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Autore: Xay    02/10/2010    3 recensioni
Una raccolta, tratti di storie appena accennate, squarci e quant'altro riguardante principalmente le prime due trilogie de "Il Mondo Emerso", visto che la terza non è ancora completa.
Dalla prima One-Shot: " Vi narrerò, o miei amati, – cantava con l’abilità e l’affabilità di un cantastorie la sua testa, a gran voce – la storia di una regale, la Regina Sulana della Terra del Sole, salita al trono ancor prima di essere in età da marito, ma in seguito consumata e divorata dall’odio e da una vita che l’ha spolpata fino all'osso. "
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Procreatix Mortis

[Dallo squarcio del diario di Sibilla, Guerre del Mondo Emerso, Un nuovo regno, prima parte]

Perle di sudore e lacrime di rugiada investivano il viso candido di una regina. 
Era stata fin da bambina una regnante eccelsa, aveva amministrato la Terra del Sole con la diligenza di una donna già matura quando invece le sue coetanee ancora giocavano con le bambole di pezza, e i loro occhi rilucevano di un’innocenza, che lei aveva negato a se stessa, per impugnare uno scettro e indossare una corona, lasciando che il loro peso gravasse sui suoi pochi anni.
Non poteva tornare indietro, adesso. Ma se solo avesse saputo…
L’odore del sangue le pizzicava il naso, strizzava gli occhi e urlava; il dolore era passato in secondo piano, era la rabbia a farla urlare forte, mentre scuoteva vigorosamente la testa, nel tentativo di mandare via la Sua immagine.
Un uomo spregevole, che maneggiava la spada come vivesse in funzione soltanto di quella.
Quando – ancora innocua ed illusa –  l’aveva guardato di nascosto allenarsi, pochi giorni prima del loro matrimonio combinato, si era accorta fin da subito che c’era qualcosa di strano in quei movimenti. Come se non fosse lui a maneggiare e possedere l’arma, ma fosse la spada stessa a usare lui come un oggetto.
Stingeva le coltri merlate tra le mani e puntellava i piedi, poi scalciava.
«Fatelo uscire, non lo voglio, basta!» gridava, tra lacrime, dove ancora una volta il dolore non esisteva. Per quanta sofferenza fisica potesse provare in quel momento, niente, neanche la peggiore tra le torture, poteva essere comparata al male che si provava per la perdita della sola cosa che avesse mai amato e desiderato.  
«Maledetta febbre rossa…» mugolava a voce bassa, tra continui gemiti, ma nessuno sembrava capire le sue parole, nessuno sembrava ascoltare o soltanto provare a capire i suoi vaneggi, quelli di una madre distrutta, non di una regina, di una semplice madre.
Le levatrici cercavano di incoraggiarla, di aiutarla, ma lei le spintonava malamente e guardava tutte con sguardi iniettati di rabbia. «Fatelo uscire!» ruggiva, la voce sempre distorta dal rancore.
«Vostra Altezza, stia serena.» provava a sussurrare Sibilla, una mano stretta in un pugno, che teneva poggiata con sofferenza sulle labbra screpolate.
Lei era l’unica che mai avesse capito quello che la regina provava nel portare in grembo quella Creatura, frutto soltanto dalla violenza.
E quel nome.
Quando il re le aveva detto come si sarebbe chiamato, la sua ira si è tramutata in un pianto disperato. Learco. Voleva chiamarlo Learco.
Il nome dell’Angelo che aveva deliziato e riempito la sua vita vacua per non più di pochi anni ed ora era andato via. Voleva rimpiazzarlo. Un altro urlo. Ormai urlava soltanto per coprire i vagiti della Creatura.
«Mia Regina, è tutto finito.» mormorava adesso Sibilla, tamponandole via il sudore con un fazzolettino di cotone finemente ricamato. Su quel fazzolettino traspariva il suo nome, il nome di una regina distrutta dalla sua carica. Solo adesso capiva quando le sarebbe piaciuto essere semplicemente un’abitate qualunque del Mondo Emerso. Solo allora si sentiva piccola, fragile, schiacciata dal peso della corona e dello scettro, che dopo la morte del Vero Learco avrebbe voluto abbandonare.
Ogni volta che pensava di farlo si ritrovava davanti l’evidenza che lo scettro fosse ormai un tutt’uno con la mano che lo impugnava, e la corona, quella se la ritrovava cucita sulla testa contro volontà.
La regina stava sempre peggio,  la Creatura era uscita dal suo grembo, ma non smetteva di piangere, e lei piangeva insieme a questa, per odio. Odiava quella Creatura, la odiava con tutto il suo animo. Quel vagito alle sue orecchie somigliava ad una blasfemia, così per non sentirlo si copriva la testa con un cuscino, e continuava a urlare, a scalciare, a piangere.
«Portatelo via!», urlava, «Portatelo lontano da me!» e intanto le lacrime continuavano ad inzuppare le coltri merlate di quel baldacchino reale.
Poi la folla, urlava di gioia, acclamando la Creatura con un nome non suo.

No, no, no. La regina stringeva il cuscino più forte, come volesse soffocarsi. Non chiamatelo Learco, no.
«Vostra Maestà, vostro figlio…» per fermare quell’ennesima parola blasfema soffocava un urlo feroce da sotto il cuscino.
«Non è mio figlio. È figlio suo. Può farne quello che vuole, non voglio vederlo.» ormai parlava con voce tirata, roca, tante erano state le urla che adesso anche un sussurro le moriva in bocca, cercando di uscire dalle labbra secche e tese. Fuori, la folla continuava con giubilo i festeggiamenti in onore della Creatura. Alle sue orecchie tutta quella gioia era un’offesa sempre più grande.
La regina piangeva e urlava, fino a farsi male ai polmoni per lo sforzo, fino a quando, anche l’ultimo grido di gaiezza, si spegneva, lasciandola finalmente sola nel suo dolore.
Ora c’era solo un’ultima cosa che aspettava. E non era il sole dell’indomani, non era neanche l’estate o una nevicata. Aspettava di morire, lo voleva, lo bramava più di qualunque altra cosa, per potersi ricongiungere al suo adorato Learco e abbandonare al proprio sanguinario destino tutto il Mondo Emerso.
Tutti lo meritavano, per lei nessuno era più degno di vivere da quando Learco era morto, tantomeno quella Creatura.

Vi narrerò, o miei amati, – cantava con l’abilità e l’affabilità di un cantastorie la sua testa, a gran voce – la storia di una regale, la Regina Sulana della Terra del Sole, salita al trono ancor prima di essere in età da marito, ma in seguito consumata e divorata dall’odio e da una vita che l’ha spolpata fino all’osso.
La regina lo sapeva, era così.
E in quella notte aveva avuto la tentazione di colpire con due colpi fiacchi il campanellino in ottone che brillava sul comodino, alla luce sbiadita della candela, pressoché consumata, per chiedere ad una cameriera di portarle la Creatura.  Per poterla vedere, e magari cercare il lei qualcosa di Learco. Del Vero Learco.
Ma subito dopo scuoteva la testa per allontanare quel pensiero, perdonando a bassa voce l’Anima del suo Unico figlio per la bestemmia cui aveva, fortunatamente, solo pensato.
Affondava il viso nelle coltri e, con un soffio stentato, che faceva filtrare dalle labbra, lo stoppino si spegneva, facendo cadere la stanza nel buio.
Non avrebbe mai amato quella Creatura, né l’avrebbe mai chiamata con un nome che di per sé non le apparteneva.
Learco era morto, e con lui anche lei.

Dohor poteva farne quel che voleva di quella Creatura, a lei non sarebbe importato.
Un singhiozzo faceva tremare il corpo della regina, mentre lo pensava.
A lei non importava più niente.

 

-.Lo spazio diValentina.-
Volevo solo vedere cosa ne avreste pensato di tutto questo ^^
E' la prima storia che pubblico su una delle trilogie di Licia Troisi.
Non sono abituata a scrivere su di loro, ma mi piace, fatemi sapere cosa ne pensate, mi farebbe immensamente piacere, anche perché davvero non so cosa pensarne.
Un grazie in anticipo, credo che posterò qualche altra One-Shot, chi lo sa! xD Un bacio, Vale.


 

 

 

  
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