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Autore: harinezumi    24/09/2010    3 recensioni
Arthur Kirkland è un impegnato banchiere a Londra, che sembra impiegare il proprio tempo solo ad accumulare denaro. ma un giorno eredita la villa dello zio in Francia, dove riscopre emozioni che aveva da tempo soppresso.. {una rivisitazione in chiave "hetaliana" del film omonimo del 2006; probabilmente lo ammazzerò a colpi d'ascia, siete avvertiti *-*}
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland, Un po' tutti
Note: AU, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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capitolo quattro – in cui Arthur ottiene un appuntamento

 


La sera, per la prima volta privo di vernice bianca addosso, Arthur scese dalle scale del primo piano della villa, fermandosi di botto alla vista di Antonio che accendeva due candele sul tavolo apparecchiato nella sala da pranzo. Scese gli ultimi gradini, avvicinandosi dubbioso.

«Antonio…» cominciò, osservando attentamente com’era stato apparecchiato per la cena per due, mentre un suo sopracciglio si alzava pericolosamente verso l’alto. Antonio aveva preso il servizio e le posate buoni e dei tovaglioli di pizzo, senza contare i calici e le candele in candelabri d’argento. Sembrava veramente di essere in un romantico ristorantino francese al primo appuntamento, ecco perché dovette Arthur schiarirsi la voce, impendendo che gli uscisse troppo strozzata: «È mio cugino. Magari è… un po’ eccessivo?».

«Affatto» esclamò Antonio, voltandosi verso di lui e smettendo di ammirare con soddisfazione il suo operato. «Metà degli aristocratici francesi hanno liaison con i loro cugini».

«Si, e questo spiega molte cose» ribatté Arthur irritato, cercando immediatamente di spegnere le candele non appena Antonio fu tornato in cucina.

Ma quando vide Alfred scendere le scale e notarlo rivolgendogli un sorriso, il cuore gli balzò alla gola e sentì improvvisamente il bisogno di sparire dalla stanza. Balbettò qualcosa a proposito di una bottiglia di vino e si defilò verso le cantine, riprendendo a respirare solo quando sentì il profumo familiare del mosto che ribolliva nelle enormi botti.

Si avvicinò al portabottiglie di legno che ricopriva tutta una parete dell’immensa cantina/laboratorio, cercando con gli occhi un vino che avrebbe potuto riconoscere. In quell’estate dei suoi dieci anni gli erano state insegnate da zio Henry parecchie cose sulla qualità del vino che non era più riuscito a dimenticare, nonostante l’arte culinaria non fosse decisamente il suo forte.

Appoggiò due bottiglie che aveva scelto sul tavolino della cantina costituito da una botte rovesciata, aprendole entrambe ed annusando il loro contenuto. Prima, prese un sorso dal calice che si era portato dietro del vino prodotto dal suo vigneto, sputando tutto immediatamente a terra.

Sapeva di sabbia. «Che diavolo sta facendo Lovino con quell’uva?» si domandò a bassa voce, leggendo l’etichetta e sperando che fosse solo un caso isolato.

Fortunatamente parevano esserci anche diverse bottiglie dell’altro vino, “Coin Perdu”, con un’etichetta molto più anonima che recava appena il nome ed i gradi. Quando Arthur lo assaggiò, aspettandosi il peggio, rimase piacevolmente sorpreso, ma non riuscì a capire da chi venisse prodotto.

Perciò versò il contenuto della prima bottiglia nel primo tombino che individuò a terra, portando così con sé solo l’altra, e risalì le scale della cantina per tornare in sala da pranzo. *

***

«Oh, eccoti!» esclamò allegramente Alfred, già seduto a tavola quando Arthur tornò dalla cucina.

«Ho pensato di farti assaggiare del vino» si scusò Arthur per il ritardo, sedendosi accanto a lui e notando con orrore che Antonio era riuscito ad accendere di nuovo le candele. Con un sospiro, riempì il proprio bicchiere e quello di Alfred, pensando che era sen’altro meglio ubriacarsi per sfuggire all’umiliazione di essere stato combinato con il proprio cugino.

«Uhm, è buono» sentenziò l’americano, dopo appena un sorso. «Molto buono. Sai, io in California ho lavorato in un vigneto una volta, aiutavo a fare la vendemmia assieme ad alcuni amici!»

«In California fanno succhi di frutta, non vino».

«Non è affatto vero!» s’imbronciò Alfred, punto nel vivo del suo orgoglio patriottico. «L’America fa degli ottimi vini, siete voi europei a snobbarli di continuo senza capire che la nostra è arte. Ma in questa bottiglia non c’è scritto praticamente nulla!»

Reggeva in mano il Coin Perdu, studiandone attentamente ogni centimetro, e alla fine la riposò di nuovo sul tavolo, con aria delusa.

«Uhm, Henry amava le cose misteriose» mormorò distrattamente Arthur, lanciando a sua volta un’occhiata all’etichetta praticamente deserta e stringendosi nelle spalle. Non si rese conto per un po’ di aver nominato il padre di Alfred, ma dall’espressione che il ragazzo gli fece era evidente che l’unica cosa che voleva in quel momento era parlare di Henry. «Ad esempio» continuò allora, «amava l’Inghilterra, però viveva in Francia. E amava le donne, ma non ne ha mai avuta una di stabile. Amava anche l’avventura, eppure tutte le avventure con lui che ricordo le ho vissute in questa casa».

«Oh. Suppongo che per lui mia madre non sia stata molto importante» mormorò Alfred, dopo un attimo di silenzio.

Arthur, vedendo il volto di Alfred rabbuiarsi, si rese pericolosamente conto di ciò che aveva appena detto sulle donne di zio Henry, e cercò subito di tornare sui suoi passi, cominciando però a balbettare: «Ehm, io… mi disp…».  

Non fece a tempo a finire la frase che Alfred lo spiazzò esibendo un enorme sorriso ed esclamando: «Beh, non si mangia? Sto morendo di fame! Avete degli hamburger in questa casa?»

Mentre Arthur cercava di comprendere a fondo le parole pregne di un’acuta idiozia e insensibilità che aveva appena sentito, comparve dalla cucina Antonio che cominciò a spiegare con aria afflitta che no, non avevano hamburger e che avrebbero dovuto accontentarsi della pasta, perché Lovino teneva solo quello in casa da quando era disabitata…

***

 Alla fine della cena, se tale si poteva chiamare, Arthur aveva imparato un po’ meglio a capire Alfred, realizzando che aveva a che vedere con una specie di esaltato. Quel ragazzo era un totale disastro: aveva cominciato ad affermare a voce molto alta quanto l’Europa fosse anticaglia, specialmente l’Inghilterra e la Francia, paesi così noiosi per lui, da una parte non sapevano cucinare e gli mancavano i suoi McDonald’s, dall’altra cucinavano fin troppo bene e si esprimevano in maniera troppo complicata. Era molto rumoroso e parlava proprio quando meno gli veniva richiesto, solitamente di sé stesso e di quanto dovessero compatirlo tutti perché si trovava in mezzo alla gentaglia del Vecchio Continente.

Arthur non pensò nemmeno di ricordargli che lui era inglese; probabilmente non avrebbe fatto differenza e comunque quel modo di fare così espansivo e diverso da ciò con cui era abituato ad avere a che fare lo affascinava parecchio. Senza contare che Alfred era veramente un bel ragazzo, nonostante gli occhiali e quell’aria da idiota che fin troppo spesso esibiva.

Quando arrivò per dessert del gelato, in particolare, Arthur pensò per un attimo di vederlo svenire per l’emozione, ma Alfred lo sorprese in un’altra maniera, scivolando giù dalla propria sedia e schiantandosi a terra, come se non fosse riuscito nemmeno a rimanere seduto. Anche se credeva di aver inquadrato il tipo, il ragazzo lo sorprendeva molto con certe sue uscite, più o meno idiote.

«Io torno di sopra» lo informò alla fine della cena, posando la coppetta di gelato ormai vuota e spazzolata accuratamente sul tavolo. «Ho intenzione di finire di leggere Morte a Venezia».

«Morte a Venezia?» domandò Arthur, perplesso. Alfred non gli sembrava affatto un tipo molto profondo, e quel libro aveva un registro un po’ troppo difficile, e una trama studiata…

«Si! È strabiliante, l’ho trovato in una delle librerie che ci sono di sopra» rispose Alfred, allargando il suo sorriso ed alzandosi da tavola. «Appena ne leggo una frase cado immediatamente addormentato! È una benedizione contro il fuso orario sballato!» concluse, dirigendosi allegramente verso le scale. «Buonanotte!»

«Ah… ecco» mormorò Arthur a bassa voce, compresi i veri motivi della lettura “impegnata” dell’altro. «Buonanotte!» gli augurò, ad alta voce, cercando perlomeno di sorridergli.

In quel momento, gli squillò il cellulare dalla tasca, facendolo sobbalzare. Rispose sovrappensiero, ancora con gli occhi fissi sulla rampa delle scale che Alfred aveva appena salito. Dall’altro capo della cornetta, Matthew diceva in maniera concitata qualcosa su un enologo, ma Arthur non gli prestò alcuna attenzione, anche se per motivi diversi dal solito.

«Charlie…» mormorò alla fine, le prime parole che pronunciava oltre a “pronto”. Matthew si interruppe subito, anche se quello non era affatto il suo nome. «Che tu sappia, è illegale farsi il proprio cugino?» Se si fosse reso conto di avere pronunciato quella frase ad alta voce, probabilmente non sarebbe più uscito da sotto il letto per il resto della sua vita, ma considerava Matthew alla stregua di un fantasma nella sua testa.

«Ehm… eh? C-cosa?» balbettò soltanto quello, venendo ovviamente totalmente ignorato.

***

Ancora immerso in strani pensieri su suo cugino, il tardo pomeriggio del giorno dopo Arthur salì in auto, dirigendosi in paese. Incontrando per strada gli stessi ciclisti di un paio di giorni prima, alzò di nuovo il dito medio fuori dal finestrino, urlando a pieni polmoni: «Louis Armstrong!»

Stava cominciando a riflettere un po’ troppo su Alfred ultimamente, così aveva ben pensato di svagarsi un po’. Qualunque cosa pensassero i francesi sui propri cugini, lui non era quel tipo di persona.

Ma non aveva fatto i conti con la sua sfortuna, perché parcheggiò di nuovo di fronte al bistrot di Francis senza pensarci, rimanendo per un attimo imbambolato a guardare i tavolini pieni del ristorante e ad ascoltare il chiacchiericcio dei clienti.

Uscì dall’auto, appoggiandosi ad essa ed osservando lo spettacolo silenziosamente. Dopo un po’, comparve anche Francis, che aveva tutta l’aria di essere sull’orlo di una crisi di nervi. Sembrava che qualcuno gli avesse spostato delle composizioni floreali e fatto un pasticcio con le prenotazioni, così si trovava a scusarsi con due clienti inferociti che non parlavano una parola di francese, probabilmente turisti americani, marito e moglie.

Arthur non poté fare a meno di notare che nessuno raccoglieva le ordinazioni degli altri clienti, dato che ad alcuni tavoli tenevano costantemente il braccio sollevato per attirare l’attenzione dell’unica cameriera presente oltre a Francis.

Si avvicinò di più al locale, accostandosi con aria annoiata al piccolo bancone esterno dove era appoggiato il registro delle prenotazioni, da cui Francis alzò gli occhi pochi secondi dopo, notando la sua presenza.

«Spero che abbiate un menù molto soddisfacente, perché il servizio è pessimo» mormorò con un ghigno Arthur, notando con piacere che l’espressione del francese si faceva mano a mano più disperata nel realizzare che lui era lì.

«Monsieur, sono troppo occupato per ignorarla…» sbottò, tornando a scarabocchiare qualcosa sul registro, cercando probabilmente di far quadrare le prenotazioni.

«Dove sono tutti i tuoi camerieri?» domandò però Arthur, sinceramente interessato.

«Senti, ho da fare anche senza fermarmi a giocare con te. McDonald’s è ad Avignon e fish & chips a Marseille. Allez» sbottò Francis, facendo il gesto di scacciarlo, chiaramente più seccato di prima, chiudendo il registro e sparendo dentro al ristorante.

Ma Arthur riuscì a raccattare un grembiule chiedendolo all’altra cameriera, che accettò il suo aiuto di buon grado, mettendosi a servire ai tavoli e dimostrando persino una certa esperienza. Francis lo guardava con aria dubbiosa, ma non gli disse nulla finché non ebbero quasi uno scontro frontale entrando ed uscendo dalla cucina.

«Che stai facendo, Angleterre?» domandò il francese, osservando dall’alto in basso il grembiule di Arthur e storcendo il naso.

«Non ti preoccupare, l’ho già fatto prima per pagarmi l’università… non mi sembra che si stiano lamentando» rispose con un sorrisetto di superiorità Arthur, anche se non aveva ancora ben compreso perché avrebbe dovuto aiutare Francis, a parte il senso di colpa. Comunque, molti meno clienti tenevano il braccio alzato adesso, e la maggior parte erano stati serviti.

«D’accordo, puoi stare qui» lo liquidò Francis, con una certa urgenza, dato che uno degli chef gli aveva appena detto qualcosa in francese a proposito dei gamberetti finiti. «Ma ricorda, se ci sono lamentele, in Francia il cliente ha sempre torto» aggiunse, sparendo verso il magazzino.

Poco dopo, Francis si bloccò quasi a bocca aperta, quando vide la coppia di i turisti americani di poco prima sistemati al tavolo corretto da Arthur, che li serviva in inglese, spiegando diligentemente in che cosa consistevano i piatti del menù.

Ma quando la donna richiese qualcosa come: «pancetta tagliata a cubetti nell’insalata», Arthur con un sorriso largo e falsamente cortese le prese il listino dalle mani, requisendo anche quello di suo marito.

«C’è McDonald’s ad Avignon e fish & chips a Marseille» spiegò educatamente ai due, invitandoli verso l’uscita con un gesto della mano. «Allez». Ovviamente gli americani s’indignarono parecchio, ma lasciarono il ristorante.

Quella scena strappò una risata a Francis, che involontariamente sorrise quando Arthur subito dopo gli lanciò un’occhiata. Il resto della serata, proprio grazie all’inglese, si rivelò molto tranquillo e il livello di stress di Francis scese quasi a livelli umani, fino a quando finalmente non fu ora di chiudere.

Aspettò che Arthur finisse di sollevare le sedie sui tavoli, appoggiato con i gomiti al bancone del bar, sorreggendo la testa con le mani e continuando ad osservare i movimenti dell’altro con una rinnovata curiosità.

«Queste sono le tue mance» lo informò, quando finalmente Arthur si sedette su uno sgabello di fronte a lui, con un sospiro. Si era tolto il grembiule, e lo aveva posato sopra la superficie del bancone. Francis gli aveva versato davanti una scatoletta, contenente in verità diverse banconote e spiccioli. «Grazie per l’aiuto… e sei licenziato».

«Antonio mi ha detto che sei cresciuto qui» disse invece Arthur, incassando il colpo. «Io ci ho passato un’estate… mi chiedo se non ti abbia già incontrato».

«Se è successo, spero di essere stato orribile» rispose candidamente Francis, senza fugare i suoi dubbi, ma sorridendo solo malignamente.

«Non ti riesce proprio di ringraziarmi?» domandò Arthur, irritandosi.

«Hai cercato di investirmi. Prendo questa serata come risarcimento… ma non basta» sbuffò Francis, prendendo a giocherellare con una ciocca dei propri capelli, attorcigliandola all’indice. Accennò con il capo al mucchietto di soldi sul bancone. «Hai appena guadagnato abbastanza per portarmi fuori a cena, come minimo».

«A un appuntamento?» chiese Arthur, dopo un po’, tradendo la propria insicurezza nel tono di voce. Antonio gli aveva raccontato che Francis non era più uscito con nessuno da anni. E lo stava chiedendo a lui? Come se quello stupido francese potesse anche solo piacergli… già…

«È semplicemente la seconda parte del mio indennizzo, esci con me o devo ricordarti che mi hai quasi ucciso…».

«Non occorre» ringhiò Arthur, scaldandosi in fretta e dimenticando tutti i pensieri che lo portavano a farsi piacere Francis.

«Allora, è un si o un no?» domandò l’altro, senza scomporsi e fissandolo con insistenza.

Arthur strette bene attento a non guardarlo negli occhi, ma preferì concentrarsi sul legno del bancone, così almeno non si notava quanto fosse arrossito. «Va bene. Lunedì sera alle otto, ti vengo a prendere qui» mormorò alla fine. Senza dire più una parola, afferrò i soldi davanti a sé ed uscì dal ristorante, sentendo a malapena dall’imbarazzo Francis che gli augurava una buona notte dietro di sé.

***

La mattina dopo, Arthur venne svegliato dalle urla di Alfred, che gridava qualcosa sugli scorpioni. Pochi minuti dopo, sentì Antonio correre per il corridoio e qualche colpo sordo, poi lo spagnolo che borbottava di tenere la lavanda sui davanzali.

Arthur non poté fare a meno di ridere sotto i baffi, anche se pochi giorni prima era stato vittima della medesima scenetta. Comunque, se non fosse stato quell’evento a svegliarlo, l’avrebbe fatto il suo cellulare, perché prese a squillare come sempre nel momento meno opportuno, quando si stava infilando una maglietta.

Incastrato tra la stoffa, Arthur rispose con un “pronto” soffocato, solo per apprendere che Matthew aveva deciso di venire di persona per controllare le condizioni della villa l’indomani. Lo liquidò in fretta, dirigendosi verso lo studio di Henry per cercare di riordinare anche i documenti dello zio, una delle faccende che aveva deciso di lasciare per ultima.

Ricordava benissimo come ogni tanto avesse falsificato la firma dello zio negli assegni da pagare, semplicemente perché Henry lo considerava uno dei tanti giochi educativi da fare con lui. Era persino proprio bravo, non si poteva davvero notare la differenza.

«Pare che in realtà il piccolo Lovino abbia un cuore tenero» lo informò Antonio, del tutto preso a spazzare il pavimento lì intorno, ma entrato nello studio per aprire la finestra.

Arthur si riscosse dalla lettura di alcune carte, alzando di scatto la testa sull’altro, confuso.

Antonio gli sorrise, stringendo a sé la scopa che aveva tra le mani e fissando il vuoto con aria sognante. «In un modo o nell’altro mi ha detto che mi vuole al suo fianco. E ora mi trasferisco da lui! Non è magnifico, il mio Lovino?» domandò, completamente esaltato, tanto che ad Arthur parve di scorgere inquietanti scintille brillanti nei suoi occhi.

«E-ehm… certo…» rispose, senza sapere bene che dire in quella circostanza. Non capiva specialmente come Antonio non si sentisse affatto in imbarazzo a dire una cosa del genere.

«Ho pensato che sarebbe d’obbligo festeggiare la nostra convivenza con una cena! Quindi ti prego, verresti a cena da noi stasera? Mi faresti davvero felice!» continuò Antonio.

Nonostante qualcosa dentro la sua testa gli stesse dicendo di rifiutare in maniera categorica, Arthur annuì senza pensarci, facendo letteralmente sciogliere lo spagnolo di entusiasmo davanti ai suoi occhi.

***

«Benvenuto!» esclamò Antonio, quando quella sera aprì la porta di casa Vargas, alla quale Arthur aveva appena bussato.

Per non si sa quale ragione, nel piccolo giardinetto dell’abitazione c’erano lucine colorante nella stessa quantità di come ce ne sarebbero state a Natale; e anche un fenicottero da giardino che si illuminava al neon. Arthur era rimasto abbastanza perplesso, ma si sforzò di sorridere ad Antonio, anche se si sentiva un po’ confuso da tutte quelle luci a sera inoltrata.

La casina dei Vargas somigliava molto ad un piccolo cottage inglese, la si raggiungeva dalla villa percorrendo un pezzo di strada tra i vigneti ed un altro su un sentierino, perché anch’essa era stata costruita in aperta campagna. Fu subito chiaro ad Arthur che Antonio aveva una certa familiarità con quella casa e quella cucina, mentre lo ascoltava parlare seduto al tavolo, con lui che finiva di cucinare.

«Credo che il giardino sia molto meglio così! Lovino si ostina a non tenere nulla in ordine, così ci ho pensato io… che ne pensi?» chiese inaspettatamente ad un certo punto Antonio, voltandosi verso di lui dal fornello.

«Ehm…» cominciò Arthur, fortunatamente per lui interrotto da qualcuno che spalancò la porta d’ingresso, ben visibile dalla cucina.

«Sono arrivato!» esclamò Alfred, al che Antonio si affrettò allegramente da lui sulla soglia per salutarlo. L’americano non aveva i soliti vestiti dimessi, ma un completo quasi elegante, se lui ovviamente non l’avesse abbinato con un paio di All Stars e se si fosse messo la cravatta.

Quella visione strappò ad Arthur un sorriso, mentre si riprometteva mentalmente, quasi senza rendersene conto, che avrebbe dovuto insegnare a quel ragazzo come vestirsi. Lovino comparve poco dopo, risultando quasi irriconoscibile dal momento che si era lavato il viso. Non sembrava troppo contento di avere ospiti a cena, ma aiutò Antonio quasi senza fiatare, mentre portavano i piatti in tavola, apparecchiata all’esterno.

«Ho conosciuto un vecchio in paese, l’altro giorno, che sa parlare il provenzale» disse Antonio, nel bel mezzo di uno dei suoi discorsi, mentre li serviva. «Anche se conosco il francese non sono davvero riuscito a capire una parola di quello che mi ha detto! È proprio vero quel che si dice, che ora il provenzale viene parlato solo dai poeti e dai sodomiti».

Arthur quasi si soffocò con l’acqua che stava bevendo, tossendo e lanciando un’occhiataccia ad Antonio. Possibile che ogni volta che apriva bocca si finisse sempre su quell’argomento?

Ma a peggiorare la situazione ci pensò Lovino, esibendo un’aria stranamente sorpresa e guardando lo spagnolo. «Che cosa sono i sodomiti?» domandò, perplesso, mostrando una genuina curiosità in quella domanda.

Antonio sorrise e ricambiò il suo sguardo teneramente, come se si stesse rivolgendo ad un cucciolo. Si avvicinò a lui, per chinarsi e dargli un bacio sulla fronte, incurante del fatto che Arthur ed Alfred fossero lì e che Lovino fosse arrossito all’istante. «Te lo spiego stanotte».

A quel punto, l’italiano abbassò gli occhi sul suo piatto, quasi in lacrime e tremante per l’imbarazzo e la rabbia, cosa che ovviamente Antonio sembrò non notare.

«Questa cena è ottima!» quasi gridò Arthur, nel disperato tentativo di cambiare argomento, anche se Alfred non sembrava turbato da quello che era appena successo. «Sono tutti cibi francesi, Antonio?»

«Si, quello che stai mangiando ora è cinghiale» affermò l’altro, finalmente sedutosi al suo posto. «Ci sarebbe anche del vino, è quello prodotto alla Siroque…» continuò, indicando la familiare bottiglia sul tavolo.

Eppure, quando Arthur lo assaggiò per la seconda volta, si dovette trattenere dal risputarlo tutto nel bicchiere, e lo inghiottì a fatica. D’istinto, guardò verso Lovino, il responsabile di quel vino orribile, ma l’altro gli rivolse solo un sorrisetto per nulla amichevole. Forse faceva apposta, a fargli bere le bottiglie più schifose; ma era molto probabile che invece tutto il vino prodotto alla tenuta avesse quel sapore.

Ben presto però Arthur scoprì che quel vino poteva anche fare schifo, ma era ottimo per ubriacarsi. Prima che potesse rendersene conto, aveva la vista annebbiata e la testa aveva preso a girargli, così era costretto a tenerla dritta appoggiandola ad una mano, il gomito che si puntellava sulla tovaglia.

In tutto quel disastro e Antonio che parlava candidamente ad Alfred della sua vita sessuale con Lovino, si sorprese a pensare alla possibilità di rimanere lì per sempre. Ora che Henry era di nuovo nella sua vita era tutto così tranquillo, tanto che se avesse smesso di tormentarsi troppo con i pensieri sulla vendita della villa probabilmente sarebbe stato davvero bene lì. L’unico problema era Alfred. Alfred era il padrone legittimo di tutto ciò che lo avrebbe potuto rendere felice.

E quell’idiota non sapeva fare altro che mangiare e parlare a sproposito, anche adesso, quando spiegava quanto Arthur fosse buffo mentre cercava di cambiare le assi di uno scalino rotto. Lo aveva osservato mentre si tirava il martello sulle dita e spandeva chiodi ovunque, rimanendo anche intrappolato con un piede incastrato nella rampa delle scale.

Per quanto l’americano potesse piacergli, anche se era uno stupido arrogante narcisista, non era disposto a cedergli l’unica casa che avesse mai avuto.

«Ehi, Antonio, dimmi» esclamò all’improvviso, cercando di raddrizzarsi sulla sedia e guardando fisso Alfred. «Cosa ti fa credere che Alfred sia il figlio di Henry?»

Antonio rimase per un attimo perplesso, ma quando rispose lo fece con un sorriso, come sempre. «Beh, hanno lo stesso naso e fanno la stessa espressione!»

«Oh, il naso è certo una prova inconfutabile» sbottò Arthur ironicamente, bevendo un altro sorso di quel maledetto vino. Senza volerlo minimamente, stava facendo tramutare il bel sorriso di Alfred in un’espressione malinconica. «Ma non ci sono altre prove? Henry ha mai nominato la sua vacanza in California? Andiamo, sono sicuro che l’ultima cosa con cui volesse aver a che fare fossero gli americani…»

«Beh, sai, Arthur» lo interruppe in fretta Antonio, guardando il volto di Alfred di sottecchi, preoccupato. «Alfred assomiglia ad Henry molto più di te…»

Le sue parole ebbero solo il risultato di far irritare Arthur, e anche se non intendevano essere un insulto, lui le prese come tale. «Oh, certo, naturalmente il fatto di averlo conosciuto e di averlo amato come un padre non mi dà alcun diritto di pretendere qualcosa! Dovremmo dare tutto ad Alfred dato che i loro nasi si assomigliano tanto! Proprio un’ottima idea, suggerita dalla cameriera».

«Non intendevo questo…» mormorò lo spagnolo, per la prima volta pallido.

Lovino si era risvegliato dopo una cena estremamente silenziosa e imbarazzata, e guardava Arthur arrabbiato, senza esitare un momento a parlare quando sentì il tono di voce di Antonio. «Non hai nemmeno il diritto di trattare male Antonio! Se hai intenzione di comportarti così, vai a farlo da un’altra parte».

Arthur non sembrò neanche ascoltarlo. «Ma sono curioso, cosa ne pensa il diretto interessato?»

Alfred era stato in silenzio, probabilmente aveva anche lui la capacità di sentirsi in imbarazzo ogni tanto, ma riprese il dono della parola al volo quando venne interpellato. «Io volevo solo conoscere mio padre» sbottò, acidamente, rivolto all’inglese e storcendo il naso. «Che tu ci creda o meno, non ho la mentalità ristretta di voi inglesi, sono capace di provare sentimenti e tutto ciò che volevo ormai non lo posso più ottenere».

Arthur non riuscì a ribattere nulla, nonostante avesse aperto bocca, ma la richiuse quasi subito. Che cosa stava facendo? Ora Alfred era arrabbiato con lui.

L’americano infatti si alzò bruscamente in piedi. «Grazie per la cena» mormorò, prima di girare i tacchi ed attraversare il giardino, diretto al vigneto con passo deciso. Non aspettò minimamente che qualcuno gli rispondesse.

Antonio tolse gentilmente il bicchiere di mano ad Arthur, ricambiando la sua occhiata ancora sbalordita con un sorrisino di scuse. «Credo che per oggi tu abbia bevuto abbastanza».

 

* la faccenda dei vini compare molto prima nel film, ma facendo fatica ad attenermi alla trama in maniera perfetta li introduco qui :D

 

 

____________________

il mio blocco su questa storia si sta lentamente sciogliendo *O* quindi posso tornare ad aggiornare!

mi dispiace un sacco, non ho scritto una scena in cui Lovino ed Antonio si chiariscono dopo quello che è successo.. la storia non parla di loro perciò non ho pensato alle parole che si sono rivolti dopo quel bacio. alla fine hanno semplicemente deciso di convivere in casa Vargas. comunque, questa coppia mi piace molto ç-ç e anche scriverci su.

 

to Aerith1992: sono contenta che ti piaccia, e soprattutto che tu non abbia visto il film xD così te la puoi godere di più, perché purtroppo non ho molta fantasia! grazie mille davvero, alla prossima ^^

to koharuchan: mi fa un sacco piacere che la trovi una storia interessante *-* il film è davvero bello, purtroppo non l’hanno visto in moltissimi, ma te lo consiglio davvero! all’inizio non sapevo davvero che coppia far prevalere, lo ammetto xD ora penso che rimarrà una fruk, in accordo alla trama originale! comunque ti ringrazio tantissimo!!

to Raven_95: wow hai visto il film! spero allora che la storia non ti risulti monotona, perché è spiccicata.. penso che ce la farò a finirla, anche se all’inizio ero in crisi! penso finirà come il film xD alla fine è la mia coppia preferita, anche se in realtà ho scritto ben due versioni >-< ciao ciao, grazie mille!

 

harinezumi

  
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