Bianco. Edificio bianco,corridoi bianchi,divise bianche. Decisamente troppo bianco. Faceva quasi male agli occhi. In particolar modo a due paia di occhi gemelli,occhi nocciola che nascondevano tanti sentimenti. Occhi che amavano. Occhi che vivevano. Occhi appannati da un velo di lacrime che non avevano il coraggio di rigare le guance. Occhi pieni di ansia e paura. Tanta,troppa paura.
Come accade nei film sembrava che dopo la telefonata da parte della polizia il tempo scorresse più lento.
Come per dare una parvenza di quiete. Già, la famosa quiete prima della tempesta.
In ospedale nessuno era stato in grado di dare informazioni a Bill e Tom sulle loro ragazze. L’unica certezza era che l’ospedale fosse quello giusto,niente di più. Tom aveva lo sguardo perso nel vuoto,Bill si sedeva per poi rialzarsi subito,incapace di stare fermo.
Sospiri. Telefoni interni che suonano. Bianco.
***
Dopo l’ennesimo caffè preso alle macchinette, cui seguiva una smorfia di disgusto, un’infermiera raggiunse la saletta d’attesa dove erano seduti i gemelli Kaulitz.
“Signori Kaulitz?” chiamò la donnetta,piuttosto bassa e tarchiata ma dal viso estremamente dolce e aperto.
Entrambi i ragazzi scattarono in piedi.
“Allora, la signorina Rachel è ancora in sala operatoria. Purtroppo l’urto è stato violento,ha perso molto sangue e ha avuto un’emorragia”
Bill sbiancò,improvvisamente consapevole di quello cui stava andando incontro. Tom gli mise un braccio intorno alle spalle,per fargli forza,per sostenerlo,per fargli capire che anche lui sapeva cosa provava.
Poi l’infermiera continuò.
“La signorina Elisabeth è in camera. Non può ricevere visite finché non la vedrà il medico appena si sveglia. Ha perso anche lei molto sangue e ha due costole incrinate,non potrà camminare per un po’ di tempo. Il bambino non ce l’ha fatta,mi dispiace”
Tom boccheggiò. Bambino? Quale bambino? L’infermiera vide la confusione totale sul viso del giovane e annuì.
“La sua fidanzata era incinta di circa sei settimane. Probabilmente non lo sapeva nemmeno lei” disse,cercando di usare più tatto possibile.
Tom si lasciò cadere sulla sedia,incapace di pensare o dire niente. Calde lacrime di sconforto gli solcarono il viso liscio e pulito,un tremore lo pervase del tutto e si tenne la testa tra le mani.
“Forse è meglio se tornate a casa. Vi chiameremo non appena ci saranno novità” propose l’infermiera.
“No. Io non mi muovo di qui” esclamò Tom con tono deciso.
“Nemmeno io” rispose Bill.
La donna annuì sospirando.
***
Sento un formicolio al braccio. Un suono metallico provenire da un punto imprecisato. E poi la sua mano che stringe la mia. La mano di Tom. Riconoscerei ovunque la sua presa salda e dolce,con i polpastrelli rovinati dalle corde della chitarra. Apro piano gli occhi,mi costa uno sforzo non da poco. Quello che vedo intorno a me mi confonde,non è la camera di Tom e nemmeno la mia a Milano. Ma allora dove sono?
“Guarda si è svegliata!” esclama una voce,sollevata. Mi sembra sia Bill.
“Elisabeth,tesoro. Mi senti?” chiede un’altra voce ansiosa.
Cerco di mettere a fuoco le immagini,vedo una maschera di preoccupazione e tristezza sul viso di Tom. Tento di articolare una frase,ma la gola brucia. Faccio una smorfia,sospirando forte. Pessima idea. Un dolore lancinante mi invade l’addome. Inconsapevolmente mi lascio sfuggire un lamento.
“Cosa c’è? Cosa posso fare?” la voce di Tom è sempre preoccupata.
“Shh. Non è niente. Dove sono?” chiedo.
Tom torna a sedersi sulla sponda del letto al mio fianco,mantiene la presa sulla mia mano e sospira.
“Sei in ospedale. Hai avuto un incidente”
Un incidente.
Sì. Ricordo una luce abbagliante,un rumore di freni e la pioggia. Tanta pioggia.
“Rachel?” domando,ansiosa di sapere lo stato in cui si trova la mia amica.
“E’ ancora in sala operatoria. Non sappiamo niente” risponde Bill.
Le lacrime iniziano a rigarmi le guance.
“E’ colpa mia” sussurro tra un singhiozzo e l’altro.
“Non è vero. L’importante è che tu stia bene,e che Rachel si riprenda”
Un’infermiera entra in camera.
“Sono venuta a controllare la flebo” dice,come per scusarsi.
“Ah. Finalmente ti sei svegliata!” continua la donna.
Poi si rivolge a Bill.
“Il dottore vuole parlare con lei,è per la sua ragazza.”
“Coma sta?” chiediamo in coro noi tre.
“Non lo so” ma mentre lo dice non ci guarda in faccia.
Bill si avvia alla porta,torcendosi le mani.
***
“Signor Kaulitz?” chiede un uomo sui cinquant’anni dai capelli brizzolati corti.
Bill accenna un sì con la testa.
Il dottore fa sedere Bill su una sedia della sala d’attesa,sospirando rumorosamente.
“E’ stata un’operazione lunga e complicata”
Bill non capisce. Cosa intende dire il dottore con quella frase?
“Mi dispiace,abbiamo fatto il possibile. Non ce l’ha fatta”
NOTE: Questo capitolo è stato davvero difficile da scrivere,ho cercato di renderlo il meno traumatico possibile per non cadere in ovvietà o drammatizzazioni eccessive. Credo comunque di aver reso l’idea; pur non avendo insistito particolarmente sul personaggio di Rachel è stato davvero difficile scrivere della sua morte.
Ringrazio come sempre coloro che hanno aggiunto la mia storia tra le preferite/seguite/da ricordare e tutte le letture che ci sono state a questa storia;se vi va potete leggere la mia seconda storia *Love in Barcelona*.
Splash_BK: Ti ringrazio molto per il tuo commento,purtroppo era a questo che mi riferivo quando dicevo di non contare troppo sul vissero tutti felici e contenti. Spero comunque di non averti delusa troppo.
LaMiry: Grazie mille per il tuo commento. Per questa volta ti perdonerò! Tranquilla,mi rendo conto degli impegni. XD Spero che questo capitolo ti sia piaciuto,per quanto possa piacere….
Allora vi do appuntamento al prossimo aggiornamento che comprenderà l’ultimo capitolo effettivo della storia,a presto Elisabeth Black.