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Autore: ginnyx    26/09/2010    3 recensioni
Dimenticatevi il Billie Joe che avete sempre conosciuto, perchè in realtà non è mai esistito, per lo meno non in questo modo. Il mondo di cui vi parlo io, quello dove vivo, è un po' diverso da quello che conoscete. Qui Billie Joe non ha mai pubblicato tutti quegli album, i Green Day non esistono (non ancora). L'unica cosa intatta, anche nei modi paralleli, sono i legami. Forti, indissolubili. Si potrebbe parlare del filo rosso del destino, nonostante Billie Joe sia in manicomio
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Billie J. Armstrong, Mike Dirnt, Nuovo personaggio, Tré Cool
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Mental12-4 Dicembre, notte [Mezzora di ricordi.]

4 Dicembre, notte.-

[Mezzora di ricordi.]

 

La chiacchierata con Bradley è stata proficua, finalmente sono riuscita a parlargli e a farlo parlare di tutto, assolutamente tutto.

Persino il teatro, lo spettro della sua vita.

Per un attimo mi sono sentita come se stessi parlando veramente a uno spettro.

Lo spettro di Gideon.

Lo spettro di mio fratello.

Stringo forte il volante della mia macchina.

Ed eccolo che arriva, forte e sempre chiaro.

Nonostante siano passati undici anni.

Undici fottuti anni, cazzo.

Rido, ma solo per non piangere.

A lui non piaceva vedermi piangere.

No, Gideon detestava vedermi piangere.

Mi… mi ricordo la prima volta.

Avevo solo cinque anni e saltando sul letto mi ero fatta male.

Piangevo come una matta e non c’era nessuno in casa.

Nessuno a parte lui.

Si è catapultato da me e appena a visto le mie lacrime ha incominciato a dare di matto.

Ha urlato di tutto di più, ma è stata la sua ultima esclamazione a farmi morire.

Dalle risate.

-Per la barba del nonno Gianni, del parroco e anche di quella che ancora io non ho!-

Solo mio fratello, solo Gideon, poteva dire una cosa del genere.

Lui ha sempre saputo cosa dirmi, come farmi ridere, come farmi arrabbiare.

Già, io lo adoravo, l’ho sempre adorato, ma a tutto c’è un limite!

Da piccola lo veneravo.

Avevamo quattro anni di differenza e lui era il mio eroe personale.

Mi ricordo che sorrideva sempre quando scandivo bene la parola fratello, per far capire bene a tutti che io ero sua sorella, solo io avevo il diritto e il piacere di chiamarlo così.

Quando ho incominciato a crescere la cosa si è fatta diversa.

Se prima subivo i suoi scherzetti senza fare niente, adesso ribattevo e mi arrabbiavo anche.

Sapeva essere insopportabile quando voleva, ma era impossibile non perdonarlo.

Insomma, eravamo i tipici fratelli.

I tipici fratelli senza genitori.

Mio fratello li odiava, li odiava con tutto il cuore.

Loro avevano occhi solo per lui, era la loro stella del mattino.

Io ero qualcosa di non voluto, di casuale.

Semplice tappezzeria.

Ma non ho mai invidiato mio fratello.

L’unica volta che l’ho fatto, lui arrabbiato mi ha preso da parte.

-Juliet, sei gelosa? Sei gelosa di me?-

Mi aveva detto con la faccia più seria che gli avevo mai visto.

-Non ti azzardare ad essere gelosa di me per colpa loro. Loro non lo meritano, non meritano né la tua gelosia né il tuo dolore. Niente ci dividerà, promettimelo.-

Avrò avuto circa sette anni e non capivo tutta questa foga, avrei capito in seguito.

Avrei capito la crudeltà.

Avrei capito il valore di quella promessa.

Avrei capito la morte.

 

Io non posso parlare d’infanzia rubata.

L’ho vissuta fino in fondo, magari non come gli altri bambini, ma era perfetta.

A modo suo.

Mio padre era ed è il proprietario di una grande azienda che porta il nostro cognome.

Blackwood.

Qualsiasi cosa in città e in tutta la regione era controllata dai Blackwood.

Perfino la gente quando sentiva il tuo cognome cambiava atteggiamento.

Gideon odiava queste cose.

Quando andavamo fuori a mangiare soli, visto che mio padre lavorava sempre e mia mamma era solo un burattino, diceva sempre un cognome semplice.

Smith, Wright, Edgeworth oppure, se quel giorno era in vena, un cognome straniero.

Rossi, Gonzales e tanti altri che non ricordo più.

Quanto ci divertivamo a recitare quelle parti.

Se poi sceglieva Gideon erano le più assurde.

Da Gonzales, il famoso lanciatore di coriandoli spagnolo.

A Smith, l’inglese collaudatore di materassi in cerca di fortuna.

Appena mio fratello mi vedeva un po’ giù di morale o era annoiato, si andava.

Prendevamo il treno, il pullman, un taxi o qualsiasi altro mezzo di trasporto per scappare via.

Via da quel posto.

Via dal nostro stesso cognome.

 

Mia madre era proprio una burattino e mio padre teneva i fili in mano.

All’inizio provavo solo disprezzo per mia madre.

Poi pena.

Lei era sempre attenta a ciò che pensava la gente, le sue amiche, mio padre.

Mi ricordo quando mi obbligava a vestirmi come voleva lei.

Come una signorina per bene.

Finché andavo alle elementari era tutto a posto, ma quando feci il salto alle medie incominciai ad avere gusti miei e le gonne a ruote non rientravano più nel mio stile.

Provai a spiegarglielo, ma non ci fu niente da fare e subì passiva.

Una volta Gideon mi prese in giro scherzosamente e io, già nervosa di mio, gli risposi in un modo che mi sempre ero proibita di fare.

-Certo, facile per te! Non hai mica nessuna madre che ti obbliga a vestirti di rosa con gonne orribili e i capelli sempre perfettamente ordinati!-

Appena dette quelle parole, mi pentì subito e cercai di andare in camera mia, ma lui mi afferrò per il braccio.

-Cosa hai detto?-

Il tono era calmo, ma io lo conoscevo bene e sapevo cosa si agitava dentro di lui.

Non osavo neanche guardarlo negli occhi.

-Non volevo dirlo, non intendevo dire questo.-

-Invece sì che volevi dirlo, era proprio ciò che intendevi.-

In quel momento mi sentivo un verme.

Chi ero io per dire quello a Gideon?

Quello che subiva pressioni da mattino a sera.

Quello a cui non era permesso sognare cose diverse da quelle che sognava mio padre.

Strinsi i pugni e abbassai lo sguardo.

-Mi dispiace.-

Era vero e lui lo capì subito.

-Lo so.-

Mi lasciò piano il braccio e si avvicinò a me.

-Non volevo essere duro con te, solo… solo non voglio che tu diventi come me.-

A quelle parole mi voltai di scatto e spalancai gli occhi.

-Ma io voglio essere come te! È per questo che ho deciso di diventare avvocato, così potrò aiutarti quando tu erediterai l’azienda!-

Quel giorno ero veramente brava a farlo arrabbiare.

Subito i suoi occhi si riaccesero di quel fuoco che lo caratterizzava.

Stavo per scusarmi di nuovo, quando lui mi strinse a sé con un abbraccio quasi soffocante.

-Ti prego…-

Mi disse con voce che sembrava quasi rotta.

-Ti prego, non rovinarti la vita per me, per nostro padre o per nostra madre.-

Si staccò un po’ da me, in modo da vedermi bene in viso.

-Tu sei speciale, Juliet. Non lasciarti condizionare da nessuno. Sei come sei, nient’altro.-

Mi stava parlando col cuore, stava parlando per esperienza.

Lui non mi ha mai raccontato niente, ma io sapevo, forse fin troppo.

-Tu non vuoi fare l’avvocato, lo fai solo perché vuoi aiutare me, giusto?-

Per quanto mi costasse ammetterlo, era così.

Annuii lievemente con la testa.

Lui mi accarezzò leggermente i capelli e mi sorrise a mezza bocca.

-Tu non devi fare niente solo per me, tu devi badare a te stessa, capito? Segui i tuoi sogni, JJ, segui i tuoi gusti, i tuoi amici. La tua vita. Preoccupati solo di questo, alla mamma ci penso io.-

Detto questo sciolse l’abbraccio e mi abbandonò in corridoio.

Aveva solo quindici anni, ma sembrava già un uomo.

Io lo guardavo scendere le scale, diretto in sala da nostra madre.

Io lo guardavo e non vedevo altro.

Gideon.

Mio fratello.

La mia sola famiglia.

Non desideravo altro.

 

Da quando Gideon era andato al liceo pubblico, visto che si era ribellato a mio padre, era perseguitato dalle ammiratrici.

Persino quelle dell’ultimo anno.

In fondo non potevo dargli torto.

Era alto più di un metro e ottanta, fisico slanciato e leggermente muscoloso, capelli corvini e occhi grigi.

Questi ultimi erano quelli che mi piacevano di più di lui.

In famiglia, mio padre ha gli occhi azzurro ghiaccio, mia madre blu.

Io ho sempre avuto un colore strano di occhi.

Cambiava in base ai vestiti che mettevo, ma era sempre indefinito.

Gideon però ha sempre sostenuto che non fossero blu o azzurri, ma grigi.

Esattamente come i suoi.

Al contrario delle apparenze e dei nostri scherzi quotidiani, eravamo molto legati.

Infatti io ero un po’ gelosa di tutte queste ragazzine che gli giravano attorno.

Ma solo per un breve periodo, solo finché non mi accorsi che qualsiasi cosa fosse successa lui non si sarebbe dimenticato di me.

E poi che motivo avevo di preoccuparmi? A lui le ragazze quasi non interessavano.

Certo, aveva avuto alcune fidanzate, ma non le aveva mai portate a casa, né erano durate più di un mese.

Sembrava quasi, o forse era così, che lo facesse solo per mio padre.

In verità Gideon era una persona molto socievole, aperta e piena di energia.

Aveva un sacco di amici che gli telefonavano chiedendogli di uscire o di vedersi.

Ma lo stesso non venivano mai a casa nostra.

Una volta come al solito avevano chiamato per lui e avevo risposto io.

-Pronto?-

Una voce maschile mi rispose immediatamente.

-Pronto, scusa se disturbo, cercavo Gì.-

Ci misi mezzo secondo a capire che Gì era Gideon.

Era strano come soprannome, di solito lo chiamavano tutti Gid, solo io sporadiche volte lo chiamavo Gì.

Un po’ insospettita passai la chiamata a mio fratello, ma dopo me n’ero già dimenticata.

Solo giorni dopo tornando a casa trovai due chiamate perse fatte da una persona che era stata soprannominata M <3.

L’unico che poteva averlo fatto era mio fratello.

Mio padre lo chiamavano solo sul cellulare e mia mamma non sapeva fare i cuoricini.

Cancellai immediatamente le chiamate per evitare scandali, ma la mia mente lavorava.

Ero un’adolescente annoiata da sola in casa, cosa dovevo fare?

Quel cuoricino indicava sicuramente una fidanzata, non c’era dubbio.

Mio fratello non era tipo da smancerie inutili.

Quindi, dopo aver collegato il cuore alla figura femminile, mancava solo l’identificazione.

M poteva stare per Melanie, Monique, Melissa o altro, ma non mi ricordavo nessuna ragazza con quel nome.

Così nei giorni seguenti prestai più attenzione alle chiamate e ai nomi pronunciati da mio fratello.

Una volta stavo facendo merenda, quando il telefono si è messo a squillare.

Ho guardato il numero e la scritta M<3 lampeggiava.

Stavo per cliccare il tasto verde, quando mio fratello, correndo giù per le scale, mi ha fermato.

-NON RISPONDERE!-

Mi ha gridato tutto trafelato.

-Perché non dovrei?-

Gli avevo chiesto in vena di sfida.

Il telefono continuava a squillare e mio fratello sembrava non saper come rispondere.

-Ti prego dammi il telefono, quando ho finito ti spiego tutto.-

Lo guardai male, sapevo che mio fratello aveva la memoria corta.

-Te lo prometto, ma ora dammi il telefono, ti prego.-

Doveva essere una cosa seria se mi parlava così.

Gli porsi il telefono e lui si avventò a rispondere.

Un sorriso gli si accese sul viso, quando udì la voce dall’altro capo dalla linea.

Mentre si avviava su per le scale, osservai il suo passo zompettante di felicità.

Mi toccava solo aspettare, sapevo benissimo che quando Gideon prometteva una cosa la manteneva.

Aspettai veramente tanto.

Era stato al telefono due ore.

Due sacro sante ore.

Avranno messo giù solo perché stava per andare a fuoco il telefono!

Io cercavo di fare i compiti di matematica per togliermi il pensiero, quando Gideon entrò in camera mia, ovviamente senza bussare.

Non mi disse niente, aprì solo la porta e si diresse in camera sua.

Io non opposi resistenza e mi catapultai dietro di lui.

Quando lui ebbe chiuso la porta della sua stanza, si sedette alla sedia di fronte al suo computer e mi fece segno di fare lo stesso sul letto.

Appena ci fummo sistemati, lui schioccò le labbra.

-Sicuramente vorrai sapere chi è questa persona che mi chiama sempre e con cui sto al telefono delle ore.-

Io annuì e continuai a fissarlo.

-Devi sapere che… questa persona è… è molto importante per me.-

-Gideon, non sarò un genio, ma qui c’ero arrivata.-

-Se è così allora non c’è bisogno che ti dica niente…-

Stava per alzarsi quando io lo fermai immediatamente.

-No, no, no. Continua a parlare!-

Sapeva benissimo come far leva sulla mia curiosità.

-È importante per me, mi dispiace tenerti all’oscuro di tutto, ma non sei pronta… non ancora.-

Per poco non mi cascarono le braccia.

-Tutto questo mistero per poi non dirmi niente? Gìììì, ma sai che io non lo direi a nessuno!-

-Lo so, JJ, lo so.-

Il tono era quasi desolato, arreso, non si adattava al solito tono di mio fratello, ma io non ci feci caso.

-E allora se lo sai, perché non me lo dici?-

Lui appoggiò il gomito sulla scrivania e, appoggiando il mento sopra la mano, incominciò a fissare il computer.

Quando faceva così era pensieroso e non c’era modo di farlo parlare.

Ma quello che dissi sembrò scuoterlo.

-Sai che non ti giudicherei mai.-

Lui si voltò immediatamente verso di me e mi guardò negli occhi.

Non riuscivo a capire bene quello sguardo, ma mi bastò il sorriso che mi fece dopo.

Mi chiamò a sé e io, come un automa, eseguii l’ordine.

Mi fece piegare, finché non fummo faccia a faccia.

All’improvviso il suo sorriso mutò e divenne quasi sadico.

Mi prese per la testa e ci strofinò sopra le nocche, mentre io mi dimenavo e lui rideva.

Rideva come un matto, quel bastardo!

Quando riuscì a liberarmi stavo per insultarlo, ma lui mi parlò.

-Ti voglio bene, Juliet.-

Il fiato mi si mozzò in gola.

Non potei fare altro che abbracciarlo e ripeterglielo.

-Anch’io ti voglio bene, Gideon.-

 

E te ne voglio ancora.

 

Tutto questo successe nell’anno dei suoi diciassette e dopo questo episodio smisi di preoccuparmi di quella stupida M, di quelle stupide telefonate.

Gideon era felice, dentro e fuori, cosa volevo di più?

 

Una volta, una delle tante, si era ammalato.

La sua tosse, in parte provocata dalle sigarette che fumava senza ritegno, si era aggravata e si era trasformata in febbre polmonare.

Io ero andata a scuola, ma mi ero affrettata a tornare per verificare le sue condizioni.

Mio fratello aveva una sana attinenza per farsi male.

Si era rotto gambe, braccia, piedi e una volta quasi la testa.

Insomma, non c’era mai da stare tranquilli.

Che si fosse ammalato non era una novità, ma di solito lo rimaneva solo per due o tre giorni.

Ma in questo lasso di tempo era più propenso ai guai.

E io, da brava sorella, corsi a casa.

Ma il tempo di appoggiare cappotto, cartella e arrivare a metà scale, suonarono al campanello.

Scocciata, corsi velocemente verso la porta, pronta a scacciare ogni venditore ambulante.

Ma quando l’aprì non mi trovai davanti un venditore di scope elettriche.

-Salve, come sta Gideon?-

Era un ragazzo non molto alto, probabilmente dell’età di mio fratello, con dei capelli rosso ramati.

Provai a rispondere, ma lui mi precedette.

-Ma tu devi essere JJ, ossia Juliet, la sorellina di Gideon! Oh, non sai quanto mi ha parlato di te!-

Mio fratello parlava di me ai suoi amici?

Ancora una volta non riuscì a dire niente, perché la figura  pallida e dinoccolata di mio fratello si affacciò dalle scale.

-Matt, sei tu?-

Chiese con voce roca e impastata.

-Gideon, cosa ci fai qui? Torna immediatamente a letto!-

Feci per avvicinarmi e andare da lui, ma il suddetto Matt mi fermò.

-Tranquilla, lo metto a letto io.-

L’altro non avanzò nessuna protesta, così io accettai la cosa.

Ringraziai Matt e lui sorridendo mi riempì le mani di caramelle.

Io mi guardai per un attimo quei dolci, poi tornai su di lui, ma il suo sorriso era immutato.

Era proprio un tipo gentile.

Entrambi si avviarono al piano superiore, mentre io fissavo la mia mano piena.

Fu l’ultima volta che lo vidi a casa nostra.

 

L’anno più intenso delle nostre vite fu l’anno successivo.

Io ero in terza media e lui era all’ultimo anno di superiori.

La vena artistica di Gideon non era mai stata così alta.

Sì, Gideon era un artista, ma non come tutti gli altri.

Lui non lavorava con le mani.

Lui lavorava con la mente.

Era stato sempre pessimo a disegnare, a fotografare ed era disordinatissimo.

La sua scrittura, quando era di fretta, era indecifrabile a tutti, a parte me.

I suoi appunti sembravano geroglifici a detta dei suoi compagni di classe.

Nonostante tutto questo era un artista.

Non l’ho mai messo in dubbio.

Fin da quando ricordo, ha sempre avuto un sacco di fantasia e voglia di sognare.

Sì, era un sognatore, ma non quelli da divano, uno di quelli che scende in prima fila.

Se dovessi descrivere Gideon con tre parole sceglierei proprio artista, sognatore e ribelle.

Sognatore perché lui immaginava sempre un mondo diverso, situazioni diverse, gente diversa.

Ribelle perché ha sempre combattuto per ciò in cui credeva e per quello che voleva.

Artista perché era un attore nato, ma ancora di più un regista.

È sempre stato il suo sogno, avere il controllo sulla situazione.

Il regista era la cosa più adatta.

Lui scriveva il copione, lui assegnava le parti, lui diceva come si dovevano muovere.

-È come essere i padroni di un micro cosmo!-

Gli avevo detto una volta io e lui aveva riso.

-Hai ragione, ma ricordati sempre che un buon attore, un buon regista, non è niente senza un buon pubblico.-

Ed io ho sempre concordato con lui.

Questa frase era il suo motto personale.

Me lo ripeteva sempre, soprattutto se dopo avevo uno spettacolo.

Neanche io come lui avevo grandi attitudini di artista, non sapevo né suonare, né cantare, però me la cavavo abbastanza con la recitazione.

Mi ricordo che ogni volta che avevo uno spettacolo non dicevo niente a mio fratello, né sulla trama né sul giorno, in modo da fargli una sorpresa.

Volevo che lui arrivasse lì e non si fosse fatto idee premature e tutto fosse nuovo per lui.

In questo modo quell’anno mi creai un sacco di problemi.

Avevo detto a mio fratello che quell’anno lo spettacolo non l’avrei fatto e lui tutto contento mi aveva proposto di aiutarlo con il suo.

L’ultimo anno, i ragazzi del liceo di mio fratello organizzavano uno spettacolo tutto loro, senza prof, e ovviamente lui si era proposto ed era stato eletto come regista, nonostante l’insistenza di molti per farlo recitare.

-Vi ringrazio della vostra fiducia, ma preferisco agire nell’ombra, in modo che quando conquisterò il mondo nessuno possa accorgersene.-

Aveva detto per poi aggiungere una risata da tipico cattivone alla fine.

Ovviamente tutti avevano riso e non si era più discusso.

Gideon aveva fin troppo carisma e sapeva usarlo fin troppo bene.

Infatti inconsapevolmente ero diventata la sua aiuto regista e purtroppo le prove del loro gruppo si tenevano proprio quando avevo le mie.

Avevo pensato di rifiutare, ma avrei insospettito Gideon e poi mi dispiaceva non aiutarlo.

Così quando fu il momento annunciai a Simon, il mio prof di teatro, che non avrei potuto partecipare.

Lui ovviamente mi chiese il perché e non credette assolutamente al mio ripensamento, visto che io ero la più ansiosa di fare lo spettacolo, così m’inventai una balla che mi si ritorse contro.

-Io non volevo dirtelo perché… perché è una cosa di famiglia. Mi dispiace, Simon, non sai quanto.-

Mi stava per rispondere, ma la campanella era suonata e io corsi via.

Mi pentii di avergli mentito, lui era sempre stato gentile e amichevole con me, mi faceva sempre fare tutto, scatenando la gelosia delle mie compagne, ma non era colpa sua.

Non ci pensai più, sono sempre stata dell’idea che quel che fatto è fatto.

Il problema però si ripresentò quando Simon venne a casa mia.

Ad aprire la porta fu mio fratello, ma appena sentì la sua caratteristica voce bassa corsi giù.

-Ah, Juliet, questo signore dice di essere qui per te, lo conosci?-

Mi chiese mio fratello con sguardo indagatore.

Io maledissi mentalmente Simon.

-Certo, lui è il mio prof di teatro. Simon, questo è mio fratello Gideon.-

Si strinsero la mano e si diressero in salotto.

Io volevo scomparire, venire inghiottita dalla terra.

Come ne uscivo?

-Scusate l’intrusione senza avviso, ma non potevo non dire niente.-

Gideon guardò entrambi in modo molto perplesso.

Io istintivamente spostai lo sguardo.

-Forse tu non lo sai, ma tua sorella è una delle migliori attrici che abbiamo nella nostra scuola.-

Ecco, quando Simon incominciava quei discorsi avvampavo e diventavo come la mia verdura preferita, ossia i pomodori.

Quella volta non feci eccezione.

Mio fratello ridacchio leggermente e rispose che, sì, lo sapeva.

-Ma se lo sai, perché vuoi impedirgli di fare lo spettacolo?-

In quel momento chiusi gli occhi, mentre sentivo gli occhi di mio fratello bruciare sulla mia testa.

-Io ho fatto cosa?-

-Ah, forse non sei stato tu, ma i tuoi genitori.-

Peggio di così non poteva andare.

Avrei voluto strangolare Simon.

-Juliet, è così?-

La voce di Gideon apparentemente era regolare, ma io ci leggevo dentro apprensione.

Quando alzai lo sguardo, i suoi occhi mi pugnalarono.

Stava soffrendo.

Stava soffrendo per me.

-Io… mi dispiace, Gideon.-

Simon sentì che l’atmosfera non era quella giusta e fece per andarsene, ma mio fratello lo pregò di aspettare.

-Juliet, mi puoi spiegare? Voglio solo aiutarti.-

Lo sapevo, lo sapevo, lo sapevo.

Cazzo!

Deglutii a vuoto e con un sospiro decisi di dire la verità.

Non volevo far stare male Gideon, soprattutto per colpa mia.

-Io… Ho mentito. Ho mentito sia a te, Simon, sia a te, Gideon.-

I due si guardarono negli occhi per poi tornare su di me.

Sentivo il mio labbro tremare e gli occhi pungere.

-Io volevo fare lo spettacolo, ti giuro, ti giuro, Simon, ma… ma per mantenere il segreto non lo detto a Gideon e… e…-

Non riuscivo neanche a parlare e respiravo velocemente.

Mio fratello, come al solito, capì al volo.

-Bene, penso non ci sia altro da dire. Simon, è stato un piacere, ti contatterò io.-

L’altro annuì e se ne andò salutandomi piano.

Quando sentii la porta sbattere, un singhiozzo mi scappò dalla gola.

Gideon mi fu subito a fianco e non fece altro che abbracciarmi e ascoltarmi mentre cercavo di spiegarmi, senza riuscire a combinare neanche una frase.

Quando mi fui calmata, si sdraiò sul divano e mi stese sopra di lui come una coperta.

-Sei una stupida.-

Mi disse e io non risposi.

Sapevo che era così.

-Dovevi dirmi la verità da subito, ma visto che sei la mia sorellina, hai ereditato la mia stessa zuccaccia dura, non è vero?-

Mi chiese, dandomi un buffetto sulla guancia.

Io chiusi gli occhi e sorrisi timidamente.

Mi sarei potuta addormentare lì.

Gideon era sempre stato così caldo, sembrava una stufetta.

Solo quando si ammalava le sue mani diventavano gelide.

Mi sarei potuta addormentare rassicurata da quel calore, ma una domanda mi ronzava in testa.

-E adesso?-

Lui non mi rispose.

Di scatto si alzò e mi buttò sulle sue spalle.

Io lanciai un gridolino di sorpresa, ma mi lasciai trasportare.

Mi gettò sul mio letto e mi sorrise a mezza bocca.

-Tu lascia fare al tuo super eroe preferito, quello che devi fare ora è solo dormire.-

Risi con tutto il cuore e vidi i suoi occhi rasserenarsi.

-Ma sono solo le cinque di pomeriggio!-

Commentai con tono di sfida e provando ad alzarmi, ma lui non era della stessa idea.

Mi respinse sul letto e mi coprì.

-I bambini devono andare a letto presto, i super eroi agiscono solo quando dormono!-

Disse come se fosse un assioma di geometria.

Io annuii fintamente scocciata e lui mi diede la buona notte spegnendo la luce.

Avevo intenzione di alzarmi non appena lui avesse finito di scendere le scale, ma il sonno mi prese all’improvviso.

Ero serena, i miei nervi non erano mai stati così rilassati.

Non avevo una sola preoccupazione al mondo.

C’era Gideon, e questo mi bastava.

Purtroppo il mio sonno fu interrotto, quando sentì cadere un corpo su di me.

Subito, senza pensarci, lo colpii agli occhi e capo voltai la situazione.

Avevo il fiatone ed ero diventata un pezzo di ghiaccio.

Ero completamente tesa, quando sentii una risata famigliare inondarmi le orecchie.

-Allora i miei insegnamenti ti sono serviti a qualcosa!-

-Gideon!-

Urlai facendolo ridere di più.

Mi spostai subito da lui e corsi ad accendere la luce.

Mio fratello faceva karate da tanti anni e mi aveva iniziato alla difesa personale.

Controllai che non si fosse fatto male e mi accorsi che fuori era completamente buio.

-Che ore sono?-

-Sono le sette e mezza e tu ti devi preparare.-

Disse saltando giù dal letto e sgranchendosi un po’.

-Prepararmi?-

Chiesi ancora intontita dal sonno.

-Sì, perché sta sera si va fuori a cena!-

Sorrisi spontaneamente.

-Era da tanto che non ci andavamo! Hai già in mente qualcosa?-

Ero impaziente di sapere e lui fece finta di pensarci un po’ su.

-Che ne dici di Belette, un famoso francese impagliatore di piccioni?-

La mia risata gli assicurò che, sì, era perfetto.

Mentre ci allontanavamo in macchina, mi spiegò che aveva parlato con Simon ed era tutto a posto.

Avrei potuto partecipare alla recita e anche aiutarlo con la regia.

Era riuscito a spostare le prove con il suo gruppo dalle quattro alle sei, invece che dalle due alle quattro, quando c’erano quelle della mia scuola.

Quindi mi sarei fatta quattro ore di teatro di filato.

-Cosa vuoi di più? È il mio sogno farlo tutto il giorno.-

Sì, questo era il sogno di mio fratello.

Non quello di mio padre, non quello di mia madre, non quello della società.

Ma il suo personalissimo sogno, che avrebbe difeso con tutto se stesso.

Lui sarebbe diventato un grande regista.

 

 

Ma quell’anno mi riservava altre sorprese.

Incontrai una delle persone più importanti della mia vita.

L’evento scatenante di tutto fu proprio la noia.

Finché c’era scuola sapevo che fare, ma superati gli esami di terza media, c’era il vuoto.

Mio fratello era impegnato con l’esame di maturità, ma soprattutto stava preparando un piano di attacco per spiegare a nostro padre che lui sarebbe andato a Hollywood, non all’università.

I ricordi della mia recita e dello spettacolo di mio fratello mi riecheggiavano nelle orecchie.

Simon e mio fratello erano diventati amici e il mio prof era molto propenso a far entrare mio fratello nel “giro giusto”.

C’era mancato poco però che neanche ci andassimo alla recita.

Mio padre non c’era e neanche mia madre, noi non avevamo la macchina e gli autobus non c’erano.

Io ero entrata nel panico più totale, era tardi e io dovevo entrare in scena.

-Gideon!-

Chiamai al limite della disperazione.

Lui mi rispose con un mugolio poco convinto e alquanto soffocato.

-Faremo tardi, cavolo!-

Gridai, ma lui non mi rispose.

Così scesi al piano inferiore e non lo trovai.

Con i nervi tesi sentì dei rumori provenire dal garage.

Mi avviai lì e lo trovai a scasinare con una vecchia Harley Davinson.

-Cioè… io sono in ritardo e tu lavori a quel catorcio?!-

-Juliet, guarda che…-

-Non te ne frega niente di me?! Sai cosa succederà?!-

-Aspetta, io…-

-Disonore su di me, sulla mia famiglia, SULLA MIA MUCCA!-

-JULIET!-

Mi urlò zittendomi, subito dopo la mia peggior citazione di Mulan.

-La moto è pronta…-

Aprì la bocca per parlare, ma la richiusi subito dopo, mettendo il broncio, mentre lui rideva.

-Dai, salta su.-

Io riluttante lo feci, ma ero alquanto reticente.

-Ma sei sicuro che questo catorcio vada?-

Lui mi guardò sorridendo cattivo.

-Sta a vedere.-

Si mise il casco, i guanti e strinse il manubrio.

Col piede accese il motore, ma prima di dare gas gridò:

-Vai, Germana rombo di tuonooo!-

E via, eravamo sparati a ottanta miglia orarie mentre io urlavo stringendomi a lui.

Non lo sentii ridere, ma sicuramente lo stava facendo.

Lo insultai più forte che potei in modo da farmi sentire.

Me la feci quasi addosso quando sorpassammo mentre un camion ci veniva incontro, ma arrivammo in orario.

-Allora, non ringrazi il tuo fratellino?-

Per poco non lo mandai a quel paese.

Per il resto la mia recita filo liscio e io mi divertii un sacco.

La sera dopo ci fu la recita di mio fratello al teatro comunale.

Quello sì che fu un successo.

Io ero seduta di fianco a lui e lo aiutavo il più possibile.

Era nervoso, non lo dava a vedere, cercando di fare battutine, ma aveva i nervi a fior di pelle.

Sapevo che ci teneva molto a quel copione.

Lui ogni volta che scriveva una scena la ricontrollava milioni di volte, poi la passava a me.

Io ero l’addetta alla caratterizzazione dei personaggi e alla gestualità, nonché ai vari errori di distrazione.

Abbiamo passato pomeriggi interi a parlare di quei personaggi, di quei mondi.

Discutevamo e a volte avevamo opinioni discordanti, ma il copione era comunque una meraviglia.

Mi ricordo che, a un mese dallo spettacolo, entrai in camera sua per cercare un libro e lo trovai a scrivere al suo amato computer.

-Non starai mica ritoccando il copione?-

Chiesi, estenuata dalla puntigliosità di Gideon.

-No, è un progetto nuovo.-

Mi rispose concentrato.

Sapevo che quando scriveva non c’era modo di smuoverlo e parlandogli l’avrei solo infastidito, così uscì dalla stanza piena di curiosità.

Alcune ore più tardi, sentii la porta spalancarsi e capii che era arrivato il momento delle spiegazioni.

-JJ, sarà un capolavoro.-

-Certo, ci abbiamo lavorato per tanto tempo!-

-Ma non mi riferisco allo spettacolo, ma al mio nuovo copione!-

Mi voltai verso di lui interessata.

-Di cosa parla?-

-Di Charlie Chaplin, della sua vita, dei suoi film.-

Charlie Chaplin era un famoso regista morto non molto tempo prima ed era l’idolo di mio fratello.

-Come l’hai impostato? Seguirà intreccio o fabula?-

Lui rise alle mie domande.

-Sei proprio partita in quarta, eh?-

Io sbuffai e gli feci segno di continuare.

-Si chiamerà Charlot e partirà dagli ultimi giorni di vita di Charlie.-

-Quindi seguirà la sua biografia!-

Lui annuì con la testa e perse a gesticolare.

Lo vedevo con gli occhi annebbiati dalla fantasia, che guardavano lontano, in un mondo che vedeva solo lui.

-Allora che te ne pare?-

Mi chiese ansioso, dopo avermi raccontato le sue idee.

-Bhe…-

Dissi io grattandomi il mento con fare da finta esperta.

-Ci sarà molto da lavorare, ma può andare.-

Non riuscii a trattenere una risatina finale.

-Dannata sorella malfidata! Adesso ti faccio vedere io cosa “può andare”!-

Mi si fiondò addosso per ingaggiare una battaglia con le settimane enigmistiche.

Finimmo in parità e con fiatone, ma eravamo carichi come non mai.

Il mese passò in fretta e non ci fu un giorno in cui Gideon non lavorasse al suo copione e io non ne discutessi ardentemente con lui.

Molto spesso lo provocavo apposta, per giocare e scacciare la noia.

Non vedevo l’ora che finissero le medie, ovviamente private.

C’era solo gente spocchiosa lì dentro, non mi andava di avere “amici di cognome”.

Sarei andata allo stesso liceo pubblico di mio fratello e avrei vissuto come ogni altra adolescente.

O almeno così speravo.

 

 

Era quasi luglio, faceva un caldo cane e io morivo dalla noia.

Gideon era fuori e io non avevo niente da fare.

Quando tornò a casa per cena e vide la pila di libri di fianco a me si allarmò.

-Dimmi che quelli lì non hai appena presi…-

Io mi distrassi mal volentieri dalla lettura.

-Sì, lì ho finiti oggi e mi sa che domani dovrò ripassare in libreria.-

Lui sospirò scuotendo la testa.

-Sai quanto anch’io ami leggere, ma c’è un limite a tutto, JJ.-

Io roteai gli occhi e tornai a concentrarmi sull’ennesimo libro giallo.

-Quanti soldi hai speso per questi?-

Mi chiese dopo un po’.

-Mhh… non saprei esattamente, però ora che mi ci fai pensare sono quasi senza soldi…-

Cavolo, non avevo pensato a questo.

Gideon sorrise sardonico e si sedette di fronte a me.

-Le opzioni sono due. O vai in biblioteca creando scompiglio generale o…-

Fece una pausa.

Si divertiva a tenermi sulle spine.

-Gììì, smettila di fare il cretino!-

Lui sbuffò divertito prima di rispondermi.

-O ti trovi un lavoro.-

La mia espressione sbalordita sembrava quella da lui desiderata, visto che sorrise ancora di più.

-Un lavoro?-

Chiesi alquanto sorpresa.

Lui si alzò in piedi pieno di energie.

-Ma certo! Cosa c’è di meglio in un estate piena di noia e povera di soldi? Un bel lavoro in un baretto sui viali alberati!-

Dall’entusiasmo sembrava che avesse fatto la scoperta del secolo.

-Dai, domani vai a vedere se c’è un posto, se vuoi ti accompagno.-

Declinai subito l’offerta.

-No, grazie, farò da sola.-

Lui mi sorrise e, prendendomi in giro, mi accarezzò i capelli.

-Oh, la mia piccola JJ sta diventando grande… dimenticherà il suo vecchio?-

-Gideon, sei passato alle telenovele?-

Lui sorrise al mio commento.

Riposai gli occhi sul libro, poi mi venne in mente una cosa.

-Comunque non hai avuto una cattiva idea, non mi dispiacerebbe provare. L’unica cosa…-

Mi bloccai prima di dire altro e ributtai la faccia nel libro.

Ovviamente questo non soddisfò Gideon che me lo prese, buttandolo in aria.

-Ma porco pinguino! Gideon, mi hai fatto perdere il segno!-

Lui mi guardò con cipiglio serio.

-Sorvolando su quel “porco pinguino”, mi puoi dire quale sarebbe il problema?-

Io mi umettai le labbra e sbuffando mi alzai per andare a recuperare il mio sventurato libro.

-Che problema, scusa?-

Mi bloccò subito per le spalle.

Odiavo quando faceva così.

-Non fare la finta tonta, ti conosco bene.-

-Forse un po’ troppo.-

Sussurrai acidamente, ma lui mi sentì perfettamente.

Cercai di avanzare, ma lui non aveva intenzione di mollarmi.

-E con questo cosa intendi dire?-

Strinse la presa e io persi la pazienza.

-Niente, Gideon, niente!-

Urlai staccandomi nervosamente da lui.

-Possibile che per te io abbia sempre un problema? E se non volessi dirtelo?!-

Lui mi fissava impassibile, ma sapevo cosa gli si agitava negli occhi.

-Io ho il diritto di sapere tutto, sono tuo fratello.-

Quell’ultima affermazione mi fece digrignare i denti.

-È la mia di vita non la tua, io non ti devo niente!-

Mi avviai verso la porta, ma la sua voce mi fermò.

-Juliet, non ti azzardare a uscire se no…-

-Se no cosa, Gideon? Cosa?!-

Lo sfidai girandomi.

Lui mi blocco per un braccio.

-Lasciami!-

Gli gridai dibattendomi.

-No, prima mi devi delle spiegazioni!-

La presa si fece più stretta, insieme alla mia disperazione.

Sentivo la rabbia crescermi dentro.

Ora esplodevo.

-TU NON SEI MIO PADRE!-

Gridai fino a farmi male.

Gideon spalancò gli occhi.

Potevo leggerci infinito dolore.

Le sue dita si aprirono lentamente, liberando il mio braccio.

Me ne pentii subito, ma non feci marcia in dietro, non mi scusai.

Abbassai subito la testa, non volevo vederlo in faccia.

Girai i tacchi e uscii di casa sbattendo la porta.

Cercavo di concentrarmi sulla mia rabbia e non sui suoi occhi feriti.

L’aria calda di quella sera m’investì e io non seppi più trattenermi.

Mi fermai e chiusi i pugni.

Maledetto Gideon!

Avevo una dannata voglia di urlare, di sfogarmi.

Di fare qualsiasi cosa che non fosse pensare.

Così mi avviai verso i viali, verso i bar.

Entrai nel primo che mi si parò davanti.

Andai dritta verso il ragazzo del bancone, il barista.

Ad occhio e croce aveva qualche anno in più di me, alto con i capelli e gli occhi corvini, ma questo lo notai solo dopo.

-Voglio il lavoro, subito.-

 

 

Ottenni l’incarico facilmente.

Grazie all’aiuto del ragazzo e del mio bell’aspetto.

Quando la mia furia si fu calmata, mi lasciai scappare un sospiro di sollievo.

-Ma allora sei umana!-

Mi girai verso la voce che aveva parlato.

Era il barista.

-Piacere, sono Robert, ma puoi chiamarmi Rob.-

Disse il tendendomi la mano.

Non potevo immaginare che in futuro quella mano mi avrebbe sostenuto fin troppe volte.

-Piacere mio, sono Juliet. Scusa per prima ero un po’…-

-Nervosa?-

Completò con un sorriso sulle labbra.

Ed era così contagioso che ne feci uno timido anch’io.

-Per fortuna che ora stai meglio, mi hai quasi spaventato prima!-

Io mi grattai la testa e alzai le spalle.

-Comunque sei stata fortunata, sta sera chiudiamo prima. Aiutami a portare dentro i tavoli.-

Io annuii e sollevai tavolini e sedie.

-Certo che ne hai di forza per essere una ragazzina delle medie.-

A quella affermazione, gelai sul posto.

Come poteva avere intuito la mia età?

Se lo diceva al capo, ero fritta.

L’unico modo era fare la finta tonta.

-E tu come fai a dirlo?-

Lui appoggiò una sedia e si accese una sigaretta.

-Semplice, io al liceo conosco tutti e non ti ho mai vista, quindi ho dedotto che dovevi essere delle medie, anche se non lo dimostri affatto. Per fortuna che il capo è un po’ tontolone.-

Ridacchiò e mi offrì una sigaretta che rifiutai.

-Ma come facevi a sapere che non andavo al liceo privato?-

Rob mi guardò stranito.

-Bhe, una che fa un liceo privato non si sognerebbe mai di lavorare in un bar e poi, fattelo dire, tu sei troppo simpatica e strana per essere una spocchiosa.-

Ridacchiai anche io e lui fece una faccia soddisfatta.

Ero contenta.

Non ero più la più piccola dei Blackwood, ma Juliet.

Solo Juliet.

-Invece tu? Quanti anni hai?-

Chiesi tanto per fare conversazione.

-Ne ho sedici, mentre tu ne avrai più o meno quattordici, giusto?-

Annuii con la testa.

Finimmo di sistemare il locale nel più completo silenzio.

L’unico rumore che aleggiava nell’aria era una vecchia pendola.

-Hai fretta?-

Mi domandò all’improvviso.

-Fretta per cosa?-

Non riuscivo a capire.

Mi girai verso di lui e lo vidi chiudere il bar.

-Fretta di tornare a casa.-

Spostai istintivamente lo sguardo.

Gli occhi di Gideon mi lampeggiarono nella mente, ma io scossi la testa.

-No, assolutamente no, tu?-

Lui sospirò, prendendo un’altra boccata dalla sigaretta.

-Neanche io.-

Si mise le mani in tasca e s’incamminò per la strada.

Dopo solo sei passi si fermò.

 -Ti va… di fare un giro al parco?-

Io tentennai un po’ ma poi acconsentii e mi affiancai a lui.

Non parlammo.

Non ne sentivamo il bisogno.

Ci sedemmo su una panchina e lasciammo che la brezza ci scompigliasse i capelli.

C’era silenzio eppure non eravamo in imbarazzo.

Ci sentivamo a nostro agio, come se ci conoscessimo da sempre.

-Il cielo è meraviglioso sta sera, vero?-

Disse lui, col naso rivolto all’insù.

-Bellissimo, anche se di stelle se ne vedono poche.-

Risposi imitando la sua posizione.

-Io starei qui tutta la notte, piuttosto di…-

S’interruppe.

Io lo guardai e aspettai.

Non spostava gli occhi, ma lo sguardo era diventato più intenso.

Alzai anche io il volto verso le stelle.

Sapevo cosa voleva dire, lo sapevo fin troppo bene.

-Piuttosto di tornare a casa.-

Completai sospirando.

Lui non disse nulla, ma sapevo di aver fatto centro.

Una ventata più forte delle altre mi fece rabbrividire.

Il tempo sembrava fermo, immobile.

Non esistevamo nient’altro che noi due.

Sembrava che il mondo avesse smesso di girare per concederci tempo.

Un minuto, un secondo, un nostro piccolo pezzo di eternità.

-Io evito mio padre, non lo sopporto.-

Sussurrò Rob, riportando lo sguardo a terra.

Io lo guardai nuovamente e lo vidi.

Lo vidi davvero per la prima volta.

Era solo un ragazzo, un semplice ragazzo, ma con le spalle troppo larghe.

Troppo larghe, troppo forti per aver sopportato solo quello che la nostra età dovrebbe comportare.

No, c’era di più.

C’era uno specchio, c’era uno specchio tra noi due.

Due poveri semplici riflessi.

Inimitabili e allo stesso tempo identici.

Così presi la mia decisione.

Così decisi di confessarmi.

-Io evito mio fratello, abbiamo litigato.-

Lui spostò il suo sguardo dalle scarpe al mio viso.

I suoi occhi, pozzi neri fatti di una solitudine senza fondo, mi trapassarono.

Mi sentii letta, ma allo stesso tempo capita.

Due riflessi, due semplici riflessi.

Inspirammo entrambi e ci sorridemmo stanchi.

Stanchi di quella situazione.

Stanchi di quel mondo.

Stanchi di quella vita.

 

Un'altra ventata mi strinse il cuore.

Sentivo di dover dire tutta la verità a quello sconosciuto.

Quello sconosciuto che sentivo vicino come nessun’altro.

-Blackwood.-

-Cosa?-

Mi chiese lui preso in contro piede.

-Blackwood, mi chiamo Juliet Blackwood.-

Lui mi guardo e sbuffò divertito.

-Downey, Robert Downey Jr.-

A quelle parole capii la sua ilarità.

Anche lui aveva un cognome da nascondere.

Suo padre era Robert Downey Senior, il famoso regista.

Non dicemmo altro.

Il vento, il cielo, il parco, parlavano per noi.

Non ci fu bisogno d’altro.

Niente parole.

Niente segreti.

Niente di niente.

Come un patto suggellato in silenzio, diventammo amici.

Migliori amici.

 

 

***Angolino della squinternata***

E dopo tempo immemore sono qui. In verità questo capitolo era già pronto da Agosto, ma tra le vacanze e altre attività *coff coff* mi sono dimenticata di postarlo.

Qui finalmente compare il passato di Juliet. La sua famiglia e il suo mondo.

Compare Gideon, il tanto nominato Gideon. Devo dire che mi sono innamorata di questo personaggio, dei suoi modi di agire e reagire. Quindi sono curiosissima di sapere cosa ne pensate VOI! Forse alcuni di voi avranno trovato piccole affinità della descrizione di Gì con quella di Sherlock Holmes xD tipo gli occhi grigi, l’altezza, la figura dinoccolata… xD bhe, dopotutto anche Holmes era un artista quindi…

Ovviamente non è finita qui la storia di Gideon, anzi, è solo all’inizio. Il prossimo capitolo continuerà sulla linea past, sperando di non annoiarvi.     

Devo dire che su questo capitolo mi sono trattenuta moltissimo, avrei dovuto scrivere 30 pagine per introdurvi bene la famiglia Blackwood ma non volevo annoiare nessuno e allora ho messo delle barriere.

Qui compare e viene citato per la prima volta Rob. Bhe ovviamente JJ non poteva non avere come migliore amico quel magnifico attore che è Robert Downey Jr!

Per i profani e per i curiosi questo è come appare Rob nella mia ff.

http://l-userpic.livejournal.com/96718206/19184992

Per i fan, non preoccupatevi, Rob farà comunque l’attore… in che modo lo scoprirete xD.

Mi raccomando non dimenticatevi di lui, perché alla fine di questa storia lo ringrazierete tutti xD

Bhe, smetto di rompervi le scatole e procedo con le risposte alle recensioni sullo scorso capitolo!

 

409inMyCoffeeMaker: Giusvalda, mia cara compagna di scleri! xD Ed ecco il capitolo tanto atteso con il mio amato Gid! Jul è coinvolta molto con Bì?? Nooooo, ma che dici?!? xD Comunque lei è una calcolatrice, per lei è più facile affrontare la situazione prendendola come un problema non personale. “Il passato non è mai passato” è il mio motto ormai. Io do sempre piccoli indizi così che l’attento lettore quando trova la spiegazione dice “ecco il perché di quella cosa!” e sono contenta che tu li abbia colti =). Quello che hai detto su Brad è giustissimo, partendo da quello si potrebbe arrivare al suo problema, a quale malattia lo tormenta. Come la febbre che si alza la sera, anche qui alla sera i ricordi si fanno così intensi che la portano a ripercorrere le fasi della sua vita con Gideon. Brad è un personaggio importante nella storia quanto lo è Bì e vedo che tu l’hai capito! Cavolo se continui così mi racconti tu la storia xD. Sai che c’è un perché anche per il nero? Ma quello lo spiegherò un’altra volta, adesso mi cucio la bocca xD Grazie per tutto quello che fai per me.

 

Mariens: la mia indispensabile A! Come stai cara? Spero abbastanza bene. L ha fatto delle osservazioni molto perspicaci, tra poco mi scopre il vero senso del comportamento di Brad e mi sviscera tutta la storia! Il rapporto tra loro due è una cosa strana ma L ci ha preso… Si L, puoi esultare xD. No, per il capitolo la mia musa è stata un'altra, anche se A è un’ ottima musa lo stesso xD. Grazie per i costanti incoraggiamenti e per tutta la pazienza che hai con me. Ciao cara.

 

 skye182cla:guarda, io sono campionessa mondiale del “chiudi la recensione prima di mandarla” xD Ti capisco molto bene. Una fan di quei due??? Ma che meraviglia! Non mi aspettavo di trovarne una anche qui sul fandom dei GD xD Sono contenta di averti fatto nascere dei dubbi perché è quello che volevo fare. “La profezia di Meredith centra con Brad?” ehh non posso risponderti, ma ti dico solo che il ruolo di Brad sarà determinante in questa ff u.u quindi tienilo d’occhio! Grazie mille per i tuoi soliti complimenti e mi dispiace aver tardato tanto… sono veramente una cattiva ragazza xD Ciao e grazie ancora.

 

ShopaHolic: e guarda chi c’è? La mia allieva preferita xD! Non ti preoccupare per la lunghezza dei commenti, a me fa già un grande onore sapere che tu segui questa storia e poi come hai detto tu l’estate ci porta via. Non posso darti torto. Sono contentissima di come consideri il mio Billie Joe perché non è facile, assolutamente no xD. La tua presenza costante mi riempie sempre di gioia e quindi mi ripeto e ti dico “grazie per tutto”.

 

 

Inoltre devo assolutamente ringraziare chi legge, chi segue, chi preferisce e chi ricorda.

Se sono qui sono per voi lettori e a voi lettori devo tutto.

Al prossimo capitolo, l’ultimo past prima di tornare al presente.

   
 
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