Storie originali > Fantasy
Ricorda la storia  |      
Autore: XShade_Shinra    17/09/2010    9 recensioni
La mattinata trascorreva tranquilla sulle montagne himalayane, nella zona bassa e non innevata.
Peccato che questa tranquillità stesse per essere scalfita da una richiesta non proprio ortodossa di uno degli inquilini della seconda caverna a destra dopo la grande pietra, una zona talmente impervia che perfino il postino troll aveva problemi a recapitare le lettere.
«Papà, voglio prendermi un anno sabbatico prima di entrare all'Università dei Draghi!» esclamò di colpo Arvad, il giovane drago rosso, appena entrato in cucina dopo essersi alzato grazie al buon profumino della carne cucinata da mamma drago. Pochi giorni prima, il giovane aveva sostenuto e passato l'esame di maturità al liceo dei draghi con un voto appena sufficiente, ed era un bel po' stanco, talmente stanco che non aveva voglia di toccare libri per un anno intero.
«Va bene, figliolo.» cedette subito papà drago, senza fare una piega.
Arvad si sorprese di averla già vinta su un punto tanto a cuore per il padre, quale lo studio.
«Ma ad una sola condizione.» aggiunse il lucertolone, girando una pagina del "Giornale Fatato" che stava leggendo comodamente seduto sulla sedia a dondolo.
«Sarebbe?» domandò l'altro, ora sulla difensiva.
«Ti pagherò un anno di vacanze in Italia, esattamente a Roma, la Città Eterna, ma alla sola condizione che tu ci arrivi in treno partendo da Pechino.» spiegò tranquillamente.
A quelle parole Arvad si tranquillizzò. Era solo un viaggio in treno, dopotutto; non era certo il primo che faceva!
«Va bene, papà!» sorrise raggiante, correndo in camera a fare le valige «Grazie!»
«Non c'è di che, figlio mio...» sorrise, mentre sul volto gli si dipingeva un terrificante ghigno.

[ Classificata 10° al contest "La Stazione e il Drago" indetto da Eylis sul forum di EFP ]
[ Classificata 2° al contest "La legge di Murphy" indetto da NonnaPapera! sul forum di EFP ]
Genere: Comico, Demenziale, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
-Arvad and the Cancelled Train-
La mattinata trascorreva tranquilla sulle montagne himalayane, nella zona bassa e non innevata.
Peccato che questa tranquillità stesse per essere scalfita da una richiesta non proprio ortodossa di uno degli inquilini della seconda caverna a destra dopo la grande pietra, una zona talmente impervia che perfino il postino troll aveva problemi a recapitare le lettere.
«Papà, voglio prendermi un anno sabbatico prima di entrare all'Università dei Draghi!» esclamò di colpo Arvad, il giovane drago rosso, appena entrato in cucina dopo essersi alzato grazie al buon profumino della carne cucinata da mamma drago. Pochi giorni prima, il giovane aveva sostenuto e passato l'esame di maturità al liceo dei draghi con un voto appena sufficiente, ed era un bel po' stanco, talmente stanco che non aveva voglia di toccare libri per un anno intero.
«Va bene, figliolo.» cedette subito papà drago, senza fare una piega.
Arvad si sorprese di averla già vinta su un punto tanto a cuore per il padre, quale lo studio.
«Ma ad una sola condizione.» aggiunse il lucertolone, girando una pagina del "Giornale Fatato" che stava leggendo comodamente seduto sulla sedia a dondolo.
«Sarebbe?» domandò l'altro, ora sulla difensiva.
«Ti pagherò un anno di vacanze in Italia, esattamente a Roma, la Città Eterna, ma alla sola condizione che tu ci arrivi in treno partendo da Pechino.» spiegò tranquillamente.
A quelle parole Arvad si tranquillizzò. Era solo un viaggio in treno, dopotutto; non era certo il primo che faceva!
«Va bene, papà!» sorrise raggiante, correndo in camera a fare le valige «Grazie!»
«Non c'è di che, figlio mio...» sorrise, mentre sul volto gli si dipingeva un terrificante ghigno.
Classificata 10° al contest "La Stazione e il Drago" indetto da Eylis sul forum di EFP
Classificata 2° al contest "La legge di Murphy" indetto da NonnaPapera! sul forum di EFP





Nick dell’autore: XShade-Shinra
Titolo: Arvad and the Cancelled Train
Tipologia: OneShot
Lunghezza: 3600 parole
Genere: Comico/Demenziale, Fantasy
Avvertimenti: Stupidità in crescendo? XD
Rating: Verde
Credits: Lo scritto ed i personaggi sono interamente di mia proprietà. Tutti i personaggi di questa storia sono maggiorenni e comunque non esistono/non sono esistiti realmente, come d’altronde i fatti in essa narrati.
La frase "Roma Termini o Roma Tiburtina?" si rifà ad una barzelletta che mi è arrivata via mail dal sito di Bastardi Dentro.
Note dell'autore: Il drago rosso è un tipo di drago che ha la capacità di assumere sembianze umane, forma utilizzata da Arvad - il protagonista - per il suo viaggio. I draghi rossi, inoltre, vivono nelle caverne delle montagne e amano raccogliere tesori, ne sono molto gelosi. Arvad è un drago giovane, quindi ha una ventina d’anni.
Questa storia vuole avere la pretesa di strappare un piccolo sorriso al lettore, anche se mi accorgo che ci sarebbe solo da piangere poiché si parla delle stazioni ferroviarie in Italia. La storia è ambientata alla Stazione Centrale di Milano per il semplice motivo che è quella del Settentrione che conosco meglio, ma sarebbe potuta essere una qualsiasi altra stazione della penisola. A causa dello studio e del lavoro sono stata pendolare per diversi anni prima di avere la patente, e in quel lasso di tempo ne vidi veramente di tutti i colori! Gli avvenimenti della storia, ovviamente, sono inventati di sana pianta, visto che non deve essere un’autobiografia.
Buona lettura!



- Arvad and the Cancelled Train -


La mattinata trascorreva tranquilla sulle montagne himalayane, nella zona bassa e non innevata.
Peccato che questa tranquillità stesse per essere scalfita da una richiesta non proprio ortodossa di uno degli inquilini della seconda caverna a destra dopo la grande pietra, una zona talmente impervia che perfino il postino troll aveva problemi a recapitare le lettere.
«Papà, voglio prendermi un anno sabbatico prima di entrare all'Università dei Draghi!» esclamò di colpo Arvad, il giovane drago rosso, appena entrato in cucina dopo essersi alzato grazie al buon profumino della carne cucinata da mamma drago. Pochi giorni prima, il giovane aveva sostenuto e passato l'esame di maturità al liceo dei draghi con un voto appena sufficiente, ed era un bel po' stanco, talmente stanco che non aveva voglia di toccare libri per un anno intero.
«Va bene, figliolo.» cedette subito papà drago, senza fare una piega.
Arvad si sorprese di averla già vinta su un punto tanto a cuore per il padre, quale lo studio.
«Ma ad una sola condizione.» aggiunse il lucertolone, girando una pagina del "Giornale Fatato" che stava leggendo comodamente seduto sulla sedia a dondolo.
«Sarebbe?» domandò l'altro, ora sulla difensiva.
«Ti pagherò un anno di vacanze in Italia, esattamente a Roma, la Città Eterna, ma alla sola condizione che tu ci arrivi in treno partendo da Pechino.» spiegò tranquillamente.
A quelle parole Arvad si tranquillizzò. Era solo un viaggio in treno, dopotutto; non era certo il primo che faceva!
«Va bene, papà!» sorrise raggiante, correndo in camera a fare le valige «Grazie!»
«Non c'è di che, figlio mio...» sorrise, mentre sul volto gli si dipingeva un terrificante ghigno.

*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*

Solo pochi giorno dopo, Arvad era quasi arrivato a Milano con il treno partito da Pechino con destinazione Roma. Aveva impiegato un bel po’ ad arrivare, viste tutte le coincidenze che aveva dovuto prendere; l’ideale sarebbe stato andare in aereo, ma il povero Arvad era claustrofobico e, tra l’altro, soffriva il mal d’aria: una combo micidiale. Naturalmente aveva ritenuto troppo stancante volare grazie alle sue ali o arrivare fino a lì facendo l’autostop, poiché, nonostante l’età, non era ancora riuscito a superare l’esame pratico della patente B umana. Alla fine, il padre - senza immaginarlo - aveva scelto la soluzione più comoda per il figlio. Arvad ricordava ancora la gentilezza e la competenza tecnica della donna che lavorava alla biglietteria di Pechino, quando, trasformato in un giovane ragazzo umano dai lineamenti caucasici – metamorfosi che aveva tenuto fino ad allora per non spargere il panico tra gli uomini –, aveva chiesto il biglietto.
«Roma Termini o Roma Tiburtina?» aveva domandato la donna, senza nemmeno consultare il computer, né fare una faccia sorpresa per quella strana richiesta o indagare sul motivo di tale scelta.
«Milano Centrale. Stazione di Milano Centrale.» la gracchiante voce dell’altoparlante disturbò i pensieri di Arvad, invitando tutti i passeggeri a scendere, giacché erano giunti al capolinea.
Il drago spense il suo MP3 da 500 Giga – stava ascoltando i Dragonforce, ovviamente – e prese la propria valigia e lo zaino dalla rastrelliera, avvicinandosi all’uscita.
Quando il treno si fermò, finalmente mise sulla banchina un piede munito di sandali con le calze in spugna – calzatura molto utilizzata dai turisti, secondo le sue ricerche – e respirò a pieni polmoni quell’aria dagli odori italiani. Sapeva di pizza, pasta, Colosseo, Trulli, Arco di Trionfo, fumo e sudore degli altri passeggeri.
«Ah…» espirò soddisfatto, cercando le tabelle luminose con gli orari dei treni successivi.
Doveva prendere il Frecciarossa per Roma e, secondo Dragoogle, aveva circa mezz’ora di tempo; avrebbe potuto prendersela con calma se non fosse che il treno aveva accumulato un ritardo pari a venti minuti non appena oltrepassato il confine con l’Austria, quasi per magia.
«Ora vedo gli orari, poi corro fino al binario.» si disse, camminando velocemente verso il tabellone, che ovviamente era abbastanza lontano.
Ciò non bastò a scoraggiare Arvad; dopotutto si trattava semplicemente di un piccolo inconveniente e nulla di più: avrebbe recuperato il tempo correndo un po’ più veloce.
Man mano che si avvicinava, però, notò qualcosa che non andava: non vi era alcun orario in corrispondenza del suo treno, ma una scritta che con quei suoi occhi umani non riusciva a leggere.
“Maledetti uomini, sono tutti così… miopi!” brontolò, trotterellando fino a giungere quasi sotto la sua meta.
«Allora… Treno Frecciarossa... Milano-Roma… Soppresso.» lesse, grattandosi la nuca «Soppresso?» si domandò «Che sia un atro modo per dire “Espresso”? Viaggiamo con un altro treno?»
Mentre stava ancora cercando di capire quella strana parola in italiano, sentì l’urlo di una giovane donna alle proprie spalle, che lo fece sobbalzare:
«Porca puzzola! Mi hanno cancellato il treno ‘sti ricchioni del menga! E ora come ci arrivo a Roma?! Mi metto a sbattere le orecchie come Dumbo?!»
Arvad si girò e le domandò:
«Scusi, signorina, ma.. in che senso “cancellato il treno”?»
«Sei cieco forse, ragazzino?! C’è scritto: Soppresso!» berciò, estraendo dalla borsa il cellulare come fosse un’arma di distruzione di massa e componendo velocemente un numero:
«Ermenegildo! Hanno soppresso il treno! Vieni a prendermi in stazione e portami subito a Roma, intesi?! Vuoi che mio marito scopra tutto?! No?! E allora muoviti!» urlò mettendo giù la comunicazione e marciando a passo spedito verso l’uscita.
Arvad rimase a guardarla mentre andava via, senza capire un accidente di quello che era accaduto, ma provando molta pena per quel signor Ermenegildo.
«Uhn, dunque…» ponderò «Il treno è “soppresso”, quindi… visto che quella donna non lo può prendere… Oh, no! Hanno ammazzato il mio treno!» esclamò a voce alta, facendo girare buona parte dei presenti «Forse era troppo vecchio per continuare il suo lavoro e lo hanno ucciso… E ora… Come faccio?!» fece, nel panico più totale.
Nel vederlo così disperato, un controllore gli si avvicinò, almeno per dirgli di non urlare così forte.
«Ehy, ragazzino.» lo chiamò, posandogli una mano sul  braccio «Vuoi abbassar--» ma non fece in tempo a terminare la frase che Arvad si girò e si appoggiò alle sue spalle, guardandolo dritto negli occhi:
«Siete solo degli assassini! Avete soppresso il mio treno!» disse, con le lacrime agli occhi «Ora non riuscirò più ad arrivare a Roma! Non ho nemmeno DragonMaps con me!»
Il controllore pensò che fosse un ragazzo con gravi turbe psichiche, e si rabbonì: 
«Non preoccuparti.» tentò di calmarlo, indicandogli il tabellone «Guarda, c’è un altro Frecciarossa tra due ore.» gli fece notare.
«Ah…» sussurrò «E posso prenderlo?»
«Ovvio, devi soltanto aspettare.» lo rassicurò.
Arvad si asciugò le lacrime con il palmo delle mani e smise di tremare, annuendo. Ce l’avrebbe fatta: sarebbe arrivato a Roma e avrebbe trascorso là il suo anno sabbatico.
«Ok.» disse e se ne andò senza nemmeno ringraziare, né salutare.
Aveva due ore da trascorrere nella nullafacenza totale: ottimo modo per iniziare la vacanza! 
«Uhn, ho fame…» si lamentò, andando verso un negozietto dal quale proveniva il buon profumino di quelli che gli umani chiamano “pane e companatico”. Camminò molto lento, facendosi spazio tra la gente che andava e veniva dai treni, venditori ambulanti, controllori, piccoli alieni in gita scolastica, cani randagi, donne delle pulizie e forze dell’ordine. Si stava talmente stretti che sembrava di essere dentro una scatola di sardine. A peggiorare la situazione vi erano le lucine color arancione e gli allarmi dei lavori in corso sparsi per tutta la stazione, ovviamente in ristrutturazione da mesi. Sembrava una bolgia infernale.
Una volta arrivato davanti al chiosco con le varie cibarie, si rifece gli occhi con tutto quel ben di Dio, notando solo dopo che numerose mosche volteggiavano tra i panini, ma la gente li comprava lo stesso, forse per la fame.
«Buongiorno.» fece Arvad al venditore «Vorrei un panino…» ma un ragazzo vicino a lui lo interruppe:
«We, bell’ e mammà! Mittet’ in fil’, va’!» lo sgridò, facendogli capire che prima di lui c’era molta altra gente.
«Tsk!» fece Arvad, incrociando le braccia al petto e guardandolo con aria di sufficienza “Umani…” commentò mentalmente.
Così, mentre rimaneva lì ad aspettare il proprio turno, con lo zaino in spalla e la valigia portata come trolley e tenuta per il manico, non si accorse di un giovane uomo dietro di lui che, con un accendino, fece bruciare parte del prolungamento del manico (non si sarebbe sentito nessun tanfo di plastica bruciata in mezzo a quell’odore di umanità); quando la parte si sciolse del tutto, l’uomo prese la valigia per la maniglia fissa e sparì con essa in mezzo alla folla. Naturalmente il drago non si accorse di nulla, troppo preso dal controllare che nessuno gli rubasse il posto in fila.
Dopo ben quindici minuti, finalmente toccò a lui.
«Cosa desidera?» domandò il venditore.
«Un panino con salame e formaggio.» rispose subito.
«E da bere?»
«Una bottiglietta d’acqua.»
«Liscia o gasata?»
«Liscia…»
«Dal frigo o temperatura ambiente?»
«Normale…»
«Il panino lo vuoi freddo o te lo scaldo?» domandò ancora, grattandosi i radi capelli.
«Sì, riscaldamelo… Non mi piace la roba fredda.»
«Porti via o mangi subito?» chiese, prendendo il panino con la mano incriminata e mettendolo in un fornetto a microonde che sicuramente non aveva mai pulito da quando aveva aperto il locale.
«Mangio… subito…» rispose nauseato.
«Sono cinque euro e ottanta.» disse, allungando la mano per farsi pagare.
«Cosa!?» esclamò Arvad, con gli occhi della stazza di due mandarini maturi «Ma è troppo!» si lamentò.
«Se non lo vuoi lo dò a qualcun altro.» disse il commerciante, senza fare una piega.
Arvad si consumò i denti tanto ringhiare e gli diede la banconota da dieci euro che teneva in tasca.
«Arrivederci.» il paninaro lo salutò, dandogli il resto e il panino tutto insieme, con la mani sporche di soldi, forfora e quant’altro.
«Addio.» disse il drago, andando via da quel negozio, accorgendosi che la valigia gli sembrava decisamente più leggera rispetto all’andata; ma non ci fece caso e continuò a camminare, “trascinandola” con sé.

Arrivato ad una panchina stranamente vuota, ma coperta da cacca di piccione per due terzi della superficie, decise di sedersi e finire di mangiare il panino in pace. Posò lo zaino su di essa, poi mise la “valigia” ed infine si sedette.
“Strano…” pensò, sbocconcellando il panino con la nausea “Mi sembra che mi manchi qualcosa…” pensò, guardando poi i suoi bagagli, raggelando.
«La… la mia valigia!» urlò, scattando in piedi «La mia valigia! La mia valigia! La mia valigia! La mia valigia! La mia valigia! La mia valigia! La mia valigia! La mia valigia! La mia valigia!» gridò come una cantilena, controllando dappertutto: sotto la panchina, sotto lo zaino, sotto le suole dei sandali, dentro le calze… ma nulla.
«Mi hanno rubato la valigia!» capì, scandalizzato «Come faccio?! Nello zaino ho solo due mutande!» si disperò, sedendosi in terra sul suo zaino, unico bagaglio rimastogli, il quale conteneva anche il portafogli, e il porta documenti dragoniani e umani.
«Meglio se li metto in tasca.» e così fece, con il timore di perdere i suoi documenti «Che giornata.» sbuffò. Si guardò intorno, sperando di rivedere magicamente la valigia tornare da lui, ma invano. Una volta a Roma si sarebbe dovuto comprare un nuovo guardaroba.
Pochi minuti dopo, passò una uomo dall’aria seria e distinta, che parlava al telefono con l’auricolare, che si sedette sopra la panchina dove era Arvad poco prima.
“Almeno lui sembra a posto…” pensò, convinto di aver trovato comunque una piccolo Paradiso.
«Sì, te l’ho detto!» disse l’umano «Devo ancora finire di mettere a posto la faccenda di quel traffico d’armi, poi c’è quella droga da controllare prima che qualche altro giornalista ficcanaso la trovi ed infine quell’assassino. Sì, non ti preoccupare, penserò io a tutto, vedrai…»
Dopo quelle parole, Arvad, lentamente, scivolò via sul suo zaino, usando le mani come remi e strisciando il più lontano possibile, cercando di non fare rumore.
L’uomo, però, si accorse di lui, ma non ci fece caso, continuando a parlare:
«L’unico motivo per il quale faccio l’avvocato è perché ho ereditato lo studio da papà, lo sai che sono un geometra mancato…»

Una volta che il drago si reputò al sicuro da altre grane, nascosto dietro un pilastro vicino alle scale, si rialzò e si guardò le mani: nere come la pece, addobbate da un chewing gum masticato di colore azzurro, una matassa di capelli neri e un mozzicone di sigaretta.
«Ma oggi capita tutto a me?» pensò, prendendo lo zaino e andando verso la direzione indicata dal cartello che recava la scritta “Toilette”.
Era statisticamente impossibile tutto quello che gli stava capitando in quel lasso di tempo nel quale si era ritrovato per forza a dover attendere il prossimo treno; non era ancora passata un’ora, e già si chiedeva se qualcuno non gli avesse fatto una sorta di magia, quella che gli umani, scioccamente, chiamano “fattura”.
Arrivato ai servizi, notò subito che c’erano delle strane lastre in vetro a righe opache come porta. In Cina non aveva mai visto cose di quel genere. Si avvicinò con fare cauto, reduce dagli eventi passati, e vide una scritta che lo mandò in bestia: “1 €”. Sì, per entrare nei bagni della stazione doveva pagare.
«Cosa?!» sibilò con il fumo che gli usciva dalle narici «Devo pure pagare per lavarmi le mani!?
 il colmo!» esclamò, furente di rabbia, mentre chinava il capo e cercava il resto datogli dal paninaro.
“Sto per odiare gli uomini…” pensò, inserendo la moneta ed entrando in quel luogo, certo era pulito, ma era vergognosa una cifra del genere “Rettifico: odio gli uomini!” pensò, mettendo le mani sotto l’acqua dopo averle insaponate fino ai gomiti. Peccato che non avesse pensato che anche lo zaino doveva essere in quelle stesse condizioni e che ora ce lo aveva attaccato alla maglietta bianca.
Mentre era intento a scorticarsi la pelle, diverse persone entrarono in bagno, senza battere ciglio per il prezzo da aguzzino per accedervi, quasi fosse un dazio come quelli imposti sui ponti dai suoi amici Goblin. Forse gli umani erano abituati a tutto quello, ma Arvad odiava sborsare denaro.
Dopo aver usufruito anche del gabinetto, uscì dal bagno, ancora livido di rabbia.

Mancavano ancora tre quarti d’ora alla partenza del Frecciarossa e non vedeva l’ora di potersi finalmente sedere su una poltroncina di quel treno, sperando che, una volta abbandonata Milano, lo abbandonasse anche la sfortuna. La speranza, dopotutto, è l’ultima a morire.
Tanto per sprecare un po’ di tempo, decise di rifare tappa al tabellone delle partenze, per controllare se anche il suo secondo treno non fosse stato ammazzato. Fortunatamente non vi era riportato alcun ritardo o soppressione: il treno era perfettamente puntuale.
«È quasi strano…» borbottò il drago, prima di rimettersi a camminare verso i binari: aveva notato che le sfortune maggiori gli capitavano se stava fermo per molto a lungo in un unico luogo.
«Ma non posso mandare all’aria la vacanza per così poco…» borbottò, sprofondando le mani nelle tasche e facendo l’ennesima, pessima, scoperta della giornata.
«Il… mio…» sussurrò, prendendo tra le mani solo il porta documenti «Il mio portafoglio…» sussurrò, tremando di rabbia. Glielo avevano rubato. Ma quando?
Cercando di rimanere un po’ lucido, capì che doveva averlo perduto per forza in bagno, dato che aveva appunto cercato un euro prima di entrare ai servizi, quindi era stato sicuramente taccheggiato da uno di quegli uomini entrati dopo di lui.
«Umani… umani…» ringhiò, mentre perdeva lentamente il controllo della propria metamorfosi «Io… io vi distruggo…» continuò a grugnire, mentre le unghie si trasformavano in neri e lunghi artigli, il volto si allungava e i denti diventavano aguzzi; anche la carnagione si modificava, diventando rossa e squamosa, gli occhi da neri diventavano dorati e dal collo compariva la livrea «Vi riduco in cenere…» continuò a maledirli, prossimo ad aumentare di dimensioni e tornare al suo aspetto normale per ridurli tutti in poltiglia.
Ma non aveva tenuto conto di una cosa, un particolare che avrebbe dovuto considerare prima di perdere le staffe. Un treno si stava fermando vicino a lui, un treno con un carico tanto speciale quanto pericoloso; ed il vagone davanti ad Arvad trasportava il contenuto più disastroso: due classi di studenti di quinta superiore in gita di fine anno.
Non appena le porte furono aperte, il treno vomitò carne umana e i cinquantasei studenti più quattro insegnanti si riversarono sulla banchina, non facendo ovviamente caso al fatto che già ci fosse qualcuno.
«Milano, sono arrivato!»
«Donne, fumo, alcool!»
«Qui prende il cellulare! Devo chiamare mia madre!»
«Devo pisciare! Dove sono i cessi?!»
«Ma io volevo ancora dormire…»
«Oh, non posso crederci! Era la prima volta che viaggiavo in treno!»
«Così questa è Milano! Che bella!»
«Chi ha visto Rufus?»
«Chi è Rufus?»
«È il mio gatto!»
«Chi ha portato un ratto?!»
«Professoressa! Abbiamo dimenticato De Santis alla scorsa fermata!»
«Ho fame! Prof, fermiamoci a comprare da mangiare!»
«Non voglio vedere il teatro! Voglio andare ad ubriacarmi!»
«Che barba! Stavo per finire il livello di Mario!»
«Penso che presenterò Milano come tesina di fine anno.»
«Professoressa, Milena è ancora nel bagno del treno!»
«Ragazzi! Il primo che fa il fesso rimane in camera, stanotte!»
«Ho lasciato la digitale a casa!»
Le voci si accavallavano tra loro, rendendo molte parole o intere frasi addirittura incomprensibili; ma ciò era completamente irrilevante per Arvad, che si vide letteralmente travolto da quella fiumana di ormoni inferociti con quattro nababbi al seguito che lo calpestarono, come se non lo avessero neppure visto; eppure in forma di umano perdeva tutte le abilità dei draghi, quindi era impossibile che avesse usato il potere dell’invisibilità! Lo avevano semplicemente ignorato, avevano ignorato il loro futuro carnefice. Oppure lo avevano visto e lo avevano devastato e spiaccicato sul piano di calpestio prima che potesse nuocere all’intera comunità? Ad Arvad sembrò più probabile la sua prima supposizione.
Non appena quelle bestie si furono allontanate da lui, lasciandogli addosso il segno delle suole delle scarpe, il drago cercò di riprendersi. Era tornato alle sue sembianze umane ed ansimava, sapendo che aveva rischiato di morire, ucciso per mano degli esseri umani.
«Non ne posso più…» uggiolò, vedendo un altro treno arrivare.
Con le poche forze che gli rimanevano, strisciò di qualche metro, mettendosi bene attaccato al treno in sosta, in modo da non essere travolto da un’altra folla indemoniata.
Una sagoma sui binari, però, catturò la sua attenzione. La guardò con un groppo alla gola, notando che altro non era che…
«Il mio zaino!» urlò, alzandosi sulle braccia. Nella colluttazione doveva essere volato via fino ad atterrare sul binario adiacente, con il risultato che, prima che Arvad potesse fare una qualsiasi cosa, l’ultimo suo bagaglio superstite venne maciullato dal treno, riducendo in briciole il suo contenuto.
«No…» sussurrò, ad un passo dal suicidio «No…» ripeté, non avendo nemmeno la forza di piangere.
Ormai l’aveva capito. Era un segno del destino: non sarebbe mai giunto a Roma.
Mancavano solo quindici minuti alla partenza del Frecciarossa, che, ironia della sorte, era proprio quel treno che gli aveva appena atomizzato lo zaino.
Con il moccolo al naso e i lacrimoni agli occhi, Arvad si ritrovò davanti ad un’ardua scelta: prese il porta documenti e guardò intensamente il biglietto di andata-ritorno per la Città Eterna, per poi andare ad obliterarlo. Dopo tre tentativi in tre diverse obliteratrici, di cui due non funzionanti ed una rotta, alla quarta macchinetta riuscì finalmente a vidimare il biglietto; non per Roma, ma per Pechino!
Cercò il treno Milano-Vienna che aveva preso all’andata e vi salì sopra, senza né un bagaglio, né un soldo.
«Che vacanza da sballo…» borbottò, mentre si sedeva su un divanetto e attendeva  che il treno partisse «Non ce la farò mai da solo… ho bisogno di alleati…» aggiunse, ringhiando ad una vecchietta che stava per sedersi sul sedile accanto al suo.

*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*+*

La mattinata trascorreva tranquilla sulle montagne himalayane, nella zona bassa e non innevata.
Peccato che questa tranquillità stesse per essere scalfita da una richiesta non proprio ortodossa di uno degli inquilini della seconda caverna a destra dopo la grande pietra, una zona talmente impervia che perfino il postino troll aveva problemi a recapitare le lettere.
«Papà!» urlò Arvad, aprendo la porta di casa con un calcio ben assestato «Papà!» chiamò di nuovo, mentre avanzava verso la cucina.
«Oh, già di ritorno, figliolo?» domandò papà drago, mentre fumava la pipa con fare ozioso.
«Papà! Devi distruggere tutti gli uomini che vivono in Italia! Devi ridurli in cenere!» urlò, battendo i pugni sul tavolo. Fortunatamente era riuscito a darsi una lavata nei bagni di Pechino, ma i vestiti che aveva indosso puzzavano non poco, lerci come erano; nella fretta di tornare a casa si era addirittura dimenticato di riprendere le sue vere sembianze.
«Oh, ma figliolo… come i manga insegnano, la distruzione della razza umana può avvenire solo ed esclusivamente partendo dal Giappone.» rispose tranquillo, come se nemmeno cento tempeste insieme potessero smuoverlo.
«Allora, se non mi vuoi aiutare, li sterminerò io!» urlò, mentre mamma drago si affacciava dalla porta della cucina, chiedendosi cosa stesse succedendo.
«Non puoi, figlio mio.» disse ancora il lucertolone «Non sei abbastanza forte. Solo quando finirai l’Università dei Draghi saranno sbloccati tutti i tuoi poteri e apprenderai nuove tecniche.» spiegò, porgendogli dei voluminosi libri con il marchio dell’Accademia «E ora va’ a studiare per l’esame di ammissione del mese prossimo.» lo invitò con un caldo sorriso in volto.
«Vado, vado!» disse, prendendo i tomi e andando nella propria camera, sbattendo la porta alle sue spalle.
«Caro…» mamma drago intervenne solo in quel momento «Non dirmi che era tutto calcolato…» sorrise, dando un bacio al marito.
«Certamente, moglie mia. Ero sicuro che questa vacanza sarebbe stata l’ideale per lui.» ghignò nuovamente, come il giorno in cui gli aveva dato il permesso di andare in Italia.


§Fine§
XShade-Shinra




-Note: Ovviamente papà drago non ha mosso un dito in tutta questa faccenda: era semplicemente certo del fatto che al figlio gliene sarebbero successe di tutti i colori non appena avesse messo piede in Italia.
P.S. Ma avete notato anche voi che nel 95% dei manga la distruzione del mondo inizia dal Giappone?

  
Leggi le 9 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: XShade_Shinra