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Autore: Evazick    27/09/2010    1 recensioni
Il sogno più grande di una Romancer? Di sicuro ce ne sono molti, ma uno supera tutti gli altri: entrare nella Parata Nera. La sfortunata protagonista di questa storia ci sarà catapultata dentro per caso, ma non tutto è quello che sembra e forse il suo sogno potrà trasformarsi in un incubo… Mi è venuta in mente mezz'ora fa e non so nemmeno se avrà seguito, ma volevo sentire cosa ne pensate... enjoy! ^^
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Eve.'
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“Forza, pigrona! Svegliati, svegliati!”
“Mmh… Jennifer, non rompermi le palle di mattina presto…” mormorai nel sonno a quella rompipalle della mia compagna di stanza. La butto giù dalla finestra, pensai. Ma poi ci ripensai su un attimo. Aspetta… che cazzo ci fa Jennifer qui? Aprii gli occhi.
La mia amica era in piedi sopra il mio materasso e mi fissava con i suoi occhi marroni. “Finalmente, Bella Addormentata!” urlò.
Ci misi un po’ a capire che lei non era lì la sera prima, e poi le saltai in collo abbracciandola, mentre lei si lamentava. “Ma… ma cosa ci fai qui?” le chiesi appena mi staccai da lei. Jennifer aprì la bocca, ma fu preceduta dalla voce di Ray: “Bè, mica potevamo lasciare soli te, Frank e Gerard!”
Mi girai: vicino alla finestra davanti il mio materasso c’erano i My Chemical Romance: Ray mi guardava con un sorriso in faccia, Mikey stava bevendo del caffè (mi chiesi dove diavolo lo avesse trovato) e Frank e Gerard si stavano affaccendando attorno a uno scatolone. Ormai ero più che sveglia. “Ma chi vi ha portato qui?” chiesi.
“Si sono occupati di tutto quei due,” mi rispose Jennifer, indicando i due ragazzi un po’ più in là. “Credimi, sanno come organizzare un’evasione in piena regola.” Incontrai lo sguardo di Frank, che mi sorrise. Gli risposi, poi continuai: “Immagino che sappiate anche tutta la storia, allora.” La mia amica annuì. “Dobbiamo fare qualcosa Eve, se vogliamo tornare a casa.”
“Questo lo sapevo anch’io, ma lo svantaggio numerico è enorme: siamo sei contro un centinaio di soldati che sono già morti, è praticamente impossibile batterli!”
“Ma non dobbiamo uccidere l’esercito,” aggiunse Mikey serafico, con la tazza in mano. “Basta solo il comandante.” Lo guardai: aveva ragione, bastava solo che qualcuno uccidesse Slay e probabilmente tutto si sarebbe risolto. Lui continuò. “Comunque, dobbiamo prepararci lo stesso, per coprirti le spalle.”
“Ehi, aspetta un attimo!” urlai. “Perché lo devo uccidere io?”
“Ha ragione, sono io quello che ha bisogno di tirare un calcio in culo a quel bastardo!” protestò Gerard mentre si avvicinava. In mano aveva un paio di spade, e Frank ne portava altre tre.
Mikey sospirò, come se suo fratello fosse un bambino piccolo capriccioso e insistente. “Sai, non te lo vorrei proprio ricordare, ma sei stato imprigionato per un anno e mezzo. Non penso che la tua condizione fisica sia delle migliori, fratellone.” Il tono del piccolo Way fece incazzare Gerard, che si girò verso di me per avere il mio consenso, ma purtroppo Mikey aveva ragione e lo dissi a Gee. Lui si morse un labbro, ma poi si convinse a malincuore.
“Scusate un attimo: ma qualcuno ha idea di come si usa una spada?” chiese Frank.
“Oh, penso che Eve ci darà volentieri qualche lezione. Non è vero, Eve?” Gli occhi di Gerard scintillavano malignamente e io gli lanciai un’occhiataccia: mi aveva incastrata e si era pure vendicato. Sospirai. “Va bene.”
 
Fu difficile condensare in pochi giorni tutto quello che avevo imparato in tre settimane con il falso Gerard, anche perché nelle mie lezioni il volo era sempre una parte importante e fu difficile trasformare gli esercizi ‘speciali’ in esercizi ‘normali’. Jennifer, dopo essersi quasi tagliata una mano, rinunciò a imparare a maneggiare qualsiasi arma e divenne l’artista ufficiale del gruppo; ci ritraeva sempre durante le nostre lezioni o quando avevamo delle strane espressioni in faccia. Non ebbe più visioni per parecchio, ma non seppi dire se era una cosa buona o meno.
Gerard, esattamente come Slay, sembrava sapesse usare la spada da sempre e mi dava una mano nell’insegnare agli altri; inoltre, era l’unico con cui potessi allenarmi seriamente, anche se facevamo sul serio e un paio di volte rischiammo di ferirci gravemente. Degli altri tre ragazzi Ray e Mikey capivano e imparavano in fretta; solo Frank era un vero caso disperato e riuscimmo a malapena a insegnargli a difendersi. Speravo solo che in battaglia non lo uccidessero.
Una sera, mentre i ragazzi finivano di allenarsi, mi sedetti sul materasso accanto a Jennifer. “Dio, che stanchezza,” mi lamentai, ma lei sembrò non sentirmi, concentrata com’era a disegnare. Dopo poco si riscosse e chiese: “Hai detto qualcosa, Eve?”
“Lascia perdere.” Guardai preoccupata il blocco da disegno. “Hai visto qualcosa?”
Jennifer si morse il labbro. “Più o meno…” Mi mostrò il disegno: io e Slay stavamo combattendo, ma eravamo in una situazione di parità e non si riusciva a capire in nessun modo chi stesse vincendo. Così lo chiesi alla mia amica, ma nemmeno lei seppe dirmelo. “Ho visto solo questo. Ma… ho anche avuto una brutta sensazione su di te, e parecchio. Potresti morire.”
Trattenni il respiro: la cosa era davvero così grave? Tuttavia feci finta di niente e rincuorai la ragazza. “Tranquilla, sarà stata solo una sensazione.”
“…Sarà.”
 
“Eve, siamo nella merda!” L’urlo di Frank non era esattamente la mia idea di sveglia mattutina, ma dopo una settimana dalla nostra fuga era inevitabile che qualcuno venisse a farci visita, e lo capii dal tono e della finezza nella voce del ragazzo. Mi alzai dal materasso in quattro e quattr’otto e afferrai la mia spada. Quando mi affacciai alla finestra capii l’allarmismo del chitarrista: gli scheletri avevano scoperto il nostro nascondiglio e alcuni di loro erano venuti a prenderci.
“Andiamo,” disse Frank, afferrando la sua spada, ma lo bloccai.
“No: non sai nemmeno reggere la spada, e non posso tenerti d’occhio e combattere allo stesso tempo. Tu rimani qui.”
Lui si intristì. “Vuoi fare tutto da sola? E se tu avessi bisogno d’aiuto?” Eravamo soli nella soffitta quella mattina: gli altri erano andati a fare un giro, anche se io non ero d’accordo. E adesso che avevo bisogno di qualcuno che mi desse una mano ero fottuta. Sorrisi lo stesso al ragazzo. “Me la sbrigherò da sola.” E con queste parole allargai le ali e mi gettai dalla finestra, atterrando nella strada sottostante.
I primi minuti furono i miei momenti di gloria: i soldati non conoscevano il mio modo di combattere, un po’ a terra e un po’ per aria, e questo li confuse. Ma appena lo capirono individuarono il mio unico punto debole e cercarono in tutti i modi di tenermi a terra, impendendomi di sollevarmi in aria. Dopo poco ero sfinita, fisicamente e mentalmente, e quasi gettai la spugna, ma continuai a battermi, almeno per riuscire a tornare nel nostro nascondiglio. Ma, quando riuscii a farmi un po’ di spazio per allargare le ali e volare via, una spada mi si conficcò in fondo all’ala sinistra e mi tolse il fiato.
Gemetti e mi tolsi con difficoltà la spada dall’ala. Non migliorai per niente la situazione: le piume nere continuavano a inzupparsi di rosso, e il sangue non accennava a diminuire: sembrava che sarei morta dissanguata da un momento all’altro.
È finita.
Ero sola, ferita e Frank non ce l’avrebbe mai fatta a raggiungermi in tempo. Mi rassegnai al mio destino, quando…
Lo scheletro davanti a me cadde a terra, mentre la sua testa rotolava dalla parte opposta. Dietro vidi sbucare una matassa di ricci pure troppo familiare. Gli altri scheletri, confusi dalla morte del loro compagno e dall’arrivo del mio salvatore, si distrassero un attimo, sufficiente per me: afferrai Ray per una mano e, con fatica e dolore, riuscii a portarci in salvo nella soffitta. Per la seconda volta in due giorni mi scordai dei consigli di Mikey e rotolai sul pavimento, stavolta trascinando il ragazzo insieme a me. “Scusa, Ray,” mormorai appena le fitte all’ala smisero di essere tanto doloranti.
“No, tranquilla…” iniziò lui, per essere poi interrotto dall’urlo di Jennifer. “ODDIO, EVE, COSA CAZZO HAI FATTO ALL’ALA?!”
“Niente, solo un po’ di sangue.”
Niente?! Porca miseria, te non arrivi nemmeno a domani se non ti curo!”
“Ma no, Jennifer…”
Non riuscii a convincerla in alcuna maniera a lasciar perdere, e girai per il resto della giornata con un’idiota benda bianca che risplendeva contro le piume nere delle ali. Non mi fu consentito di toglierla nemmeno quando dovetti andare a letto, per essere in forma per la guerra del giorno dopo.
Già, la guerra. Avevamo ormai capito che non potevamo aspettare oltre: dovevamo sistemare quella faccenda una volta per tutte, fino all’ultimo sangue. Probabilmente anche Slay aveva capito che era il momento di smettere di giocare e di iniziare a fare sul serio, e noi sei decidemmo di tornare il giorno dopo al palazzo, il campo di battaglia per la nostra libertà.
*
So Long And Goodnight. Look Alive, Sunshine.
-Na Na Na: DONE.
-56 Danger Days: The True Lives Of The Fabulous Killjoys
  
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