Mi scuso. Ormai lo faccio ogni volta che posto.
So di essere in ritardo, ma ho davvero molta difficoltà nello scrivere ultimamente e mi dispiace.
Però mi ha fatto piacere leggere le vostre recensioni. Mi avete resa felice.
Nashira07: grazie per le tue bellissime parole! Si, parlo di quotidianità, di amicizia, di amore...tutte cose nelle quali credo fermamente e mi piace raccontarle a modo mio. Sulla base di ciò che ho vissuto e vivo tutt'ora. Spero continuerai a seguirmi, anche se aggiorno di rado.
Lady Jadis: l'onore è tutto mio, Annachiara. Perchè tu hai la pazienza di leggere e darmi consigli. Ma soprattutto di sopportarmi e supportarmi, nonostante io continui a pensarla nello stesso modo sul mio modo di "scribacchiare". Non potrò mai ringraziarti abbastanza!!!
Dindy80: purtroppo per gli aggiornamenti posso farci ben poco. Ho mille impegni e scarse idee, è un periodo così. Spero passi. Il genere è un altro problema, ma io sono fatta in questo modo, questo è il mio stile. Pazienza :). Grazie comunque per esserci sempre. Sei una lettrice costante e sempre presente!!! Lo apprezzo molto!
Giulls: tesoro! Sono felice che tu abbia letto anche quest'altra mia storia! Mi fa davvero molto piacere, così come mi rende orgogliosa il fatto che tu l'abbia apprezzata. Grazie, grazie, grazie all'infinito <3!!!
Ho avuto molti dubbi nella stesura di questo capitolo.
Ho cambiato idea più volte, alla fine ho optato per questo che
ora leggerete. Credo di aver preso la decisione migliore e spero che
l'apprezziate.
Un bacio a tutti. Spero di poter aggiornare presto.
Capitolo 4 “Il passato”
“Andiamo a casa mia?” chiese lui, scendendo a baciarmi il
mento. Annuii in trepidazione di fronte al suo sguardo languido.
Non ricordavo che il suo appartamento fosse così vicino.
Quando John scese dall’auto, restai impietrita al mio posto.
Avevo il cuore che batteva a mille e una paura folle di fare
qualcosa di dannatamente eccitante, ma stupido.
Dannata me e la mia coscienza!
John si fermò sotto la pioggia proprio davanti alla macchina
e mi guardava attraverso il parabrezza. Incrociai i suoi occhi.
Avrei voluto che l’alcol annullasse i miei sensi.
Avrei voluto perdermi in quella notte. Senza pensare.
Ma non sarebbe stato così.
Io fissavo John e lui faceva lo stesso con me. Poi mi sorrise
e riconobbi in quello splendore, il mio amico. Di riflesso sorrisi anch’io.
Fu in quell’istante che scesi dall’auto e mi avvicinai a
John.
“Vuoi tornare a casa?” mi domandò quando gli fui accanto.
“Non ho voglia di rientrare” risposi continuando a guardarlo
negli occhi.
“Sai” disse deviando il mio sguardo “Ho temuto che
rovinassimo tutto” ammise.
“Anche io” soffiai e lui voltò il viso verso di me “Ma siamo
due persone con la testa sulle spalle” intonai seria e John alzò gli occhi al
cielo. Risi. “Scherzo. In ogni caso, è bene che non siamo andati oltre, ce ne
saremmo pentiti”, lui annuì concorde. Un tacito assenso.
“Posso restare da te?” John mi guardò scioccato. “Non capire
male” scossi la testa “Non mi va di tornare a casa in questo stato pietoso” il
mio amico alzò un sopracciglio confuso “Stai benissimo!” “No, ti assicuro che
non è così. Fammi restare qui, solo per stanotte” e gli feci gli occhioni
dolci.
Evidentemente funzionarono perché mi prese per mano e mi
trascinò su per le scale di casa sua.
“Allora tu dormirai nel mio letto, io invece mi preparo il
divano”. John viveva in un piccolo appartamento a Hackney, nella zona nord-est
di Londra. Vive da solo da qualche anno e si manteneva col suo lavoro in
librearia e qualche extra nel ristorante del cugino proprio nei pressi di casa
sua.
“Ma mi spiace rubarti il letto!” esclamai. John mi scrutò con
tenerezza, si avvicinò e mi abbracciò “Non mi rubi nulla. Fa come se fossi a
casa tua, sai dove si trovano bagno e cucina. Non so quanta roba ci sia nel
frigo. Spero di non fare figuracce” ridacchiammo.
“Pensi che la maglia che ti ho dato ti vada?” domandò “Si, è
enorme! Ma chi sono i tipi disegnati sopra?” John mi guardò come fossi
un’aliena “Oh Dio! Ma tu di musica non t’intendi proprio!” si diede una manata
in fronte “Devo fare una chiaccierata con Daiana, deve assolutamente portarti
con sé al negozio di dischi. Comunque tanto per la cronaca quelli lì sono 30
Second to Mars” rispose indicandoli. Una scintilla accese i suoi occhi.
Probabilmente era loro fan.
“Ah!” dissi “Ho sentito parlarne. Una volta Jenny e Dod ne discutevano
animatamente” mi grattai il capo confusa. John scoccò la lingua sui denti “Ti
lascio dormire, ubriacona!” esclamò uscendo dalla stanza.
Era notte fonda e non riuscivo a dormire. Avevo telefonato a
Jenny sapendo di trovarla sveglia e l’avevo avvertita che sarei rincasata
l’indomani mattina presto prima di andare a lavoro. Mi aveva candidamente
ricordato che il giorno dopo era sabato e che mi ero presa un permesso qualche
settimana prima dietro insistenza di lei e Daiana che volevano riposassi un
paio di giorni. Stranamente non mi fece domande particolari, per questo mi
venne il dubbio che John avesse parlato con lei prima di me. Prima di attaccare
si raccomandò di dormire quanto più possibile. Non voleva uno zombie in casa.
Certe volte era proprio “simpatica”. Strosi il naso e mi
coricai.
Continuavo a girarmi e rigirarmi nel letto. Seccata mi alzai.
Scalza inziai a gironzolare per l’appartamento. Questo mi ricordava la mia
infanzia, quando piccina giravo per casa senza pantofole. Mi piaceva il
contatto diretto col pavimento.
Arrivata in cucina, aprii il frigo e bevvi un sorso di succo
di frutto alla pesca. La testa mi ronzava ancora per la musica troppo alta e
per l’alcol che avevo ingerito.
Per tornare in stanza, dovevo passare per il salotto. Quando
mi trovai davanti al divano di John mi fermai a guardarlo dormire.
Era quasi angelico.
Cosa sarebbe successo se davvero non ci fossimo fermati?
Saremmo di certo finiti a letto insieme buttando all’aria tutto. Mi portai una
mano tra i capelli, stanca per tutto quel pensare inutile e dannoso. Eppure non
riuscivo a smettere, perché porca miseria: mi era piaciuto baciarlo! Ma non
erano le sue labbra. No. Era proprio la sensazione del bacio ad avermi
stordita.
Dio quanto tempo era passato dall’ultima volta che avevo
baciato un uomo?
Troppo tempo. Facevo quasi fatica a ricordarlo.
Tre anni. Tre anni da quando ero fuggita a Londra dopo il
tradimento di Francesco, la delusione della mia amica, nonché sua sorella e
l’incoraggiamento di mia madre a riprendermi la mia vita. E ora ero lì, nella
casa di una delle persone che più mi volevano bene in quel posto.
Ma mi mancava quel brivido.
Mi mancava maledettamente sentirmi importante per qualcuno.
Qualcuno che non fosse un amico.
E porca miseria! Mi mancava anche poter avere il batticuore.
Quello meraviglioso del primo appuntamento. Oppure quello dell’attesa di un
messaggio o di una chiamata. E magari quello strano languore che si prova
quando si ama qualcuno.
Tutto s’era risvegliato a quell’incrocio grazie a quegli
occhi e che quella sera credevo di aver rivisto.
Ah mio Dio! La testa iniziava a pulsarmi troppo. Decisi di
tornare a letto, ma nel farlo, urtai contro il tavolino.
“Accidentaccio a me!” imprecai a bassa voce chinandomi a
massaggiare il piede offeso. “Maggie?” la voce impastata di John mi giunse alle
spalle. Mi voltai colpevole, il mio amico nel buio cercava di capire dove
fossi. Quando accese la lampada sul tavolo, lo vidi semidisteso.
“Ciao” dissi scattando
all’inpiedi “Tutto bene?” chiese John “Si, si, avevo sete” risposi
frettolosamente “Ok” disse lui continuando a scrutarmi con uno strano cipiglio
sul volto “Non riesci a dormire” affermò sicuro “Non me lo stai chiedendo”
dissi. “Vieni qua!” scostò la sua coperta per farmi spazio. Lo raggiunsi e mi
stesi accanto a lui.
“Cos’hai? “ domandò a bruciapelo “Pensieri” risposi vaga “E
spegni questo cervello!” ordinò perentorio “Hai bisogno di riposo, oggi è stata
una giornata lunga” “Domani sono di festa, posso riposare” ribattei “Non mi
interessa, ora sei qui con me e dormirai. Non voglio sentire volare una mosca,
chiaro?” domandò fintamente severo “Chiarissimo!”.
“Bene. Buonanotte” e mi avvolse nella coperta “Buonanotte
John”. Chiusi gli occhi e mi addormentai, abbracciata al mio amico.
Fievoli e fastidiosi ticchettii mi svegliarono.
Aprii lentamente le palpebre e un piccolo raggio di sole
m’illuminò il volto.
Infastidita, mi portai una mano sugli occhi.
“Buongiorno!” esclamò vivace una voce “Ben svegliata!” ora
era più vicina.
Quando mi accorsi che il sole non c’era più, spalancai gli
occhi trovandomi davanti il volto allegro di John.
Sorrisi di riflesso. Quel ragazzo aveva l’innata capacità di
farmi sentire bene. E non era cosa da tutti.
“Come ti senti stamane?” chiese sedendosi sul divano.
“Molto meglio, grazie” risposi, mettendomi a sedere. “Che ore
sono?” domandai, guardandomi attorno alla ricerca di un orologio “Sono le
otto!” mi disse “Potresti riposare ancora un po’ visto che non devi andare a
lavoro” aggiunse poi.
“Mmm” mugugnai, stirando le braccia e sbadigliando
“Effettivamente potrei farlo, ma non mi va di approfittare ancora della tua
ospitalità. E poi tu non devi andare in biblioteca oggi?” dissi guardando John.
Lui negò con la testa “Mi ha chiamato Carol dicendomi che avrebbero aperto solo
per qualche ora, perché deve partire per Dublino. Un viaggio di lavoro, a
quanto pare ha un appuntamento con un importante fornitore. Era molto
eccitata!” “Wow, fantastico!!! Arriveranno presto nuovi libri!” risposi
“Speriamo siano letture interessanti, altrimenti come passerò il tempo?”
ridemmo entrambi.
“Ti va di fare colazione?” John si alzò in piedi e si diresse
verso il piano cottura. Il mio stomaco brontolò appena, facendomi arrossire
“Si, forse è meglio che mangi qualcosa” risposi andando verso di lui.
“No, lascia stare! Preparo io, tu va pure a darti una
sistemata. Non hai una bella cera, si vede proprio che non sei abituata a
bere!” John sghignazzò prendendosi gioco di me. Io gonfiai le guancie a
palloncino, imbarazzata, fingendomi offesa. In realtà aveva perfettamente
ragione. Certe volte ero davvero noiosa e scontata e al di fuori della mia
normale routine potevo apparire buffa.
Chissà come mi vedeva John in quel momento.
Chissà cosa lo aveva spinto a baciarmi.
Di certo l’alcol aveva influito, però…lui era gay e non
doveva provare attrazione per una donna. Soprattutto per me che diceva ero
normale e poco divertente. Scherzava, ma ero sempre stata convinta che avesse
ragione. Ero sempre troppo misurata. Ogni cosa facessi.
Una volta in bagno, commisi il grosso errore di guardarmi
allo specchio. Ero più pallida del solito, eppure non mi sentivo male. I
giramenti di testa erano passati ed ero riuscita a riposare abbastanza
tranquillamente.
Però il mio aspetto fisico risentiva dei miei malumori
interiori.
Sospirai rassegnata e mi gettai sul viso dell’acqua fredda
prima di tornare in cucina.
“Ecco a te!” esordì John una volta vistami rientrare.
Sul tavolo c’erano uova, succo di frutta, cereali,
marmellata, biscotti e anche una tazza di latte con caffè.
“Wow!” ero senza parole “Si, si. Niente complimenti!” mi
schernì John con finta aria altezzosa “Non ho preparato tutto questo per te,
bensì per me. Io devo mantenermi in forze!” proferì accomodandosi e iniziando a
mandar giù le uova.
Sorrisi, scuotendo il capo.
“Ma infatti io non stavo per farti alcun complimento.
Ingozzati pure, io mi bevo solo il latte con tre biscotti” asserii sorseggiando
un po’ di latte.
“Oooh!” borbottò John con la bocca piena “Vuole fare la
modella!!!” mormorò ironico. “Ah, ah, ah” finsi una risata “Idiota!” dissi
piccata “A prima mattina non mi piace mangiare. Sono abituata così, poi di
solito sono sempre di fretta e non mi soffermo molto sulla colazione” gli feci
una linguaccia.
John mi trafisse con lo sguardo “Signorina” esordì “Lei
dovrebbe prendersi più cura di se stessa. È importante non solo per il corpo,
ma anche per lo spirito” proferì in tono professionale.
“Stai tranquillo. Io sono una roccia” e alzai il braccio per
mostrargli il mio muscolo. Lui storse il naso “Seh come no!” rispose “Oggi mi
prenderò io cura di te e non accetto un no come risposta. Dopo telefono a
Jenny, invitiamo anche lei e Doddia a pranzo qui, che ne dici?” domandò,
dandomi le spalle per posare nel lavello, il piatto vuoto.
“Ok” dissi mandando giù un biscotto “Cuciniamo insieme, ti
va?” proposi allettata all’idea. John si girò a guardarmi serio, poi sorrise
“Certo che si!”.
Io e John eravamo usciti per fare la spesa.
Jenny e Daiana avevano accettato di buon grado l’invito a casa
del nostro amico, e s’erano proposte di darci una mano, ma John aveva
gentilmente rifiutato, dicendo loro che non c’era bisogno e che al massimo
potevano occuparsi del dolce. Ma lì ero intervenuta io. Per una volta volevo
cimentarmi nel prepararo qualcosa che mi riconducesse al passato, nel mio bel
paese.
“Allora, uova, mascarpone, caffè, savoiardi, pasta, insalata,
pane…manca qualcosa?” chiese John leggendo la lista della spesa.
“Che ne dici se compriamo un po’ di carne e l’arrostiamo
sulla brace? Oggi è una bella giornata, posso mettermi sul balcone a farlo. Si
potrebebro anche fare delle bruschette!” dissi sorridente. Eccitata all’idea di
cucinare.
“Se può farti continuare a sorridere in questo modo, è chiaro
che ti dico di si” esclamò John mettendomi una mano sulla spalla. Lo guardai e
sorrisi ancora.
“Ti piace stare ai fornelli?” domandò poco dopo “Si.
Quand’ero in Italia, io e il mio gruppo di amici avevamo un posto abbandonato
dove andavamo spesso. Una vecchia torre sul mare, si vociferava che fosse stata
usata come luogo di guardia durante
“Dovevano volerti molto bene” sottolineò con John con voce
dolce. Annuii, ma non aggiunsi altro.
Pagammo il conto e ci dirigemmo spediti verso casa.
Mentre aspettavo che le carbonelle raggiungessero la giusta
temperatura, iniziai a montare le uova col mascarpone per il tiramisù. Era il
dolce che preparavo sempre in Italia.
“Non ho mai capito bene perché tu sei venuta a Londra”
affermò John, mentre mi osservava. Alzai di poco la testa per fissarlo.
“Non è una storia interessante” ammisi “Che m’importa!
Neanche la mia lo è, ma tu mi hai ascoltata senza battere ciglio” proferì
muovendosi accanto a me. Sospirai.
“Non devi sentirti costretto a farlo, solo perché io ho
ascoltato te e poi davvero John: ti annoieresti e basta!” ribadii sperando di
fargli cambiare idea. Ma fu tutto inutile.
Battè un pugno sul piano cottura, facendomi trasalire. “Oh ma
sei testarda!” esclamò serio “Non ricambio alcun favore. Sono davvero
interessato a ciò che ti riguarda. Sei mia amica, ma so troppo poco di te e
della tua vita passata!” dichiarò, agitando le mani in aria.
“Ok” mi arresi “Cosa vuoi sapere?” un sorriso strafottente
nacqua sul suo viso. “Ogni cosa!” mormorò.
“Sono arrivata qui a Londra tre anni fa…” “Si, si questo lo
so. Va avanti!” proruppe John. Lo guardai di sbieco con furia “Vuoi ascoltare o
no?” sbottai “Si, scusa” disse. Presi un respiro e ricominciai: “Dicevo: tre
anni fa ho fatto i bagagli e sono volata qui a Londra. Non so perché io abbia
scelto proprio questo posto, ma credimi se ti dico che io e l’inglese non siamo
mai andati d’amore e d’accordo. A scuola mi impegnavo tanto, ma ho sempre
pensato che questa lingua mi odiasse” sorrisi malinconica al ricordo di me e
delle ore spese a studiare.
“Sono praticamente scappata e in quel momento Londra mi
sembrava il posto giusto. Ho guardato la cartina dell’Europa e il mio sguardo è
caduto su questa città. Ho avvertito una sensazione strana di pienezza. Non so
spiegarti, so solo che quando ho pensato di partire e venire qui, mi sono
sentita in pace con me stessa”
“Perché sei scappata?” eccola lì la domanda che temevo. Non
c’era cattiveria nella voce di John, ero il mio incoscio a registrarla male.
Nei primi tempi in cui vivevo a Londra, molti mi telefonavano per chiedermi
spiegazioni e questo interrogativo me lo sono sentito porre più volte con
acidità e crudeltà. Nessuno comprendeva che seppur semplici parole, mi facevano
male.
“Prima di partire vivevo una vita normale, ma felice.
Studiavo psicologia all’università e stavo per laurearmi. Nel frattempo facevo
tirocinio presso un studio nella mia città e partecipavo a serate di karaoke in
un locale. Coltivavo i miei interessi. Sono sempre stata una persona cordiale e
questo mi ha permesso di fare amicizia con molte persone. La mia cerchia di
amici era molto vasta e molti di loro avevano frequentato le scuole superiori
con me. Stavo bene, avevo tutto quello che desideravo: una bella famiglia,
amici meravigliosi e…un ragazzo che amavo tantissimo e che mi ricambiava
calorosamente” mi fermai un attimo e fissai un punto indefinito davanti a me.
John non disse nulla, probabilmente comprese il mio stato
d’animo.
“Francesco era il ragazzo migliore del mondo: affettuoso,
dolce, simpatico, socievole. Praticamente incarnava il mio tipo ideale.
Caratterialmente era simile a me, la pensavamo uguale su molte cose. Sua sorella,
Annalisa, era la mia migliore amica. Grazie a lei avevo conosciuto Francesco e
da lì tra di noi era scattato qualcosa. Qualcosa che s’è rivelato essere
importante anni dopo. Quasi per caso ci siamo ritrovati di nuovo e da quel
momento non ci siamo più separati.” Continuai il mio racconto, prendendomi
continue pause e non guardando mai negli occhi il mio interlocutore, quasi
temessi che potesse leggervi dentro tutta la mia verità.
“Prendi” John comparve con in mano un bicchiere d’acqua
“Credo che tu ne abbia bisogno” sorrise teneramente “Grazie” balbettai
afferrandolo e sorseggiando lentamente il liquido trasparente.
“Se non te la senti di continuare, non importa. Lo farai
un’altra volta” pronunciò quelle parole con voce bassa, quasi temesse di
ferirmi.
“No, no. Voglio raccontarti ogni cosa!” affermai con
sicurezza, posando il bicchiere sul piano cottura.
“Francesco decantava il nostro amore a destra e a manca.
Diceva a tutti che ero la donna della sua vita e che un giorno mi avrebbe
sposata. Immagina la mia gioia!” esclamai ripercorrando, passo, passo, ogni
singolo istante. “E invece cos’è successo?” domandò John. Lo scrutai, sentivo
già le lacrime prorompere dai miei occhi.
Deglutii saliva. “Un anno e mezzo dopo, per caso ho scoperto
che mi tradiva. Lo faceva già da qualche mese con una ragazza che lui conosceva
da anni. Non mi ero accorta di niente. Assolutamente di niente!” dissi con
rabbia, stringendo entrambe le mani a pugno. “Era un attore nato ed io stupida
che gli credevo. Quando sono corsa da Annalisa per raccontarle l’accaduto, lei
non ha battuto ciglio, anzi non sembrava affatto meravigliata” notai John
trattenere il fiato.
“Quando le ho chiesto spiegazioni lei mi ha detto che lo
sapeva” le lacrime mi impedivano di parlare, ma non mi arresi e continuai “Lo
sapeva da qualche settimana e non mi aveva detto niente, perché non voleva
rovinare tutto. Ma tutto cosa le gridai io piangendo. Quel giorno litigammo
come non era mai successo prima e quando rientrai a casa, mia madre mi vide
sconvolta e ascoltò il mio racconto senza dirmi nulla. Alla fine urlai che
volevo andarmene da lì, che avevo bisogno di staccare la spina. Fu allora che
mamma mi propose di partire. Lei non mi ha mai abbandonata, mi ha sostenuta in
ogni decisione” alzai lo sguardo fiera di avere una madre così presente e
amorevole. Era soprattutto grazie a lei che ero rimasta in piedi. Nonostante la
lontananza.
“Ho fatto il biglietto per Londra il giorno stesso e tre
giorni più tardi sono partita. Qui ho avuto l’appoggio di un amico di mio padre
per i primi tempi, poi ho iniziato ad arrangiarmi da sola, non appena ho preso
a lavorare in biblioteca”
“Non hai più parlato con Francesco e Annalisa?” chiese John,
asciugandomi le lacrime. “Sono io che non ho voluto più avere a che fare con
loro. Mi hanno cercata entrambi, ma io mi sono sempre fatta negare. Quando sono
giunta a Londra, mamma mi ha detto che Annalisa era rimasta sconvolta e delusa dalla
mia decisione di scappare. Secondo lei non avevo le palle per affrontare il
problema e per questo avevo fatto la scelta più semplice. Probabilmente aveva
ragione, ma ora so di aver preso la decisione migliore per me” fissai John
negli occhi e gli sorrisi “Qui ho trovato delle persone meravigliose che non mi
giudicano, ma mi amano nonostante sia noiosa e petulante. Cosa potrei
desiderare di meglio?” a quel punto John mi stritolò in un abbraccio.
“Io non so cosa sarebbe successo se fossi rimasta in Italia”
disse “Ma sono felice di averti qui. Mi spiace che tu abbia sofferto, ma ora è
arrivato il momento che tu ti lasci alle spalle il passato e guardi al futuro
con ottimismo. Tu puoi avere di più! Devi solo crederci” e con quelle parole,
mi lasciai andare ad un pianto liberatorio.