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Autore: skonhet    01/10/2010    1 recensioni
Giornate come quella,passate ad aprire impavido il frigo nonostante la presenza di sostanze risalenti a qualche fiorente epoca lontana,oppure a spulciare,più fiduciosi,cassetti ricchi di schifezze strapazza fegato,erano la vera essenza della sua esistenza,una difficile e faticosa esistenza,aggiungerei in onore del prode Albus.
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Nuova generazione
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Mio fratello è figlio unico.

Il vociare confuso che proveniva dalla vecchia TV, resa funzionante grazie a metri di magicscotch, si confondeva pallido con la luce flebile che illuminava una mediocre stanza quasi del tutto vuota, donandole un aspetto artificiale e alieno. Questo era un ottimo modo di passare il tempo se il tuo nome era Albus Severus Potter e la tua massima aspirazione di vita è quella di guardare qualche squallido programma babbano con schegge di popcorn e mais incastrato tra i denti e briciole di patatine attaccati alla pelle, steso su un divano malmesso e recuperato accanto a qualche cassonetto dell'immondizia. Giornate come quella, passate ad aprire impavido il frigo nonostante la presenza di sostanze risalenti a qualche fiorente epoca lontana, oppure a spulciare, più fiduciosi, cassetti ricchi di schifezze strapazza fegato, erano la vera essenza della sua esistenza, una difficile e faticosa esistenza, aggiungerei in onore del prode Albus.

Un pendolo stile imperio, assolutamente fuori luogo rispetto al resto dell'arredamento, segnava le sette di pomeriggio; l'orologio che aveva al polso, regalatogli dal padre, come di tradizione, al suo diciassettesimo compleanno, era fermo da ormai un secolo alle quattro di mattina. Albus sapeva anche che la piccola radiosveglia che accumulava polvere sul suo comodino, inutilizzata, segnava sempre almeno dodici ore in meno rispetto a quello da polso. Ma indubbiamente era notte fonda, considerando che le palpebre si facevano sempre più pesanti, fino a chiudere come serrande l'unica parte del corpo del ragazzo ad avere ancora un'apparente vitalità (o forse, erano stati proprio loro, gli occhi, a perderla prima) e la sua testa non era più in grado di formulare un pensiero coerente.

Sbadigliò, lasciando scivolare dalla mano il telecomando, il quale produsse più fracasso del dovuto. Si girò, mugugnando qualche parola di scoraggiamento, puntando la fronte allo schienale del divano, rannicchiato in posizione fetale quasi fosse in cerca di conforto da chissà cosa. Quando il grande pendolo fece risuonare il suo ottavo rintocco dissonante, un forte latrato seguito da un leggero miagolio attraversò il cortile della casa, giungendo fino alle orecchie di Albus. Poteva anche essere incatenato nella più profonda quiescenza, ma James, in un modo nell'altro, riusciva sempre a dare una presenza di sé. Lo sentì schernire e baciare e abbracciare la ragazza che era con lui; poteva essere Emily, Anna, oppure Jess, o magari tutt'altro, ma quello che pregò in quel momento è che non fosse così affascinante da arrivare alla camera da letto. Un tempo James si faceva parecchi scrupoli nel portare le ragazze in casa,preferendo di gran lunga la scelta di poter fuggire ogni mattina da un letto diverso, ma sopratutto per evitare di togliere il giaciglio al fratello. Ma da quando Albus si era piazzato a vita sul divano, questo problema non persisteva e dunque aveva tutta la camera per sé. Non che non avesse tentato di farlo desistere dal lasciare il letto, ma il giovane Potter aveva ormai fatto di quel divano parte integrante del suo corpo; non poteva abbandonarlo, malgrado dormisse da schifo tutte le santi notti.

Quella sera la sorte decise di essere clemente con lui, ed ecco che James congedò la ragazza, facendo il suo ingresso di scena vittorioso, ma si lasciò un certo riguardo nel chiudere il più delicatamente possibile la porta alle sue spalle, sollevando tuttavia un nuvolone di polvere. Sbirciò oltre lo schienale, per osservare il fratello, e sorrise limpido alla vista dei suoi occhi sbarrati nel buio «Ehilà Tigre!» ruggì, scompigliandogli delicatamente la zazzera scura, riuscendo a strappargli un sorriso «Hai visto che tipa? » gli chiese, entusiasta, e Albus mentì, annuendo flebilmente, immaginando il tipo. Magra, curve esagerate, risata squillante -quello l'aveva sentito eccome- e fastidiosa, bionda&senzacervello; James non era mai stato troppo originale nella scelta delle ragazze, a dirla tutta, anche se una volta o due aveva variato, riuscendo persino a creare una relazione più o meno seria. Ma neanche tanto.

Passò qualche minuto di silenzio, rotto soltanto dal fischiettare allegro del maggiore, impegnato alla ricerca di chissà quale prelibata pietanza.

Malgrado l'allegria di James fosse quasi equivoca in quell'atmosfera lugubre e taciturna, Albus non riusciva mai a decidere se preferisse o meno la sua presenza; quando c'era lui nei paraggi era impossibile pensare ad altro, aveva così entusiasmo e voglia di vivere da essere protagonista sempre e comunque. Senza di lui, tuttavia, Albus riusciva a ritrovare quel piccolo sedimento di autostima, senza sentirsi morto e sottoterra.

James interruppe quella situazione così statica saltando lo schienale del divano -atterrando preciso nello spazio che le gambe di Albus avevano lasciato vuoto rannicchiandosi contro lo stomaco- con stretto al petto un pacchetto gigante di pistacchi, fingendo inizialmente di prestare attenzione alla TV, per poi cambiare soggetto. Albus si lasciò osservare senza staccare lo sguardo dalla stoffa consunta e squallida di quel divano di merda, sperando fortemente che la smettesse di analizzarlo con quell'espressione d'un tratto così intelligente. James non aveva mai chiesto nulla al fratello riguardo la sua situazione, pur sapendo che dentro la tasca sinistra di tutte le sue camice bruciava sempre la stessa foto di donna,e sentendo bene, almeno nei primi tempi, i singhiozzi soffocati nel cuscino, ma nei suoi comportamenti era spuntata, da chissà quale recesso di parentela col padre, quella premura snervante. Era sempre stato un fratello maggiore normale, di quelli ordinari, fastidioso, rompiscatole e prepotente. E malgrado la differenza fosse sottile, Albus la percepiva benissimo, come un pugno sullo stomaco. La percepiva eccome, ed era un comportamento anomalo, insensato. Lo odiava.

«Piantala» ordinò allora, piatto, e l'altro obbedì, abbassando la testa sui suoi pistacchi. Ecco, in un'altra occasione l'avrebbe preso a parolacce, si sarebbero tirati addosso due cuscini ridendo come sguaiati per poi finire con una frase del tipo : «ci facciamo una birra?». Ma di certo, non quella notte. Albus si tirò su, stropicciandosi gli occhi, come a voler cancellare le tracce di notti insonni, sviando lo sguardo del fratello, stavolta decisamente corrugato «Al ,lasciati aiutare».

Disse proprio così: Lasciati aiutare. Entrarono nelle orecchie di Albus, sibilando. C'era suo padre in quelle parole, suo padre nel colpo di James. Di nuovo.

Ormai da tempo il leggendario Harry Potter non si preoccupava dei piccoli crucci dei figli, accontentandosi di sentirli una volta a settimana e credendo ciecamente alle loro bugie. “Sì papà, James lavora, sì è un po' inconcludente ma lo conosci, ci sa fare. Certo che va bene al lavoro, papà! Giusto ieri ho concluso una sessione di processi straziante...sì sì, saluta mamma, ti verremo a trovare presto, certo” ed ogni volta che attaccava, inerme, sentiva l'impellente bisogno di risollevare la cornetta e rivelargli ogni suo problema, dai più insignificanti ai peggiori, lasciandosi consolare dalle sue parole gentili e delicate. Si copriva dietro al suo finto lavoro di avvocato babbano nascondendogli il suo insuccesso al ministero della magia. Raccontava di donne mai esistite per non dirgli di essersi perdutamente innamorato di una donna irraggiungibile. Inventava scuse per non fargli visitare casa e non mostrargli che razza di mobili si erano scelti non appena trasferiti. Certo, a suo tempo sembrava la vera tana di due uomini tosti, tutti donne e birra, ma ormai non era nient'altro che lo specchio dell'animo depresso di Albus.

Deglutì, aprendosi in un sorriso tirato «E' tardi James, ho troppo sonno stasera, davvero.» e così dicendo ridiscese, spingendo con i piedi verso il fratello, reclamando il proprio spazio. Ascoltò in silenzio James lasciare a terra il barattolo di pistacchi, alzarsi e dirigersi con religioso silenzio verso le scale.

«Tu hai sempre sonno, Al, quand'è che non ne avrai più?»

I passi su ogni scalino arrivarono alle sue orecchie come i rintocchi del pendolo, che proprio in quel momento scoccava le diciannove. La luce filtrò dalla finestra, e Albus si sforzò di non ricordare neanche quella mattina.


 

Note dell'autrice.

Francamente non so se questa è una one-shot o troverà un continuo. Ci tenevo particolarmente a scrivere di loro due,e cambiare un po' la figura bonaria e ovvia di Al. Nel frattempo,fatemi sapere cosa ne pensate (:

  
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