QUELLO CHE PUO’ SOGNARE UNA TREDICENNE IN PIENA CRISI ADOLESCENZIALE
È un nebbioso pomeriggio di Novembre e io sono appena
uscita dalla palestra quando un’ondata d’aria gelida
mi colpisce in pieno viso, penetrandomi fin nelle ossa.
Stringo meglio la sciarpa intorno
al collo infilo
cappello e guanti. Mi chiedo a chi è venuta in mente la brillante idea di
spegnere il riscaldamento in inverno. Comunque sia, di
certo non voglio rischiare di prendermi un raffreddore.
Mi avvio verso la fermata dell’autobus a passo svelto, è
quasi buio e non voglio fare tardi, senza contare che con questo freddo non è
consigliabile rimanere fuori a lungo, già dita cominciano ad atrofizzarsi.
Ho già percorso un buon tratto di strada
quando sento risuonare dei passi sulla ghiaia.
Proprio dietro di me.
Subito non ci faccio caso e
continuo imperterrita per la mia strada, ma alla fine è inevitabile sentire i
costanti e anonimi passi che sembrano seguirmi.
Forse sarà l’effetto della fine bruma che comincia a insinuarsi nell’aria, del clima uggioso o dell’ormai fioca
e unica luce dei lampioni sopra di me, ma la mia mente comincia a propinarmi
assurde ipotesi, che, purtroppo, cominciano a impressionarmi.
“Che sia un ladro?” mi chiedo.
“Un teppista, un malintenzionato?”
E dalle impressionanti intuizioni
si passa agli insulti.
“Diamine, ma dov’è finito il mio impavido coraggio ora che
mi serve? Traditore doppiogiochista!”
Mentre sono occupata a litigare con me stessa¹
i passi sospetti non accennano a fermarsi o a
rallentare.
Allora persi la ragione²
Comincio a correre a perdifiato senza fermarmi, senza mai
voltarmi indietro.
Corro per parecchi minuti, ma anche i passi misteriosi
sembrano fare altrettanto, cosa che mi spinge a correre ancora più forte, manco
fossi in una gara ai cento metri³.
I miei passi sono ritmati dal battito frenetico del mio
cuore, che ormai sembra aver raggiunto il livello della gola. Mi manca il
fiato.
In lontananza vedo la fermata dell’autobus.
Grazie al cielo!
Percorro con una velocità che non credevo di avere gli
ultimi metri che mi separano dalla salvezza quando,
come un fulmine a ciel sereno, la mia mente viene
attraversata da un pensiero: “Una volta arrivata alla fermata cosa faro?
L’autobus non è ancora arrivato e se…” ma una stretta poderosa mi afferra il
braccio interrompendo i miei pensieri e costringendomi con poca grazia a
voltarmi.¹٭
Una figura incappucciata mi si para davanti.²٭ La mano
abbandona lentamente il mio braccio per andare ad abbassare il cappuccio che
gli cela il viso… il mio cuore è a mille per l’ansia e la fatica della corsa.
Ora non c’è via di scampo.³٭
Lentamente il cappuccio scende, scende, fino a rivelare
l’identità del mio inseguitore… la ragazza con cui faccio palestra mi porge il mio asciugamano prima di piegarsi sulle ginocchia
ansimando vistosamente, nel tentativo di riprendere fiato.¹٭٭
“l’hai dimenticato nello spogliatoio” dice con voce
spezzata “Ma perché ti sei messa a correre a quel modo? Sembravi una criminale
braccata dalla polizia!”
Sorrido al paragone, quando fino a
un momento prima credevo fosse lei la criminale²٭٭, e mi lascio andare in una risata liberatoria, come se con
questo semplice gesto potessi dimenticare lo spavento e l’angoscia che mi
attanagliavano il cuore fino a un momento prima.
In un certo senso era così.
Ripensandoci ora a mente fredda, sono stata proprio un sciocca a comportarmi in quel modo.³٭٭
“La prossima volta che dimentico qualcosa” le dico “fa finta di niente!” ¹٭٭٭
E con il sorriso sulle labbra,
salgo sull’autobus arrivato in quel momento, lasciando la mia amica allibita e
confusa più che mai.²٭٭٭
COMMENTI:
¹
E ciò la dice lunga sulla mia sanità mentale in quel momento
² Ok, non prendetevela con me,
ve l’ho già detto che non sono al massimo della forma,
cercate di capire, è stata una giornata stressante, e poi la mia mente
fanciulla non è abituata a tali traumatiche esperienze, non fatemene una colpa,
la responsabilità è tutta di quell’unico neurone
sopravvissuto (che a confronto Harry Potter, il bambino sopravvissuto,
modestamente, gli fa un baffo) che mi porto dietro ballonzolante per la zucca
(tanto che a volte se mi concentro mi sembra quasi di sentire le capocciate che
da contro le mie pareti craniche, riflesso incondizionato provocato dai suoi
sussulti a ogni mio movimento) che è facilmente suggestionabile.
³ Nella mia mente contorta passa per un attimo la fugace
idea di ringraziare la prof di fisica la prossima volta che la vedo, visto che le sue rotture di balle sulla resistenza
alla corsa sembrano essere servite finalmente a qualcosa e mi riprometto di non
mandarla mentalmente a fare una gita turistica il luoghi dal dubbio interesse
culturale mai più.
¹٭ I giovanotti d’oggi pare abbiano
perso ogni rispetto per le vecchie tradizioni. Ma non
lo sanno che le donne non si toccano neanche con un fiore? Evidentemente questo
non lo sapeva o, se lo sapeva, doveva essere uno di quei tipi alternativi tutto borchie pircing e spuntoni
(magari anche in cuoio, che non guasta mai) che del ciarpame urbano il migliore
utilizzo che ne potrebbero trarre è un efficace stura-orecchie.
²٭ Se tutta la
situazione non è di per sé abbastanza traumatizzate,
questo mi ha dato il colpo di grazia. Ok a tutte le
balle del paese libero e democratico in cui ognuno è
libero di gestire il proprio bucato come meglio crede, ma uno che gira in città
di tarda sera incappucciato e in tabarro nero equivale a un pugno in un occhio
all’alta-moda italiana. Ma chi sono io per lamentarmi?
A quanto pare non ero l’unica nei paraggi ad avere
qualche neurone fuori fase. E poi a suo modo aveva l’aria del tenebroso che fa sempre chic.
³٭ Se proprio vogliamo fare i polemici, avrei potuto darmi alla
fuga in qualsiasi momento, ma ero troppo curiosa di scoprire chi era lo
sciagurato che si aggirava in città in tabarro nero e dirgliene quattro sulla
sozzura urbana.
¹٭٭ Sorbole che sorpresa!
²٭٭ E
³٭٭ Tanto è
sempre colpa del neurone, io me ne lavo le mani
¹٭٭٭ Ovvero:
fatti i cazzi tuoi, ficcanaso rompiballe e con uno
spiccato masochismo verso la tua propria persona che
ti ha spinto a rincorrere qualcuno per quello che potrebbe benissimo essere un
chilometro ma che io, essere superiore, non mi sono data la pena di calcolare,
solo per ridargli un asciugamanino orribile (quello
con le paperelle ricamate sopra dalla tua mamma
appositamente per te quando avevi sei anni) che, in tutta sincerità, avevi
dimenticato apposta. Ah, quasi mi scordavo. Io uno che
indossa un tabarro nero lo chiamo masochista. O idiota.
²٭٭٭ Anche se ovviamente non potevo esserne certa, visto
l’impedimento visivo del tabarro. Ma di sicuro non era
bella rilassata e in panciolle e non profumava di rose e fiori di campo.