Premessa:
Nuotando un po’ nel capitolo
potreste trovare 2 tracce di Chuck Palahniuk e Baustelle.
Due citazioni inserite lì :°D
Inutile dire che non sono
soddisfatta e che sì, proprio così, sto pensando a cosa far accadere.
Un po’ d’azione? Boh, non
saprei.
Vorrei ringraziare
velocemente tutti i recensori, ma proprio tutti!, anche quelli dello scorso
capitolo che non ho ringraziato dovutamente.
Perdono, ma la scuola ci
rende succubi :’)
Detto ciò, buona lettura.
‘Le nostre speranze e
aspettative, buchi neri e rivelazioni.’
È la vita alla quale bisogna attraccarsi, quasi fosse
l’ultima nave per l’isola dei tuoi sogni.
Quasi fosse l’ultima speranza in un cielo grigio come il
pelo d’un topo.
Troppo dolce, il
suono della speranza, come frutti rossi scricchiolanti.
E il sorriso popola le labbra di tutti, da oggi. Da oggi i
capelli sono in ordine, forse, e le parole vengono calibrate come fossero mine
che potrebbero esplodere. Da oggi, l’unica cosa spontanea che sopravvive in te
è uno starnuto, che esplode durante il silenzio imbarazzante di una sala tanto
illuminata da poterne ammirare piccoli pezzi d’aria e pulviscolo.
Matt inizia quasi ad affibbiare un nome ad ogni particella
fluttuante che vede.
‘Nancy’ è quasi
poetico.
Il profilo strano e spigoloso del volto di Tom Kirk sembra
muoversi, quelle labbra parlano velocemente, scandiscono senza voglia
un’accozzaglia inutile e noiosa di rimproveri.
‘Non si può annullare un concerto per l’emicrania!.’
Col cazzo, certo che potevano! Erano loro, i mitici e
potenti Muse, i dei nell’olimpo musicale
contemporaneo, tanto per essere modesti.
Emicrania.
Vedi anche :
Influenza.
Vedi anche: Dolori
articolari.
Matt aveva detto che le ossa facevano così male da sembrare
dannatamente marce.
Chissà dove dovevano suonare, Matt non lo sa neanche, cos’è
che sa?
Forse in Eurasia, in qualche parte dell’Eurasia, si capisce.
‘Ora crollo dal sonno, ora crollo, ora crollo e mi portano
in una fottuta clinica, con tanti tubicini ficcati in ogni singolo buco del mio
corpo.’
Dom vorrebbe santificare gli occhiali da sole scuri, quelle
Rayban che il moro gli ha prestato ‘necessariamente’.
La testa è uno scantinato disordinato nel quale non vorreste
neanche entrare, sporco e pieno zeppo di topi e scarafaggi.
Pensieri che si accumulano e che ovattano i suoi sensi come
fossero lana voluminosa, ficcatagli nel cervello da qualche alienoide.
Figurati se riesce a suonare, se riesce già a tener in mano
una bacchetta per il cibo cinese è un miracolo.
Il punto è : Cosa diavolo è successo la notte passata?
La sveglia è stata delle peggiori, tra accappatoi di tessuto
rosso e asciugamani, sul pavimento blu del cesso.
Dom ricorda chiaramente d’essersi creduto Jeff Buckley
morente nel suo fiume boia, al risveglio.
Allucinazioni da stress o da droghe, semplicemente.
Matt non c’era;
Dormiva nel soggiorno col telefono tra l’orecchio e la
bocca. Sulla lista degli ultimi contatti c’era scritto in grassetto : Dom H.
5.00 Am.
Chris sembra, anzi è,
il solito omaccione equilibrato, come lo si descrive ovunque.
Avete presente quello sguardo amico che cerca di scrutare
ogni tuo movimento per trarne indizi e capire cosa cazzo ti succede? Bene. E’
lui. Sempre e costantemente.
Ogni tanto vorresti alzarti e urlargli in faccia con
veemenza di farsi i fattacci suoi, ma poi pensi che i sensi di colpa ti
dilanieranno.
Dom gli vuole bene, da morire, come fosse suo padre o suo
fratello.
Sta per addormentarsi, il biondo, mentre Tom continua a
mormorare e bofonchiare con quel suo tono gracchiante.
- Tom, basta, abbiamo capito.-
Dom è frustrato.
-Beh se avreste capito non saremmo di nuovo punto e daccapo!
-
- Tom, sono semplicemente cazzi nostri se non possiamo
suonare.- Dice Dom, scazzato.
-Sì, però potevate evitare.- mormora Chris.
-Ma non l’abbiamo fatto, quindi basta. Ho fame .- Matt,
mentre bofonchia, sembra non fregarsene minimamente e Dom pensa che non è da
lui essere così nei confronti del pubblico.
Li amava, li ama ancora, ma ora non ha voglia neanche di
pensare, o così pare.
Matt non pensava neanche in quelle notti, mentre scopavano
tra gemiti e lenzuoli, e bossa nova, e parole soffocate dal vento.
E quel Matt senz’anima faceva male dentro, feriva con il suo
bel coltello intarsiato, con i suoi occhi.
‘Se me lo chiede con
quegli occhi non mi riuscirà di dirgli no, e poi stasera sono sul punto di
sognare’
E Matt lo guardava con quelle pozze d’azzurro tormentate,
una scena fuori copione, inventata al momento. Un bacio umido di brandy e una
macchia rossa sul collo.
Sempre così.
Resoconto del momento? Ora avevano vaporizzato quei ricordi,
li avevano riposti nell’angolo semipolveroso della camera 555 dell’hotel
squallido.
In quella camera c’erano ancora i collant di qualcuno.
Ora erano due semplici esseri irrilevanti, due stelle che
non s’incontravano. Se capitava, un po’ di sesso in camerino, prima di
rinchiudere i pensieri nel barattolo opaco di polvere.
Poi di nuovo il vuoto. Non erano tristi, erano semplicemente
incoscienti, come avevano vissuto fino a quel momento, fino a quegli ultimi
mesi in cui volevano sentirsi vivi e morti allo stesso tempo sotto il peso
delle carezze dell’altro.
Era la situazione più ridicola che potevano immaginare, due
bambini che non si guardano più per vergogna. Due occhi lucidi e guancie
arrossate d’orgasmo e fronti sudate di vita.
-Andiamo a mangiare qualcosa.-
Chris è ragionevole. Matt annuisce, Dom non vuole riemergere
dalla sicurezza dei propri pensieri, ma si alza e cammina seguendo le ombre
diverse dei suoi compagni.
Gli occhiali pesano sul naso e il collo fa un male cane.
La bocca secca che aspetta il tepore della lingua calda,
pronta a venire sulle labbra rosacee.
‘Forza, non
angosciarti.’
Il bar è vicino, è illuminato, è grottesco.
Puzza di cornetti nauseabondi. Di sfoglie e sfoglie di bugie
dolci e consolanti.
-Cosa prendi, tu, Dom?- offre Chris.
- Mhm, caffè amaro.-
- Matt ?-
-Cornetto. -
Sfoglia calda di menzogna. Prevedibile, come dire che domani
è giovedì.
Mentre la luce perfora i bulbi verdi del biondo, mentre una
mosca svolazza indecente ed una barista chiede un autografo ad un Matt che non
è lui, mentre gli atomi si scindono da qualche parte, il telefono di Dom vibra,
nervoso.
Gli occhi verdi leggono il messaggio chiaro e conciso.
‘Alle 21.00 da me.’
Due occhi blu vagano ovunque, in quella stanza, guardano le
bottiglie lucenti e le rifiniture del tavolo.
Guardano le mani di Dom accanto a sé, e poi sfiorano lo
sguardo del batterista, quegli occhi.
Lo cercano.
E diventeranno Matt e Dom ancora, quella notte, aspettando
il primo di troppi concerti.