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Autore: Kourin    25/09/2010    1 recensioni
All'Accademia Militare di Zaft dovrebbe essere un tranquillo pomeriggio di riposo, ma c'è chi non riesce a trovare pace.
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Athrun Zala, Yzak Joule
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Miraggio

 

 

Oggi su Aprilius fa molto caldo. Come accade per tutte le università, un tempo anche per l'Accademia di Zaft questi erano giorni di vacanza. Ma non quest'anno, non nell'anno del San Valentino di Sangue. Nessuno osa prendersi una pausa, non ora che le battaglie infuriano ai confini della patria, non ora che noi Coordinator siamo stati investiti del compito di fermare la guerra. Il tempo è già corso troppo avanti lasciando dietro di sé migliaia di vittime. E' come se un dio della morte, per gioco, gli avesse regalato una falce e che il tempo, ansioso ma incapace di liberarsene, avesse iniziato una corsa folle in mezzo agli esseri umani. Il mio compito è quello di raggiungerlo e disarmarlo e lasciare che torni a scorrere innocuo. In realtà, una volta afferratolo, mi piacerebbe riportarlo indietro e cambiare quel giorno. Oppure potrei tenerlo fermo, e continuare a vivere per sempre i miei tredici anni in un mondo dove i ciliegi della Luna sono sempre in fiore e i petali portati via dal vento rinascono di continuo senza percepire il dolore provocato dal distacco. Mi rendo conto che mi sto perdendo nella fantasia di un bambino e so che non va bene. Io ho quattordici anni. Sono il figlio del Presidente del Comitato per la Difesa Nazionale.

Questo pomeriggio non ci sono lezioni. Gli istruttori sono stati convocati alla base per seguire gli ultimi aggiornamenti e le esercitazioni sono state sospese. Dopo aver pranzato in mensa sono tornato subito nella mia stanza, ma ero inquieto e non riuscivo a concentrarmi su nulla. Me ne sono andato per non disturbare Nicol, tutto intento a comporre le sue musiche. Lo invidio per la sua capacità di mettere se stesso in un pentagramma. Io invece, oggi, questo me stesso non so dove metterlo. Ho camminato nei corridoi vuoti in mezzo alle aule, mi sono seduto tra i banchi della biblioteca, ho rallentato i miei passi davanti ai simulatori e infine sono ritrovato qui all'aperto, nel parco, dove la luce è intensa e confonde la mia vista. Mi sposto sotto l'ombra scura e compatta di una magnolia, e mi accorgo che sulla panchina accanto sono sedute due mie compagne di corso. Parlano a voce bassa, commentano alcune foto scattate con il cellulare, ridono. Mi sento fuori posto tra gli echi delle loro acute risate femminili. Per fortuna non si sono accorte della mia presenza e così, senza dire nulla, proseguo sul selciato di ciottoli tondeggianti, dove i raggi di luce del primo pomeriggio cadono obliqui per poi rimbalzare dritti nei miei occhi.

Più in là c'è un gazebo. Tra le colonne bianche che sorreggono il tetto che si confonde col cielo, scorgo un gruppo di ragazzi stesi sulle panche ad oziare. Qualcuno borbotta frasi incomprensibili che si perdono nel frinire delle cicale senza che nessuno si preoccupi di raccoglierle. Riconosco i capelli rossi e arruffati di Rusty, che se ne sta seduto in maniera scomposta mentre si fa rotolare sulla fronte una lattina ghiacciata presa dal distributore automatico. Si accorge di me e fa un cenno di saluto. Io ricambio, senza però fermarmi.

Attraverso tutto il parco fino a raggiungere il suo limitare. Lo scintillio abbagliante di una recinzione di fili metallici intrecciati mi intima di fermarmi. Solo adesso mi rendo conto di quanto sono andato lontano. Sono completamente sudato e il mio respiro inizia a farsi affannoso. Mi volto nuovamente verso l'Accademia. La mia schiena brucia, come se il reticolato reso incandescente dal calore mi stesse spingendo all'interno del suo perimetro.

Mi guardo intorno e scorgo un albero solitario. E' un salice: qui su Aprilius, dove l'acqua abbonda, ce ne sono molti. La rigogliosa chioma verde chiaro scende come una cascata fino a lambire gli steli riarsi del prato estivo. Un vento caldo fa oscillare lentamente i rami leggeri: non sembrano affaticati dal peso delle innumerevoli, piccole foglie argentate che assorbono avidamente la luce che mi tormenta.

Realizzo all'improvviso che quello è il posto che stavo cercando. Mi dirigo verso il salice correndo, mentre il tappeto di erba incolta assorbe il suono dei miei passi.

Quasi con timore, scosto le fronde pendenti per accedere all'ombra che mi è necessaria. Ma appena i miei occhi si liberano dalla violenza del sole, si stagliano netti i contorni di una figura che colpisce a tradimento il mio animo. Senza rendermene conto indietreggio, stupito e quasi spaventato.

E' lui, il mio rivale. Io aspiro alla pace, lui non mi fa trovare altra via d'uscita se non la guerra. Io mi sforzo di considerarlo un compagno, lui ricambia odiandomi apertamente. Io esco vittorioso, lui riesce a farmi sentire sconfitto. E' l'unico testimone di una parte di me che nemmeno io so se corrisponda a verità o menzogna e così resto prigioniero di un legame inscindibile, succube di un inspiegabile e muto ricatto.

Ora sta dormendo e non si accorge della mia presenza. La schiena è appoggiata all'albero, la testa è reclinata di lato e alcune ciocche di capelli bianchi si posano sul viso dai lineamenti delicati. Per la prima volta vedo le sopracciglia fini distese, la fronte pallida senza cipiglio, le labbra sottili socchiuse. Penso che il mio rivale è una strana creatura capace di mutare forma per ingannare chi la circonda. Mi chiedo se l'inganno è quello che vedo ogni giorno, o quello che ho davanti ora. Scuoto il capo per risvegliarmi. Penso di nuovo alle favole, mi comporto ancora come un bambino.

Non capisco perché lui sia venuto fin qui. Credevo che la sua unica occupazione fosse quella di esercitarsi fino allo sfinimento per riuscire a battermi. Però, a pensarci bene, oggi è arrivato prima di me e ha occupato il mio posto. Incrocio le braccia sul petto, rifletto e concludo che l'ombra è abbastanza grande per entrambi. Non c'è motivo per lasciarla tutta a lui: andarmene altrove sarebbe come accettare una sconfitta.

Mi siedo dalla parte opposta del tronco grigio, vi appoggio la schiena e slaccio il colletto della divisa. Respiro meglio. Che stupido, chissà perché non l'ho fatto prima. Davanti a me c'è una parete di piccole foglie appuntite che tremano al soffio impercettibile del vento. Ogni tanto si scostano lasciando filtrare minute e innocue schegge di chiarore pomeridiano che finiscono per imprimersi sulla mia retina. Quando chiudo gli occhi, dapprima diventano sfocate e poi svaniscono insieme alla mia inquietudine. Scivolo in un torpore insolito e leggero che mantiene vivi i miei sensi, facendomi sentire parte di un luogo in cui mi piacerebbe stare per sempre.

 

Sbatto le palpebre e vedo che lui è in piedi accanto a me, la mano affusolata appoggiata sulle scanalature brune della corteccia, intento a fissarmi con i suoi occhi azzurri.

Una fresca brezza mi accarezza il viso, ho la sensazione che provenga dalla sua figura sottile traboccante di limpido orgoglio. E' così pulita, quasi trasparente, mi pare di riconoscervi l'immagine speculare di un me stesso sereno ed incredulo. Non so che cosa fare e resto così, col naso all'insù, intento a mia volta a fissarlo. Forse è il miraggio della pace che cercavo, la proiezione di una dimensione generata da qualcuno che è riuscito ad arrestare lo scorrere di questo tempo di guerra. Sento che sta accadendo qualcosa di nuovo, di importante.

Le labbra del mio rivale si muovono impercettibilmente come se volesse dire qualcosa. Che sia la risposta che bramo sentire? Il mio corpo freme, trepidante di attesa. Senza accorgermene stringo fra le dita lo stelo fragile di un fiore di trifoglio. Si spezza. Sento che c'è qualcosa che non va, io non volevo ferire nessuno. Lui gira la testa di scatto puntando gli occhi ai confini dell'ombra. Il miraggio si increspa, il vento soffia più forte, un brivido sale lungo la schiena ancora madida di sudore. Mi accorgo che i suoi pugni serrati stanno tremando e, come se stessi assistendo a qualcosa di indecente, abbasso gli occhi a mia volta. Restiamo immobili, mentre il fruscio delle foglie e il frinire di una cicala scendono nel fossato di silenzio che abbiamo appena scavato con la tensione dei nostri sguardi.

La campana delle lezioni risuona a vuoto. I primi rintocchi mi appaiono irreali, lenti, come se giungessero da un luogo remoto. Il ritmo accelera. Mi avvedo con orrore che il tempo ha ricominciato la sua corsa. Il mio unico pensiero è prendere in mano la situazione, fare qualcosa. Mi rialzo, tendo la mano come se potessi afferrare l'eco dei rintocchi che si fanno via via più serrati. Dalle mie labbra forse sono uscite delle sillabe, non ne sono sicuro, ma ormai non importa perché il mio rivale mi ha già voltato le spalle. A quella schiena, fiera e impettita, non posso più chiedere nulla. In un gesto pieno di lucida crudeltà scosta le fronde e scompare dalla mia vista passando attraverso una porta di luce che spazza via in un istante tutte le mie illusioni.

Yzak, resta qui” riesco finalmente a mormorare, ma serve solo a farmi sentire più stupido e inutile. Se alzo gli occhi, vedo solo dei rami che si intrecciano a spirale verso il cielo in un disegno contorto che non fa altro che confondermi. Mi chiedo che cosa sto facendo qui. La mia patria non ha bisogno di un bambino che passa il pomeriggio a nascondersi tra gli alberi. Esco dalla chioma del salice allontanando con violenza le foglie che sfioravano le mie spalle. Sento uno strappo che continua fin dentro di me, ma io lo fermo prima che possa lacerarmi. Riallaccio la mia uniforme da cadetto, torno da dove sono venuto. Plant è un paese in guerra. Io ho quattordici anni. Sono il figlio del Presidente del Comitato per la Difesa Nazionale.

 

 

***

 

 

Questa fanfic non la volevo scrivere, ma l'ho scritta. Non avevo nemmeno intenzione di pubblicarla, ma l'ho pubblicata. L'ho concepita come one-shot, ed è diventata una multi-capitolo. E' una cosa dotata di vita propria, non sono in grado di gestirla. Forse il prossimo capitolo racconterà gli stessi avvenimenti (se così vogliamo chiamarli) dal punto di vista di Yzak. Forse.

Questa fanfic vi ringrazia per aver letto. Io resto in disparte: ho paura.

 

Kourin

  
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