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Autore: Lover    17/09/2010    2 recensioni
Leggendo alcune fanfiction su Carlisle, mi sono resa conto di come si sia sempre tentato di fare delle ipotesi sul suo passato. Ho notato anche che sono poche nella nostra amata lingua, perciò ho deciso di approfittare. Questa fanfiction tratta la storia di Carlisle prima e dopo Edward, piccoli problemi di cuore compresi! Prevalentemente yaoi, shounenai, slash, insomma omosessuale!
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Slash, Yaoi | Personaggi: Carlisle Cullen, Edward Cullen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Scappare da molti pensieri


Carlisle trascorse tutta la notte a coccolare pensieri di luce e sentimenti di tenebra. I primi erano come sale su ferite appena inferte, i secondi erano dolce miele per le lingue della sua anima. Stava seduto al suo solito tavolo, dove si metteva sempre a studiare, alcuni libri aperti davanti e lo sguardo perso a scrutare nel cielo. In linea di massima avrebbe dovuto prepararsi per un importante esame che aveva il giorno seguente, ma non riusciva nemmeno a fissare gli appunti che ordinatamente disposto di fronte a sé.

Lasciò che la sua mente si perdesse nei dettagli dell’esterno. I suoi occhi scivolarono sui particolari più insignificanti, che quella sera sembravano acquisire un non so che valore speciale. La luce del lampione davanti alla casa, il marciapiede lastricato di sanpietrini, il suono delle carrozze che ritornavano lentamente al loro stallo ed i cavalieri che gridavano la buonanotte alle dame, le donne che passeggiavano scambiandosi i segreti più inconfessabili alla tenue luce della luna… la luna che rendeva tutto ancora più soffuso e magico. Magica, si, quella notte era magica per molti motivi. Gli ricordava un po’ quelle distese di luci ed ombre descritte dalle canzoni romantiche che aveva ascoltato, o dalla poesie che aveva letto. Quelle notti che non possono essere sprecate dormendo o studiando, ma che accettano soltanto coloro che amano con l’anima e sognano con il cuore. Era la notte che aveva atteso tanto a lungo.

Aveva disperato per molto tempo di riuscire a sperimentare qualcosa di simile. Ora che si rendeva conto di poterlo fare, si trovava rammaricato di non potere godersi l’attimo.

Pensava ad Aro. Non era certo la visione che si sarebbe atteso di incontrare in un sospirato anelito di desiderio, eppure erano il suo profumo e la sua voce che lo tormentavano sino a farlo impazzire. Non erano le bellezze campagnole di una contadina, le trecce sciolte di una donna, le gonne orlate di diamanti di una dama o il seno proibito di una regina a far gridare il suo cuore nella notte. Non era come si era immaginato. Era però molto, molto meglio.

Continuava a ripetere nella sua mente il dialogo avvenuto fra loro, le labbra che si muovevano veloci disegnando nell’aria un mormorio incomprensibile di ricordi. Segrete a qualsiasi lingua, nascoste a qualsiasi orecchio profano, le parole cadevano dalla sua bocca e scivolavano sulle sue dita, mentre sul suo volto si faceva strada un sorriso trasognato.

Stralci della ormai imparata a memoria conversazione erano interrotti, quasi dimenticati, perché avevano ceduto il posto a sensazioni indipendenti dalla mente. Le loro mani intrecciate, per esempio. Non si erano mai lasciati per tutto il giro della casa, sempre erano rimasti uniti da un legame fisico che era andato costruendone un altro ben più intenso e profondo.

Fuori si faceva sempre più scuro, la sera lasciava il passo alla notte fonda. Sulla casa in cui viveva già da molto non si sentivano rumori, a parte quello del respiro di chi dormiva e l’assenza dei passi di chi non c’era. Il buio non si portò via i suoi pensieri, come avrebbe tanto voluto, ma parve amplificarli sino a renderli più acuti e melodiosi di un canto per il suo udito sensibile. Si perdeva fra il cielo e le sue stelle spente un nuovo sentimento dal nome impronunciabile, dal gusto di gioia insanguinata.

Lo sguardo di Carlisle cadde inavvertitamente sulla croce del padre, appesa ad un metro dalla sua testa. Aveva scordato le preghiere, quella sera. Aveva scordato qualunque cosa non fosse ciò che era accaduto quel pomeriggio. Disperato, si domandò che cosa gli stesse succedendo. Si avvicinò al simbolo sacro e si chinò. In ginocchio sul pavimento, iniziò a mormorare un’implorazione di perdono. Suo padre gli aveva sempre spiegato che le anime più bisognose di misericordia sono quelle che non sanno ancora di aver peccato. Carlisle sapeva qual era il suo peccato, ma per quanto si sforzasse non riusciva a considerarlo tale. Eppure avrebbe dovuto, perché la figura che infestava i suoi ricordi era un vampiro ed un pericoloso assassino. Le sue iridi rosse glielo ricordavano ogni istante, perché comparivano dentro ad ogni momento. Con lui era stato carino e delicato, ma probabilmente proprio nel momento in cui lo ricordava ardentemente egli mordeva con altrettanta passione il collo dell’indifesa cameriera che l’aveva accolto quella mattina. Come poteva concedergli quindi tanta attenzione? Poteva, doveva, perché Aro sebbene fosse un uomo, un vampiro, un pericoloso assassino gli aveva dato l’accettazione che tanto a lungo aveva cercato. Perché le iridi rosse, così simili a quelle dei suoi incubi, stavano dentro ad ogni momento rendendo unico. Perché dentro a quegli occhi da creatura sanguinaria aveva visto dei sentimenti autentici e dolci, non impulsi istintivi di cacciatore. Perché con lui era stato carino e delicato.

Mentre lui desiderava essere una sua vittima.

Non provava pena per la cameriera, non ci riusciva. Aveva cercato di scavare dentro la sua anima, ma sul suo fondo aveva trovato solo invidia e fitte di distruttiva gelosia.

Immaginò i denti di Aro passargli sulla carne, le sue mani sulla sua pelle, e fu percorso da un brivido. La preghiera che stava recitando si bloccò sul più bello e Carlisle si lasciò sfuggire un gemito. A quel punto non riusciva a ricambiare lo sguardo che la croce di legno gli riservava. Si vergognava di sé e del modo in cui stava tradendo sé stesso. Stava lasciando che la sua nuova natura divorasse e corrodesse i buoni propositi della sua anima.

Si tirò su in piedi e si avvicinò alla sedia. Il tavolo era ancora coperto di libri che non aveva nemmeno mai letto, alcuni mai aperto. In quel momento, però, non gli andava. Avrebbe tanto voluto saper dormire, per sprofondare in un buio senza rimpianti per almeno un paio d’ore. Invece i suoi sogni di luce continuavano ad abbracciare e scacciare le nuvole. Si sentiva scisso, scisso tra due parti per lui inconciliabili. Come coniugi litigiosi, esse si separavano e si univano senza dargli la benché minima tregua.

In fondo, perché sentirsi tanto in colpa? Perché continuare a nuotare anche contro la propria corrente?

Aro era un vampiro, era un assassino, era un’inaccettabile corruzione della natura, era pericolosamente convinto della sua superiorità sugli umani. Prima di tutto, però, era un uomo. Come aveva già elencato. Un maschio, proprio come lui. E tra maschi che cosa ci sarebbe potuto essere? Amicizia, al massimo sarebbero diventati fratelli. Tutto il resto era peccato, un peccato mortale.

E un peccato è sempre sbagliato, o no?

Si nascose la testa fra le mani, cercando di soffocare i suoi pensieri, cercando fra i sopravvissuti la risposta alle sue domande. A rimanere fu soltanto un’emozione di irrinunciabile sofferenza.

Aro...

Anche se la ragione gli suggeriva di non farlo, Carlisle cominciò a recarsi spesso a casa dei Volturi. Nella sua mente la chiamava così, anche se il motivo per cui vi si recava era uno solo. Un vampiro solo, che puntualmente era l’unico ad accoglierlo. Non rivide più Caius, quasi egli avesse la capacità di capire quando sarebbe arrivato e di adattarsi di conseguenza. Incrociò Marcus, a volte, attorniato da gruppi di artisti che ascoltavano affascinati le sue digressioni sul passato ed il futuro. Sembrava vivere in una sua utopia, in un mondo perfetto dal quale usciva soltanto per nutrirsi e conversare, dove non c’era spazio per i problemi. Carlisle era un leggero problema, una minaccia concreta ma controllabile.

Un bel faccino da salutare, per poi voltarsi dall’altra parte.

Carlisle soffriva per l’ostracismo che riceveva, non tanto dagli altri Volturi quanto dai vampiri che bazzicavano per la loro antica casa. Come Aro gli aveva annunciato, infatti, essi erano soliti assurgere al loro ruolo di regnanti autoproclamatisi con senso del dovere ed abnegazione. Visto che non uscivano mai dalla loro abitazione, erano gli altri a raggiungerli per denunciare assassinii, appropriazioni indebite di territori, furti o nuove trasformazioni. Scoprì che i tre non avevano bisogno di uscire, vista la rete di occhi ed orecchie che avevano creato e che riversavano parole preziose ed informazioni dalle centinaia di bocche. Ancora non aveva idea di quante persone avessero trasformato in vampiri, spesso si chiedeva che cosa spingesse uno come lui ad infliggere la sua maledizione a qualcun altro. Dopotutto, non aveva ancora avuto l’onore di conoscere il vero volto dei Volturi.

Ad ogni modo, Aro passava la maggior parte della giornata a giudicare, premiare, regolare, punire. Lui e gli altri due fratelli avevano messo in piedi un tribunale nei sotterranei, ai quali lui non si era mai avvicinato. Aveva visto molti vampiri più grossi di lui tremare al pensiero di recarvisi, anche se erano certi di avere ragione, e tanto gli bastava per restarsene alla larga. Almeno per i primi tempi sarebbe stato così. Almeno per i primi tempi la sua unica preoccupazione sarebbe stata quella di attirare meno voci possibili su di èsé e sul suo conto, sperando che Aro non si lasciasse influenzare. Per lui era importante e perderlo avrebbe significato soltanto solitudine.

I suoi giorni trascorrevano fra l’università, di mattina, Gaetana, il pomeriggio, e la casa dei Volturi, di notte. Non aveva mai informato i signori Pace dei suoi nuovi amici, se di amici si poteva parlare, perché qualcosa dentro gli diceva che era meglio così. La smorfia di Aro quando aveva parlato di loro, forse quello l’aveva convinto più di ogni altra cosa. Aveva imparato quindi ad attendere che calassero le tenebre, che i suoi padroni di casa andassero a letto, per poi poter uscire dalla finestra e correre per la campagna senza essere né visto né sentito. Una volta a Volterra, passava numerose ore a leggere nella biblioteca finché Aro non terminava i suoi compiti e si decideva a concedergli un po’ di attenzione.

Mai l’avrebbe ammesso, in quel periodo, ma quelli erano gli attimi più belli di tutta la giornata. Soltanto quando il cuore, o meglio la coscienza, non gli avrebbero più concesso di goderli appieno avrebbe capito che aveva inconsapevolmente cominciato a vivere per essi.

-Tutto bene, dolcezza?- lo salutava sempre Aro, facendo capolino con la testa dall’entrata della biblioteca. Carlisle sorrideva sotto i baffi, alzava lo sguardo e rispondeva:-Adesso si. Adesso che ci sei tu.-

Il vampiro dai capelli scuri e dagli occhi rosso rubino si avvicinava, sorridendo, gli dava un buffetto sulla testa e si sedeva davanti ai libri che stava studiando per commentare qualche materia oggetto di un prossimo esame o per chiacchierare. Parlavano di qualunque cosa fosse accaduta durante il giorno, anche se quello più loquace era sempre Carlisle. Gli piaceva raccontare storie sui suoi professori, sull’università o sulla difficoltà di nascondere la sua identità agli altri per riuscire a strappargli una risata. Gli piaceva vederlo ridere, quando le labbra svelavano un luminoso sorriso era come se uno scrigno di corallo si aprisse dalle profondità marine per mostrargli il mistero.

-Carlisle, sei l’unico che riesce a farmi ridere così.- gli diceva sempre, dopo che si era divertito per una sua storiella. Gli mandava il cuore in pezzi, quella voce. Era addirittura più bella del suo sorriso, ma erano il suo tocco ed i suoi occhi a farlo impazzire. Gli facevano addirittura dimenticare chi fosse, come avesse vissuto fino a quell’istante senza aver mai conosciuto la perfezione.

-Sei unico, Carlisle.-

Tutto filò liscio, per quanto possa filare liscio con un cuore senza battiti che viaggia fra le nuvole morendo di giorno e vivendo di notte, per un certo periodo. Ogni istante che Carlisle passava accanto ad Aro era come l’aria, ogni attimo che Aro passava accanto a Carlisle era oro colato. Avevano entrambi la sensazione che qualcosa sarebbe successo, fra loro e fuori da loro. Continuare a nascondersi in una casa pieni di vampiri dai poteri incredibili era impensabile, così come lo era nascondersi a loro stessi. Nell’ultimo periodo avevano iniziato ad evitarsi, addirittura, per scongiurare la tentazione, ma la lontananza li rendeva entrambi più confusi ed insoddisfatti. Carlisle aveva paura di quello che sentiva, così come lo spaventava ciò che poteva desiderare. A costo di torturare la propria anima ed il proprio istinto per tutto il resto del tempo che gli restava da vivere, mai avrebbe esternato ciò che provava. Così come nessuno sarebbe riuscito a staccarlo dall’altro vampiro.

Anche se era convinto del contrario, una simile situazione non sarebbe potuta durare a lungo. Non ebbe il tempo di rendersene conto da solo, perché il destino agì prima che le sue pedine potessero anche solo aver voglia di pensare ad una qualsiasi mossa.

Un giorno, Carlisle stava studiando nella grande biblioteca della casa di Volterra, quasi più fornita di quella dell’università, quando udì delle grida. Rimase stupito inizialmente per la loro presenza: in casa dei tre fratelli nessuno poteva gridare o alzare la voce, né tantomeno qualcuno osava farlo. Mentre usciva dallo stanzone per capire che cosa stesse succedendo, si trovò di fronte alla seconda sua fonte di stupore: le urla non erano all’indirizzo di un vampiro straniero indisciplinato, oppure di un imputato che si ribellasse ad un’ingiusta condanna, ma erano l’insana melodia di una lite fra due dei tre Volturi. Caius ed Aro, per la precisione.

Carlisle non li aveva mai visti litigare tanto furiosamente, nemmeno durante la sua prima visita alla casa il volto del vampiro bruno aveva vestito una simile maschera d’ira nei confronti delle provocazioni del biondo. Si guardò attorno, cercando di comprendere quale fosse il motivo di tanta agitazione, ma ciò che gli fu possibile scorgere fu la figura agitata di Marcus che correva verso i due contendenti e alcune guardie che si nascondevano nell’ombra. Viste le apparenze, nessuno aveva desiderio d’intervenire tanto tempestivamente a sedare la rissa.

-Sappi, Caius, che non ti permetterò mai più di contestare una mia sentenza!- gridava Aro, che fino a quell’istante non aveva mai avuto bisogno di emettere qualcosa più di un sussurro perché tutti eseguissero le sue volontà.

-Che cosa credi di fare, Aro? Comandarmi, forse? Io sono un vampiro libero, fino a prova contraria! Libero di esprimere le mie opinioni!- replicò Caius, con incredibile arroganza.

-Libero di esprimere le tue opinioni? Qui si tratta di mettere in dubbio le stesse basi del nostro governo, del regime di giustizia che noi abbiamo creato e che tu hai tutta l’aria di voler smantellare!-

-Smettetela, vi scongiuro! Non davanti a tutti, vi prego!- squittiva la voce di Marcus.

-No, tutti devono sapere quanto lui- e qui Caius indicava Aro. –sia un pazzo! Ma quale governo, quale regime di giustizia? Tu decidi, dall’alto della tua ostentata saggezza e sapienza, e gli altri obbediscono ai tuoi ordini!-

-Dai del pazzo a me, ma come osi?- gli faceva eco l’altro, senza nemmeno dargli tempo di finire la frase. –Non negare la verità, è solo merito mio se tutto questo è ancora possibile.-

Aro fece un giro su sé stesso, circondando in un abbraccio la polverosa entrata.

-Tutto merito tuo? E io, e Marcus, e tutti gli altri?-

-Caius, non tirare in mezzo gli altri per una rimostranza che riguarda soltanto te.- sbottò Marcus.

-Tu sei un suo schiavo, così come lo sono tutti gli altri!-

-Uno schiavo?- ripeterono insieme le due creature dai capelli d’ala di corvo.

-Un pazzo! Hai perso del tutto la tua capacità di raziocinio, adesso parli di passione e di desiderio come se capissi davvero che cosa sono!- continuava il loro compagno dalle chiare chiome.

-Credi forse di saperlo meglio di me? Che tutto il tempo che spendi fra quei corpi malati e venduti che chiami molto coraggiosamente “donne” ti dia il diritto di conoscere il sentimento?- replicò Aro, ringhiando d’ira. Sembrava che la sua tensione fosse dovuta ad un forte quanto inedito imbarazzo, pensò Carlisle, probabilmente dovuto al tema che stavano trattando. Doveva essere qualcosa di delicato, lo intuì dalle occhiate nel volto tirato di Marcus. Si chiese se dovesse intervenire per tentare di riappacificare i due fratelli, se si sarebbe rivelata la cosa giusta da fare. Aro non gli aveva mai permesso di venire a conoscenza dei problemi interni alla “famiglia”. Fosse dipeso da lui, probabilmente non avrebbe neppure assistito a quella conversazione esagitata. Forse nemmeno si accorgeva della sua presenza, considerato il suo coinvolgimento.

-Io ho avuto il buon senso di non reprimermi con la cocciutaggine di un prete, se non altro! Le occasioni per scuotere il corpo morto dai tuoi polverosi libri non ti sono mancate, mi sembra.-

Aro tardò a replicare, a quella provocazione, così come Marcus smise di ordinare loro di zittirsi. Rimasero tutti sospesi, mentre sulle tre figure e sulla sala calava una nuvola di scuri pensieri, misti ad attesa.

Carlisle si domandò se fosse quello il momento più adatto per intervenire, ma qualcosa lo fermò. Forse fu la situazione a consigliarlo, il suo buon senso o l’istinto. Gli pareva quasi che l’intonaco stesso sul quale si appoggiava gli mormorasse di rimanere immobile.

Smise quasi di pensare, come se una sua minima movenza cerebrale potesse attirare su di lui l’attenzione di tutti. In seguito, ringraziò di essere rimasto dov’era. Non tanto per quello che udì, ma per il modo in cui le frasi uscirono dalle bocche disegnate di corallo.

-Le occasioni di cui tu parli non erano quelle giuste.- decretò Aro, con voce così fredda da             contrastare con l’arrabbiatura infuocata di cui aveva fatto mostra fino ad un battito di ciglia  prima. –Mi dispiace, Caius.-

Caius parve colpito, ferito a morte. Con la stessa espressione che di certo assumerebbe un soldato ucciso a tradimento in una battaglia che ormai sentiva di aver vinto, si portò le braccia al petto ed aprì e chiuse la bocca un paio di volte senza emettere suono. Aro e Marcus frattanto rimasero immobili, con la stessa compostezza di due becchini al funerale di un estraneo.

Infine, la creatura lacerata parlò. Carlisle lo sentì appena mentre diceva, anzi ripeteva:-Non erano quelle giuste… ti dispiace.- e altre parole che non riuscì a comprendere. Sembrava stesse ripercorrendo un discorso che non aveva mai fatto e che nessuno, a quel punto, sarebbe più stato capace di ascoltare e comprendere. Aveva perso il suo senso.

-Caius, ti prego, non soffrire in questo modo. Dimentichiamoci tutto, va bene?- propose Marcus. Il tono della sua voce, così ottimista, risuonò vuoto ed inadatto in quel momento.

Una fragile, acuta risata si alzò dalla gola della vittima del proprio destino. Una frase, una frase soltanto, scivolò dalla sua bocca, prima che il braccio si librasse nell’aria ferma e scura.

-Troverò il coraggio di dimenticare quando avrò cancellato il dolore.-

Una speranza, una minaccia, una promessa, una dichiarazione d’intenti. Il pugno pallido di Caius si stava per abbattere sul volto di Aro, sorpreso e quindi una volta di più indifeso. Colse di sorpresa tutti, quel gesto. Tranne Carlisle.

-Fermo!- gridò, attraversando la sala con tutta la velocità che le sue gambe e la sua natura disgraziata gli concedevano. Quasi senza volerlo, allungò la mano. Le sue dita si chiusero attorno all’arto di Caius, bloccando il pugno. Un altro millimetro, poi Aro sarebbe stato in pericolo.

Carlisle si guardò attorno, sorpreso di quanto aveva fatto. Vide riflesso il suo sconvolgimento in tutti gli sguardi che lo studiavano, fissavano, osservavano o disprezzavano. In tutti, meno quello di Aro. Caius ringhiò, stupefatto, e ritrasse il braccio con fare scorbutico.

-Lascialo stare, fratello. Caius, è soltanto un ragazzo.- stava cercando di tranquillizzarlo Marcus, appoggiandogli le mani sulle spalle ed incoraggiandolo ad allontanarsi. Gli occhi del vampiro biondo erano talmente aperti, immobili, che le iridi spalancate parevano avere il talento dell’ipnosi.

-Caius, non so che cosa stia succedendo ma capisco che il motivo sono io. Se tu ed Aro litigate, la colpa è solo mia.- spiegò Carlisle, il tono altamente instabile. –Perché prendersela con lui, allora? Sfogati con me, fai di me quello che ti pare.-

-Che cosa stai dicendo, damerino?- parlò l’altro vampiro, tremante di rabbia.

-Non mi opporrò, se è questo che ti frena. Non alzerò un dito per difendere me.-

Sottolineò quel me, per far capire a chiunque in quella sala che avrebbe dato la vita, per quanto avesse potuto valere, per proteggere Aro. Da dove venisse tanta forza e tanta decisione, non lo sapeva. In realtà lo intuiva, ma era manchevole di una conferma.

Era sorpreso, piacevolmente ed insieme tremendamente sorpreso.

Caius parve soppesare la sua proposta. Per un attimo tutti crederono che avrebbe accettato l’offerta, considerata la sua rarità e la rabbia che sembrava scorrere nell’animo del vampiro.

Invece, scosse la testa.

-Che cosa significa?- balbettò Carlisle, dando voce alle altre anime basite.

-Non posso prendermela con te, ragazzino. Nonostante ora desideri farti a pezzi, non posso attribuirti la colpa di aver affascinato chi voleva affascinarti.-

Prima di uscire dal salone, il suo ultimo sguardo lo dedicò ad Aro. Così come le sue ultime parole.

-Mi dispiace, Aro. Ho capito soltanto ora il suo valore.-

A chi, o che cosa, si riferisse, nessuno fu in grado di stabilirlo. Quando il portone si chiuse, tutti parvero riprendere a respirare con regolarità. Almeno chi, come Carlisle, lo faceva ancora per abitudine. Marcus, arrabbiato, cacciò tutti gli esseri che iniziarono a scivolare dalle tenebre che li avevano protetti e li spinse fra le braccia delle ombre, seguendoli.

Carlisle non ebbe il tempo fisico di elaborare un solo pensiero, un giudizio, una sentenza. Non si era nemmeno mosso dalla sua posizione di passiva difesa quando si sentì afferrare per una mano, ritrovandosi a seguire una figura più nera della notte fra le strade lastricate di Volterra.

Tutto ciò che si lasciarono dietro fu un pugno di ragnatele, non i loro pensieri.

Dai pensieri non si fugge, mai.

Note dell'autrice

CondroitinSolfato -_- Visto che non hai da ridire, sono happy! :) Ecco l'attesa reazione di Caius. Durante il litigio è uscito molto di più di quello che si avrebbe voluto... e se solo Carlisle ascoltasse un pò meglio... Ma lui ormai è cieco! E che cosa è cieco, a parte la fortuna? Forse il moretto avrà la compagnia che tanto preghi abbia!

Gattino Bianco -_- Ciao! Grazie per leggere e per recensire con tanta accuratezza, si vede che segui con attenzione. Si, passerò attraverso i tre libri ma non seguirò la storia. Alcuni accadimenti e fatti saranno riportati così come nel romanzo, altri invece si riveleranno inediti. Spero che vi piacerà!

  
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