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Autore: MaxT    26/09/2010    4 recensioni
Una Elyon esuberante e sorprendente torna a cercare le sue vecchie amiche, che si troveranno presto coinvolte in avvenimenti più grandi di loro. Che spaventosa profezia ha pronunciato la Luce di Meridian? Vera è…vera? Dove sono andate le gocce astrali delle W.I.T.C.H.? E’ una storia dove i personaggi assumono diversi ruoli contrastanti, si muovono nel segreto e nell’invisibilità, e le loro motivazioni autentiche si delineano a mano a mano che la storia si avvicina alla conclusione. Note: qualcuno potrebbe considerare OOC Elyon e le gocce astrali. Da parte mia, penso che siano una evoluzione plausibile dei personaggi visti nel fumetto. Aggiornamento: I primi sei capitoli sono stati riscritti nell'ottobre 2008.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le profezie di Meridian' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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55- Spola fra i mondi  
Ad personam:
Cara Scarlettheart, grazie per la recensione e per i complimenti.  Tra l'altro, spero che tu abbia avuto un'ottima vacanza. Da parte mia non sarei così severo con Wanda, in fondo sopravvivere non è la più frivola delle preoccupazioni. Il mistero di chi mente... Elyon o Vera? Chi sta seguendo La Luce al tramonto avrà già un'idea di come questo sia possibile.
Cara Melisanna, si vede l'ispirazione a 1984? In effetti è verissimo, mi mancano le citazioni, ma ci ho pensato spesso.
Perso il filo della trama? Credo che il riassunto possa aiutare; ogni volta aggiungo ciò che serve, scremando ciò che non è più essenziale, e devo dire che le cose che sopravvivono sono soprattutto i capitoli attorno al 30-32, l'inizio del golpe,  e quelli in cui Vera espone il suo piano.
Le Nemesis sono piuttosto sinistre, vero? Beh, bisogna capirle: prima Carol fugge in disaccordo, poi torna dopo aver parlato con Elyon... bisognerebbe essere candidi per non sospettare qualche trappola (magari 'cavallo di Troia' suona male). 
Spero proprio che tu riesca a riprendere Terra magica, non vedo l'ora di leggerne il finale.
Cara Atlantis Lux, grazie per la bella recensione. Per quanto riguarda le Nemesis, indubbiamente sono un gruppo di potere molto forte nell'entourage di Vera, però tieni conto che i loro poteri magici derivano da lei, per cui non è pensabile che mantengano un potere politico contro la sua volontà; venti pistolette e quaranta pugni non bastano a fare questo su nessun mondo. Per certe cose le Nemesis sono i carnefici, ma per altre sono le vittime maggiori di quello che sta succedendo, e avrebbero difficoltà ad ambientarsi in qualunque altro ruolo o mondo diverso da quello per cui sono state create.
Un grazie anche a Silen per la rilettura e i suoi utilissimi consigli.

Qualche parola di presentazione su questo capitolo: vedremo com' è, per Carol, entrare nel suo nuovo ruolo e stare fianco a fianco con una delle terribili Nemesis, senza che si nasconda dietro l'invisibilità, la divisa o un aspetto fasullo.
Per capire la frecciatina della vicina, la signora Priest, bisogna ricordare che cosa le ha detto Cornelia nel cap. 37.

Buona lettura
MaxT

PROFEZIE


Riassunto delle puntate precedenti 
Dopo un incontro misterioso con la Luce di Meridian, Vera ha convinto le Gocce a sostituirsi a Elyon a Meridian, impersonando la regina e le guardiane. Carol si è opposta, ed è stata costretta con l'ipnosi. 
A Meridian, la controfigura di Elyon e le finte guardiane esiliano Miriadel e Alborn, mentre Caleb sfugge alla cattura;  pur avendo assunto il potere, si 
rendono conto di non essere convincenti, e inventano la storia che le guardiane sono a palazzo per proteggere la Luce di Meridian da un complotto. 
A Heatherfield, rifugiatasi con i genitori nella sua vecchia casa, Elyon spiega che quella che si sta realizzando è una sua profezia,  la cui interpretazione fino a quel punto era ambigua. La profezia prevede che la tirannia duri un anno, che a Meridian dura diciotto mesi. Elyon è decisa a non tentare niente prima di questa scadenza.
Sul palazzo scende un clima sempre più oppressivo in cui le congiurate utilizzano sia i poteri mentali che l'intimidazione per mantenere il controllo.
Settimane dopo, vengono a sapere per caso la profezia infallibile che prevede che la tirannia durerà un anno.
Il nuovo piano di Vera prende rapidamente forma, basandosi sull'ambiguità del termine di un anno: prima simuleranno che Elyon diventi sempre più tirannica e impopolare, screditandola, poi Vera, che ha comunque il rango di una principessa Escanor, la spodesterà dopo un anno terrestre di dodici mesi, facendo finire apparentemente la tirannia e realizzare la profezia; poi, dopo aver guadagnato il consenso della gente, si prepareranno per affrontare Elyon e eventualmente le Guardiane al loro ritorno dopo diciotto mesi, un anno di Meridian. Vera crea venti copie di Wanda, dette Nemesis, che avranno l'incarico di impersonare le guardiane, sollevando le gocce dal compito, e di sorvegliare la città restando invisibili o sotto falsa identità, o con l'aspetto di aquile. 
Dopodichè, una controfigura di Elyon presenta pubblicamente Vera come principessa al popolo e al Consiglio dei Veglianti.
Nel frattempo Carol viene a lite aperta con le Nemesis e fugge a Heatherfield, ma quando incontra Elyon, questa le consiglia di riunirsi al suo gruppo dandole spiegazioni sibilline. Al ritorno a Meridian viene severamente interrogata, finchè spiega di avere acquisito certi poteri paranormali indipendentemente da Vera e si offre per fare la spola tra la Terra e Meridian per commissioni, e Vera accetta la proposta.

Cap.55

Spola fra due mondi


Al termine del lungo corridoio Carol, vestita di un cappotto scamosciato col cappuccio di pelliccia, alti stivali invernali e borsetta sottobraccio, arriva finalmente al grande locale sotterraneo.
La luce del sole filtra attraverso alcune bocche di lupo, in alto. Ogni suono rimbomba sulle pareti spoglie, intagliate nella roccia, che danno più l’idea di una grotta artificiale che di uno scantinato. Aveva già memoria di questo luogo inquietante, ereditata da qualche dignitario o forse da Caleb. Ormai fa fatica a distinguere la paternità dei ricordi, e si deve accontentare di riconoscere se sono propri o altrui.
Al centro del nudo pavimento di pietra, un’area è transennata da paletti che sorreggono un nastro il cui vivace color arancione contrasta con la tetraggine del luogo.
Vera, già in piedi nella sala, le viene incontro sorridendo.
Un’altra figura, invece, resta ferma ad attenderla a braccia conserte accanto ai paletti. Sembra Wanda in versione terrestre: due pantaloni di velluto nero sporgono da sotto una grossa giacca a vento nera, e i corti capelli quasi neri sono racchiusi in una cuffia di lana. Nera, ovviamente.
“Wanda, sei tu?”, chiede Carol incerta.
L’altra ricambia lo sguardo, un po’ tesa. “No. Sono Diana. Alias, Nemesis Dodici”.
Carol cerca di nascondere il suo disappunto: dovendo fare uno sforzo per riavvicinarsi, avrebbe preferito farlo per la sua vecchia compagna piuttosto che per una anonima copia.
Da una leggera smorfia dell’altra, capisce con rammarico che il suo pensiero è stato captato.
“Mi chiamo Diana, ripeto. Ti prego di ricordare il mio nome!”.
“Va bene… Diana”. Carol la squadra un attimo, fulminata da un sospetto: “Ma… tu non sei quella che l’altro giorno voleva malmenarmi?”.
L’altra le ringhia tra i denti: “Già, sono proprio uno degli avvoltoi che aspettavano di finire i resti del tuo pranzo!”.
Vera interrompe la presentazione non del tutto felice: “Ragazze, cercate di andare d’accordo, perché d’ora in poi farete coppia fissa!”. Le squadra un attimo con un’occhiata carica di minaccia, che poi muta in un largo sorriso mentre apre una valigetta portadocumenti che nessuno aveva notato prima. “Ho qualcosa per voi”. Con disappunto, si accorge che l’ambiente è troppo scuro per leggere le carte. Con un’occhiata verso l’alto, fa accendere degli ampi pannelli dalla forte fluorescenza bianca, incassati nella parte alta delle pareti.
Ora che ci si vede meglio, spiega: “La vostra consegna è trasferirvi a Midgale, nel nostro vecchio appartamento, e verificarne lo stato. In particolare, cercate di capire se è sorvegliato. Poi, comprate un fuoristrada di seconda mano e portatelo a Meridian. Vi aspetto qui tra quattro ore esatte”. Indica lo spazio transennato. Poi comincia a estrarre qualcosa dalla cartellina: “Ecco per voi: ventimila dollari in contanti…”, li fa sventolare con regale indifferenza, “… un flacone di acqua magica concentrata, le chiavi di casa, un computer palmare, due orologi… e poi, carte di identità e patenti intestate a Carol Hair e Wanda Vanderbilt”. Rivolta alla Nemesis, aggiunge: “Diana, tu ti fingerai Wanda, se qualcuno dovesse riconoscervi a Midgale. Ci sono anche altri documenti per te: un tesserino di agente dell’FBI e un porto d’armi”.
“Porto d’armi?”. Carol storce il viso. “Il cannone non le servirà a niente”.
“Non è contro di te” specifica Diana toccandosi un qualcosa sotto l’ascella, coperto da strati e strati di vestiti. “Io sono la tua scorta”.
L’altra risponde con un grande sbuffo di disappunto. “Se ci ferma la polizia, quella roba da Rambo ci darà solo problemi”.
Vera le interrompe: “Ragazze, non vorrete beccarvi per tutto il tempo, vero?”. Poi apre il palmo, rivelando quattro grossi orecchini opalescenti di forma emisferica. “Indossate questi registratori di pensieri. Tassativo, non toglieteli mai fino al vostro ritorno!”. Ridacchia tra sé: “Tanto non ci riuscireste”.
Carol non pensa neanche a rifiutarsi: meglio così che essere sospettate di avere incantato la sua guardia per fare chissà cosa di nascosto. Però storce il viso per il disappunto: “Sembrano fondi di bigiotteria da due soldi!”, si lamenta. Toglie quelli d’oro che aveva scelto con cura nella sua piccola collezione e li rimpiazza con i registratori, che le aderiscono ai lobi come fossero adesivi. “Scommetto che non stanno bene con il mio cappotto”, si lamenta mal rassegnata.
“E io, ti sembro una tipa da orecchini?” , ribatte Diana rigirandosi i due emisferi tra le mani con evidente disgusto, finché Vera non la aiuta a collocarli sui lobi.
Carol deve convenirne: decisamente stonati, soprattutto sul vestiario mascolino dell’altra.
Poi la Grande Sorella è colta da un dubbio: “Ragazze, voi sapete guidare una macchina, vero?”.
“Certo!” risponde sicura Carol. “Tutti quelli a cui ho copiato la memoria a Midgale ne erano ben capaci”.
“Che ci vuole?”, fa eco Diana, convinta.

Irenior spunta fuori dal nulla, facendole sobbalzare tutte. “Carissime! Non andrete a Midgale senza un saluto, vero?”. Porge  a Carol un foglietto di quaderno e aggiunge: “Vi ricorderete di noi, vero, amiche mie? Qui abbiamo una piccola lista dei desideri”.
“Sarà impossibile dimenticarvi”, risponde lei con un sospiro, scorrendo il lungo elenco che spazia dai CD musicali agli arretrati di qualche shoujo manga. “Beh, io sono pronta”, dice, prendendo a braccetto la sua scorta, che la ricambia con un’occhiata disorientata ma non si ribella.
Vera fa  un gesto benedicente verso di loro per tener lontani i virus di stagione. “In bocca al cibrice, ragazze!”.
Mentre le due svaniscono assieme, le loro voci risuonano quasi remote: “Crepi”. “Crepi”.
 

Midgale, soggiorno delle Gocce

Appena il soggiorno della loro vecchia casa di Midgale si materializza attorno a loro, le due si guardano attorno. L’appartamento elegante dimostra tutti i suoi due mesi di abbandono.
“Qui è passato qualcuno”, fa notare Diana. “Ci sono impronte. E poi, avevamo… avevate lasciato le spille sul tavolo”.
“Ti meraviglia?” chiede Carol, “Sapevamo già che Elyon era passata di qua quando stavamo scappando”.
L’altra scuote il viso, guardando il pavimento controluce. “Sono impronte nella polvere. Quella volta la casa era pulita, quindi devono essere più recenti”.
“Già…”, deve ammettere Carol.
“Scoprire se la casa è sorvegliata… da che parte cominciamo?”.
“Se la nostra amata vicina, la signora Priest, non è defunta nel frattempo, questo posto si può senz’altro considerare sotto sorveglianza.
“Allora dobbiamo parlare più piano”. Diana prosegue circospetta verso il corridoio e scompare alla vista.
Poco dopo torna nel soggiorno, e sussurra: “Sembra che qualcuno si sia sdraiato sul letto di Vera”. Sbircia nervosamente all’esterno tra le tende. “Comunque, non abbiamo motivo di restare qui a lungo”.
“Solo cinque minuti…”. Carol si accomoda sul divano, estraendo dalla borsetta il palmare. “Cerco l’indirizzo di un concessionario di auto usate”.
Diana si siede, cercando di tenere sotto controllo la sua frustrazione. Per la prima volta da quando esiste, è priva di ogni potere, a parte una modesta telepatia ereditata da Wanda e una pistola che probabilmente le sarà del tutto inutile. Impossibile negarlo: lei non è né in condizione di proteggere Carol, né di imporle qualcosa, ma è solo un’accompagnatrice sopportata per amor di pace.
E poi, ha dovuto perfino promettere a Vera che le avrebbe chiesto scusa: forse adesso è il momento giusto per cavarsi quel dente.
“Senti, a proposito dell’altro ieri… a pranzo… beh…”.
“Sì?”. Carol non alza gli occhi dal piccolo schermo.
L’altra prende fiato, e butta fuori: “Scusa per averti messo le mani addosso!”. Trattiene tra i denti: ‘Ma sei stata così odiosa…’
“Scuse accettate”, risponde con finta indifferenza, “E poi, sono stata così odiosa…”. Guarda l’altra di sottecchi con un sorrisino soddisfatto: in questa situazione è lei la più forte, ed è l’occasione per dimostrarsi signora. “Non importa. Incidente chiuso”.
Mentre il palmare si sta avviando, Carol pensa a qualcos’altro da dire per alleggerire l’atmosfera.
“Sai… Diana, una volta mi sarei trovata nei guai, con tutta questa polvere”.
“Non soffri più di asma allergica?”.
“No: da quando ho avuto i poteri da Vera, ho azzerato tutti gli acciacchi”.
Nel frattempo, il palmare ha preso vita; lei batte alcuni tasti, e le pagine colorate si alternano lentamente sul piccolo schermo. “Ecco… Tom’s Car Sales. Sheridan Street 154…”.
L’altra balza in piedi, impaziente. “So dov’è. Andiamo, ci si può arrivare anche a piedi”.

Poco dopo, le due entrano nell’ascensore. Meglio non parlare: se ci fosse la signora Priest in agguato, ogni parola detta potrebbe essere usata contro di loro.
Arrivando al piano terra, stanno per tirare un respiro di sollievo, ma è troppo presto: quando le porte dell’ascensore si riaprono, si trovano faccia a faccia proprio con lei.
“Oh! Buongiorno…”. “Salve…”.
Con loro sorpresa, l’anziana non risponde al saluto, ma le squadra più con disgusto che con sorpresa.
Imbarazzate, scendono lasciandole la cabina libera.
Prima che le porte dell’ascensore si richiudano sottraendola alla vista, l’anziana le sibila: “Sarà contenta, signorina Hair: oggi c’è tutta la neve che può desiderare, e tutta gratis!”.
Per un attimo le due restano a guardarsi perplesse. “Ma che cosa le è preso?”. “Cosa voleva dire?”, finché decidono che l’uscita dell’amata vicina non merita più di una scrollata di spalle.
Sull’ingresso, una folata fredda le costringe ad alzarsi i baveri. Diana si calca sugli occhi la sua cuffia nera, mentre Carol tira su il suo cappuccio di pelliccia, che, assieme alla spessa suola degli stivali, fa alzare la sua statura fin quasi a un metro e novanta.

Le due procedono a passo prudente verso Sheridan Street, persa in fondo a una successione di lunghi marciapiedi su cui la neve riporta file inestricabili di impronte sovrapposte.
Non parlano, impegnate a nascondere naso e bocca dal mondo gelido in cui si sono avventurate lasciando le miti stagioni di Meridian. Accanto a loro, le automobili percorrono con prudenza le strade innevate, mentre i loro fumi bianchi ristagnano ad altezza d’uomo.

Carol percepisce un pensiero dell’altra, o meglio un ricordo neppure suo, ma di Wanda.
E’ di un altro giorno di inverno, quasi due anni prima. Le strade erano innevate, e i marciapiedi costellati di impronte, come oggi. Però erano i marciapiedi di Heatherfield, non di Midgale. A un certo punto, vede il viso di un ragazzo. E’ Matt, che la guarda dapprima sospettoso, poi apertamente ostile. Dopo qualche bugia imbarazzata, sente la sua stessa voce che lo supplica, ricambiata con parole di fuoco che la memoria ha pietosamente reso indistinte, e poi l’immagine si scioglie in un velo di lacrime e disperazione.
Per Carol quelle immagini sono come un morso: si ricorda con vergogna che, quando Wanda tornò distrutta da loro, lei non seppe pensare altro che ‘te la sei cercata’, e, anche se non lo disse, lo fece capire chiaramente.

“Non sono neanche ricordi miei”, le dice inaspettatamente l’altra, interrompendo quel momento penoso, “Eppure mi perseguitano da quando esisto. E non sono nemmeno i peggiori”.
“Io… Io non volevo spiarti…”, balbetta Carol imbarazzata. Ha un’idea delle disavventure della sua vecchia compagna Wanda, ma prima d’ora non le ha mai rivissute in soggettiva, e non osa immaginare se questi ricordi la perseguitino ogni giorno, o se riesca a sfuggire loro con la sua febbrile attività di…
“Di aguzzina?”, la previene Diana. “Wanda non è così, sta solo interpretando un ruolo!”.
“Per sua scelta, però”, osserva Carol senza sbilanciarsi di più.
L’altra continua: “Noi ci limitiamo quasi sempre a controllare. Ogni giorno leggiamo centinaia di pensieri, e ci imbattiamo anche in tragedie, angosce, rancori, pensieri privati che non hanno niente a che fare con la lotta di potere a Meridian. Pian piano, ci si abitua a sopportare le emozioni degli altri, a circoscriverle”. Si stringe nelle spalle, osservando la nuvoletta di condensa del suo stesso fiato. “E in fondo, anche quelli di Wanda sono i ricordi di un’altra”.
Carol annuisce interessata. “Allora non vi identificate del tutto in lei”.
Diana ci riflette, lasciando passare avanti due giovani infreddoliti avvolti in giacche a vento vivaci che le seguivano troppo dappresso. Poi risponde con voce dubbiosa: “Ciascuna di noi vorrebbe essere sé stessa. Però ora è impossibile: l’aspetto uguale, la condivisione quotidiana delle memorie…”. Poi, in tono più sbrigativo: “Comunque questa situazione è provvisoria. Prima di tutto dobbiamo dimostrarci all’altezza di ciò per cui siamo state create. Finito il pericolo, potremo cominciare a pensare a qualcosa di diverso”.
Carol annuisce in silenzio, provando un po’ di pena per tutte loro, costrette ad aggrapparsi a un nome, un numero e qualche fregio nero sul viso per difendere coi denti una briciola di individualità.
Lungo la strada, vede un’insegna luminosa che ammicca da sopra la vetrina di un bar. “Che ne dici di annegare le tristezze in una cioccolata calda?”.
 

Midgale, Tom’s Car Sales, un’ora dopo

Al numero 154 di Sheridan Street, ad accoglierle sulla cancellata aperta c’è un grosso Santa Klaus di pezza, crocifisso per i polsi a un cartello rosso con scritto ‘Auguri!’. La testa, appesantita dall’umidità, è reclinata come se supplicasse la fine delle festività a liberarlo delle sue sofferenze.
Le due alzano gli occhi sulla grande insegna che sovrasta, come un arco, la cancellata.
“Tom’s Car Sales”, legge Diana, battendo i piedi a terra per liberarsi della neve sugli scarponi. “Eccoci arrivate”.
Carol storce il viso: è stanca, e giurerebbe che i piedi infreddoliti le si stiano riempiendo di vesciche. “La prossima volta che ti sento dire ‘ci si può arrivare a piedi’, saprò cosa aspettarmi”.

Entrano in un cortile delimitato da un muretto di cemento, sovrastato da un recinto di rete metallica. Decine di automobili usate sono parcheggiate, più o meno coperte di neve, tutte con il cartello del prezzo che ammicca sul parabrezza, sottolineato dalla scritta ‘occasione’ a rutilanti caratteri giallo-arancio.
Un uomo sulla cinquantina, forse il famoso Tom,  si avvicina gioviale. “Buongiorno, signorine!”.
“Buongiorno”, gli sorride fredda Carol, di rimando, squadrandolo con sufficienza. Il cappotto un po’ sformato, i pantaloni spiegazzati, la cravatta pacchiana… Non certo le stimmate di un grande successo.
Diana le ruba la parola. “Stiamo cercando un fuoristrada a pronta consegna. Qual è il meglio che ci può offrire per diciannovemila dollari?”.
Il venditore si volge verso un angolo del cortile. “Prego, seguitemi. Là c’è un vero gioiello che ha esattamente quel prezzo”.
Si avvicinano a un Land Rover Defender verde scuro, coperto da un velo di neve. L’uomo raccoglie una spazzola di gomma, e con pochi gesti abili ripulisce il muso ed il parabrezza del mezzo.
“Un po’ militaresco… ed è ammaccato”, osserva Carol, trattenendosi dallo storcere il naso. La sua auto ideale sarebbe qualche piccola monovolume superaccessoriata e supergriffata.
“Niente male”, fa Diana compiaciuta, forse immaginandosi già l’emblema degli occhi di gatto e la N rossa dipinti sulle fiancate. “E vale davvero diciannovemila dollari?”.
“Ma certo!” risponde il titolare, “Da qualunque altro concessionario, una macchina come questa può venire dai venti ai ventiduemila dollari”.
“E allora, perché lei la fa a diciannovemila?”.
“Perché un cliente soddisfatto torna più facilmente, signorina!”.
Buona risposta, conviene Carol senza parlare. Estrae un notes dalla borsetta, e finge di sbirciare un appunto. “Wan… Dia… Wanda, ti ricordi quanto ci chiedevano per la Renegade? Diciottomila e…”.
“E duecento”, completa l’altra, stando al gioco. Poi sbircia il contachilometri, spazzando la neve dal cristallo laterale. “E aveva anche qualche chilometro in meno”.
“Ehi, signorine, si può anche trattare!”, fa il titolare, deciso a non farsi sfuggire l’affare. “Questa macchina vale almeno ventimila dollari, ma per voi… insomma, posso anche arrivare a diciottomilaeduecento”.
Chinandosi a terra, Diana raccoglie da terra un cartello vivace, distorto dall’umidità. “Qui c’è scritto ‘diciottomila-occasione!!!’ ”.
Il titolare lo appoggia sulla macchina accanto, ancora nascosta da una coltre di neve, “E’ di un’altra automobile”, risponde disinvolto, ma le due sanno ben riconoscere una bugia. “Per voi voglio rovinarmi, farò diciottomila dollari soltanto. Provatela, e sentirete come canta, questo gioiello!”.
Carol sale al posto di guida; aggiusta il sedile e gli specchietti con aria da guidatrice navigata.
Appena avuta la chiave in mano, cerca dove inserirla.
“Il quadro è lì, a destra del piantone”, suggerisce lui.
“Naturalmente!” conviene lei con disinvoltura, sforzandosi di ricordare cosa sia il piantone. Ah, ecco… Gira la chiave.
Con un singhiozzo, la macchina si scuote, poi muore lì.
Carol si innervosisce notando il sorrisino nascosto dietro il viso impassibile dell’uomo.
Dunque… frizione, via il freno a mano, chiave…
Il rumore incoraggiante del motore premia l’inizio del suo tentativo.
Bene. Ora accelerare, mollare la frizione…
Il motore ruggisce, e la macchina parte sgommando verso dietro, arrestandosi contro la recinzione con un rumore orrendo.
“Ehi!”, grida l’uomo, alla vista del palo piegato.
“Scusi…”, balbetta Carol, con la fronte imperlata da un sudore fuori stagione. Cosa non ha funzionato? O è la copiatura dei ricordi che non sta mantenendo tutte le sue promesse?
Al suo terzo tentativo, l’automobile balza in avanti e di lato, facendo sobbalzare gli altri due, che per un istante si vedono già stirati. Invece, è lo specchietto retrovisore della macchina accanto a farne le spese. Con un rumore secco, si stacca e cade nella neve ai piedi del titolare.
Appena Carol, annichilita, spegne il motore, l’uomo si fa avanti per valutare i danni. “Specchietto staccato”, elenca raccogliendolo, “Palo piegato… paraurti deformato…Signorina, saranno almeno cinquecento dollari di danni, di cui almeno trecento su questo fuoristrada”.
“Va bene… va bene!”, dice Carol alzando le mani. “Lo prendiamo lo stesso”.
Mentre seguono l’uomo nell’ufficio, Diana le si accosta. “Sarà meglio che la lasci guidare a me”.
“Tutta tua!”, le risponde, porgendole le chiavi come se scottassero.

“Bene”, dice il venditore, sedendosi sulla sua poltrona nell’ufficietto, e mettendo mano ad un contratto prestampato. “Per fare le cose facili, ho conglobato nel prezzo i danni all’altra auto e al recinto. Fanno diciottomilasettecento dollari”.
“Ma come?”, fa Diana. “Diciottomila, più duecento tra specchietto e palo… trecento dollari di danni sono sulla nostra macchina, o sbaglio?”. Guarda Carol per cercare sostegno, solo per constatare che l’incidente le ha tolto tutta la sicurezza.
“Volevo fare le cose semplici”, ribatte serafico il venditore. “Se le preferite difficili….”, e allunga la mano verso il telefono.
“Vada per le cose semplici” acconsente Carol ancora scossa.  Con le mani tremanti, apre la busta e ne estrae la cifra esatta.
“Ma come…”, si stupisce l’altra , “E poi, non aveva detto che il cliente soddisfatto torna più facilmente?”.
“Vorrei cautelarmi contro questa eventualità”, risponde lui.
“Va bene così. Odio trattare sui prezzi”, la fa breve Carol. Poi, a voce più bassa: “Il signore avrà bisogno di comprarsi un bel po’ di bicarbonato”.
L’uomo ignora la maledizione, contando i soldi. “E lei, se posso… sa guidare?”.
“Certo! E’ ovvio!”, risponde sicura Diana.
“Gliel’ho insegnato io”, borbotta l’altra tra sé.
Il venditore annuisce, ironico.  “Naturalmente, avrete i documenti in regola”.
“Ma certo. Aspetta, Carol, ci penso io…”, fa Diana, estraendo dalla giacca a vento tre tessere: una carta di identità a nome Wanda Vanderbilt, una patente, e un tesserino da agente dell’FBI.
L’uomo impallidisce alla vista del documento federale, ma replica solo con un cenno di assenso imbarazzato, mentre l’altra firma il contratto.
“Allora è lei l’acquirente, signorina Vanderbilt… non la signorina…”.
“A quanto pare”, replica Carol di malumore, mettendo via la busta con il resto dei soldi.
Il venditore resta perplesso per quest’ambiguità; tutti i suoi clienti, prima d’oggi, non gli avevano mai lasciato dubbi su chi fosse lì per comprarsi un’auto, e chi fosse venuto solo per accompagnarlo. Alla ricerca di indizi, nota gli orecchini uguali, stonati su entrambe. “Scusate la domanda: abitate insieme?”.
“Scusi la risposta: si faccia gli affari suoi!”, lo stronca Diana.
“Infatti li sto facendo”, replica risentito lui, battendo le dita sul contratto.

Appena finite le formalità, il venditore le accompagna fuori con un sorriso teso. Osserva la ragazza col cipiglio militaresco che sale alla guida, regola specchietti e sedile, mentre quella più alta si siede imbronciata al suo fianco e si lega accuratamente con la cintura di sicurezza.
Il motore si avvia, poi la macchina si muove con prudenza e sterza. Forse quest’altra sa…
Il suono di sfregamento sottolinea che ha curvato troppo stretta. Sulla fiancata del fuoristrada è comparsa una strisciata, azzurra come l’auto che le stava accanto.
Dopo un attimo di indecisione, il Land Rover riprende la sua marcia ancora incerta verso il cancello. Il venditore si augura, in cuor suo, che riescano a centrarlo, e di non rivederle mai più.
Dopo una lunga attesa sull’ingresso e varie false partenze, il mezzo balza avanti con un urlo del motore e grandi schizzi di poltiglia di neve.
L’uomo sospira sollevato. Poi sente qualche squillo di clacson, ma preferisce non indagare.
Donna al volante… bah!
Ripassa vicino all’auto blu. La lamiera sul muso è strisciata e rientrata, e una luce di direzione è in frantumi. Che spaccona quella ragazza! E quel tesserino dell’FBI… chissà se era vero o lo ha trovato nelle patatine, come la patente? Lui saprebbe a cosa sono buone le donne, e comunque la guida non è tra queste cose.
Rientra di malumore nel suo ufficio, e si accosta alla stufetta a gas, godendosi il tepore attraverso i vestiti umidi. Gli sta venendo acidità di stomaco. Chissà se ha del bicarbonato?
 
 

Poco dopo, strattonata dalla cintura di sicurezza, Carol riapre gli occhi in tempo per sentire la maledizione di un pedone che si è appena visto passare davanti agli occhi tutta la sua vita in un momento. 
Si volta verso la guidatrice, tesa e pallida.
“Ti prego, Wanda, accosta la macchina!”.
“Mi chiamo Diana!  E poi, non c’è neanche l’ombra di un parcheggio libero, in questa dannatissima strada!”.
“Ce n’erano due, pochi metri indietro”.
“Beh, Carol, se tu cercassi i parcheggi davanti, anziché quelli dietro… ?”.

L’altra risponde stizzita, guardando fuori: “Ma non eri tu quella che ha risposto ‘cosa ci vuole?’ a …” . Improvvisamente grida: “Eccolo! Lì a destra!”, indicando un posteggio libero.
Diana frena di colpo. Subito, uno strombazzo di clacson alle loro spalle accompagna la terrificante visione nello specchietto di un’auto che arriva da dietro e riesce a fermarsi a solo pochi centimetri da loro.
La loro Land Rover riparte, ma  dopo un singhiozzo il motore muore lì, accompagnato dalle maledizioni della conducente e altri strombazzi provenienti da dietro.
“Basta!”, implora Carol, con entrambe le mani avvinghiate convulsamente al sedile. “Trasferiamoci a Meridian, finché siamo ancora vive!”.
“Non dovevamo fare acquisti?”, risponde l’altra. “Arriveremo al centro commerciale Starshop, e porteremo a termine la missione!”.
“O moriremo nel tentativo…”.
 

Altri lunghi minuti dopo…
“Wanda, stai attenta!”.
“Non mi chiamo Wanda! Sono… sono… sono Diana! E poi, cosa c’è stavolta?”.
“Questo è un doppio senso!”.
“Non l’ho capita…”.
“La strada è a doppio senso! Tieni la destra!”.
“Ah, già…”. Dà una sterzata sulla destra. Un po’ troppo.
Con un suono secco, lo specchietto di destra si schianta contro un’altra macchina parcheggiata. Si intravede qualcosa che si stacca e rimbalza sulla strada davanti a loro, sparendo alla vista e finendo la sua traiettoria in un CRACK sotto le ruote del fuoristrada.
“Beh, si può guidare anche senza lo specchietto destro”, si consola la conducente, “Tanto non lo guardavo mai”.

Lunghissimi minuti dopo, quanto resta dell’automezzo accede finalmente al parcheggio sotterraneo del centro commerciale Starshop.
Quando scendono per le rampe, Carol si affloscia sul sedile in un grande sospiro di sollievo. Per un attimo, si era vista spiaccicata sulla spalletta dell’ingresso.
Dopo avere sceso vari piani sottoterra, finalmente si trovano a un livello con molti posti macchina liberi. Diana sceglie con cura tre parcheggi consecutivi, e ferma l’automobile al centro con precisione, o fortuna, ormai inattesa.
“Brava”, esala Carol, poi si guarda in uno specchietto da maquillage. No, niente capelli bianchi… finora.

Le due, rigide e scosse, entrano nell’ascensore.
Carol tira fuori un biglietto dalla borsetta. “Ecco la lista delle nostre amiche. Cominciamo da un negozio di musica”.
“Non potremmo partire da una tavola calda?” chiede speranzosa Diana, “Io ho fame!”.
“Ma hai fatto fuori due krapfen un’ora fa!”, replica incredula l’altra, “Sei stata contagiata da Irene?”.
“Un’ora che mi sembra un secolo”, risponde l’altra massaggiandosi lo stomaco. “E poi, tutte noi abbiamo già perso tre chili in un mese. Volare costa fatica, non credi? Quando sono lassù, vedo ogni dettaglio della gente, del terreno. Tante volte sono stata tentata di buttarmi in picchiata a rubare delle pagnotte al mercato… ma non si può. Credo che prima o poi potrei gettarmi su qualche roditore che sbuca dalla sua tana, pur di mettere qualcosa in più nello stomaco!”. Chiude subito la bocca quando nota che un paio di persone la stanno facendo oggetto di occhiate stranite.

Poco dopo, le due sono sedute al tavolo di un Mc Donald davanti a un vassoio ricolmo di cofanetti di cartoncino e bicchieroni. Mentre centellina la sua acqua minerale naturale, Carol osserva l’altra che si sforza, con poco successo, di mantenere un contegno mentre divora a grandi morsi il secondo panino, mandandolo giù con abbondanti sorsate  di Coca-Cola.
Poi riguarda il loro primo, ingombrante acquisto: quaranta cheeseburger, ciascuno nel suo cofanetto di cartoncino, riempiono un’enorme sporta e spargono il loro profumo. E’ stato così imbarazzante ordinarli, al banco… Sposta il sacchetto sotto il tavolone nella posizione meno visibile, si accerta che nessuno stia guardando e con un gesto rapido lo fa sparire nel palmo della mano.

Un’ora dopo, tra alberi di Natale e striscioni beneauguranti, il loro giro di shopping volge alla fine.
‘Trenta Dicembre’ , recita un enorme calendario addobbato con disegni variopinti di renne, alberi punteggiati di pallini rossi e pacchetti infiocchettati.
Il largo sorriso sognante delle due, cariche di sporte e borsette, lascia gradualmente il posto ad un’espressione preoccupata, a mano a mano che l’ascensore le fa sprofondare verso i parcheggi sotterranei. C’è ancora un ostacolo da superare, prima di poter arrivare vive a consegnare tutti quei pacchetti…
“Questa volta guido io”, si impone Carol. “Andremo in qualche vicoletto deserto, e da lì faremo il salto per Meridian”.

Arrivate al parcheggio, notano con una punta di panico che i due posti accanto al loro fuoristrada sono stati occupati.
“Wanda…”.
“Diana, prego”.
“Diana, ti metteresti dietro a farmi segnalazioni per la retromarcia?”.
“Per essere la tua prima vittima? Scordatelo!”.
Carol la guarda con stizza. “Pensavo che voi grandi guerriere foste più coraggiose!”.
L’altra sostiene lo sguardo. “Coraggiose non vuol dire del tutto sceme. Se vuoi, mettiti dietro tu, mentre io faccio manovra”.
Rimuginando cose scarsamente signorili, Carol si siede al posto di guida. Ripete il rituale degli specchietti, quantomeno di quelli che ci sono ancora, e ripassa la sequenza: frizione- chiave- acceleratore- retromarcia- mollare frizione piano… sì, stavolta non sbaglierà.
Il motore si accende, obbediente, al primo tentativo. Con cura infinita, solleva il piede dal pedale, e l’auto comincia a muoversi dolcemente verso dietro. Bene…
“Attenta! Arriva un’altra macchina!”, fa Diana accanto a lei, voltata verso dietro.
Con una smorfia di disappunto, Carol rimette la marcia avanti.
“No, no, si è fermata. Tu continua ad arretrare!”, dice l’altra.
Carol rimette mano alle marce, ma stavolta l’auto le parte in avanti. Un orribile rumore di lamiere annuncia l’aggiunta di una nuova ammaccatura alla collezione. “Oh, no!”, geme.
“Aspetta, faccio io”, si offre Diana accennando a slacciarsi la cintura di sicurezza.
“Ah, no, adesso basta!”, strilla Carol quasi isterica. “Scusami tanto, ma ci tengo alla pelle! Non ho ventuno vite, io!”.
Fuori dai finestrini, il garage svanisce tremolando alla loro vista.
 

Meridian, sotterraneo

Nel grande locale illuminato dalla luce verdina dei pannelli fluorescenti, Vera e le gocce sono in impaziente attesa.
“Sono in ritardo. E se fosse successo qualcosa?”, geme Paochaion guardando nervosamente il suo orologino per l’ennesima volta.
“Pao, piantala!”, sbotta Theresion, “Hai cominciato a preoccuparsi fin da venti minuti prima!”.
Anche Irenior scalpita impaziente:  “Speriamo che abbiano trovato tutto! Dopo due mesi senza l’ultimo CD di Karmilla…”.
“Eccole qui!”, dice Vera, indicando un debole scintillio nell’area transennata.

Appena apparso, il fuoristrada ruggisce e fa un breve scatto in avanti, verso il gruppo, scatenando un attimo di panico, poi il motore muore ingloriosamente con un singhiozzo.
Mentre il rimbombo del motore si perde, una lucetta arancione si stacca dalla fiancata ammaccata. L’eco e il silenzio ingigantiscono il suo impatto sul pavimento di pietra.
Le due occupanti scendono a terra con passo malfermo. “Ehilà”. “Eccoci sane, salve e quasi puntuali!”.
Segue un momento sbalordito, mentre tutte le altre realizzano che il mezzo è costellato di strisciate e ammaccature.
“Ma…”, chiede Vera sbalordita, “Questo è il miglior fuoristrada che avete trovato per ventimila dollari?”.
“Che vuoi”, fa Carol allargando le braccia, “Quel commerciante era davvero un ladro...”.
 

  
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