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Autore: Valina89    02/11/2005    2 recensioni
Ci tengo a precisare che la storia non è mia,ma del mio compagno di banco che scrive in maniera stupenda,ma non mi crede...e quasi per scommessa mi ha detto di poter pubblicare la sua fic...per favore,fategli capire che ho ragione,è veramente bella!!!!così magari andrà avanti a scriverla...
Genere: Dark, Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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… sogno un mondo nero e lacrime di oscurità… apro gli occhi e c’è solo buio intorno a me… non è ancora ora… ricado nel mio mon

… sogno un mondo blu scuro e lacrime di sangue nero… apro gli occhi e c’è solo buio intorno a me… non è ancora ora… ricado nel mio mondo onirico…

 

… sogno un mondo blu scuro e squarci di fredda luce bianca… luce che ferisce, che strappa un uomo dal dolce balsamo dell’oblio… sarà l’ora? Apro gli occhi, e vedo effettivamente una luce confusa che illumina la mia stanza. Non riesco a focalizzare, qualcosa mi appanna la vista: sbatto le palpebre ma non va via, è come se vivessi in un manto di nebbia… allora mi arrendo al buio e abbasso le palpebre… non dura molto: poco dopo qualcosa ancora mi colpisce e mi sveglia. Apro gli occhi di botto con uno spasmo e un sussulto, un dolore atroce allo stomaco, tossisco e gemo, mi rattrappisco e rimango fermo a soffrire per alcuni minuti, poi il dolore se ne va, come al solito, allora mi rovescio pancia in su e rimango a fissare il soffitto, maledicendo la mia vita… e, puntuale come sempre, il mio tormento perenne mi assale, occupa totalmente il mio cervello malato corrompendo come un tarlo ognuno dei pochi neuroni rimasti, esiliando ogni altro pensiero… e ricordo come, un tempo, c’era qualcuno di fianco a me al mio risveglio, e ogni altra cosa non aveva più senso, i dolori svanivano, la rabbia veniva attenuata, questo desiderio di distruzione verso il mondo intero svaniva seppur per poco, tutta la mia mente scivolava nel torpore del piacere…

 

Qualcosa di freddo scivola sulla mia guancia… rabbioso e insieme stupito passo il palmo della mano sulla faccia “Una lacrima?? Ma stiamo scherzando??”. Mi scrollo di dosso le coperte e, con fatica, mi alzo, a piedi nudi brancolo nella semioscurità e mi dirigo verso la finestra, la apro, spingendo con forza le imposte verso l’esterno. Il vento autunnale penetra nella stanza avvolgendo il mio corpo come una gelida coperta e la mia pelle nuda rabbrividisce e comincio a tremare, ma rimango immobile, assaporando quel tenue dolore, abituato a pene ben maggiori. Poi, assuefatto dall’aria fresca, richiudo la finestra e, con gli occhi scioccati dall’improvvisa e forte luce, mi dirigo verso l’armadio per scegliere cosa mettere, ma l’ennesimo dolore corrode il mio stomaco, stavolta con più violenza: stavolta non ho altra scelta se non dirigermi verso il bagno e vomitare quell’angoscia nel water, per poi sentirmi ancora peggio. Stremato, mi rizzo in piedi, barcollando raggiungo il lavandino e mi ci aggrappo x non cadere, apro l’acqua gelata e ci ficco sotto la testa, quasi non urlo per la temperatura artica, ma lascio che mi scorra lungo tutta la faccia, pulendo, purificando.

 

Di nuovo nella mia stanza, vestiti sparsi sul letto, magliette nere con loghi di gruppi musicali e scritte oscene, felpe pesanti con cappuccio e jeans di tutti i tipi e tutti i colori, e l’immancabile paio di All Star nere buttate ai piedi del letto. Scelgo un sobrio paio di blue jeans larghi, una maglietta dei Nirvana e una felpa nera, allacciandomi al polso il bracciale di pelle borchiato. Indosso le All Star e mi dirigo verso l’uscita, afferrando mentre cammino una bottiglia di tè al limone appoggiato sul mio comodino, e me la scolo mentre giro le chiavi.

Sono fuori, anche con la felpa il tipico freddo di un mattino post-alba autunnale mi provoca brividi violenti. Mi metto le cuffie, riprendo da dove avevo lasciato la notte prima: un urlo assordante carico di rabbia di Corey Taylor mi scuote definitivamente dal sonno. Cammino senza una meta precisa, non c’è nessuno in giro, senza accorgermene attraverso tutto il paese e giungo davanti alla casa di Riccardo… “Perché no?” penso, tolgo il cellulare dalla tasca e lo chiamo…

 

<< tuuuuuuutuuuuuu…>>

<< Rispondi stronzo! >> mormoro a denti stretti.

<< tuuuuuuuuuuuuuuuuuu… pronto, Umby? >> risponde una voce rauca e assonnata.

<< Ciao, rifiuto umano! Ben svegliato? >> comincio sarcastico.

<< Prendi pure per il culo adesso? >> avverto frustrazione e una tonalità più rauca nella sua voce.

<< Immagino di no, dopotutto… esci? >>

<< Per andare dove? Sono le sei del mattino. >>

<< Sono esattamente davanti a casa tua, chiama Roby e digli che andiamo a Como, poi scendi… >>

<< A Como?! >> esclama irretito.

<< Al Tempio! >>

<< Ci sto! Arrivo subito! >>

<< tuuuuuutuuuuu… >>

 

Chiudo e mi siedo per terra, fra polvere e foglie, frugo nella tasca… nulla…. “Dannazione!”

Dopo pochi minuti avverto un calcio nelle costole, alzo lo sguardo e vedo un tizio dannatamente alto, magro e dritto come una picca, capelli neri abbastanza corti e vividi occhi blu elettrico, vestito da B-Boy con un medaglione raffigurante l’aquila fascista al collo.

<< Alzati, schifoso barbone! Non ti ha insegnato la mamma che non si dorme per strada? >> ride lui.

Mi alzo distrutto e contraccambio il calcio con un destro nella pancia, che gli fa perdere il fiato per un attimo. Ma non gli faccio niente, la forza delle mie braccia se n’è andata… da molto tempo. Ricky mi afferra sotto l’ascella e mi tira su del tutto.

<< Roby ha detto che ci aspetta alla fermata. >>

<< Ce li abbiamo i biglietti? >> sussurro sorridendo.

<< Umpf… >> sbuffa Riccardo, e ci dirigiamo verso Via Matteotti.

 

Due Heineken più tardi arriviamo alla fermata. Ci sono già diverse persone, non riconosco nessuno, tranne una persona. Un ragazzo vestito sobriamente, jeans stretti, maglietta nera a maniche lunghe raffigurante la faccia di Bush con le orecchie di Topolino, capelli corti castani e spenti occhi verdi. Ci guarda arrivare con l’immancabile sorriso sulle labbra.

<< Ciao, Rob! >> saluta Ricky.

<< Ciao, Rik! >> rimanda l’altro.

<< Ciao, R... cough cough…>> non finisco la frase.

I due se ne sbattono e cominciano a parlare.

<< Hai una siga, Rik? >> chiede Rob.

<< No! >>

<< Ah… peccato… >>

Alzo lo sguardo.

<< No??!! >> esclamo con una voce che non riconosco come mia.

<< No, tossicodipendente! >> scatta lui.

Odio s’insinua nei miei occhi. Prima improvvisa consapevolezza e poi contrizione nei suoi.

<< Scusa, Ú… >>

<< Fottiti… >> gemo.

 Arriva il pullman, la manica di coglioni che ci circonda si affretta a salire come un branco di pecoroni castrati dall’entrata davanti x pagare il biglietto. L’autista è idiota e apre anche dietro, saliamo senza farci notare. Giungiamo ai posti più dietro e ci stravacchiamo. Di fianco a noi c’è una faccia conosciuta.

<< Wela, Fra! >> esclamo.

<< Ciao a tutti, raga! >> fa lui da figo.

Prima che gli altri due spiccichino parola comincio:

<< Hai mica dietro… della roba? >>

Lui ride.

<< Ti pare una domanda da fare? >>

<< No... >> dico sorridendo.

Estrae dalla tasca un pezzetto di carta, lo poggia sul ginocchio, estrae una bustina piena di roba marrone scuro e ne riversa un po’ sulla cartina. Chiude e arrotola il foglietto con precisione certosina. Poi, dopo un ultimo sguardo bramoso, me la passa, accendino già nella mano, brucio l’estremità più larga e mi ficco il foglietto in bocca per l’altra estremità, aspiro e mando giù per i primi tiri. Poi passo a Rob e mi accascio con espressione ebete sul sedile mente per tutto il pullman si sparge una nuvola di fumo che la gente fissa con disgusto. Anche l’autista ci guarda dal finestrino preoccupato, indeciso se buttarci giù dal pullman o no, ma per sua sfortuna incrocia lo sguardo di Fra che lo fa decidere. Dopo quel breve attimo di suspence riaccendo il lettore e mi rilasso con un pezzo lento dei Dream Theater: la voce cullante di “JamesLaBrie e l’ipnotico giro di piano di Kevin Moore amplificano gli effetti della marijuana e lo stato di relax raggiunge livelli indecenti. Ma, nonostante il vuoto mentale, un unico pensiero rimane fisso sul fondo della mia scatola cranica, momentaneamente schiacciato dalla mia effimera felicità chimica: un miscuglio scellerato di piacere e di dolore, di odio e di… amore…

Il risveglio dal viaggio è sempre crudele, tutti i tuoi sensi tornano al loro posto, e tutti riprendono a funzionare in modo doloroso: gli occhi bruciano, le orecchie sono così disabituate a udire che il più lieve rumore fa un’ecatombe dei tuoi timpani, le narici sono intasate e il disgustoso gusto del fumo ti ottura la gola e ti fa marcire la lingua. Mi sporgo dal finestrino e sputo uno spesso grumo di catarro grigio, inspiro vento dal naso e mi risiedo, e incontro lo sguardo di una ragazza carina voltatasi a guardarci. Sorrido e mi svacco con aria disinvolta fissando nessun punto in particolare sul soffitto, poi do un buffetto alla spalla di Ricky, lui si gira e io gli indico con gli occhi la ragazza che non ha smesso di osservarci, a metà fra l’ammirazione e il disgusto. Lui assume un’espressione corrucciata, si sporge in avanti, la fissa negli occhi, alza la mano e con un gesto poco carino le dice ad alta voce: << Cazzo vuoi? >>, lei si gira di scatto e non si volta più per il resto del viaggio. A me un po’ dispiace ma scrollo le spalle e dico a Rob: << era carina, no? >> e Rob << Cazzo, SÌ! >> esclama, in modo che anche lei ci senta… ridiamo come due ebeti mentre Riccardo sbuffa e mormora << … de gustibus… >>.

 

In poco tempo il pullman si svuota, Francesco è sceso non so dove agli inizi di Como, noi usciamo al capolinea, al solito. Salutiamo ironici l’autista e saltiamo giù dallo scalino con baldanza. Ci guardiamo intorno e cominciamo a camminare per il lungolago, con una sola, vera, meta: il disfacimento.

In un lasso di tempo indefinito ci ritroviamo sdraiati schiena contro schiena nel bel mezzo di uno lurido prato in riva al lago, a pochi metri dal palco. Non c’è ancora nessuno, aspettiamo, chiudo gli occhi e sogno un mondo verde marcio spazzato dal vento gelido e tormentato dal sole inclemente.

 

Stavolta il mio riaprire delle palpebre è dolce… accompagnato da ombra, da fresco e da incenso. Mi metto a sedere e la prima cosa che vedo è un uomo sdraiato a braccia e gambe aperte di fianco a me, occhi dilatati e senza pupille, bocca aperta e un vasetto metallico da cui esce fumo appoggiato in equilibrio sul suo petto. La solita striscia di gomma stretta intorno all’avambraccio e il solito eloquente buco: siringa poco distante. D’un tratto mi domando: “Chi mi ha spostato sotto quest’albero? E perché c’è così poca luce? Che ore sono?”, cerco con lo sguardo Roberto e Riccardo ma c’è il nulla davanti ai miei occhi. Mi rassegno, frugo nelle tasche del drogato e trovo l’ennesima canna: tiro, stavolta espirando, e rimango ad aspettare. Dopo 15 minuti il tizio apre gli occhi di botto, sussulta e il vasetto d’incenso cade sull’erba.

<< Ciao, Doc… >>

Lui sbatte gli occhi e cerca di focalizzare, poi si ricorda che ha 5 diottrie di miopia, estrae gli occhi da un taschino del giubbotto, se li spinge su per il senso con il gesto abituato dalle migliaia di volte in cui l’ha fatto e mi fissa. Poi tira un sospiro.

<< Ah, Ú! M’hai fatto prendere un colpo… pensavo fosse un infame… >>

<< I casi della vita… >> la mia frase quando non c’è nulla da dire << Piuttosto, quale genere di follia ti ha posseduto per spingerti a farti una pera qui alla luce del sole senza nessuno a coprirti il culo?? >>

<< Nessuna follia, Ú, tu lo sai bene… >> sussurra fra i denti con frustrazione.

Non c’è bisogno di nient’altro, la dipendenza ha preso il controllo del suo cervello, è fatto, finito, senza speranze.

<< Condoglianze… >> faccio con cinismo, ravvivandomi i capelli.

Odio nello sguardo.

<< Proprio tu fai le condoglianze a me? Ci siamo per caso scambiati i ruoli? >>

Rido.

<< Nessun cambiamento, Doc! Io vivo, tu muori… >> derisione negli occhi e disgusto nella posizione del labbro superiore.

La rabbia, l’invidia e la paura lo sconvolgono dai tremiti. Un uomo così grande e grosso destinato a una tale debolezza. 23 anni, ne dimostra 50, capelli lunghi, luridi, selvaggi, che cominciano a diradarsi, barba identica. Altissimo e muscolosissimo, asciutto e atletico come uno sperone roccioso, blandi occhi castani e rughe su rughe sulla sua devastata pelle pallida.

Ma il suo aspetto è solo una parte della sua tragedia. Aveva cominciato a drogarsi poco prima del suo quattordicesimo compleanno: ma sempre con moderazione, raggiungendo l’assuefazione solo dopo pochi anni, affrontandola prima senza paura e con volontà di vincerla, poi con rassegnazione e angoscia infinita. Uscito dal Liceo con un brillante curriculum vitae: genio della chimica (aveva anche vinto una borsa di studio), stella nascente del centometrismo, cantante e bassista di un apprezzato gruppo progressive rock… dopo un anno non riusciva neanche più a correre, era stato cacciato dal gruppo e da casa, la sua ragazza l’aveva lasciato e gli amici gli avevano voltato le spalle. Cominciò a sfruttare la sua genialità nella chimica per produrre diversi tipi di droga e per spacciarla ai miglior offerenti e anche per soddisfare il suo sempre più impellente bisogno.

Ora era arrivato alla fine della corsa, l’assuefazione psichica era una pista senza sbocco, un quiz a crocette con due sole chance: o la morte o la morte.

<< Sai che anche tu non potrai vincerla per sempre, maledetto stronzo! >> sbotta.

<< No! Ma la morte non mi avrà così facilmente… >> la mia voce si affievolisce ma la sua carica di dolore e cinismo aumenta << Da un anno sono seduto a un tavolo, e davanti a me siede lei… bella e oscura come un peccato di lussuria, così invitante di fronte allo schifo che mi si stende davanti agli occhi, a partire da me stesso… ma tu lo sai: io ho sempre diffidato di tutto ciò che è bello e così semplice da ottenere, e le ho sputato in faccia il mio disprezzo. Ora stiamo disputando l’ultima partita, una sola consapevolezza: lei non lo sa ancora, ma sarò io a perdere… però la voglio sfiancare quella vecchia puttana, voglio farla crepare dalla rabbia… >> abbasso lo sguardo e mi lascio cadere nel manto erboso.

Anche se non posso vederlo percepisco il suo sguardo su di me, percepisco la sua ammirazione e la sua compassione.

<< È incredibile, comunque… >> mormora.

<< Cosa? >>

<< Tu! >>

<< Perché? >> mi puntello su un gomito e lo fisso negli occhi.

Mi guarda come se fossi un idiota.

<< Ma come perché? Hai cominciato a venire da me neanche un anno fa. Senza paura hai cominciato subito a bucarti abitualmente con dosi che normalmente avrebbero stroncato un novellino. In neanche un mese hai raggiunto l’assuefazione. Dopo due essa era penetrata nel profondo della tua psiche, ma sei riuscito a dominarla quanto basta per vivere il tuo schifo di vita ancora per 7-8 mesi… e ora sei senza scampo… >>

Ricado a faccia in su e dormo, sbuffando ironico.

 

one baby to another says I’m lucky to have met you…”

La voce di Kurt Cobain mi culla con quella sua carica così rabbiosa e dolorante soffocata a stento dalla sua apparenza così dolce e vellutata.

Sento qualcosa di umido, morbido e caldo che passa delicatamente sulle mie labbra, le dischiudo leggermente e un alito di menta si spande per la mia bocca. Non apro nemmeno gli occhi e lascio che continui, scosso da brividi di eccitazione e da un moto d’amore infinito: il suo corpo suscita in me stimoli carnali, certo, ma la cosa che più mi soddisfa e mi estasia è il sapere di amare e di essere amato. La mia mano destra si solleva percorrendo la curva dei suoi fianchi e si insinua sotto la maglietta, accarezzando la sua pelle liscia e soffice… incapace di contenere il desiderio apro totalmente la bocca per accogliere la sua lingua… ma ciò non accade e la sento staccarsi da me… percepisco il suo sorriso prima di aprire gli occhi e sorrido a mia volta…

 

“I don’t care what you think unless it is about me…”

e la vedo: occhi castani simili a due gocce di miele immerse nel latte, poiché tale è il colore della sua pelle: pallida ma da una tonalità rosata che la rende quasi timida. Accenni di lentiggini ai lati del naso la rendono ancora più attraente, più predisposta all’amore. I lunghi capelli neri come la notte ricadono sul mio petto solleticandomi ad ogni suo movimento. Soffocato dalla passione mi sporgo in avanti per baciarla ma lei ride e si ritrae, allora io le circondo il bacino con il braccio e la attiro a me fra le sue proteste divertite e finalmente le nostre lingue si toccano e tutti i miei tormenti svaniscono in una sensazione di piacevole freschezza e libertà. Dapprima a bocca aperta ci sfioriamo teneramente e danziamo uno intorno all’altra, assaggiando il sapore della saliva. Poi anche le labbra si congiungono e ci esploriamo vicendevolmente la bocca.

Rimaniamo così abbracciati a baciarci per diverso tempo fino a perderne la cognizione nella nostra estasi…

 

“Chew your meat for you…

Pass it back and forth...

In a passionate kiss...

From my mouth to yours...”

 

La canzone finisce e mi sveglio. Gli occhi mi bruciano ma riesco comunque a capire che ormai è sera. Doc è sparito ma sono riapparsi Rik e Rob, in compagnia di due attraenti ragazze che avranno su e giù la nostra età. Carine complessivamente ma senza nessun segno distintivo. Tutti e quattro si passano un cilum e vedo bottiglie vuote di molti tipi di alcool pesanti sparse sull’erba: Riccardo è totalmente partito e dice solo cazzate, non riuscendo nemmeno a formulare pensieri sensati senza prima non inserirci qualche parola a caso, qualche balbettio o colpo di tosse o tirata di naso. Roberto è visibilmente brillo ma mantiene un certo contegno… le due ragazze ridono per ogni idiozia che Rik dice ma per il resto rimangono a osservarli a metà fra lo sconcertato e il divertito, pur avendo il tipico luccichio dovuto al fumo negli occhi. Il mio risveglio interrompe tutti, sorrido alle tipe poi mi alzo con aria strafottente, sputo per terra e me ne vado ciondolando, seguendo un qualcosa che non riesco inizialmente a focalizzare.

Nel mio viaggio verso questa meta sconosciuta incontro diversa gente (ormai il Tempio s’è riempito) che conosco, saluto tutti con un cenno e la mia tipica smorfia cinica che è una pallida imitazione di quella di Sid Vicious. Dopo una canna liberatoria passatami da un amico riesco finalmente a capire cosa sto cercando… un angosciante ma graffiante giro di basso riecheggia per tutto il prato… lo seguo.

Doc, totalmente e irrecuperabilmente strafatto, è salito sul palco e sta improvvisando pesantemente con il suo basso, amplificatore a palla, tutti i tipi di pedali conosciuti schiacciati e l’equalizzatore che sembra calibrato da un alano. Si esibisce in diversi virtuosismi e in qualche tentato emulo di fare un pezzo ritmico come se stesse suonando una chitarra, col risultato di rompere una corda, di spaccare il basso con un violentissimo colpo sull’amplificatore e di svenire tenendosi forte allo stomaco per le risate. Salto sul palco, do un calcio nel costato al redivivo e cerco di rimettere a posto alla bellemeglio l’amplificatore che sembra sul punto di esplodere. Riesco nel tentativo, lo ricalibro e grido: << C’è nessuno che ha una chitarra elettrica?!!! >>.

Sale sul palco un pischello dai lunghi capelli rossi a portarmi la sua Gibson Diavoletto, riproduzione di quella di Angus Young, anche quella rossa, e me la porge con espressione neutra… come altre mille persone in quel luogo di perdizione. Impaziente mi infilo la tracolla, regolo il volume e il tono e l’impostazione dei pick-up con movimenti febbrili.

Finalmente le mie dita della mano sinistra toccano le corde, e una sensazione di potenza mi inebria. Con calma e tranquillità estraggo un plettro dalla tasca e lo appoggio alla terza corda, con l’aiuto della memoria imposto l’accordo e comincio ad arpeggiare senza un brano preciso in mente… per poi accorgermi che sto suonando l’assolo di Tom Morello alla fine di “Darkness of Greed”, un pezzo da brivido. Poi tutto si confonde, i sensi si mischiano, i suoni diventano odori, gli odori immagini e le immagini di nuovo suoni… e quei suoni vengono riprodotti nella folle psichedelia improvvisata della mia chitarra, i trucchetti e tutti gli accorgimenti sonori che conosco si sprecano… suono come nessuno ha mai suonato prima: un caos di slide, bending, hammer e pull off interrotto da brevissimi spezzoni in legato che si trasformano in tapping per poi tornare a usare anche la mano destra. Il plettro striscia e gratta contro le corde provocando un suono graffiante e fastidiosissimo all’orecchio umano, contornato da una melodia senza senso… una discreta folla si era subito raccolta intorno a me per osservare quel pazzo che suonava… dal principio ammaliati, poi disturbati, infine sdegnati e pesantemente irritati da quel canto primordiale che scaturiva come sangue in una ferita infetta dall’amplificatore. Cominciano a gridarmi insulti, a imprecare, a bestemmiare, a sbraitare di far finire questo tormento, alcuni a supplicare… ma io sono ipnotizzato dalla sinfonia prodotta da me stesso in questo delirio di onnipotenza… ma anche se sentissi non me ne importerebbe nulla… finché suono tutto il resto non ha importanza, esistiamo solo io, la chitarra e quel rumore maledetto che si alza come una sfida fino all’alto dei cieli.

In quel disordine sensoriale percepisco qualcosa di freddo che mi colpisce la mano durante una pennata particolarmente violenta, la nebbia che mi offuscava gli occhi si dissipa e vedo stretta nella mia mano una levetta… sorrido a trentadue denti e sgrano gli occhi, illuminati dal luccichio rosso dello squilibrio mentale. Suono accordi violenti ancora e ancora e ancora e schiaccio la leva con forza, più e più volte fra le imprecazioni del ragazzo che mi ha prestato la chitarra e poi… bang! Tutto si rompe, la chitarra, la melodia, la mia sanità mentale… un pomodoro… e il mio setto nasale.

Sangue e succo di pomodoro mi colano sulla faccia velandomi gli occhi… tingendo il mondo di scarlatto… vedo la figura confusa di capelli rossi che si agitano e per la seconda volta il davanti di una mano chiusa a pugno… e ancora crack! Stavolta si rompono i miei denti e io cado a terra, in una cascata di sangue… sento qualcuno che grida e dolore alla costola, gente che applaude e gente che strilla spaventata… dolore alla schiena… oblio…

 

… sogno un mondo rosso sangue e gocce di succo di pomodoro… gelo alla fronte e fiumi di liquida freschezza che mi attraversano il viso… il rosso scompare, purificato, sciacquato, lavato via…

 

Mi sveglio

<< FOTTUTO FIGLIO DI PUTTANA!!! >> urlo a nessuno in particolare.

Una figura familiare mi si pone davanti… lunghi capelli scuri, occhi scuri, un sorriso bianco e splendente come il sole che si riflette sulla neve e divertimento nelle pupille... una ragazza? Lei sogghigna sarcastica e io realizzo di chi si tratti

<< Oddio… Vale nooozzo fai qua? >> mi metto una mano sulla fronte con disperazione e roteo gli occhi… “Presumo sia chiedere troppo morire di overdose proprio adesso, vero?” domando a quel dio a cui non credo.

Valeria sbuffa e incrocia le braccia fingendo di essere offesa.

<< Bel ringraziamento per chi ti fa rinvenire… bravo bravo continua a fare lo stronzo, bravo… >> sbotta dandomi improvvisamente le spalle.

Mi puntello su un gomito e la guardo.

<< Eddaaaaaaai… tre anni che mi conosci e non capisci ancora quando scherzo? >> mormoro con voce “tenerosa”, come dice lei, preparandomi già a sembrare pentito per quando lei si girerà.

Il che accade puntualmente: lei smette di darmi le spalle e mi fissa negli occhi… il suo broncio dura per poco, cerca di mantenere un’espressione corrucciata ma il suo labbro inferiore comincia a tremare e il sorriso allargarsi… le vengono lacrime agli occhi nel tentativo di non scoppiare a ridere… io sorrido tentando una faccia infantile ma mi va buca… Valeria esplode in una fragorosa risata puntualmente seguita da me…

<< Mwuahahaha avresti dovuto vedere la tua espressione mwuahahaa… >> dico fra le risate.

<< Ahahahah e perché la tua?? Sembravi l’imitazione di Ozzy Osbourne (“come fa a sapere chi è Ozzy Osbourne??” penso io!) da piccolo con le guance barbute ahahah… troppo pazzesco… >> sbotta lei.

Tronco la mia risata col mio solito fare sarcastico e la guardo con strafottenza… alzo il pugno, lo schiaffeggio con l’altra mano e… un dito medio si alza solitario in mezzo alle altre dita..

  
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