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Autore: Minerva    02/10/2010    2 recensioni
Uno scrittore intrattabile e misogino, terribilmente sarcastico e abituato a comandare.
Un'infermiera tutta d'un pezzo che non si lascia mettere i piedi in testa da nessuno, con la lingua più tagliente di tutto l'ospedale.
Metteteli assieme per un periodo di tempo indeterminato, condite il tutto con ironia e dispetti.
Avete ottenuto la nuova storia originale della sottoscritta: da un'idea di MikaEla.
Genere: Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Indovina cosa c'è per cena!


Rachel stava iniziando a pensare che un corso di yoga le avrebbe fatto bene. Avrebbe potuto rilassarsi e scaricare tutte le energie negative che accumulava al lavoro. Tutto quel controllo della respirazione, del trovare il tuo Io più profondo, di raggiungere vette insperate di calma e serenità... oppure poteva trovare un modo per eliminare il problema alla radice. Certo, sarebbe stato un po' drastico tappare per sempre la bocca a Thomas Haynes, ma avrebbe avuto molte attenuanti in caso di omicidio!
Quella mattina lui aveva rifiutato ben due menù per il pranzo. Non glieli aveva rifiutati quando lei gli aveva elencato i piatti, ma aveva aspettato che tali piatti fossero davanti ai suoi occhi per assaggiarli appena e decretare che facevano schifo e che non li avrebbe mangiati. Le sembrava di trovarsi davanti ad un bambino capriccioso. Il terzo menù, però, non c'era stato. Con la filosofia spiccia degna di sua madre Rachel aveva sentenziato che:
- Chi non mangia ha già mangiato. - e l'aveva lasciato a digiuno fino alla cena. Non era stato semplice, considerando che per la prima mezzora il suo adorabile paziente aveva suonato incessantemente il campanello, e non contento si era persino messo ad urlare a pieni polmoni, lamentandosi per il maltrattamento subito, per il fatto che non poteva assolutamente permettere che lui rimanesse digiuno, che doveva recuperare le forze e via dicendo.
Rachel era stata inflessibile. Aveva chiuso la porta della stanza del paziente e ci aveva attaccato un bel cartello di "attenti al cane" che aveva trovato in un negozietto vicino casa. Per passare il tempo aveva deciso di guardare la televisione in saletta infermieri. Stava aspettando che arrivasse l'ora della cena, e aveva persino saltato il controllo pomeridiano onde evitare di strangolarlo per le continue lagnanze.
L'orologio batté che le sette, e con stanchezza l'infermiera si preparò alla battaglia. Lo trovò attaccato al portatile, intento a sbatacchiare sui tasti velocemente e tutto concentrato. Solo in quel momento Rachel si accorse che il campanello non era suonato nemmeno una volta, e probabilmente lo scrittore aveva trovato una buona idea per il romanzo, dato che non si accorse nemmeno del fatto che Rachel fosse entrata.
- Buonasera signor Haynes. - salutò cordiale, per poi snocciolare il menù del giorno e chiedergli se gli andasse bene.
- Sto morendo di fame! Certo che mi va bene, che razza di domande fai. - sbottò lui con rabbia senza nemmeno guardarla, era troppo impegnato a scrivere per degnarla d'uno sguardo. Rachel si limitò ad annuire e a portare dentro il vassoio. Aspettò che Haynes spostasse il portatile per appoggiarlo e, incrociando le braccia, attese. Thomas fissò con espressione disgustata il cibo, ne spostò un po' con la forchetta, come se cercasse qualcosa fra la pasta. Continuò a giocherellarci per un paio di minuti prima di trovare il coraggio di mangiarne una forchettata. Lo trovò insipido e assolutamente inadatto. Per un breve, fugace istante sentì la mancanza della cucina di Carol.
- Voglio qualcos'altro! Questo non è di mio gradimento. - l'infermiera sbuffò, roteò gli occhi e gli portò via il vassoio.
- Bene. - esclamò Rachel squadrandolo - Se vuole fare lo sciopero della fame non sarò io a fermarla. - e, fatti i controlli del caso, se ne andò lasciandolo per la seconda volta digiuno.
Thomas Haynes aveva molti difetti. Anzi, per moltissime persone egli un unico, grande coacervo di difetti. C'era però una cosa positiva che andava detta sul suo conto: non si arrendeva. Mai. Se voleva ottenere qualcosa, l'avrebbe ottenuta. Non importava con che metodi, o con che mezzi. E Thomas, adesso, voleva una cena decente. La voleva, e l'avrebbe ottenuta.
Totalmente dimentico del romanzo che stava scrivendo recuperò il suo cellulare dal comodino e iniziò a pestare sui tasti con rabbia. Gliel'avrebbe fatta vedere lui, a quell'infermiera.

Rachel era intenta a seguire un film in televisione, non aveva ben capito la trama dato che si era persa la prima mezzora del film. Si trattava di una intricata storia di spionaggio, con un sacco di macchine che esplodevano ogni trenta secondi. Non si accorse del ragazzino appostato sulla porta della saletta infermieri finché questi non si schiarì la voce.
- Ehm, mi scusi, ho portato l'ordinazione del signor Haynes, mi potrebbe dire il numero della sua stanza, lui si è dimenticato di dircelo. - si scusò, reggendo in mano una borsa di plastica che emanava effluvi molto invitanti.
- Cosa? Ordinazioni di cosa? - rispose lei basita.
- Della cena. - replicò il ragazzo scuotendo leggermente il sacchetto. Rachel balzò in piedi irritatissima, quel maledetto!
- Me lo dia. - ordinò brusca - Il sacchetto. - specificò poi, davanti allo sguardo da pesce lesso del giovane. Quello mollò subito la busta di plastica, terrorizzato dallo sguardo dell'infermiera, e fuggi a gambe levate dal reparto. Rachel invece marciò decisa e verso la camera di Haynes, per poi fermarsi a venti centimetri dalla porta.
Thomas la stava sfidando: affrontarlo a muso duro non avrebbe portato a nulla, se non lamentele o, ancora peggio, subdoli tentativi di farle fare quello che lui voleva.
Si girò con calma, tornò nella saletta infermieri e posizionò su un vassoio quello che c'era nel sacchetto.
Una bistecca di notevoli dimensioni, con contorno di patate arrosto e una bottiglia di vino rosso di pregiata qualità. Una cena di tutto rispetto, pensò Rachel addolorata, mentre prendeva il sale e ne sommergeva letteralmente la bistecca, aspettando che questa lo assorbisse e non si notasse più.
Era davvero un gran peccato che anche quelle deliziose patate al forno andassero rovinate, stava pensando l'infermiera dopo averne assaggiate un paio, ma era un prezzo che era disposta a pagare per vendicarsi di Thomas Haynes. Scrutò nella dispensa della saletta infermieri alla ricerca di qualcosa di adatto: non voleva ripiegare di nuovo sul sale. Prese del piccantissimo peperoncino in polvere (quello che Lillian aveva portato da un viaggio in Messico) e ne piazzò una spolverata sulle patate. Poi, per precauzione diede un'altra passata della terribile polverina.
Infine stappò il vino e se ne versò un bicchiere con l'intenzione di berselo dopo con tutta calma. Indecisa su cosa aggiungerci, optò per allungare il vino con l'aceto rosso che si era portata da casa per condirsi l'insalata. In fondo vino e aceto non sono poi la stessa cosa?
Scosse la bottiglia perché vino e aceto si amalgamassero per bene, e poi tornò dal suo paziente.

- Signor Haynes! Le ho portato la cena che ha ordinato. - esclamò con tono rassegnato, appoggiando il vassoio sul tavolo.
- Che cosa sorprendente! Sono così felice che lei abbia finalmente capito che è inutile scontrarci su queste cose. Credo che si sia riuscito a raggiungere un accordo fra noi, Rachel, non crede? - rispose Thomas soddisfatto di esser riuscito a piegare anche quella testa calda di Rachel Sullivan. Era persino tornato a darle del lei, una strana forma di rispetto per chi lo assecondava. Senza nemmeno pensarci Thomas tagliò un grosso boccone di bistecca e lo infilò rapidamente in bocca. Aveva così fame che non si accorse dello strano sapore della carne se non dopo una manciata di secondi. Ingollò il boccone con disgusto, pensando di avere le papille gustative alterate dai medicinali e tentò con le patate.
Peggio di prima: il palato e la lingua in fiamme! Afferrò il vino e bevve direttamente dalla bottiglia per far passare il bruciore. Anche il vino gli parve orribile, gli sembrò di bere aceto, e il bruciore non passò di certo, anzi aumentò!
Rimase a boccheggiare e tossire per qualche minuto, decisamente sorpreso e visibilmente devastato dalla deliziosa cenetta che aveva ordinato. Non era possibile che i medicinali alterassero in maniera tanto evidente i sapori: anzi di solito si limitavano a renderli leggermente più scialbi. Nulla a che fare con quell'orrido gusto che aveva assaggiato.
Rachel nel frattempo se ne stava impassibile ad osservarlo. Dentro di se rideva come una matta, ma esteriormente era una maschera di pietra.
- Tutto bene signor Haynes? - chiese infine, vedendolo diventare di un bel color peperone e quasi lanciare a terra il vassoio.
- TU! - sbraitò lui con la voce roce - Cosa hai fatto alla mia cena?!
- Assolutamente nulla! Cosa c'è che non va nella sua cena? - domandò angelicamente Rachel
- Tu mi vuoi avvelenare! Tu stai cercando di uccidermi! - proseguì lui fra un colpo di tosse e l'altro.
- Purtroppo non sono autorizzata ad usare questi metodi. Qui il nostro lavoro è curare i pazienti, non ucciderli. - spiegò lei calmissima, continuando a restare sullo stipite della porta a braccia conserte.
- Tu hai messo qualcosa nella mia cena! Al Green Tower non propinano certe schifezze! - rincarò lui, lasciando che il pensiero andasse per un momento a quanto aveva pagato quella dannatissima bistecca.
- Forse è solo colpa dei medicinali se sente dei sapori diversi. - spiegò Rachel nel tono più professionale che poté.
- Medicinali un corno! - sbottò Thomas arrabbiato, cercando di riprendersi dalla cocente delusione della cena rovinata e della fame che gli torceva le budella. Per un momento Rachel quasi si pentì di quello che aveva fatto, il senso di colpa stava affiorando lentamente e lei decise di portar via la cena al signor Haynes, prima che questi gliela lanciasse addosso. Recuperò il vassoio in maniera pressoché fulminea e lo andò a svuotare.
- Sei un'incompetente di prim'ordine! Giuro che ti faccio licenziare! - ululò lui con voce roca e rabbiosa, per farsi sentire fino alla saletta infermieri dove lei stava sciacquando le stoviglie. Ecco, il suo senso di colpa era stato stroncato sul nascere.
- Ci provi pure, signor Hayens, e vedrà com'è bello restare in ospedale senza infermiere a disposizione. - gli urlò lei di rimando, asciugandosi con calma le mani in uno strofinaccio. Lui stava ancora strillando qualcosa, ma lei non gli stava più prestando attenzione.
Da quando lavorava lì erano stati in tanti a cercare di farla licenziare. Alcuni ci erano andati anche vicini, i primi anni, se non fosse stato per il fatto che tutto il corpo infermieri si era opposto in blocco. Rachel poteva non essere la più simpatica o la più brillante dell'ospedale. Sicuramente c'erano persone più preparate, più educate e più servizievoli: ed erano alcuni dei suoi colleghi. Colleghi che, come si era visto anche in quell'occasione le avevano rifilato il caso più rognoso. Non c'era quindi da stupirsi che sia i colleghi infermieri che i medici fossero restii a lasciarla licenziare senza dire una parola. Non c'era nessuno in ospedale che avesse più polso fermo di lei, e nessuno che sapesse gestire certi casi clinici.
Una volta Lillian le aveva chiesto da che genere di genitori fosse stata cresciuta per essere così. Non che i genitori di Rachel c'entrassero molto, a dire il vero. Quello che aveva fatto diventare Rachel così... così forte e decisa, al limite della tirannia secondo alcuni pazienti, era l'aver avuto ben quattro fratelli, tutti maschi, e l'aver vissuto la sua infanzia in campagna.
Rachel era la sorella di mezzo: due fratelli più grandi e due gemelli che erano nati solamente un anno dopo di lei. Le continue liti, a ben vedere, non avvenivano con il fratello maggiore Arthur, che aveva ben otto anni più di Rachel, ma col secondogenito: William.
Lei e William avevano iniziato a litigare quando lei aveva compiuto da poco gli otto anni. Prima il loro rapporto non era stato dei peggiori: certo, litigavano, ma come succede normalmente fra fratelli. Tutto era peggiorato quando Rachel aveva avuto la sua cameretta.

Benché vivessero in campagna, la casa non era molto grande. Suo padre non era un agricoltore, ma bensì un professore universitario decisamente stufo della calca cittadina. Sua madre una semplice casalinga con una particolare fissazione per il découpage. Ed entrambi avevano deciso di crescere i propri figli in aperta campagna, considerandolo un posto più appropriato per dei bambini.
La casa che avevano acquistato era semplice villetta su due piani. L'agente immobiliare si era dimostrata entusiasta nel far visitare loro la casa. Un'ampia cucina con un bellissimo tavolo di legno massiccio era stata la prima cosa che aveva mostrato con una punta di orgoglio. Il salotto era stato il passaggio obbligato per arrivare ad uno studio di discrete dimensioni che il padre di Rachel aveva oltremodo apprezzato. L'ovvio bagno e l'altrettanto ovvio box auto erano cose che i genitori di Rachel avevano dato per scontato.
Il piano superiore era mansardato, cosa che invece aveva reso oltremodo felice la madre di Rachel, che da anni sognava una camera con il legno a vista. Tre camere da letto e due bagni, di cui uno a dir poco colossale. Per finire un armadio a muro alla fine del corridoio, armadio che si era prenotata immediatamente la madre di Rachel per le lenzuola, i cambi invernali e tutto l'occorrente per il découpage.
All'epoca c'era solo Arthur e quelle tre camere così spaziose erano sembrate quasi troppe.
Ma nel giro di nemmeno cinque anni la famiglia si ritrovò con altri quattro figli a carico. Per un primo momento Arthur e William si trovarono a dividere una stanza, mentre Rachel stava nella stessa stanza dei gemelli. Ma non poteva durare, e il padre di Rachel decise di privarsi del suo studio per farne la cameretta per l'unica figlia femmina.
La cosa non era andata a genio a William, al quale pesava dover dividere la camera col fratello maggiore. Fratello, c'è da precisarlo, che soffriva di una mania di perfezionismo ai limiti della patologia. L'ordine era una cosa che nella loro camera non mancava mai: i vestiti di Arthur erano sempre piegati e perfettamente riposti negli armadi. I suoi libri erano messi secondo tre ordini diversi: grandezza, autore, argomento. Come ci riuscisse lo sapeva solo lui.
William soffriva in quella situazione, e vedere Rachel ottenere una cameretta tutta sua, senza sforzi apparenti se non per il fatto di essere una femmina, lo aveva letteralmente mandato in bestia. Per questo si sfogava sulla sorellina. Le staccava le teste dalle bambole, si divertiva un mondo a levare le pietruzze luccicanti dalla sua bigiotteria per poi buttarle nel fiumiciattolo vicino casa, e a volte anche a farle trovare sotto le coperte qualche insetto particolarmente orrido. Una volta ci aveva messo persino una ranocchia.
Come se tutto questo non bastasse, anche i gemelli avevano iniziato a tormentare Rachel, più per spirito d'emulazione verso il loro idolo William, che per odio o cattiveria verso la loro sorellona.
Le giornate della poveretta diventarono in breve un martirio. Nell'andare a scuola doveva sempre aspettarsi almeno uno sgambetto da parte di William, sull'autobus per arrivare a scuola i gemelli la tormentavano per tutto il tragitto. Riusciva a stare tranquilla solo in classe, dove per fortuna non aveva fratelli che potessero infastidirla, anche se una volta William aveva accennato al fatto di farsi bocciare un paio di volte per finire nella sua stessa classe. Cosa che per fortuna non aveva mai veramente fatto.
Rachel aveva iniziato a tornare a casa a piedi per evitare i fratelli, passando per i campi. Certo, ci metteva più di tre quarti d'ora tenendo un buon passo, ma era sempre meglio che sopportare le angherie dei suoi consanguinei. Purtroppo anche questa soluzione era durata per poco. William l'aveva scoperta e aveva iniziato a seguirla. Essendo più alto e più robusto non gli costava nessuna fatica raggiungerla per tirarle i capelli o darle dei pizzicotti.
Rachel era stata fino a quel momento una bambina paziente e calma, ma la sua indole testarda e cocciuta si risvegliò una mattina di settembre. Aprì gli occhi e decise che ne aveva avuto abbastanza, e che era ora di metterci un freno. Così, già prima di colazione, aveva le idee ben chiare su cosa fare. Si infilò in camera di suo fratello William mentre lui era in bagno e Arthur era al piano di sotto, e rovistò per un po' nei suoi cassetti. Finita l'incursione scese e fece finta di nulla. Aspettò pazientemente che suo fratello le facesse il solito sgambetto mattutino e, invece di schivarlo come al solito, Rachel gli affibbiò un bel calcio sullo stinco, gridandogli di piantarla di comportarsi da imbecille. William ovviamente non reagì bene a questa novità, ma la sorella si era premunita rubandogli l'album delle figurine a cui lui lavorava da un sacco di tempo.
- Se non mi lasci in pace, - lo avvisò quel mattino di settembre - giuro che te lo brucio. - William si era limitato a deglutire rumorosamente, covando vendetta per tutto il tragitto verso la scuola, vedendosi impossibilitato a riprendersi l'album senza danneggiarlo. Sempre in quella memorabile mattinata, Rachel aveva fatto capire anche ai gemelli che le cose stavano cambiando. Attese seduta al suo posto sul bus che i due le si avvicinassero per i soliti dispetti, poi prese uno dei due per i capelli e glieli tirò così forte da strappargliene una ciocca, aggiungendo al gesto poche, incisive parole.
- O la smettete, o diventerete calvi. - e dato che i gemelli avevano una strana adorazione per i loro capelli, per quel giorno la lasciarono perdere.
Anche durante il ritorno in autobus i fratelli le restarono a debita distanza, e una volta giunti a casa Rachel chiese alla madre le chiavi della sua stanza.
Deborah Sullivan non si stupì a quella richiesta. Sua figlia iniziava a farsi donna e, secondo lei, a undici anni era più che legittimo desiderare un po' di privacy. Certo non poteva immaginare che quella richiesta fosse dettata più dall'istinto di sopravvivenza, che dal desiderio di privacy.
Dopo quella mattina di settembre William aveva tentato di farle qualche dispetto, ma si era trovato a rinunciare quando il motivo di tanto odio nei confronti della sorella si risolse.
Arthur andava a studiare lontano da casa, e quindi la camera era diventata praticamente la camera di William, con rare visite di Arthur a settimane alterne.
Non che questo avesse risanato completamente i rapporti fra i fratelli, ma per lo meno William non tentava più di prendere lo scalpo di Rachel ogni volta che uscivano di casa.

Rachel si riscosse da queste riflessioni sul proprio passato quando sentì di nuovo la voce di Thomas.
- Ehi! Ehi! Rachel! Devo chiederti una cosa, vieni qui. - le stava gridando.
- Si è dimenticato la parolina magica, signor Haynes. - gli rispose lei, sorseggiando il bicchiere di vino che aveva salvato prima di boicottare la cena.
- Perfavore. - disse a denti stretti lui di rimando, chiaramente imbestialito dalla richiesta di Rachel.
- Così va molto, molto meglio. - sghignazzò lei contenta, avviandosi con molta calma verso la stanza di Thomas.
- Oh, finalmente! Allora, quali sono i sintomi della denutrizione? - domandò lui senza nemmeno guardarla. Se ne stava con lo sguardo fisso sul monitor del suo computer portatile, scorrendo delle pagine velocemente.
- Esiste Wikipedia. - si limitò a rispondere lei. Thomas sbuffò.
- Lo immaginavo. - disse poi lui, più rivolto a se stesso che a Rachel. - Era ovvio che mi assegnassero una infermiera assolutamente incapace, e che non sa nulla di denutrizione. Ma soprattutto che si affida a Wikipedia! - l'ultima parola, particolarmente calcata, fece capire a Rachel il profondo disgusto che Thomas provava per l'enciclopedia online.
- Ha forse paura di essere denutrito, signor Haynes? - chiede Rachel stizzita. Oh, accidenti! Come riusciva lui a farla andare fuori dai gangeri, non ci riusciva nessuno. Nemmeno suo fratello William nei tempi migliori.
- Potrebbe essere! Ma è tutta colpa tua che mi propini delle schifezze inenarrabili.
- Al massimo la colpa è sua, che rifiuta qualsiasi cosa le si porti. - Thomas sbuffò nuovamente.
- Per quanto dovrò sopportare la tua frizzante personalità? - domandò quindi, sviando il discorso.
- Secondo la sua cartella clinica lei dovrebbe restare presso questa clinica per circa un mese e mezzo. Se non ci sono complicazioni. Così da poter seguire la fisioterapia per ristabilirsi completamente. - lui strabuzzò gli occhi.
- COSA?! Un mese e mezzo? Ma stiamo scherzando mi auguro! La fisioterapia voglio seguirla lontano da te! Il più lontano possibile!
- Guardi, fosse per me la dimetterei subito, ma la sua frattura esposta ha bisogno di attenzioni particolari, e il nostro centro di fisioterapia è molto avanzato. Non potrebbe trovare migliori trattamenti da nessun'altra parte.
- Questo vuol dire che tu sarai la mia infermiera per un mese e mezzo? Oppure ho la speranza di essere trasferito in un altro reparto?
- Qui le infermiere girano tutti i reparti. I pazienti sono pochi, e molto impegnativi, mi creda! Quindi, spiace anche a me confermarle che sarò la sua infermiera per tutto il tempo del suo ricovero.
- Che immenso piacere. - commentò sarcastico - Chissà, magari trovo il modo di farti pentire di aver accettato questo incarico.
- Da quel che ho visto finora l'unico che ci ha rimesso è stato lei. Io oggi ho mangiato benissimo. - replicò lei con un ghigno malefico dipinto sul viso.
- Io quel ghigno te lo leverei a suon di ceffoni.
- Attento signor Haynes, adesso è lei che mi sta minacciando. Non è corretto.
- Ma, Rachel, è colpa tua, che scateni i miei più bassi istinti. - si scusò lui mellifluo - Sembra che ti stia impegnando davvero per farmi saltare i nervi.
- Che strano! - esclamò lei di rimando - Ero convinta che fosse lei ad impegnarsi in tal senso.
- Da quel che ricordo non ho inondato la tua cena di sale, né ti ho fatta stare a digiuno.
- Da quel che ricordo - precisò lei - non sono io che ho cercato di aggirare le regole e ho rifiutato i pasti dell'ospedale.
- Touché. Allora cosa hai intenzione di fare? Farmi mangiare a forza le schifezze che mi propina la terribile cuoca di questo posto?
- Jhonas è un uomo. E forse potrebbe venire lui a spiegarle che non sono schifezze, quelle che cucina.
- Sono sicuro che le motivazioni di Jhonas dell'assoluta mancanza di sapore dei suoi piatti sia un argomento di grande interesse. Magari gli vietano di usare qualsiasi spezia esistente sul pianeta. O magari va contro i suoi credo religiosi riuscire a cucinare una bistecca che non sembri una suola di scarpe. O...
- Va bene, va bene! Ho capito! La cucina di Jhonas non la esalta, allora cosa vuole fare?
- Mi pareva di avertelo già detto: io ordinerò i miei pasti al ristorante e me li farò portare. Non ti sembra un compromesso ragionevole? Non dovrai più preoccuparti di spiegare a Jhonas perché rimando sempre indietro le sue... squisitezze. - spiegò Thomas con un sorriso. Rachel strinse i denti infastidita, come soluzione le andava quasi troppo bene, e quindi c'era sicuramente la fregatura.
- L'ospedale non copre questo tipo di spesa.
- Oh, Rachel, non preoccuparti: se posso permettermi di stare qui, credo di potermi permettere anche di pranzare in un ristorante per un mese e mezzo.
- Se io adesso cedo, e ne sono tentata mi creda, sento che poi la vita con lei sarà un vero e proprio inferno.
- Lo sarà in entrambi i casi! - assicurò con un sorriso smagliante.
- Ah, bene. Questo mi incoraggia proprio a cedere alla sua richiesta. - commentò caustica.
- E se ti prometto di renderti la vita un po' meno infernale, se cedi? Non pensi che sarebbe bello poter pranzare e cenare senza che io mi lagni? Oppure vuoi lasciarmi morire di fame?
- Da quello che vede non rischia di certo di morir di fame, la sua riserva di grassi le permetterebbe di resistere qualche altro giorno tranquillamente. - sorrisino malefico e occhiatina ironica all'indirizzo di Haynes. Quello impiegò qualche secondo per capire a cosa si riferisse Rachel
- Sei davvero molto spiritosa, mia cara. Forse è per questo motivo che sei ancora single. - commentò caustico, toccando un nervo scoperto di Rachel. Colpita e affondata.
- E lei come lo sa che sono single?
- Unh. Domanda interessante: partendo dal fatto che non vedo anelli di alcun genere si può dedurre che non sei sposata. Secondo: con tutto il tempo che passi al mio capezzale, se avessi un compagno di qualche genere lui si sarebbe di certo lamentato e sarebbe venuto a trovarla. Invece, dato che stai qui da tre giorni e tre notti senza pause, deduco che a casa ad aspettarti non hai nemmeno un gatto. O forse mi sbaglio?
- Che spirito d'osservazione. - masticò fuori acidamente Rachel, non sapendo come controbattere. Chissà perché lei e la fauna maschile avevano sempre avuto incontri spiacevoli.
Ricordò giusto Chris, il disgraziato che le aveva venduto le porcellane. Scosse il capo corrucciata. Thomas Haynes aveva centrato il punto dolente della sua vita.
- Chissà, magari è per il tuo carattere solare, o per la tua dolcezza, - stava continuando Thomas imperterrito - immagino che belle serate tu possa offrire ad un uomo. Meravigliose! Mi auguro che almeno sotto le lenzuola tu riesca a raggiungere la sufficienza. - concluse.
- Co... cosa?! - riuscì a formulare a stento Rachel, con gli occhi fuori dalle orbite.
- Mi hai capito benissimo Rachel, ci dovrà pur essere una cosa, una singola cosa, che riesca ad assicurarti le attenzioni di un uomo per più di dieci minuti. - l'infermiera rimase in silenzio per qualche minuto, cercando di assimilare e controbattere, ma non trovò nulla di pungente. Era semplicemente rimasta basita dall'argomento assurdo che Thomas aveva usato per ridurla al silenzio.
- Che soddisfazione essere riuscito a zittirti! Mi dovrò ricordare di parlare più spesso di sesso, se sortisce questo effetto. - ghignò lui sornione, si stava divertendo come un bambino.
- Non è il sesso che mi imbarazza, signor Haynes. Quello che mi urta è che lei pensi di sapere qualcosa della mia vita sessuale. Non dovrebbe dare giudizi avventati.
- Di sicuro sei in astinenza da tre giorni. - non voleva demordere, aveva trovato il modo di imbarazzarla e ci restava attaccato come il cane ad un osso - Dovresti uscire e cercare un compagno: fra non molto non avrai più l'età per certe cose. - Rachel non rispose verbalmente, si limitò a marciare fuori dalla porta, sbatterla con rabbia e andarsene a casa.
Aveva appena varcato la soglia di casa quando decise che sarebbe uscita. Sì! Alla faccia della carogna che avrebbe dovuto accudire in ospedale, sarebbe uscita e si sarebbe divertita tantissimo!

Thomas se ne rimase sdraiato sul letto a sghignazzare, anzi a ridere apertamente della sua schiacciante vittoria.
Certo, era a digiuno da tutta la giornata, e questo scherzetto chissà cosa gli sarebbe costato, ma ne era valsa la pena. Eccome se ne era valsa!
Poi tornò a guardare il suo portatile. Aveva appena raggiunto l'illuminazione per continuare il romanzo. Il protagonista veniva catturato e tenuto a digiuno, al buio per un tempo indeterminato. Era la stessa idea che aveva avuto prima dell'incidente, ma adesso sapeva come scriverla. Rifletté ancora un paio di minuti prima di iniziare a descrivere la scena: sì! Doveva fare freddo. Terribilmente freddo. Poteva ambientarlo in un qualsiasi punto della Russia. E poi... poi, ovviamente, il momento della cattura: per catturare il suo protagonista servivano almeno cinque nemici armati di tutto punto.
Thomas iniziò a scrivere velocemente, e non prestò la minima attenzione al cellulare che iniziò a suonare. Anzi, lo spense senza nemmeno guardare chi cercava di contattarlo.
Jackob, dall'altra parte del telefono si limitò a scrollare le spalle, e si chiese chi glielo avesse fatto fare di tentare di chiamare Thomas.



Note dell'autrice:


Non è colpa mia! Questa è la mia crisi del sesto capitolo. Chissà perché quando arrivo al sesto capitolo ho una crisi mistica che non mi fa trovare l'ispirazione a pagarla oro.
Ok, seriamente parlando:
Sono in ritardo. E che ritardo! Chiedo umilmente scusa, ma alcuni problemucci mi hanno tenuta lontana dal mondo della scrittura amatoriale per un bel pezzo.
Poi, non so come mai, mi è tornata l'ispirazione per continuare questa storia, e magari finirla. Perché ho preso un impegno con chi mi ha commissionato la storia, e poi perché comunque mi piace come storia. Quando trovo la giusta vena creativa/cretina mi diverto molto a scriverla.
Non so per quanti capitoli la tirerò avanti ancora: di sicuro so cosa succederà nel prossimo, che prometto sarà più incentrato su Thomas che su Rachel.
Poi spero sempre che succeda qualcosa che mi regali qualche brillante illuminazione su come continuare.

Comunque, questo capitolo credo sia il più lungo della storia, per ora. Spero che questo aiuti a dimenticare il terribile ritardo del capitolo. Perché mi sento davvero in colpa per essermi praticamente dimenticata di continuare questa storia.

Angolino recensioni:

Kunimitsu: Hai ragione, Rachel non ci va tanto per il sottile, ed ho cercato anche in questo capitolo di spiegare perché "lei può" fare certe cose. Poi, ovviamente, alcune cose dovete farmele passare come licenza poetica. Dopo quello che ha fatto Rachel in questo capitolo, credo davvero che un licenziamento, nel mondo reale e normale, non glielo avrebbe tolto nessuno. Anche se c'è da dire che da una parte Thomas si sta divertendo, eh! Lui ci gode un casino a far incavolare Rachel. Aver trovato qualcuno che gli tiene testa lo rende euforico.
Comunque no, dai, non voglio che si uccidano a vicenda, anche se Rachel trova molto rilassante escogitare nuovi, truculenti modi di far sparire Thomas dalla faccia della terra.
Piaciuto come ho sistemato la bellissima cena di Thomas? E ho anche spiegato come mai Rachel sia così tosta.

bravesoul: Il dottor House è un po' il sogno segreto della maggior parte delle donne. Comunque spero che anche questo capitolo sia di tuo gradimento, anche se è più incentrato su Rachel che su Thomas. Il prossimo, lo prometto, sarà un tripudio dell'egocentrismo del nostro adorato scrittore.
  
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