Capitolo VIII – In a fish bowl
Non si era mai sentita così.
Tremante. Vittoriosa. Sconfitta. Scossa da fremiti
invisibili, emozioni represse, lacrime che lottavano per uscire fuori insieme a
scoppi isterici di risa. Si agitava sul letto. Completamente vestita. Abiti del giorno prima. E la sera
non aveva voluto vedere nessuno, l’aveva detto a Mrs.Greystone
di quel suo forte ed insopportabile mal di testa. Non si sentiva in grado.
Nonostante avesse rinunciato al suo passato, ed un senso di
trionfo le desse quel vago e soffuso piacere che non si sarebbe mai aspettata.
Ma forse più che al suo
passato aveva rinunciato ad Harry.
Harry. Ciò
che era stato. Ciò che non sarà più, si disse risolutamente. Mai più.
Però in tutto quello c’era anche tristezza. Dovuta a non
sapeva che cosa. O forse sì. Certo,
la sua risoluzione. La sua indecisione. Codardia. E
angoscia, per il passo che sentiva non avrebbe dovuto fare. Per la solitudine
di quella stanza estranea di estranei, piena di volti
che non avrebbe voluto conoscere, di labbra sulle sue che avrebbe preferito
allontanare. Come una volta. Un sì, o un no. Ma era proprio quello da cui lei
si era ostinata a fuggire, caparbia nei suoi ideali forse, nella certezza di
questo dubbio infinito, perché le bastava aver distrutto la sua vita senza
dover aggiungere altro ai pesi che premevano sulla sua schiena. Schiaccianti. E non c’era nessun giusto e nessun sbagliato. C’era il
grigio che nemmeno aveva voluto scegliere. Scegliere.
Sì, scegliere. Perché anche la morte
è una scelta, Weasley.
Si portò le mani al viso,
tentata dall’urlare, per liberarsi di quelle voci, di quei sogni, tormentosi, angoscianti, e tornare a non pensare e a pensare troppo.
Perché sentiva di dover fare qualcosa, ed indietro non si
poteva tornare. Non l’avrebbe fatto. Non avrebbe rinunciato al suo ultimo
orgoglio. Ma le molteplici direzioni che si districavano adesso di fronte ai
suoi occhi appannati ottenevano solo di confonderla. E di gettarla nel più completo panico. Per la sua eterna
indecisione. Per quello che aveva voluto e dovuto fare e di
cui adesso si pentiva. Per ciò che non vedeva davanti
a lei. Per la mano che avrebbe voluto afferrare,
chiudendo gli occhi, lasciandosi trasportare. In un altrove più vicino
al grigio che era il suo destino.
Al grigio dei suoi occhi.
Qualcuno bussò. Chissà come,
chissà dove. E come se questa fosse stata la molla di
tutte le sue costrizioni, iniziò a piangere. Deliberatamente,
irreparabilmente. Ad occhi chiusi, singhiozzando, gemendo, gridando,
liberandosi di ogni gravoso silenzio in cui si era
rinchiusa, delle parole che avrebbe voluto dire, delle urla che avrebbe voluto
lanciare al mondo, destino, vita crudele, a chiunque altro potesse essere
accusato, perché io non ho colpa, io non
ho colpa, io non ho colpa...
Sentì. Una mano le
accarezzava i capelli, glieli scostava dal viso, le sfiorava le guance bagnate
come un alito di brezza, lontano sul mare. Si riscosse con un
tremito, gemette ancora.
-
Tu non hai colpa.
– sussurrato piano al suo orecchio scoperto, ai suoi occhi
gonfi e lacrimanti, al suo viso macchiato di pianto. Quelle parole le
sembrarono la verità più incontestabile che avesse mai
sentito, pronunciate con la sua voce morbida, suadente, greve.
Annuì, tenendo le palpebre
abbassate, l’espressione deformata da quell’acuta tristezza, tremante.
-
Tu non hai colpa.
Le asciugò le lacrime con il
palmo, fresco e asciutto, morbido, contro la sua pelle umida.
-
Tu non hai colpa.
Le dita arrivarono
alle sue labbra, ne disegnarono i contorni, lievemente, con dolcezza.
Ginny sollevò la testa. Tese
le mani, cercando il suo viso. Tastando senza sguardo i suoi
capelli, le orecchie, le guance.
-
Quale altra
consolante contraddizione mi rifilerai oggi? –
mormorò, poi mordendosi un labbro, abbassando di nuovo il capo come per permettere
alle lacrime di arrivare per la strada più breve.
-
Di quale altra
contraddizione parlano le tue lacrime, Ginevra?
E fu allora che decise di guadarlo. Al
suo nome pronunciato con un sorriso invisibile, lo stesso, provocatorio,
dolcissimo, che aveva riempito le sue notti. E
le sue visioni, continue, di the insipidi e case lontane.
I suoi occhi erano lì, gli
stessi di sempre, ma sentì di non poterli guardare più a lungo. Sentì che il
peso dei suoi errori era scritto nel costante fiume di parole che sgorgava
dalle limpide pozze grigie davanti a lei, fiume che tormentava come un
fastidioso brusio le sue orecchie, che la sfiorava con
quelle dita algide e sottili, che le ricordava rimpianti e rinunce.
-
Ho allontanato
ancora il mio passato. – biascicò, e le sue mani corsero verso il proprio viso
in cerca di sollievo.
-
Vi hai
rinunciato, Ginevra. Perché non vuoi ammetterlo? – la
sua voce era miele, stillava dolcezza e pace per gli occhi arrossati, stillava
comprensione. Spingendola verso un precipizio.
Portandola
a dire ciò che non aveva mai confessato neanche a se stessa.
-
Perché
ho perso l’unico legame che mi teneva in vita. Ho perso il mio passato. Ho abusato della mia
speranza, l’ho lasciata marcire, l’ho gettata in faccia a colui
che era stato per me vita. Ho detto addio ad
Harry. L’ho gridato. Ed ora non ho più nient’altro.
Senza neanche sapere perché l’ho fatto.
Lui la fissava,
cercando il suo sguardo, sollevò il suo viso e i suoi occhi all’altezza
dei suoi. Il suo profilo affilato le si avvicinò
pericolosamente, severo, impassibile, immobile.
-
Quando smetterai di mentire a te stessa?
Parole più taglienti del
ghiaccio, adesso.
-
Cos’è che vuoi da
me? – una voce che era un sussurro, inevitabile, supplichevole,
lamentoso.
Lui sospirò.
-
Legge del
taglione. Occhio per occhio, dente per dente. Quello che hai dato a me, ora devo restituirti. Dovere divino e necessario,
Ginevra. – rispose alla sua occhiata interrogativa e tormentata, al viso
dolorosamente concentrato, alle mani che si rincorrevano tremanti, ora sul suo
grembo – Sei stata tu a cominciare. Ricordi? Quel giorno nel locale. Nel buio.
È toccato a te risvegliare i miei rimorsi. Per acutizzarli
prima della fine, ho pensato allora. Per permettermi inconsapevolmente
d’imparare davvero ad accettare come mi ero costretto a fare, senza riuscirvi,
in realtà. Ed ora ci sei tu, davanti a me. Sei
sola, e senza un futuro, lo so. Tu mi diresti di non essere. Ma io so già. So tutto. – la
sofferenza sul suo viso era diventata intensa incredulità – E ti dico che il primo passo per superare è comprendere.
Comprendere le proprie scelte. Anche se è ciò doloroso.
Anche se queste sono dolorose.
-
Smettila di
tormentarmi. – riuscì appena a biascicare lei, fra i denti, stringendo gli
occhi e frenando le lacrime. Non stavolta. Non ancora. Basta così. Sì, era
abbastanza.
Era fuggita abbastanza.
Niente da fare, pensò. Le
lacrime si ostinavano a scendere, pioggia salata sulla sua pelle abusata.
Estranea. Rifiutata persino da se stessa.
-
E chi altro ti vorrà mai, Ginevra Weasley? – rispose,
sorridendo, scostando la sua cortina di lunghi capelli sanguigni, facendosi
spazio nel suo dolore, avvicinandola a sé, stringendola al petto.
Le scappò un singulto
nervoso, ma alzò gli occhi, di sua sponte, per fissarlo meglio in viso, i
lineamenti distesi per la prima volta da quando li aveva visti, in quello che
era davvero un segno aperto e puro sul suo viso latteo e aspro.
Lo fissò, e si perse nei suoi
occhi grigi. Accarezzò con lo sguardo la sua anima, ora aperta, schiusa,
davanti a lei, per lei sola. E si accorse che tutto ciò che aveva pensato, per
lei, per tutti, non era vero, che di vero c’era solo quello che non aveva osato
immaginare, e che ora aveva davanti.
Che vedeva con la chiarezza di un mondo racchiuso dentro
ad una boccia di cristallo.
E allora fu lei a cercare le
sue labbra tanto a portata di bocca, i suoi denti con la sua lingua e la sua
lingua coi suoi denti. Cercò di strappargli a forza
tutto ciò che aveva da dirle, tentando di spingersi sempre più in fondo,
voracemente, quanto una ragazzina inesperta a cui sia concesso il suo primo,
grande amore. Con le lacrime agli occhi, ancora.
Lui rispose al suo richiamo,
e le afferrò il viso tra le mani, asciugò le lacrime con la saliva, ad occhi
chiusi le esplorò il viso e il collo.
Ma fu lei a tirarlo sopra di
sé, a tendere per prima le mani sotto i suoi vestiti, a spogliarlo della tunica
scura, della camicia di sotto, a cercarlo in una frenetica corsa spinta e
affrettata da bisogni e desideri, a spingerlo dentro al suo
corpo, per la prima volta dopo tanto tempo a chiamare qualcuno dentro di sé. E finalmente sentì che tutto quello non era solo pelle. E che quel
luogo in cui la sua anima abitava non era più tanto estraneo. Che in qualche modo, in quel momento, avvinghiata al suo
corpo, incatenata alle sue braccia, stava vivendo, e quel luogo era casa. Ed era tutto ciò che stesse cercando.
E quando aprì gli occhi,
sudata, ansimante, non più vuota ma con qualcosa dentro, che le pulsava, e si
faceva spazio dentro di lei spingendo via tutto quello che sentiva esserci
stato prima, si vide spaventata ed appagata in quei suoi occhi profondi e
trasparenti, vide il mondo deformato e chiuso fuori dallo
spesso vetro della vita di lui, dall’accettazione attraverso la rinuncia, che
adesso anche lei aveva abbracciato.
E lui sorrise, sorrise ancora. Quasi
radioso, stanco, scivolando accanto a lei senza lasciarla, le sue mani attorno
al suo bacino, il suo respiro affannato contro il suo braccio, senza
alcuna pressante possessione, ma con un senso di remissiva appartenenza.
-
E adesso? – si ritrovò a chiedersi, chissà se a lui, a
se stessa o all’oscurità dentro e fuori la stanza.
-
E adesso è ancora presto. Domani. Domani la guerra
finirà. – rispose lui, prendendo un profondo respiro, puntando agli occhi al
soffitto della stanza, con quella lieve increspatura di dolce sicurezza sulle
labbra.
-
E allora, Draco? – pronunciò il suo nome senza volerlo
davvero fare, ma ne sorrise, e così anche lui, lasciandosi andare in lievi
sussulti gioiosi l’una fra le braccia dell’altro.
-
E allora, finita la guerra, ci sarà anche posto per
l’amore.
Fine.
OK OK OK.
In genere tento di trovare la forza di rileggere i capitoli, considerate le
numerose sviste che ritrovo ogni volta, ma oggi non ce
la faccio proprio.
Mi spiace di non essermi fatta sentire per diverso
tempo, anche per rispetto nei confronti di voi stupende lettrici, ma è stato un
periodo davvero pieno. Questi pochi giorni di ponte sono stati una toccasana, vista la mia stanchezza, nonostante fossi
strapiena di cose da fare. Ed oggi, finalmente, trovo
un po’ di tempo per pubblicare l’ultimo capitolo di questo bel macello.
Non so se vi ho mai detto quanto mi costi scrivere
qualcosa di diverso da un happy ending. I finali cupi
mi piace leggerli, ma a meno essere davvero depressa
(cosa che in verità, per mia fortuna e di chi mi sta accanto, non accade da
molto tempo), non mi riescono davvero. Far male ai miei personaggi (vabbè che qui non lo sono proprio, ma l’affetto è
affetto...) è una sorta di masochismo inarrivabile per la mia etica. E poi in
una coppia del genere, voglio dire, se il lieto fine
non ci fosse qui, figuriamoci nei libri veri... Che poi diciamocelo, in
confidenza, non è che siano di questa grande bellezza, è solo l’idea che non
era male.
Basta così. Mettiamo fine a questo sproloquio. Avrò
qualcos’altro da inviare dopo, niente di semi-leggibile come mi vanto sia questa fanfiction, solo
un paio di meri passatempi estivi...
Quel che mi dispiace è che non verrà
mai finito l’ultimo dei miei progetti potteriani,di
cui Chiara è a conoscenza, in quanto ha letto le prime due parti, ma sono senza
ispirazione e ormai piuttosto lontana dallo stato semipuro in cui ho iniziato a
scrivere. Ma non ne sentirete la mancanza, posso
assicurarvelo. E poi, scusate, ma non ne posso proprio più, vorrei davvero
passare ad altro, sempre che mi riesca...
Ho ricominciato. Va bene, va bene, la smetto. Rispondo
ai vostri commenti, anche perché ve lo meritate proprio. Alla prossima!
Abigale: Vedi? Ho inconsciamente esaudito la seconda parte del
tuo contrastante desiderio. Ma la prossima volta sii più chiara, o dovrò
rimanere dilaniata dal dubbio di aver fatto bene o meno...
Un bacio!
aletheangel: “Tra poco”, relativamente, come vedi tu stessa...
Grazie del commento, comunque, lusingata della tua attenzione. Spero la fine ti
soddisfi.
Thilwen: “Chiara, t’ittasti!” è il primo
commento che affiora spontaneamente alle labbra... Troppi complimenti, tesoro,
ma sai quanto ne avessi bisogno, di scrivere qualcosa
del genere. In realtà penso che dovrei fare un mestiere del pubblicizzare i
miei sfoghi e spacciarli per fanfiction... finora mi è riuscito moderatamente bene. Tu parli di compito di mate? A
me sono andati all’aria tutti i miei progetti di
scrittura pomeridiana grazie al CANTIERE... il prossimo mese, la grafica se la
fa qualcun altro... (a proposito di bei commenti e belle risposte, insomma...
comprendimi, non ce la faccio più! Ti voglio bene.)
Briseide: Rossore ormai canonico, e ricerca
disperata di qualcosa di sensato da dire. Anch’io amo Baricco,
ed in realtà, quando ho letto “Seta” (credo tu lo conosca), mi è salito in gola
una nodo di rabbia, perché ha scritto il romanzo che
io avrei voluto scrivere da sempre. Grazie anche per il riferimento ai film
francesi, che mi piacciono infinitamente. Musicalità e
colori. Mi piacerebbe poter dare quest’effetto con le parole, anche se ciò
probabilmente suona in modo un po’ troppo pretenzioso. L’intento è quello comunque, l’ispirazione anche. Grazie dei tuoi affascinanti
conforti ad ogni capitolo, grazie.
Izumi: Beh, dubito che Thilwen si
sia offesa... non ti preoccupare, per quanto vasto possa essere il vocabolario
italiano, c’è sempre qualche termine che difetta... Sì, non so si fosse capito quale fosse l’intenzione del capitolo, ma credo
fosse abbastanza evidente. Anch’io non lo posso
vedere, ma fortunatamente, qui siamo tutte d’accordo... Non per niente questa è
una “Draco/Ginny e Harry ci rimane fregato”. Avrei voluto specificare in tal
modo il pairing a inizio
storia, ma in qualche modo ciò sarebbe significato anticipare, e la storia
avrebbe perso quel minimo di attrattiva. Grazie davvero, anche per aver notato
lo zucchero nel caffè. È un particolare che mi è piaciuto sottolineare,
e vederlo cogliere dà una certa diffusa soddisfazione... Ci vedremo presto,
comunque, non vi abbandonerò ancora del tutto (dillo che ci avevi sperato...).
Un bacio, allora. Spero che il finale ti abbia soddisfatto.