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Autore: _Pan_    20/09/2010    8 recensioni
Mikan è al suo primo anno di superiori, ma niente si prospetta come lei lo aveva immaginato: tra l'amore, inganni, e addii, la sua permanenza nella Alice Academy si preannuncia molto movimentata.
La storia tiene conto del manga (a tratti da capitolo 51 in su), quindi ci sono spoiler disseminati un po' ovunque. Inoltre, sarà raccontata alternativamente sia dal punto di vista di Mikan che che da quello di Natsume, ma non ci saranno capitoli doppi, nel senso che uno stesso capitolo non sarà raccontato da entrambi.
Coppie principali: Mikan/Natsume, Hotaru/Ruka (accennata)
Genere: Comico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Hotaru Imai, Mikan Sakura, Natsume Hyuuga, Ruka Nogi
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Capitolo 17 – Diploma
(Mikan)


Ero terrorizzata. Non semplicemente terrorizzata, del genere che ti chiudi in camera a tremare come una foglia sperando che l'aggressore passi oltre la tua porta senza notarla! No, ero terrorizzata, così tanto che non riuscivo più a muovermi né a pensare a dove fosse la mia via di fuga. Erano mesi, anni, forse che aspettavo questo momento e, adesso che era arrivato, mi tremavano le gambe come se fossero stati rametti secchi, piantati malamente a terra mentre soffia una tromba d'aria.
«Mikan, muoviti!» sento un colpo alla porta e la voce di Hotaru provenire da fuori. «Iniziano senza di noi e a te tocca il discorso. Ricordi?» andai nel panico più totale: discorso? Quale discorso? Mi guardai intorno, nella stanza, alla ricerca di un pezzo di carta che potesse somigliare alla trascrizione di un discorso di fine anno. Non c'era niente.
«Ho... Hotaru?» aprii uno spiraglio della porta, e trovai Hotaru ancora lì. Piuttosto insolito: ero quasi certa che fosse già andata via. «Non trovo il discorso.»
Si portò una mano alla tempia, chiudendo gli occhi. «È anche possibile che tu non l'abbia mai scritto, Mikan.» disse, sospirando. «Non mi stupirebbe.»
Era davvero possibile? Cercai di fare mente locale, ma non mi venne in mente nessun discorso. Guardai dentro la stanza: era più bella del solito. Davvero una bella stanza, anche più grande. Mi dispiaceva un po' lasciarla. «E cosa dovrei dire?» questo però era un problema più urgente: non potevo salire sul palco e fare scena muta! Era il discorso del mio diploma, anzi del diploma di tutti quanti!
«Improvviserai.» Hotaru alzò le spalle e cominciò a trascinarmi per il corridoio. Lei aveva la divisa. Quella era l'ultima volta che l'avremmo messa, ed ero quasi commossa. Tanto che abbassai lo sguardo, fino alle mie ciabatte. Mi bloccai, guardando le scarpe di Hotaru.
Scarpe, ciabatte.
Ciabatte, scarpe.
Qualcosa non quadrava. Risalendo su per le gambe con gli occhi, mi accorsi che non avevo neanche la divisa addosso. Ero in pigiama. Inorridii. «Non c'è tempo per cambiarsi.» fu come se mi avesse letto nel pensiero.
«Ma...» tentai di ribattere: come avrebbero ricordato gli altri questo giorno? Io che salivo sul palco col pigiama senza neanche un discorso pronto... all'inizio poteva far ridere, ma cosa avrebbero raccontato ai loro nipotini, se non delle belle parole che si spendono quando ci si diploma? «Ma io...»
Mi zittì con un gesto della mano, e in un lampo fummo fuori. Non riuscivo a crederci. Mi ritrovai confusa per un attimo. «Adesso calmati.» la sua voce esprimeva tranquillità. «E andrà tutto bene.»
Annuii febbrilmente, cercando di convincermene. «Mi aiuterai, vero?» ero così fiduciosa che pensavo quasi di farcela, se ci fosse stata lei con me!
«No.» chiarì lei, gambizzando le mie speranze. Cercai di commuoverla con la mia espressione bisognosa. «Ho detto di no. Ho altro da fare, non posso trattenermi. Ci sono soldi da guadagnare.» e andò via, su un camion colmo di monete d'oro. Rimasi spiazzata.
«Hotaru è proprio fantastica!» sospirò Ruka-pyon, sorridendo, mentre anche il suo coniglietto aveva gli occhi che brillavano.
Non avevo mai sentito Ruka-pyon parlare così di Hotaru. «Ru... Ruka-py...» mi mise una mano sulla spalla, orgoglioso.
«Dovresti andare fiera di essere la sua migliore amica!» sentenziò e sparì, così com'era arrivato. Cominciai a guardarmi intorno, alla ricerca di qualche volto sconosciuto, ma il cortile era pieno di studenti, tanto che non riuscivo a vedere niente. Mi feci coraggio ed entrai nella calca, cercando di avanzare metro dopo metro senza riportare grossi danni.
Anche se non sapevo cosa dire, era necessario che andassi sul palco; non sapevo proprio perché, ma volevo andare sul palco. «Buongiorno!» salutai, prendendo il microfono. Ma nessuno mi sentì.
Picchiettai sul microfono: non funzionava. Non sapevo neanche come accenderlo. Mi girai in cerca di aiuto, trovai Narumi-sensei, vestito da pirata, con tanto di bandana nera sull'occhio destro, una cicatrice disegnata sulla guancia sinistra e un teschio sulla bandana. Deglutii: metteva paura!
«Benvenuta sulla mia nave, Mikan-chan!» era attaccato a una corda e teneva una spada in mano, brandendola come se dovesse tagliare l'aria. Mi girai per vedere se qualcuno l'avesse notato e, improvvisamente, mi portai una mano alla bocca: dove prima c'era stato un mare di studenti, adesso c'era solo quello: mare, azzurro, cristallino, piatto come una tavola. Non c'era altro che mare intorno a noi e alla nostra barca. Paralizzai: quando ero salita sulla barca? Ruka-pyon, Hotaru e gli altri erano tutti scomparsi. C'eravamo solo io e Narumi-sensei, e forse la ciurma. «Ti ammetto nella Naruciurma senza problemi!»
«Ma io non voglio diventare un pirata!» ribattei. Io dovevo fare il discorso! Era assolutamente importante che lo facessi! Il diploma non sarebbe stato tale, altrimenti! Dovevamo rispettare questa tradizione, altrimenti niente consegna. Niente consegna, niente diploma! Non potevo permetterlo, chissà quanti ragazzi aspettavano di riceverlo!
Narumi-sensei si fece pensieroso. «Cosa dovrei fare a questo punto?» si domandò, sfregandosi il mento con una mano. «Beh, se non può averti la mia ciurma, non posso permettere che ti abbia qualcun altro. Perciò...» unì le mani e sorrise: aveva sicuramente capito il mio problema, dopotutto, era di Narumi-sensei che stavo parlando! «ti darò in pasto ai pescecani.» indietreggiai: l'aggressore aveva una maschera uguale alla faccia del mio povero professore, probabilmente tramortito in qualche cabina? Dovevo trovarlo e salvarlo! Soprattutto, dovevamo scappare dalla nave e tornare a scuola!
«Ma...» mi guardai intorno, in cerca di qualcosa che potesse aiutarmi. Lui si staccò dalla corda, avvicinandosi con uno strano passo saltellante.
Mi puntò un dito contro. «Niente ma, signorina.» mi rimproverò, bonariamente. «Non puoi rifiutare un invito ufficiale a entrare nella Naruciurma e poi aspettarti che non ti succeda niente. Non è carino rifiutare le proposte degli amici.»
Indietreggiai, ma finii contro il parapetto della nave. «Devo per forza finire in pasto ai pescecani?» non sapevo neanche come fossero fatti i pescecani! Sapevo solo che avevano dei denti aguzzi e che avevano sempre una gran fame.
Narumi-sensei assunse un'espressione dispiaciuta. «Ho proprio paura di sì.» rispose. Poi alzò le spalle. «Guarda il lato positivo, c'è gente che crede nel Paradiso.» il parapetto dietro di me scomparve e io caddi. Ciò che c'era sotto di me vibrò in maniera sconcertante. Deglutii, e mi girai a guardare. Una tavola di legno pendeva dalla nave e dava nel vuoto. Sotto di essa c'erano dei pescecani con le bocche aperte, che battevano le pinne le une contro le altre, come se stessero applaudendo.
«Narumi-sensei...» pregai, girandomi, terrorizzata. «non potremmo... riparlarne?»
Lui alzò entrambe le sopracciglia, per poi calarsi alla mia altezza. «Mikan, tesoro,» disse lui, sempre sorridendo. «ognuno di noi deve prendersi la responsabilità delle proprie scelte. Non puoi sempre tornare indietro e scegliere la strada più comoda. Ormai è questa la tua decisione e devi arrivare fino in fondo.» capii solo in quel momento che avrei dovuto davvero saltare da quella specie di trampolino e che sarei diventata cibo per pesci. Lui non poteva salvarmi perché io avevo deciso così: perché ero sempre così stupida?
Arrivai al limite, con la gola secca. Non avevo il coraggio di dire addio al mondo... e Natsume? Natsume dov'era? Se non potevo dirgli addio, chi gli avrebbe detto che ero andata a riempire le pance degli squali? Sentii qualcosa spingermi e caddi nel vuoto, chiudendo gli occhi e gridando a più non posso.
«Mikan!» sentii una voce sgridarmi. «Perché cavolo ti sei buttata?» aprii gli occhi e trovai Natsume che mi guardava con aria di rimprovero. Lo guardai con tutta la gratitudine di cui ero capace: mi aveva appena salvata!
«Narumi-sensei ha detto...» tentai di spiegare, gesticolando. Mi accorsi solo in quel momento che eravamo di nuovo nel cortile della scuola.
«Non devi fidarti di quello che ti dice la gente solo perché ti sembrano amici!» sbottò, posandomi a terra. «Ti devo sempre insegnare tutto io.» rimasi appoggiata a lui: le gambe tremavano ancora al ricordo, e sarei certamente caduta a terra come una mela dall'albero se non mi fossi retta a lui.
«Mi dispiace...» mormorai. Guardai verso il palco: il pirata era scomparso e mi concessi un sospiro di sollievo. Niente più Naruciurma. Poi mi ricordai che cos'avevo da fare! «Alla fine sei venuto davvero al mio diploma!» aveva mantenuto la promessa! Ma, improvvisamente, mi sentii afferrare per la vita e mi ritrovai completamente schiacciata contro di lui.
«Lo sai,» mi disse, e notai solo allora che era vestito con abiti bianchi larghi e un turbante sulla testa che gli ricadeva su una spalla. «dovresti dare un bacio al tuo salvatore.»
Arrossii. «Non qui davanti a tutti...» lo sapevano tutti che stavamo insieme, ma era comunque imbarazzante.
«Oh sì.» ribatté lui, avvicinandosi. «Qui.» cercai di allontanarmi, imbarazzata, mentre lo spingevo. «Mutande-a-Pallini, che diamine stai facendo?» aveva completamente cambiato espressione: più irritato.
«Eh?» domandai, stropicciandomi un occhio. Mi guardai intorno, ero in camera sua, e stavo tentando di buttarlo giù dal letto. «Oh!» lo tirai nella direzione opposta, aggrappandomi alla sua maglietta del pigiama, in modo da farlo entrare di nuovo per bene sul materasso. «Scusami.»
«Che ti prende?» mi guardò, divertito. «Prima mi gridi nell'orecchio e poi cerchi di togliermi dai piedi? Che diavolo di sogno stavi facendo?» beh, come spiegarlo?
In effetti era... «Molto strano.» conclusi, a voce alta. Il dettaglio più nitido era sicuramente Narumi-sensei vestito da pirata, ma forse Natsume avrebbe riso e basta se gliel'avessi raccontato. «Sono curiosa di sapere come sarebbe finito...» chissà se sarei riuscita a fare il discorso. Speravo davvero che il mio diploma fosse diverso dal mio sogno.
«Bene.» commentò lui e sembrò davvero sollevato. «Perché non sono neanche le cinque.» guardai l'orologio per avere conferma. Quattro e quaranta. «Che ne pensi?»
Lo guardai, sorridendo. «Penso che sia una buona idea.» concordai, riappoggiandomi di nuovo a lui, sperando di non farlo cadere dal letto definitivamente con il sogno successivo. Lui mi abbracciò, e io appoggiai la testa contro di lui, sistemandomi tra le sue braccia.

Qualche ora dopo mi stavo mettendo la divisa per andare a lezione. Era una tortura alzarsi tutti i giorni per andare in classe! Sbadigliai, allacciandomi il fiocchetto sulla camicetta. Natsume ancora dormiva, beato lui. Le sue lezioni, a quanto mi aveva detto, cominciavano dopo quelle normali, ma finivano prima di pranzo. Non riuscivo davvero a credere che si sarebbe diplomato in meno di due mesi. Sembrava che fosse tutto normale, tutto come al solito, anzi, lui si era dimostrato anche più dolce, nei miei confronti, dopo il giorno dell'apertura dell'anno scolastico.
Chiusi la porta del bagno alle mie spalle, Natsume era steso su un fianco, con un braccio sotto al cuscino. Sorrisi, e mi avvicinai a lui, cercando di non fare rumore per non svegliarlo. Mi accucciai vicino al letto, se gli avessi detto quanto lo trovavo carino quando dormiva, non sapevo davvero come avrebbe reagito.
«Mikan...» borbottò, poco dopo, e pensai che stesse parlando nel sonno. «mi dà sui nervi se mi guardi mentre dormo.» mi portai le mani sul volto, in totale imbarazzo. Si girò dall'altro lato, con una specie di grugnito infastidito.
«Ehm–» tentai, ridacchiando nervosamente. Lui non diede nessun altro segno di vita. «non volevo svegliarti, ma...» distolsi lo sguardo per un momento. «Però... tu non stavi dormendo, giusto?» mi arrampicai sul letto con le ginocchia, per riuscire a guardarlo in faccia. Sembrava che stesse di nuovo nel mondo dei sogni, ma non potevo saperlo per certo, dato che mi aveva fatto prendere un infarto, quando mi aveva beccata a guardarlo.
Infatti, si mise sulla schiena e aprì gli occhi. «Ci stavo provando. Hai la grazia di un elefante quando ti alzi, o cammini Mutande...» aggrottò la fronte e non si fece troppi problemi ad alzarmi la gonna, rischiando di farmi cadere dal letto, per i miei tentativi di evitarlo. «ah! Non riesco a vedere!» inclinò la testa, forse per avere una miglior visuale, mentre io tentavo di sottrarmi al suo sguardo. «È davvero imbarazzante.» commentò, poi, vedendo i miei delfini colorati. Gli diedi uno schiaffo sul braccio, e lui ritirò la mano, ridendo a crepapelle. Dopodiché schiacciai la gonna contro le gambe, arrossendo furiosamente.
«Smettila di ridere.» lo pregai. Abbassai lo sguardo, mordendomi il labbro inferiore. Mi tirò un codino, e poi ne attorcigliò la fine su un dito, facendomi formicolare la nuca. Succedeva sempre così quando mi toccava i capelli. Non mi ero mai accorta che fossero cresciuti così tanto da arrivare al materasso. Aveva smesso di ridere, ma il sorriso sulle labbra non era ancora scomparso. «Che... che c'è?»
Lui si tirò su, fino ad arrivare a sfiorare il mio naso con il suo, senza lasciar andare il mio codino. Trattenni il fiato, credendo che stesse per baciarmi, ma non lo fece: piegò la testa di lato e mi posò un bacio sul collo. Ripresi a respirare solo quando si staccò, e solo allora mi resi conto che lo stavo abbracciando. Mi ritirai velocemente, sentendo le guance in fiamme. Lui mi mise due dita sotto il mento per alzarmi il viso, in modo da poterlo guardare negli occhi, e poi mi baciò. Cercai di staccarmi: mi sentivo in qualche modo a disagio, dopo il sogno che avevo fatto, sapevo che era una stupidaggine, però non riuscivo a smettere di pensarci.
«Devo andare.» dissi, di fretta. Lui mi rivolse semplicemente un'espressione confusa, prima che io uscissi dalla camera.

Sospirai, chiusa la porta alle mie spalle, facendo attenzione a non essere vista da nessuno. C'erano state parecchie trasgressioni al regolamento, da parte di tanti studenti che erano stati trovati in dormitori in cui non avrebbero dovuto essere ed erano stati puniti severamente da Jinno-sensei in persona. Avevo sentito un ragazzo che raccontava di aver dovuto trascorrere una delle settimane delle vacanze estive a fargli da assistente, e aveva detto che Jiniin era stato peggio di un aguzzino. A volte non l'aveva neanche lasciato andare al bagno per ore, per finire di controllare i documenti dei nuovi studenti. Rabbrividii: non riuscivo a pensare a niente di peggio.
«Hotaru!» esclamai, vedendola uscire dal dormitorio femminile. Sbracciai per farmi vedere. Tutto quello che ricevetti in risposta fu un'occhiata, ma si fermò ad aspettarmi. «Lo sai? Stanotte ti ho sognata!»
«Chissà che emozione.» rispose, con l'attenzione rivolta ai propri appunti. Mi sporsi verso quello che stava leggendo, curiosa. Erano delle specie di disegni strani, con delle ancora più strane indicazioni e delle frecce.
«Che cos'è?» domandai, allora. Lei chiuse di scatto il quaderno e mi lanciò uno sguardo terribilmente calmo.
«È un progetto che ho intenzione di portare all'Alice Festival di quest'anno.» spiegò, tranquillamente. «A quanto pare ci sarà una mostra per questo genere di cose, sai, per raccogliere fondi. A quanto pare l'Accademia è un po' a secco e potrebbero anche decidere di ridurci la distribuzione di rabbit per categorie. Non vorrei dover rinunciare alle mie riviste robotiche, per questo.» sembrava davvero tenerci molto. «Qualcuno potrebbe decidere di comprare le mie invenzioni e fare una... generosa donazione, non ti pare?»
«Tu sei davvero un genio!» non avrei mai potuto pensare a un piano del genere! Hotaru era senz'altro la studentessa più formidabile di tutta l'Accademia! Non avevo mai fatto caso ai problemi economici della scuola, non sapevo neanche che ne avesse.
«Tu e la tua classe di abilità avete già deciso cosa portare?» feci un segno di diniego con la testa: ancora non avevamo avuto occasione per riunirci e parlarne per bene, anche perché non avevamo ancora scelto il nuovo rappresentante di classe, dopo il diploma di Tsubasa-sempai, e Noda-sensei era ancora disperso in chissà quale epoca storica. Per le vacanze estive era partito per vedere i dinosauri dal vivo e ancora non era tornato – dovevo confessare di essere un po' preoccupata. Era tutto piuttosto caotico e, fortunatamente, doveva mancare ancora parecchio perché il comitato studentesco non aveva ancora detto niente a riguardo. «Pensateci in fretta, le richieste devono essere portate tra poco.»
«Eh?» che significava? Di solito l'Alice Festival si teneva verso Febbraio, come l'anno scorso. Mancava ancora un sacco di tempo, no?
«Sarà meglio entrare in classe, non voglio arrivare in ritardo.» disse lei, aprendo la porta. I nostri compagni erano tutti seduti ai propri posti e avevano alzato lo sguardo quando avevano sentito la porta aprirsi. Probabilmente, temevano l'arrivo del professore. Ancora, però, non avevano sostituito Noda-sensei, e tutte le prime ore del giovedì eravamo sempre soli. Per fortuna, Jinjin aveva classi alle elementari, perché si era proposto di sostituirlo nel suo giorno libero.
«Buongiorno, ragazze!» ci salutò Ruka-pyon. Posò il libro che stava leggendo sul banco e coccolò un po' il coniglietto, che dormiva pacifico al suo fianco. «Pronte per il test?»
Mi irrigidii. «Quale test?» volli sapere, spaventata. Il mio sogno era stato un avvertimento di una catastrofe in arrivo?
«Qualcosa che riguarda la corsa.» la risposta di Hotaru si abbatté su di me come un monte su una formica. Co...corsa?
«Perché facciamo un test del genere?» io avevo il terrore dei test, non importava che cosa riguardassero, bastava che fossero classificati come tali per farmi prendere un colpo. «Hotaru!» cercai conforto, ma lei mi respinse, e mi feci qualche passo indietro, non appena lei tirò fuori l'arma anti-idiota. Erano anni che mi terrorizzava con quell'attrezzo!
«Per stabilire le nostre condizioni fisiche, tutto qui.» spiegò Ruka, tranquillamente. Poi tornò a leggere: la cosa non lo preoccupava minimamente.
«E i risultati... a che servono?» non avevamo mai fatto niente del genere. Però sembravano tutti così entusiasti! Lo erano talmente tanto che l'atmosfera mi coinvolse, quasi non vedevo l'ora di cominciare!
«Niente... solo per... dare un voto a educazione fisica.» mi spiegò una voce flebile alle mie spalle. Mi voltai: era la nostra nuova compagna di classe, nonché Presidentessa del Comitato Studentesco. Ora era tutto più chiaro! «Ho sentito degli studenti che si sono lamentati di non fare abbastanza attività fisica, e... ho pensato di dedicare questa giornata allo sport, dato che ci manca un professore... m-mi dispiace...»
«Oh...» chissà perché era così mortificata. «Non preoccuparti, guardali, sono tutti così contenti!» doveva esserlo anche lei, specialmente se aveva reso possibile la realizzazione delle loro aspettative.
Lei accennò un sorriso, dando uno sguardo alla classe che, divisa in gruppetti, parlava eccitata. Solo Sumire fissava tutti quanti con una strana smorfia. Chissà che aveva. Ultimamente Hotaru mi aveva diffidata dall'avvicinarmi a lei, e negli ultimi mesi non avevamo parlato molto. Mi dispiaceva molto, ma ogni volta che provavo ad avvicinarmi girava la testa dall'altra parte, come se non mi vedesse. Anche Ruka-pyon aveva dovuto convincermi, oltre Hotaru e Natsume, che non ero diventata invisibile, grazie a un nuovo Alice, due settimane prima.
«Smettila di darci peso.» mi disse Hotaru, senza distogliere lo sguardo dal suo quaderno. Mi chiesi come facesse a sapere che stavo guardando proprio Sumire.
«Aspetta che sia lei a parlarti.» mi consigliò Ruka-pyon, sorridendo. Io annuii: aveva ragione, dopotutto. Magari stava passando un periodo non proprio roseo, e io avrei dovuto esserci se lei avesse voluto parlarne con qualcuno.
Mi girai verso Kisaki-chan: era una ragazza che non parlava molto, però a me sembrava davvero simpatica. «Andiamo fuori?» proposi. Lei mi rivolse un debole sorriso in risposta e annuì. «Che cosa faremo?» volli sapere poi, curiosa.
«Beh... in realtà non lo so di preciso. Ho fatto questa proposta ai Presidi e quello delle Elementari ha insistito per... organizzare la cosa.» non mi sentivo molto tranquilla, non sapevo perché. Le sorrisi in risposta.
«Corsa ad ostacoli?» fu Hotaru a parlare. Rivolsi lo sguardo verso il punto che la mia amica stava fissando e mi accorsi che era stata un po' riduttiva. Il cortile della sezione superiori era interamente disseminato di ostacoli. Però non erano semplici ostacoli, ognuno di essi – almeno a quanto avevo capito dalla spiegazione – doveva essere affrontato con il proprio Alice. Deglutii: che cosa avrei mai potuto fare, io?
«Che bello sport.» commentò un altro dei miei compagni di classe, sbuffando. «Pensavo solo a una sana corsa.»
Non sapevo quale delle due cose mi terrorizzasse di più: se una corsa a ostacoli, oppure usare il mio Alice in una situazione del genere. Vedere le due cose unite mi fece solo tremare le gambe, specialmente al pensiero che fosse anche un test. «Hotaru...» cercai il suo sguardo, ma lei era impassibile. «mi aiuterai, vero?»
Lei alzò le spalle, sedendosi a terra. «Non possiamo fare questa corsa.» decretò, e riaprì il quaderno, stavolta per scrivere qualcosa. Io la guardai, in cerca di una spiegazione: perché no?
«Dai,» disse Anna, prendendo Nonoko per un braccio. «proviamoci, sarà divertente!» poi si voltò verso di me e Hotaru. «Venite anche voi?»
Ridacchiai nervosamente. Non sapevo proprio che rispondere. «Ecco, veramente...» l'ipotesi più allettante era scappare a gambe levate, ma non volevo davvero rischiare di correre da sola. Mi imposi di calmarmi: era soltanto una semplice corsa. Riuscii quasi a convincermi. «Arrivo...» e così mi diressi verso di loro.
Il primo ostacolo fu semplice da superare, era l'unico che doveva essere saltato senza altre implicazioni, ma il successivo era tutto un altro paio di maniche. Era una specie di portone, ma non si poteva attraversare né aggirare, altrimenti si allargava, in modo da non permetterci di passare. «Ma che roba è?» sbuffò Nonoko, tirando un calcio a uno dei pannelli che lo sosteneva. «Non è possibile!»
Guardai in direzione di Hotaru, anche se avrebbe potuto fare poco per noi, visto che era troppo lontana perché potessi urlare e non mi sembrava corretto lasciare la pista prima di aver finito la corsa. Lei scuoteva semplicemente la testa. «Mikan, tu non puoi fare niente? In fondo questa cosa è stata fatta dall'Alice di qualcuno, no? Non puoi annullarlo?»
Ci pensai su: in effetti non avevano tutti i torti. Annuii. «Ci posso provare.» in fondo, non costava nulla. Il problema che si pose era: che cosa esattamente dovevo annullare? Il potere alla fonte (e in questo caso sarebbe stato impossibile perché non sapevo dove si trovasse) oppure l'effetto che aveva sul portone? Mi grattai il mento, in cerca di una risposta. Alla fine, decisi di provare ad annullarne gli effetti, se non avesse funzionato, potevamo dichiararci sconfitte e tornare dagli altri. Mi concentrai intensamente sul portone, cercando di percepire il potere da annullare.
«Mikan... va tutto bene?» mi domandarono entrambe. Venni colta da un altro capogiro, com'era successo qualche tempo prima, in camera di Natsume, e caddi a terra, sulle ginocchia. «Mikan!»
Scossi la testa, spaesata. «Credo di...» strizzai gli occhi: vedevo a pallini. «non esserne in grado.»
«Forse dovremmo portarti in infermeria.» propose Anna, preoccupata. Io scossi la testa: adesso stavo bene, mi ero semplicemente impegnata troppo per usare il mio Alice.
«Sei sicura?» volle accertarsi Nonoko. Io mi misi a ridere, e le vidi tranquillizzarsi almeno un po'. Così ritornammo, sconfitte, dai nostri compagni di classe.
«Si può sapere cos'è successo?» la voce inquisitoria di Hotaru arrivò con chiarezza alle mie orecchie.
Sorrisi. «Avevi ragione tu,» spiegai, sedendomi vicino a lei. «non possiamo fare questa corsa. Servirebbero tutti gli Alice della nostra classe insieme.»
«Che razza di scherzi.» commentò Koko, ributtandosi a terra anche lui, dopo che aveva provato a passare l'ostacolo numero due. «A che serve una corsa a cui non possiamo partecipare? Una corsa ad ostacoli per venti persone insieme è impossibile.»
«Infatti.» convenne Anna, scoraggiata. «Il Preside delle Elementari stavolta ha esagerato.» sospirarono.
«Che ne dite di rimettere a posto le cose?» domandai, attirando gli sguardi di tutti su di me. «Almeno faremo qualcosa insieme, se la corsa è fuori discussione.»
«Non è una cattiva idea.» commentò Nonoko, battendo le mani velocemente. «Su, cominciamo!» mi alzai, piena di energia. Questo sì che sarebbe stato divertente!

«Ehi!» spalancai gli occhi, lasciando andare i sostegni del traguardo e arrossendo al ricordo di come ero scappata via dalla stanza, quella mattina. Sembrava piuttosto arrabbiato... che fosse per quello? Mi girai lentamente, e lo trovai affacciato a una finestra del piano terra che dava sul cortile. Sorrisi debolmente. Lui mi fece cenno di avvicinarmi. Più che arrabbiato, sembrava... strano.
«Che succede?» domandai, sfiorandogli il viso con una mano. Lui non rispose, afferrandomi il braccio e attirandomi verso di sé. Appoggiò la fronte sulla mia testa, e sospirò. «Natsume...?»
«Ti devo parlare.» annunciò, con tono funereo. Alzai lo sguardo, senza muovere un muscolo, ma non riuscii a vedere i suoi occhi. «Entra dentro. Non sarà una cosa lunga.» fece un altro respiro profondo, come se stesse disperatamente tentando di darsi una calmata.
«Devo preoccuparmi?» avevo già iniziato a farlo, ancora prima di chiederlo. Lui non rispose, si allontanò e mi indicò solo con un cenno della testa la direzione della porta. Io annuii e mi affrettai a raggiungerlo all'interno dell'edificio. Il cuore mi batteva all'impazzata per la tensione: che fosse successo qualcos'altro? «Allora?»
«Non qui.» disse, prendendomi un polso e cominciando a trascinarmi su di una rampa di scale. Cominciò a stringere sempre di più a ogni passo che facevamo.
«Natsume...» lo chiamai. Tentavo di sottrarrmi alla sua stretta di ferro. «mi fai male.» lui allentò immediatamente la presa e quando arrivammo davanti alla porta del tetto mi lasciò andare.
«Scusa...» mormorò, appoggiandosi alla ringhiera delle scale, con le mani in tasca. Sembrava alquanto seccato. Sbuffò, gettando indietro la testa. «Sono stato convocato dal Preside delle Elementari, stamattina. Sono uscito giusto cinque minuti fa.»
Rabbrividii. «E... che... che ti ha detto?» lo incitai a continuare, dopo qualche secondo di silenzio.
Lui spostò di nuovo la testa, per guardarmi. «La data del diploma è stata spostata.» annunciò. Mi appoggiai al muro, pregando di non cadere. Fino a trenta secondi prima, ero sicura che mancasse ancora un mese e mezzo alla cerimonia.
«Q-quando?» mi sedetti, cercando di calmarmi. Forse era questo che stava cercando di dirmi il mio subconscio, con quel sogno assurdo.
«Tra due settimane.» fu la sua lapidaria risposta. Spalancai gli occhi, incredula. Due settimane? Non mi sarei neanche accorta che sarebbero passate! Appoggiai la testa a una mano, in preda a un capogiro: le cose non facevano altro che peggiorare, nonostante noi due avessimo cercato il più possibile di non parlarne e di non pensarci.
«M-ma...» tentai, inutilmente. «perché?» non era possibile che se ne dovesse andare anche prima del previsto. Mi strinsi le mani al petto: che cosa avrei dovuto fare?
Lui alzò le spalle, facendo una smorfia. Aveva spostato la data del diploma senza un motivo? Non riuscivo a capire! Alzai lo sguardo su di lui, in attesa che dicesse qualcos'altro, che fosse uno scherzo, o qualcosa del genere. «Penso di non aver appiccato fuoco allo studio solo perché c'ero dentro.» sbuffò, stringendo con forza la ringhiera. Scivolai a terra, senza più forze. Deglutii, cercando di recuperare la calma: dovevo dire qualcosa, credevo avesse bisogno che io lo facessi, solo che avevo la mente completamente svuotata. «Non so...» continuò, con una smorfia. «nemmeno come arrivarci. Due settimane non sono sufficienti per il lavoro che ho da fare. Ciliegina sulla torta, se supero l'esame sarà difficile, ma se non lo supero ci saranno grossi problemi. È una cosa davvero semplice.»
Non capivo quasi niente di quello che stava dicendo, di problemi e cose varie. Ebbi paura che stesse delirando. «Non fare così.» lo pregai, alzandomi, per prendergli le mani che agitava in modo preoccupante.
«Mi dispiace.» mormorò, abbracciandomi. Chiusi gli occhi, per evitare di piangere: non si poteva proprio fare niente per evitarlo?

Due settimane dopo, capii che era davvero così che sarebbe andata. Ero seduta sul letto, sotto le coperte, mentre mi abbracciavo le ginocchia, riflettendo su cosa avrei potuto fare per rendere speciale il suo ultimo giorno in Accademia. Mi si accelerò il battito cardiaco al pensiero che fosse seriamente l'ultimo. I risultati degli esami erano usciti due giorni prima, e lui era il primo della lista, come al solito. Il risultato migliore. In un'altra occasione sarei stata di sicuro più contenta. Mi girai su un fianco: erano le sette e mezzo, e la consegna ufficiale dei diplomi era prevista per le nove. Avrei dovuto alzarmi e prepararmi, ma proprio non riuscivo a mettere un piede fuori dal materasso. Se il tempo si fosse fermato, sarebbe stato un sollievo.
Ero stata io a proporre di dormire ognuno nella propria stanza, almeno per quella notte, ma il non trovarlo lì dove mi aspettavo che fosse, appena sveglia, mi fece provare un po' di sconforto. Mi ributtai con la testa sul cuscino, fissando quello di lato al mio, che avevamo deciso di mettere se avessimo dovuto fermarci in camera mia. Sarebbe sempre stato così, da quel giorno in avanti, e non riuscivo a capacitarmene. Per il momento, sapevo solo che se avessi aperto la porta e deciso di andare nel dormitorio maschile l'avrei visto, ma dopo? Non sapevo davvero cos'avrei fatto.
«Che combini?» una voce mi arrivò dalla direzione della finestra e scattai a sedere, spaventata. Natsume era seduto sul davanzale, con un braccio appoggiato su un ginocchio e l'altra gamba che gli pendeva dentro la stanza. Rimasi a fissarlo per un po', quasi come un miraggio. Lo vidi rivolgermi uno sguardo stupito, come se fossi una mucca su una mongolfiera a pois. «Volevi dormire in camere diverse perché avevi paura che ti prendessi in giro per il pigiama, non è vero?»
«Eh?» domandai, spiazzata, fissandomi il pigiama. Era largo, come piacevano a me ed era rosa, con disegnati sopra dei maialini fucsia con le ali che, tra le zampe, avevano delle cetre azzurre, ed erano tutti circondati da stelline. Io lo trovavo veramente carino. «Perché dovresti prendermi in giro?»
«Ehm...» si morse il labbro inferiore, per un attimo mi sembrò senza parole. «giusto... perché mai?» alzò le spalle e si sedette sul letto, vicino a me. Lo guardai meglio: da quel che sapevo io, la consegna dei diplomi doveva essere fatta in un certo modo, che comprendeva vestirsi diversamente dal solito, ma lui aveva la solita divisa. Mi lanciò uno sguardo strano, come se volesse farmi una domanda che io avrei dovuto capire. Non ero mai stata brava nelle conversazioni non verbali, ma sembrava che nessuno dei due volesse rompere il silenzio che si era creato. Sapevo che portare il discorso a galla avrebbe semplicemente gettato una patina di malumore su entrambi, e così volevo evitare il discorso, benché ci pensassi più spesso di quanto avrei dovuto. Dopo che mi aveva detto che la data era stata spostata, avevamo stipulato un tacito accordo di non parlarne mai, un po' come prima, solo con la pressante consapevolezza che sarebbe finito tutto entro tempi molto più brevi.
Lui si limitava a fissarmi e dovevo ammettere che la cosa mi metteva in soggezione: era come se aspettasse che fossi io a fare qualcosa, ma cosa avrei dovuto fare? Lo vidi trattenersi dallo scoppiare a ridere e risposi con un'espressione sconvolta.
«Scusa, è che...» scosse la testa, non distogliendo lo sguardo da me. «è ridicolo quel coso che hai addosso!» all'inizio non seppi bene che dire: la sua frase mi aveva colto del tutto alla sprovvista. Io mi preoccupavo, mentre lui pensava al mio pigiama. Trattenni un sospiro sconsolato.
Mi coprii i miei piccolini con le braccia: chi non li apprezzava, non avrebbe dovuto fissarli. «Cos'hai contro i miei maialini?» volli sapere, accusatoria.
«Perché, sono maiali?» chiese, stupito. Abbassai di nuovo lo sguardo, per vedere se si capisse o meno a una prima occhiata se quelli fossero dei teneri maialini o qualcosa di diverso. Ma non riuscii proprio a immaginare nient'altro. Annuii. «Ah.» fu il suo commento.
Mi buttai di nuovo sul letto, mentre l'orologio segnava impietosamente le otto di mattina. Non sapevo bene cos'altro dire. Era davvero troppo tardi perché continuassimo a ignorare la situazione. Improvvisamente una domanda interruppe i miei pensieri. «Che ci fai qui?»
Borbottò qualcosa, prima di tornare a fissarmi col suo solito sguardo deciso. «Niente.» disse, mentre io sorridevo. Per tutta risposta, sbuffò. «Credevo che ce l'avessi con me.»
«E perché?» non credevo di aver mai dato quest'impressione, anche perché non era affatto così. Forse era perché gli avevo chiesto di dormire in stanze separate? Era semplicemente perché volevo evitarmi di vederlo uscire dalla stanza un po' prima di me, sapendo a cosa andavamo incontro. Sarebbe stato più semplice vederci alla cerimonia.
«Lascia perdere!» sbottò, infastidito e forse anche imbarazzato. «È così?» scossi la testa, e lo vidi tranquillizzarsi un po'. Gli presi una ciocca di capelli e la tirai: lui lo faceva sempre con me, pensavo che fosse per allentare la tensione. Tutto stava nel provare. «Che... ahia.» brontolò, tirandosi indietro. Sorrisi, avvicinandomi ancora. Mi afferrò la mano, e la strinse. «Sono qui anche per un'altra cosa.» non sapevo proprio che altro potesse spingerlo a venire qui. «Mi hanno detto che ti sei sentita male un'altra volta. Si può sapere che ti prende?»
Abbassai lo sguardo. «Non lo so.» ammisi, sospirando. «Ogni tanto mi gira la testa e mi sento debole, tutto qui... non c'è niente di cui preoccuparsi.» lo sguardo che mi stava rivolgendo mi diceva a chiare lettere che lui non la pensava così.
«Perché diamine non me ne hai parlato? Dovresti andare in ospedale a farti visitare.» insistette. Lo fissai negli occhi, colpita da tutta quella preoccupazione.
«Non te ne ho parlato perché mi è completamente passato di mente.» confessai, con un po' di imbarazzo. «Con tutto quello che sta succedendo in questi giorni! Sono solo... disorientata. Tu te ne vai e non so cosa fare! Ed è... tutto così... complicato. Fisicamente, sto bene.» per il resto era diverso. «Mi dispiace... non volevo farti agit...»
«Se finisci la frase, non so come potrei reagire.» mi avvertì, con tono serio. «Smettila di chiedermi scusa!» fu un sussurro a cui non riuscii a replicare perché mi baciò, molto delicatamente. Si allontanò dopo qualche istante, ma non trovai la forza per cambiare posizione. «Dovresti cambiarti.» sussurrò a una distanza minima. Assentii con un mugolio, senza muovermi o distogliere lo sguardo da lui, che fece lo stesso. Avrei potuto avvicinarmi e ci saremmo baciati di nuovo, ma fu lui a farlo e mi ritrovai ad abbracciarlo in modo che fossimo il più uniti possibile. Il respiro mi si era mozzato in gola e il mio stomaco aveva fatto un balzo di qualche metro. Mi allontanai per riprendere fiato. Gettai uno sguardo all'ora: otto e mezzo. Rimasi a fissarlo per un po', abbracciata a lui.
«Forse hai ragione.» concordai, non troppo convinta. «È tardi...»
Mi baciò una tempia e si alzò. La sensazione di vuoto che lasciò il suo movimento era indescrivibile. «Bene,» disse, lasciando andare la mia mano. «allora vado anch'io. Devo mettermi quella cosa ridicola. Solo...» distolse lo sguardo per un momento. «non farmi foto. È imbarazzante.»
Cercai di non mostrarmi troppo delusa. «D'accordo.» acconsentii, facendo un sorriso tirato. Uscì da dov'era venuto. Sinceramente, mi chiedevo ancora come riuscisse a saltare come un grillo dal secondo piano senza rompersi l'osso del collo.

Poco più di mezz'ora dopo, io e gli altri miei compagni di classe eravamo nel cortile. Avevano insistito per esserci, e il fatto che anche Hotaru fosse lì mi aveva commossa. Pensavo che avesse troppo da fare nelle preparazioni per l'Alice Festival, e invece eccola lì.
«Hotaru!» la chiamai, gettandomi tra le sue braccia. Lei mi diede una pacca sulla spalla e poi mi allontanò da sé. La guardai stupita: nessuna arma strana dal nome strano era sbucata fuori dal nulla. Mi trascinarono, ancora traumatizzata, verso le prime sedie libere e le occupammo.
«Ehi, Mikan...» mi chiamarono Anna e Nonoko, con espressione preoccupata. «come ti senti?» non sapevo bene come rispondere a quella domanda.
«Beh... sono un po'...» mi grattai la testa, a disagio. «stordita.» forse non era la parola esatta, ma almeno era una delle tante cose che mi sentivo.
«Dovresti rendergli quest'ultimo giorno in Accademia indimenticabile.» mi suggerì Anna, con convinzione. Ci ragionai su, seriamente, ma in che modo? Prima di tutto, pensai a cosa avrei voluto io: una bella festa. Il sorriso mi nacque spontaneo sulle labbra: ecco cosa dovevo fare! Quella era la soluzione. Era talmente ovvio che quasi non riuscivo a crederci!
«Ci sono!» esclamai, spiegando a tutti la mia idea. Si guardarono tutti per un po' di tempo, lasciandomi fuori da quella taciturna discussione. «Quindi...?»
«Sei... sei sicura?» domandò Ruka-pyon, dubbioso. «Insomma... Natsume non è proprio il festaiolo per eccellenza e...» si bloccò, in cerca delle parole da usare. «l'altra volta non mi è sembrato particolarmente felice che... fossimo in camera sua. Per il tuo compleanno, ricordi?»
Ricordavo che mi aveva detto qualcosa a riguardo, ma in questo momento non mi sovveniva cosa. «Andiamo,» tentai, congiungendo le mani in segno di preghiera. «per favore! È il suo ultimo giorno, possiamo permetterci uno strappo alla regola...»
Ruka-pyon però non abbandonava la sua espressione dubbiosa. «Spero che tu abbia ragione.» non avevo idea di come Natsume si fosse mostrato a lui per terrorizzarlo così tanto alla sola idea di vederlo irritato. In effetti, credevo di averlo visto arrabbiato raramente, nei miei confronti perlomeno, e tutto prima di stare insieme ufficialmente.
«Vedrai,» cercai di rassicurarlo, con una pacca sulla spalla. «andrà tutto bene.» lui annuì, e sperai di averlo convinto. Mi guardai intorno: c'era un sacco di gente. Ridacchiai, alla fine tutta la scuola era sempre riunita nel cortile, per un motivo o per un altro.
«Guardate!» gridò Koko, indicando il palco. «Arrivano i Presidi! Sta per cominciare!» trattenni il fiato, cercando di scorgere Natsume, ma non vidi nulla, per via della calca che si era formata davanti a noi. «Avremmo dovuto fare più in fretta.» notò Hotaru, a braccia conserte, con espressione annoiata. «Di questo passo non vedremo niente.» perfino il discorso al microfono ci arrivò del tutto ovattato. Hotaru mi disse solo che aveva detto tanti bei paroloni sulla vita che avremmo condotto una volta fuori dall'Accademia e qualcos'altro sulla nostra indiscutibile superiorità rispetto al genere umano. Per fortuna non si sentiva, sembrava molto inquietante. «Tutto qui.» concluse, riponendo il suo microfono e le sue cuffie.
«Ah...» commentai, spiazzata. Sedetti con le ginocchia sulla sedia, giusto per guardare sopra le teste degli altri studenti. Vedevo solo che i ragazzi della classe di Natsume erano stati fatti salire sul palco. C'era anche lui, ma avevo il dubbio che non sarebbe riuscito a vedermi neanche se avessi sbracciato al massimo delle mie possibilità.
Il Preside delle superiori si alzò, mentre Kisaki-chan portava i diplomi in braccio, accanto a lui. Ne prendeva uno e chiamava il nome del candidato, a cui poi stringeva la mano e consegnava l'enorme foglio. Quando fu il turno di Natsume, vidi che si guadagnò anche una pacca sulla spalla, in risposta a un sorriso tirato. Mi fiondai giù dalla sedia, correndo verso il lato della fila: scendendo dalle scale mi avrebbe sicuramente vista. Inciampai in qualche gamba, ma alla fine arrivai a destinazione. Mi voltai per vedere da dove stesse arrivando, ma non vidi assolutamente niente.
«Guardi sempre dalla parte sbagliata, Mutande-a-Pallini.» commentò lui, e mi girai di nuovo per guardarlo. Lanciò il suo diploma già arrotolato a Ruka, che tentò di non farlo cadere a terra, e mi abbracciò. Sorrisi, appoggiando la testa alla sua spalla, con gli occhi socchiusi. «Divertente che tu le abbia messe davvero.»
Mi allontanai da lui, in imbarazzo. «E dai...» arrossii e cercai di tenerlo lontano stendendo le braccia. Lui mi rivolse un sorriso furbo, facendo schioccare la lingua. Cercai di lanciargli uno sguardo risentito, ma non funzionò, soprattutto perché non ce l'avevo affatto con lui. Lo vidi reprimere un ghigno e lo guardai, aspettando che si spiegasse.
«Aspetta qui.» mi raccomandò, sparendo tra la folla, sentendolo solo chiamare qualcuno. Decisi di non girarmi, perché forse me lo sarei ritrovato di nuovo alle spalle. Mi pizzicò un braccio qualche secondo dopo, mettendomi qualcosa in testa. «Te lo dico adesso, così puoi metterti l'anima in pace. Questa sarà l'unica foto che farò oggi.» alzai gli occhi su quello che avevo in testa, ma non riuscii a vedere. Lo presi in mano e scoprii che era un cappello uguale al suo. Rimasi completamente di sasso: era l'ultima cosa che mi sarei aspettata che facesse. Non ebbi neanche la forza di ringraziarlo, o di dire la prima stupidaggine che mi fosse venuta in mente. Ero ammutolita. Lo senti sbuffare, e mi prese la macchina fotografica dalla tasca: sapeva che la tenevo lì. «Prendi!» la lanciò a Ruka-pyon che per non far cadere a terra né la macchina né il diploma, stava per sbilanciarsi pericolosamente.
«Devo farvi una foto?» domandò lui, dubbioso. Effettivamente, tutti sapevamo bene quanto Natsume preferisse fare qualunque altra cosa piuttosto che farsi fotografare. Non sapevo perché di questa repulsione, io trovavo che le foto fossero il mezzo perfetto per immortalare dei bei momenti. Anche se questo non portava ad eventi piacevoli, era pur sempre il suo diploma, e doveva essere ricordato. Mi passò un braccio intorno alle spalle e mi attirò a sé. Sorrisi, rimanendo a fissarlo, mentre Ruka-pyon scattava la foto. Sapevo bene cosa dovevo fare, adesso, col portafotografie che avevo dimenticato di lasciare dal nonno.

«Cosa significa questo?» domandò, staccando un pezzo di striscione dal muro, con uno sguardo pericolosamente arrabbiato. Deglutii, accennando un sorriso. Come spiegarglielo? L'avevo trattenuto fuori per gran parte del pomeriggio in modo che i nostri compagni avessero tempo di addobbare la stanza per la festa. Avevo preferito che fosse una sorpresa, sarebbe stato più d'effetto. Anche se... non era esattamente quello che mi ero immaginata.
«Ehm... volevamo...» balbettai, lui aveva tutta l'aria di voler sentire la spiegazione. «fare... qualcosa di speciale, ecco!» abbassai lo sguardo, sulle mie mani, che stavo stringendo convulsamente tra loro. «Siccome è... l'ul-ultimo giorno...»
Lo vidi fare un respiro profondo. Ebbi paura che fosse un brutto segno. «Una festa.» non era una domanda, ma una semplice affermazione. Io annuii, non sapendo come altro comportarmi. Chiuse gli occhi, come se quella fosse stata la più brutta notizia della Terra e io avessi dovuto smentirla. Non credevo che fosse così male avere una festa tutta per sé come saluto. «Stai scherzando.» neanche questa era una domanda.
«Perché mai dovrei scherzare?» sbuffai, quasi offesa. Credeva che avessi fatto fare tutto quel lavoro ai nostri compagni per dirgli che era una burla? «Credevo che fosse il modo migliore per salutare gli altri, tutto qui!» assunsi un'aria colpevole: forse, prima, avrei dovuto chiedergli cosa preferiva lui. «Mi...»
«D'accordo.» rimasi spiazzata dal cambio di comportamento. «Dove sono gli invitati?»
Sorrisi a trentadue denti, cominciando a battere le mani per la contentezza. «Sono qui ovviamente!» trillai, e subito dopo gli altri sbucarono da dietro le poltrone, le tende, dal bagno e da sotto il letto. Natsume aveva un'espressione indescrivibile sul volto, credevo che fosse... sorpreso, ma era strano.
«C'è qualcun altro nascosto nell'armadio per caso?» mi girai verso di lui, che aveva un tono piuttosto irritato. Koko alzò le spalle, guardandosi intorno.
«Tanto è vuoto.» si giustificò, con tono leggero. «Non vi andrebbe di mangiare?» Natsume si sedette sul divano, appoggiandosi allo schienale, quasi rassegnato. L'occhiata che rivolse ad ognuno di loro non indicava niente di buono.
«Già!» intervenni, per cercare di salvare l'atmosfera. «Mi sembra un'ottima idea.» loro sorrisero e scoprirono tutte le prelibatezze che Anna aveva portato su dalle cucine e che ora si trovavano su quella che era stata la scrivania di Natsume.
«Allora,» intervenne Kitsuneme, solenne. «dovresti fare un discorso di addio a questo punto.» si rivolse a Natsume, con tono estremamente serio. Lui inarcò semplicemente entrambe le sopracciglia, scettico, tenendo un bicchiere in mano. «D'accordo, allora, lo farò io!» venne a sedersi vicino a me e dopo avermi rivolto una lunga occhiata accusatoria, rivolse l'attenzione al nostro amico. Accennai un sorriso nervoso. «Dunque: ci conosciamo dai tempi delle elementari, e perciò è molto difficile fare questo discorso.» mi misi ad ascoltare con attenzione: sembrava davvero che lo stesse dicendo con sentimento. «Ma... ovviamente è giunto il momento di salutarsi, e so che è molto... strano. Insomma, io credevo che saremmo rimasti insieme fino alla fine, che ci saremmo diplomati tutti insieme,» sorrisi tristemente, perché lo credevo anch'io. «ma poi... beh, le cose sono cambiate e... anche se ci dispiace, oggi ci troviamo qui per...» elencò i motivi per cui tutti quanti ci eravamo sentiti uniti per tutti questi anni, e riportò alla memoria anche episodi abbastanza divertenti che avevamo vissuto insieme. Era davvero un discorso commovente, o almeno io stavo per scoppiare a piangere. Continuò per un sacco di tempo, a partire addirittura da prima che io entrassi in Accademia, fino ad arrivare ad avvenimenti recenti. «Come non dimenticare quella volta che Jinno si è arrabbiato con Mikan per aver dato fuoco alla sua classe? È stata una liberazione sapere che non dovevamo più beccarci le esercitazioni pomeridiane, e poi...»
«Quanto durerà ancora?» mi chiese in un bisbiglio, quasi esasperato, Natsume. Effettivamente, tutti quanti si erano quasi addormentati. Sumire, sbadigliando, gli tirò un cuscino.
«E finiscila!» ringhiò, stizzita. «Abbiamo capito: ti dispiace.» Kitsuneme la guardò quasi con risentimento.
«Era il discorso più bello e lungo della mia vita!» obiettò, ferito nell'orgoglio. La sentii borbottare qualcosa riguardo alla pesantezza delle proprie palpebre, ma non riuscii a sentire altro.
Koko si alzò, schiarendosi la voce. «Vorrei farti presente che...» tirò fuori dalla tasca un pezzo di carta dalla tasca. «questa l'abbiamo scritta tutti insieme, perciò... beh, solo... non avercela solo con me, okay?» «Ci proverò.» assicurò Natsume, senza particolare entusiasmo.
Si schiarì di nuovo la voce e prese un respiro profondo. «Ed è qui il nostro Natsume,
che serve alla nostra classe come il tuorlo all'albume.
Oggi stai per salutarci,
ma non siamo qui per disperarci,
divertirci noi vogliamo,
e ai ricordi ci appigliamo.
E ora che siamo qui, il cuore salta in diagonale
e precipita nel sale.
Crederci è impossibile
infatti già sembra incredibile,
quasi come un cammello che apre la finestra
e aggiusta una balestra.
E guardando un pulcino nudo,
qui mi fermo, passo e chiudo.
» in effetti, Piopio era uno degli invitati, ma dalla finestra si poteva vedere solo un occhio e il becco. Koko fece un inchino profondo e si rimise a sedere. Guardavo i miei compagni di classe ridere a crepapelle. Natsume era rimasto fermo tutto il tempo, immaginai che fosse perché non voleva esternare le proprie emozioni davanti agli altri. Ma era comunque inutile, dal momento che Koko leggeva nel pensiero. Perché non si lasciava andare un po'?
«C'è un altro regalo.» sussurrò Nonoko, imbarazzata, stendendo le braccia e rivelando un contenitore rotondo pieno di strane caramelle. Ricordavo che l'ultima volta che avevo visto qualcosa di simile era stato il giorno di San Valentino. Rabbrividii. Anche lui sembrava piuttosto intimidito. «Sta' tranquillo. Sono solo caramelle.» si affrettò a spiegare. «Sono di vari tipi, per avere più memoria, meno bisogno di dormire, alcune servono a fare bei sogni, altre a ricordare meglio eventi passati, mentre ce ne sono anche alcune che ti fanno addormentare all'istante. Non so se possano esserti utili ma è tutto ciò che ho potuto fare.» intanto che spiegava gli indicò i colori per ogni caramella. Io avevo già dimenticato tutto, ma ero sicura che Natsume si ricordasse ogni mossa alla perfezione.
«Ehm...» prese le caramelle, indeciso. «grazie.»
Strinsi il portafotografie che avevo incartato. «Adesso il mio.» dissi, porgendoglielo. Lui mi guardò curioso, come se non si fosse aspettato niente. Era una cosa che mi aveva suggerito Hotaru qualche giorno prima: mi aveva detto che potevo tenermi in contatto con lui, in questo modo, anche se potevo dimenticarmi di poter ricevere una risposta. Non importava, l'essenziale era potergli far sapere cosa succedeva e avere la sensazione che potesse sempre sapere dov'ero e che cosa stavo facendo. Lo scartò e rimase sorpreso. Mi limitai a sorridergli, avrebbe capito tra qualche giorno a cosa servisse.
Dopo di me toccò agli altri, che gli regalarono (oltre al foglio con la poesia), delle foto della classe e delle candele. «In caso non riuscissi a trovare una casa e ti servisse un po' di luce.» disse Koko, con un sorriso. Poi fu il turno di Sumire, che gli porse un pacco incartato.
«Potrebbe servirti per portarti dietro ciò che ti serve.» disse, senza guardarlo. Lui lo scartò e si ritrovò con in mano una borsa nera molto capiente.
Si era alzato Ruka dopo di lei. Sembrava proprio scosso. «Ecco...» iniziò, deglutendo. «questi sono i volumi più recenti dei manga che stai leggendo. Li ho avuti in anteprima per posta dalla mamma, lei si è messa in contatto coi disegnatori.» glieli porse. «Tanto lo so che... tu te ne saresti dimenticato, quindi...» si trattenne, e rimasi colpita dal fatto che stesse per piangere. «Beh, stai bene, amico.» si abbracciarono e dovetti impegnarmi a fondo per non seguire Ruka a ruota. «Io vado.» disse, asciugandosi una guancia, per poi salutarci tutti con un cenno della testa. Uscì dalla porta che fece un tonfo sordo, nel silenzio che si era creato.

Quando tutti uscirono dalla stanza, li salutai sulla soglia e chiusi la porta, esausta. Mi appoggiai con la schiena ad essa, sospirando; scivolai a terra, raggomitolandomi su me stessa, tentando di rilassarmi almeno un po'. Natsume non era stato molto partecipativo, anche se erano venuti tutti quanti per salutarlo. Mandai giù della saliva per evitare di sentire la gola secca, ma non servì a molto. «Non eravamo rimasti...» iniziò lui, con voce scocciata. Io alzai lo sguardo. Era steso sul letto e guardava il soffitto. «che non avremmo più fatto feste in camera mia e senza il mio permesso?» si tirò su a sedere e mi guardò davvero male, doveva essersela presa molto, benché la festa fosse stata poco rumorosa e non troppo lunga.
Risi nervosamente, grattandomi la testa, in tremendo imbarazzo. «Scusa...» abbassai lo sguardo, sentendomi davvero in colpa. «volevo davvero fare qualcosa, prima che...» mi sforzai di trattenere le lacrime. Avevo promesso. «che... tu...» non continuai la frase, e lo sentii sbuffare. Ora che si era diplomato, non sapevo che cosa avrebbe dovuto fare. Alzai di nuovo gli occhi, improvvisamente colta da una fitta allo stomaco. «Quando...?» mi accorsi solo in quell'istante di quanto la domanda stesse premendo sulle mie labbra per uscire e, nonostante questo, non riuscivo a concluderla, quasi questo avesse evitato la sua partenza. Ma era lo stesso quasi come se mi fossi tolta un grosso peso di dosso. In un certo senso, avevo sempre avuto paura di ricevere una risposta, e ne avevo ancora, ma il bisogno di sapere l'aveva sopraffatta.
Lui non fece neanche finta di non capire. «Non lo so... di preciso.» sperai tanto che non mi stesse mentendo di nuovo. Non avrei sopportato di non poterlo salutare. «Domani mattina molto presto, credo.» spalancai gli occhi, mentre sentivo che i miei buoni propositi erano sul punto di crollare e cominciavo a tremare.
«C-così presto?» balbettai, mentre ancora tentavo di trattenere le lacrime. Lo fissai negli occhi e per la prima volta mi resi realmente conto che non poteva fare niente per restare, che sarebbe andato via davvero, e che forse,, dovevamo usare quel preciso istante per dirci addio. Prima di quel giorno era sempre stata quasi un'ipotesi impalpabile, qualcosa che ancora era troppo lontano per potersene preoccupare davvero: ero convinta che Natsume avrebbe trovato una soluzione, esattamente come aveva sempre fatto. Non era più così, non questa volta. Non riuscii a trattenere un singhiozzo e quella fu, probabilmente, l'ultima goccia. Le lacrime cominciarono a annebbiarmi la vista, senza che potessi neanche pensare di opporre resistenza, contrariamente a tutti i miei tentativi di non peggiorare ulteriormente le cose.
Sentii il rumore delle molle del letto, e i suoi passi che si avvicinavano. Istintivamente mi chiusi ancora di più su me stessa, stringendo le ginocchia al petto più che potevo. Mi passò una mano tra i capelli, sospirando, mentre i nastri che lui stesso mi aveva regalato scivolavano a terra, senza far altro rumore che un delicato fruscio. Non volevo che finisse in questo modo, perché non riuscivo a smettere di piangere?
Si sedette di fronte a me, senza smettere di accarezzarmi i capelli. «Mikan...» mi chiamò, con dolcezza. Strinsi più forte le mie ginocchia: non volevo guardarlo.
«Non dirmi addio.» lo pregai, con la voce impastata dal pianto, rendendomi subito conto di quanto egoistico suonasse. Mi sentii subito molto peggio. Sapevo perfettamente che non dipendeva da lui, e sicuramente le mie parole e il vedermi in quello stato lo stavano facendo sentire più male di quanto potessi solo immaginare. Sentii la sua presa farsi più stretta, ma non disse una parola. Poi, senza preavviso, un'altra domanda mi attanagliò lo stomaco: qualcosa a cui non avevo mai pensato prima. «E se tu non potessi venire al mio diploma?» questa, probabilmente, era quella che pesava più delle altre. Potevo sopportare, forse, di guardarlo andare via. Ma non avere più la possibilità di vederlo per i successivi due anni era impensabile. Alzai lo sguardo, scioccata e per un attimo la luce della stanza mi fece girare la testa.
Si morse il labbro inferiore e appoggiò la fronte alla mia, chiudendo gli occhi, le sue mani ancora tra i miei capelli. Avrei tanto voluto che avesse qualcosa da dire. Il cuore mi batteva all'impazzata per l'attesa e per il terrore di ricevere una risposta che non avrei voluto mai sentire. Strinsi con forza le maniche della sua camicia, come se avessi voluto assicurarmi che, in quel modo, non sarebbe andato proprio da nessuna parte. Mi attirò verso di sé, abbracciandomi, con un gesto che mi parve veramente molto lento. Appoggiai la testa sulla sua spalla, mentre il rumore del mio cuore che batteva, nel silenzio della stanza, mi rimbombava nelle orecchie.
Chiusi gli occhi, prendendo un bel respiro a scatti, dato che il naso era completamente tappato. Natsume mi baciò la tempia, e il suo gesto trasudava una calma del tutto innaturale, tanto che ebbe l'effetto opposto. Tutto quel silenzio, quella tranquillità, quei gesti lenti, erano del tutto fuori dal normale e tutto ciò mi metteva addosso un'agitazione pazzesca. Tutto quanto stava per finire: questa era l'unica cosa che ero in grado di pensare.
«Io... io non...» stavo per dirgli che non riuscivo a sopportare tutto questo, di pregarlo di dire qualcosa. Tutto quel silenzio mi faceva quasi impazzire, volevo soltanto che parlasse, non mi importava di cosa. Invece, mi posò due dita sulle labbra, bloccandomi all'istante, e mi offrì semplicemente un mezzo sorriso. Mi scostai un po', del tutto spiazzata, e cercai di riprendere a parlare, ma nel momento in cui stavo per aprire di nuovo la bocca per farlo, Natsume mi zittì con un bacio. La sua lingua scorreva con lentezza esasperante sulle mie labbra e, poi, nello stesso modo toccava la mia, senza fretta, come se avesse voluto far durare tutto quanto per molto tempo.
Quando si allontanò da me, sussurrò di nuovo il mio nome, ma gli impedii di continuare. Era del tutto irrazionale, perché se prima avevo desiderato che parlasse, adesso volevo l'esatto opposto. Impegnai di nuovo le sue labbra con le mie, con la febbrile urgenza di non lasciar andare la sua camicia per nessuna ragione. La sua stretta era più forte delle altre volte, ma non così tanto da farmi male, non c'era nessuna fretta o urgenza nei suoi gesti, del tutto controllati, o forse era soltanto il modo in cui lo percepivo io. Mi sembrava che ogni cosa durasse un'eternità, e non mi dava più la sensazione che fosse sbagliato, come poco prima, era quasi come se tutta quella calma mi avesse contagiata all'improvviso.
Mi prese le mani e si tirò su e poi mi attirò di nuovo a sé, senza il minimo sforzo, stringendomi un braccio intorno alla vita. Le nostre labbra si incontrarono di nuovo, per pochissimi secondi. Dopo che ci separammo mi rivolse un altro sorrisetto, a cui, questa volta, non potei evitare di rispondere. Si morse il labbro inferiore, senza smettere di sorridere, e per un attimo rimasi imbambolata a fissare i suoi occhi, fino a che non aggrottò le sopracciglia, e io arrossii. Scosse la testa, divertito, forse, e si avvicinò, di nuovo, mettendomi una mano dietro la schiena. Rabbrividii, sollevando la testa per baciarlo. Si staccò poco dopo, mentre io mi sporgevo ancora verso di lui, che aveva, evidentemente, diverse intenzioni. Si abbassò sul mio collo, lentamente, e a ogni bacio che vi posava, stringevo di più la sua mano. Un sospiro mi sfuggì dalle labbra e arrossii di nuovo, cercando di allontanarmi da lui. Mi sentivo troppo a disagio quando succedevano cose del genere, e sentirlo sorridere mi fece sentire ancora peggio.
«Aspetta qui.» era un sussurro appena udibile, come se non volesse farsi sentire. Si allontanò verso un punto alle mie spalle e poco dopo si spensero le luci: fu allora che mi ricordai di quando gli avevo chiesto di farlo, più o meno due mesi prima. Mi portai una mano alle labbra per non singhiozzare di nuovo.
Tremai quando mi prese una mano, e tirai su col naso. Mi abbracciò stretta, baciandomi una tempia. Chissà quanto doveva essere difficile per lui, tutto questo. Allontanai la testa dalla sua spalla, e lo guardai. Soltanto la luce della luna, ora, illuminava la stanza. Avrei voluto dire qualcosa, ma non riuscivo a parlare. Natsume strinse la presa, abbassando la testa sulla mia spalla. Appoggiai la fronte sulla sua, prendendo un bel respiro. Doveva essere davvero turbato per non dire niente che mi avrebbe messa in imbarazzo, neanche adesso. Sembrava quasi che gli piacesse dire qualcosa di imbarazzante per poi dire cose come “Non è vero” oppure “Scherzavo, scema”. E mi accorsi che anche se a volte preferivo che la smettesse, mancava anche quello. Come odiavo il mio soprannome Mutande-a-Pallini, difficilmente avrei potuto – e voluto – farne a meno. Gli presi il viso tra le mani, e lo baciai. All'inizio lui parve un po' sorpreso, ma mi strinse un braccio intorno ai fianchi e mi sollevò il viso con l'altra mano.
Quando ci separammo, il suo respiro sul collo mi fece rabbrividire. Seppi che se n'era accorto dalla leggera risatina che ruppe il silenzio della stanza. Mi baciò di nuovo delicatamente, per poi prendermi una mano e condurmi gentilmente verso il letto, su cui mi sedetti. Si accucciò davanti a me, senza lasciar andare la presa sulla mano. Era quasi come se stesse succedendo tutto in un sogno, come se fosse stato tutto avvolto in una bolla di sapone. Non sentivo più alcun rumore, soltanto una sensazione di eccitazione alla bocca dello stomaco.
Lui mi scostò la frangia dagli occhi, per poi scendere ad accarezzarmi una guancia, procurandomi dei brividi lungo la spina dorsale, ogni suo gesto era impregnato di una dolcezza tale che mi fece stringere il cuore. Era la stessa che vidi riflessa nel suo sguardo, quando si sollevò un po' per arrivare alla stessa altezza dei miei occhi. Non mi aveva mai guardata in quel modo disarmante: questo era, molto probabilmente, l'ultimo momento che avremmo passato insieme. Mi vennero di nuovo le lacrime agli occhi e una fitta al petto mi impedì di respirare. Gli presi il viso tra le mani, sentendo le lacrime che mi bagnavano la gonna della divisa, in goccioline poco distanti tra loro.
«Non piangere.» mi sussurrò, prima di baciarmi ancora. Lo attirai verso di me, accarezzandogli i capelli. Si scostò lentamente, e cercai di riprendere fiato. Mentre muovevo il braccio per avvicinarlo di nuovo, sfiorò il mio collo con due dita, prima di tornarci di nuovo con le labbra. Stavolta, i suoi baci erano meno lenti di prima e mi fecero sembrare che la mia pelle stesse andando a fuoco.
Mi coprii le labbra con una mano, per non sospirare troppo rumorosamente, com'era successo prima. Cercai di reprimere la vergogna, ma non riuscivo proprio a controllarlo. Serrai gli occhi, nella speranza che potessi mettere a tacere quelle emozioni tanto forti. Li riaprii soltanto quando mi accorsi che si era allontanato da me. Alzai lo sguardo verso di lui, senza guardarlo negli occhi, e potei notare il suo sorrisetto, che fece crescere ancora di più il mio imbarazzo.
Prese la mia mano e se la portò alle labbra, poi, si spostò fino a che non si fermò all'altezza del mio orecchio. Restai in attesa che dicesse qualcosa, mentre il suo respiro sul mio collo mi faceva rabbrividire. «Ti amo.» sussurrò, per poi baciarmi delicatamente. Al suono di quelle parole, un'altra fitta mi attanagliò lo stomaco. Socchiusi gli occhi, prima di rispondere, mentre mi chiedevo se il cercare disperatamente di trattenermi dallo scoppiare a piangere mi avrebbe permesso di parlare.
Mi morsi l'interno della guancia, fissando la parete che avevo vicino con molto interesse. «Anch'io ti...» mi interruppe, posandomi due dita sulle labbra e facendomi cenno di non dire niente. Mi limitai a fissarlo, confusa. Non avevo idea del perché l'avesse fatto, dopotutto, anche se stavamo insieme da più di un anno, soltanto una volta gli avevo confessato i miei sentimenti, e mai con quelle parole. Avrei tanto voluto sapere perché non me l'aveva permesso, ma mi impedì di domandarglielo, baciandomi. Sentii la sua mano passare dalla spalla fino al primo bottone della camicetta. Quando lo sentii sbottonarlo, rabbrividii di nuovo e gli morsi, involontariamente, un labbro. Si allontanò, aveva una luce divertita nello sguardo e un sorriso furbo sulle labbra. Mi sentii un po' in colpa, credendo di avergli fatto male. Quando si avvicinò di nuovo, istintivamente, indietreggiai, fino a finire con la schiena contro la testiera del letto. Lui mi raggiunse subito dopo, in ginocchio sul materasso e con le mani ad entrambi i lati della mia testa; sentivo il suo respiro sul mio viso e abbandonai anche la testa contro la testiera, in attesa che mi baciasse. Ma non lo fece neanche questa volta.
Mi baciò la guancia, poi il mento, mentre sentivo un altro bottone cedere. Mi strinsi a lui, passandogli una mano dietro al collo. E, molto lentamente, anche gli altri bottoni fecero la fine dei precedenti. Fu allora che mi resi conto, in quel poco di lucidità che mi restava, che non era solo un'impressione che tutto andasse a rallentatore: sembrava che scorresse una vita per ogni gesto. Era Natsume che rendeva tutto quanto di una lentezza esasperante. Mi allontanò dalla testiera per aiutarmi a sfilarla, così lo abbracciai e altri brividi, dati dal contatto della sua pelle contro la mia, mi percorsero la schiena quando ricambiò. Il calore del suo corpo, che normalmente aveva il potere di rilassarmi incredibilmente, stavolta non mi tranquillizzò affatto. Tremai, mentre le mie lacrime cominciavano a bagnargli la camicia.
«Non piangere.» mi ripeté, asciugandomele con il pollice. Mi stava rivolgendo un sorriso dolce, splendido. Avrei tanto voluto poter fare lo stesso, ma non ci riuscivo. Mi sentivo impotente, e non riuscivo a rassegnarmi all'idea che se ne sarebbe andato. Sapevo che era stupido, sapevo che non sarebbe servito a cambiare le cose, ma era un sentimento che non potevo contrastare.
«Natsume...» l'unica cosa che riuscivo a vedere nel buio pesto della stanza erano i suoi occhi brillanti. Mi accarezzò di nuovo una guancia prima di tornare a baciarmi.
Fece una leggera pressione verso di me e mi ritrovai con la schiena contro il materasso, mentre la sua camicia finiva abbandonata a terra vicino alla mia. Il cuore mi batteva all'impazzata, potevo sentirne il rimbombo attraverso tutto il corpo.
Gli impedì di separarsi da me, mentre la testa cominciava a girarmi come una trottola per l'emozione. Quando si allontanò per riprendere aria, mi sembrò come se non riuscissi più a far funzionare il cervello.

Mi svegliai molte ore dopo, accorgendomi solo in quel momento di essermi addormentata, l'ultima cosa che ricordavo era che stavo chiacchierando con Natsume. La sveglia segnava le cinque e mezzo di notte, l'ultima volta che l'avevo guardata, prima di crollare in un sonno profondo, erano quasi le due. Mi tirai su a sedere, guardandomi intorno, allarmata. Natsume non era né nel letto né in giro per la camera. Percorsi febbrilmente ogni angolo la seconda volta, per paura di aver tralasciato qualcosa.
«Natsume?» lo chiamai, flebilmente. Ritentai, ma il suono della mia voce rimbombò contro i muri. Rimasi ferma per un attimo, ad ascoltare il mio respiro che, improvvisamente, era diventato un rumore assordante, mentre nella mia mente l'unica parola a rimbalzare da un punto all'altro era il suo nome. Le lacrime mi riempirono gli occhi, quando realizzai che non c'era più: come aveva potuto farmi questo? Dopo che gli avevo detto che avrei voluto salutarlo! Cominciai a tremare e mi portai le mani a coprirmi il viso, scoppiando in un pianto disperato.

*****

*Umore funereo per i raws di capitolo 137 T^T* uff... non sto più nella pelle per aspettare il prossimo >.<. Il cinque ottobre è ancora lontano...
Mi ricordo dell'atmosfera totalmente diversa dell'anime quando ho cominiciato a ideare la fanfic!
Vorrei parlarvi di com'è nata la fanfiction, ma dopo aver fatto questo parto sono troppo stanca XD
E, comunque, scommetto che non è questa la cosa che vi interessa, giusto? XD. Si rivedranno? Mmm... forse! :P non me la sento di rivelarvelo, non ancora XD.
E' l'occasione di festeggiare l'ufficiale compleanno (un botto di tempo fa, ma facciamo finta di niente) e volevo festegiarlo anche con una candelina.

Tanti auguri! XDXD




E ora passiamo ai grossi (non troppo, su XD) problemi. Come tutti gli studenti sanno, la scuola è ormai cominciata (e che palle! Lo so. A nessuno dev'essere ricordato.). Non ve la farò tanto lunga, quindi vi dico subito che gli aggiornamenti potrebbero smettere (speriamo di no) oppure diventare un capitolo al mese. Con questo, però, non prometto niente. Quest'anno ho la maturità (non riesco neanche a immaginare che sia davvero così, a dire la verità) e non so quanto tempo mi rimarrà per scrivere. Comunque sia, chi non muore si rivede. E può essere che pubblichi qualche altra one-shot, dato che non ci vuole molto tempo per buttarle giù. Alla prossima, dovunque sia XD.

E, ora, le risposte alle recensioni!
AkA GirL: allora menomale XD. Sì, il Preside è stato mooolto s*****o, ma in questo capitolo ha battuto tutti i record. Volevo qualcosa di brutale, e mi è venuto in mente di farglielo dire all'apertura del nuovo anno scolastico. :P
Luine: ebbene sì :P, lo ammetto, il riferimento c'era. Ho pensato che potesse essere carino, anzi, avevo intenzione di far prendere alla bambina lo stesso libro, ma poi mi sono accorta che non avrebbe avuto alcun senso. Per quanto riguarda i vecchi bisogna aspettare poco più di una decina di capitoli. E Natsume... è pur sempre un ragazzo, anche se di un manga shoujo XD.
marzy93: ho dedicato larga parte alla tristezza in questo capitolo, non volevo che risultasse troppo pesante anche nel precedente. E non c'era fisicamente tempo per complicare le cose, lo hanno capito anche i miei personaggi XD.

Inoltre, ringrazio tutte le persone che hanno inserito la mia storia tra i preferiti:

1. Erica97
2. mikamey
3. rizzila93
4. marzy93
5. sakurina_the_best
6. _evy89_
7. Luine
8. Yumi-chan
9. Veronica91
10. lauretta 96
11. EkoChan
12. stella93mer
13. giuly_chan95
14. _Dana_
15. simpatikona
16. CarlyCullen
17. asuka_hime
18. neko_yuki
19. XIUKY88
20. Manila
21. giadinacullen
22. twilighttina
23. SEXY__CHiC
24. Annie Marie Jackson
25. valuzza92
26. mechy
27. amorelove
28. Animexx
29. forzaN
30. federicaa
31. AkA GirL
32. thedarkgirl90
33. Spuffy93

E in particolare la new entry:

34. kokuccha

Chi ha inserito la mia storia tra le storie da ricordare:

1. marrion
2. aliasNLH
3. sakura2611
4. thedarkgirl90
5. AkA GirL
6. MissAnime4Ever

E anche chi ha inserito la mia storia tra le seguite:

1. Mb_811
2. punk92
3. naruhina 7
4. MatsuriGil
5. Miki89
6. _evy89_
7. tate89
8. Janika Criselle
9. EdelSky
10. simpatikona
11. marrion
12. XIUKY88
13. laurA_
14. dolce_luna
15. feilin
16. Bliss_93
17. shinigamina_love
18. _Hakura_
19. sailorm
20. sakura92
21. ChibiRoby
22. forzaN
23. Spuffy93
24. thedarkgirl90
25. AkA GirL
26. grifoncina93
27. BlAcK_pAnTeR_94
28. Lizzie23
29. MissAnime4Ever

E in particolare la new entry:

30. micia692

  
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