indicando le mie ali, che si erano riprese dall’atterraggio.
“No, mi sono spuntate dal nulla quando sono arrivata. Come questa.” Indicai la spada legata alla mia vita. Frank annuì.
“Non siamo solo noi due… vero?” gli chiesi preoccupata.
“No. Ci sono anche Gee e gli altri, e anche qualche altro ragazzo finito qui nel tuo stesso modo.”
“Intendi ascoltando Mama durante un temporale?”
“Più o meno. Seguimi, capirai meglio dopo.”
Non ci pensai due volte: seguii Frank attraverso quella città distrutta, aspettando di vedere cosa sarebbe successo.
*
E dopo questa il mio cervello ha chiesto il divorzio XD
Mi è venuta in mente ieri sera verso le 10.30 e avevo in mente solo il primo capitolo, non avevo la più pallida idea di come sarebbe continuata... e poi sono andata a letto e BUM!, mi è venuta un'idea geniale (o quasi) Spero solo che i colpi di genio non mi abbandonino a metà fanfiction -.-'
Comunque, oggi è il mio ultim giorno di libertà (ç_ç) quindi non saprò quando riaggiornare.
...
Non è vero, lo so perchè tutte le sere io devo essere al computer a scrivere, quindi aggiornerò presto, se le idee non mi abbandonano.
See you next time!
  
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