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Autore: nous    16/09/2010    1 recensioni
Arancio è il colore dell'ipocrisa. Gli eroi sono caduti: il presente è diverso dal futuro che si erano immaginati. La prepotente verità di Konoha nasconde la verità di Naruto. Sasuke non sa più qual'è la verità. Basta sapere che Madara è morto e che si festeggia un eroe fasullo. C'è chi ha aperto gli occhi. Chi vive di sogni. Konoha ignora tutto e continua a vivere.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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arancio vII

VIII.

 

Non ricordava il volto di sua madre. Una voce della lontana infanzia gli diceva che forse quella donna assomigliasse un poco a lui.

Segretamente, aveva conservato la foto di sé con i suoi cari sotto il cuscino per tanti anni, ma poi si era lasciato tutto alle spalle.  Aveva spiccato il volo. Le sue ali, via via, si erano fatte più forti. Ora potevano reggere lo scontro con il vento. Ora poteva sfidare le correnti con naturalezza, senza dover riflettere su come adattare il proprio corpo all’attrito dell’aria.

Era in picchiata. Un taglio nei venti. Le ali allineate al corpo. Lo sguardo vigile a contare i metri che lo separavano dal suolo. Una mare verde in cui tuffarsi. Sentire il fragore delle onde, che come sirene confondevano le idee.

Se ci si abbandonava a quel canto si affogava. Se non si aveva la forza di riaffiorare si perdevano  battiti.

Ma  la sua caduta libera non si poteva frenare. E giù. Sprofondare in un abisso smeraldo. Un abisso che era denso, come le speranze ed i sogni. Un liquido che lo vestiva, come le memorie.

Con quei suoi oceani verdi guardava il falco e rideva. Sapeva che non sarebbe tornato. Che non sarebbe riemerso. Quella sirena maledetta aveva tentato di ammaliarlo per poi abbandonarlo alle acque. Allora, per lui non era ancora giunto il momento di stringere le ali al corpo.  

Era veloce.

Incantevole si inabissava.

Il rapace aveva smesso di chiedere ossigeno. Non ne aveva più bisogno. Il suo essere si era adattato alla consistenza del verde. Volava in apnea nell’acqua. Solo lui poteva. Solo lui ne aveva la determinazione. I suoi erano polmoni d’acciaio.

Scendeva. Toccato il fondo avrebbe controllato sotto il suo vecchio cuscino, tentando di scoprire se qualcuno avesse toccato quel suo tesoro.

Lui era ancora piccolo e non si ricordava nemmeno lo scatto. Quella donna che lo teneva in braccio era la più bella che avesse mai visto. La madre che non avrebbe mai visto invecchiare.

Il padre da cui non sarebbe mai riuscito a farsi rimproverare. Nessuno sarebbe mai stato orgoglioso di come bene avesse imparato a volare da solo.

Lui era solo. 

Sotto il cuscino non avrebbe mai ritrovato quel sorriso materno e quella fierezza paterna.

Suo fratello non avrebbe più giocato con lui. Non avrebbe mai più sentito il calore della sua schiena.

L’acqua bruciava gli occhi. In quel mare di incertezze poteva distinguere le sue lacrime.

Forse quella foto sarebbe sprofondata con lui. Sarebbe rimasto il suo più grande tesoro. Sommerso.

Avrebbe continuato a tenerla nascosta  sotto il letto. Si sarebbe infilato sotto le coperte attendendo, a luce accesa, che suo fratello passasse davanti all'ingresso della sua stanza ad auguragli la buona notte.

Poi avrebbe spento la luce. Accoccolato in quel tepore avrebbe fatto finta di dormire. Ma intanto aspettava di sentire il passo leggero di quella donna lungo il corridoio. Il rumore della porta che veniva aperta.

Lui se ne rimaneva lì a far finta di dormire. Lei gli si sarebbe avvicinata.

Lui avrebbe solo fatto finta di dormire. Sentiva le coperte sollevarsi e riadagiarsi sul corpo, un po’ più su di dove erano.

Era bello sapere che lei gliele avrebbe rimboccate ogni sera quelle coperte.

Il calore di un bacio sulla fronte.

Lei lo avrebbe visto sorridere beato. Sapeva, che stava solo facendo finta di non essere sveglio. Teneva solo gli occhi chiusi. 

«Dormi, piccolo mio. Fa bei sogni!». Come era dolce e calda quella voce. Sarebbe stato bello potere stringere quel calore e portarselo dietro come un’ombra.

Come sempre, la mamma si sarebbe allontanata verso la porta. Da sotto le coperte, si era preparato a seguirla con lo sguardo stanco. Le spalle magre e quei capelli neri, scuri come i suoi. Lei era la donna più bella che avesse mai visto. Desiderava gustarsi la figura materna fino a che non fosse sparita dalla stanza.

Il falco era volato a lungo, aveva visto il sole sorgere e tramontare. Ora che scendeva la notte, doveva riposare le ali ferite dall’acqua.

Era giunto il momento di chiudere gli occhi, abbandonarsi a quel torpore e farsi cullare dal bacio materno.

Dormi, piccolo mio.

---

grazie,

nous

   
 
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