Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Segui la storia  |       
Autore: harinezumi    03/10/2010    4 recensioni
Arthur Kirkland è un impegnato banchiere a Londra, che sembra impiegare il proprio tempo solo ad accumulare denaro. ma un giorno eredita la villa dello zio in Francia, dove riscopre emozioni che aveva da tempo soppresso.. {una rivisitazione in chiave "hetaliana" del film omonimo del 2006; probabilmente lo ammazzerò a colpi d'ascia, siete avvertiti *-*}
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland, Un po' tutti
Note: AU, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

capitolo cinque – in cui Alfred perde una scarpa

 


Arthur cercava di non barcollare troppo, mentre tornava alla villa attraverso le file di vigne, sfiorando le foglie degli alberelli con una mano aperta, distrattamente. Teneva lo sguardo basso, e non poteva fare a meno di tornare a biasimarsi ogni pochi secondi per quello che aveva fatto ad Alfred.

Eppure aveva imparato a farsi piacere la presenza di quel ragazzo in casa, che lo sorprendeva con quella sua ingenuità ed allegria da far concorrenza ad Antonio, ed era veramente capace di impuntarsi sulle cose più stupide. Certo quello di poco prima non era il caso: Arthur doveva trovare il modo di scusarsi per la sua insensibilità.

Per poco, mentre pensava sconsolato a come parlare ad Alfred, non inciampò al buio su quella che sembrava una radice a terra, barcollando in equilibrio precario. Solo dopo si accorse che era un piede scalzo, così si chinò a guardare in basso, perplesso, sbilanciandosi così in avanti e andando a finire a terra. Sotto le vigne, a carponi, stava Alfred.

«Che cosa stai facendo?» borbottò Arthur, rinunciando in partenza ad alzarsi dato che il vino stava facendo girare tutto il mondo intorno a lui.

«Ho perso una scarpa» rispose Alfred, ridacchiando leggermente alla dimostrazione dello scarso equilibrio di Arthur.

«Come sarebbe a dire?» grugnì l’inglese, cercando di mettersi a sua volta a carponi per scrutare anche lui intorno, ma senza riuscirci. Alla fine, strisciò ad appoggiarsi con la schiena ad uno dei pali su cui si arrampicavano le viti, rimanendo a guardare Alfred che studiava il terreno intorno.

«Ho perso una scarpa. Reggi bene l’alcol, eh?» rise l’altro, ripetendo pazientemente ed individuando alla fine l’All Star ben incastrata tra i due sassi che l’avevano sfilata dal suo piede. L’afferrò, ma non mancò di osservare Arthur, mentre legava le stringhe. Quello era praticamente in lacrime e scuoteva la testa lentamente come se fosse impazzito, il che divertiva immensamente Alfred, anche se non riusciva a capire come ci si potesse ubriacare tanto.

«Non voglio dividere con nessuno Henry…» mormorò all’improvviso Arthur, proprio mentre Alfred gli passava un suo braccio al collo per aiutarlo ad alzarsi.

«Ma Henry ormai è morto. Non è più importante il fatto che io sia l’unico parente che hai?» domandò, rinunciando per il momento a sollevarlo e guardandolo in volto, anche se quello sfuggiva sempre al suo sguardo, come si vergognasse di non riuscire a controllarsi.

«Proprio perché saresti l’unico… voglio essere sicuro…» rispose Arthur, scuotendo nuovamente la testa e cercando di asciugarsi gli occhi con pesanti manate poco eleganti.

«Capisco. Se la smetti di agitarti ti porto a letto» rise Alfred, moderando però il tono della propria squillante voce per non ferirgli le orecchie, e sollevando di peso l’altro da terra. Ben presto gli fu chiaro che non fosse in grado di camminare, così lo prese in spalla, cercando di non barcollare troppo lungo la via di casa. Però, non riuscì a risparmiarsi qualche risatina e commento ogni tanto. «Sei proprio una frana. Credo di non aver conosciuto nessuno di così maldestro».

«Sta zitto… stupido americano» biascicò Arthur, con la fronte bellamente spalmata su una delle spalle di Alfred, dato che non riusciva a risollevare il capo.

Sorretto da lui gli sembrava quasi di navigare, ma in effetti la situazione non cambiò molto quando venne gettato tra le sue coperte. Il mondo, ad occhi chiusi o aperti, girava di continuo e le orecchie gli ronzavano.

Alfred lo mise con cura sotto le coperte, togliendogli soltanto le scarpe. Arthur aprì gli occhi proprio quando il volto dell’americano era proprio sopra al suo, mentre gli sistemava il lenzuolo, e d’istinto lo afferrò per il colletto della camicia.

Quello gli rivolse un’occhiata sorpresa, mentre veniva costretto con uno strattone da Arthur a chinarsi di più su di lui e a posare le labbra sulle sue. Quando si toccarono in quel bacio, però, Alfred non esitò a ricambiarlo. Giocarono per un po’ con le proprie lingue, mordendosi le labbra a vicenda per dei lunghi momenti silenziosi, in cui si udivano soltanto i loro respiri leggermente affannati. Sembrò per quei minuti che volessero mangiarsi a vicenda, ed Alfred non poté fare a meno di arrampicarsi carponi sul letto sopra all’altro, tanta era la foga di quel bacio.

Tuttavia, appena si staccarono l’uno dall’altro per un istante abbastanza lungo, la mano di Arthur scivolò via dalla sua camicia e l’inglese richiuse le palpebre appena aperte, scivolando all’instante nel sonno.

Alfred non poté fare a meno di sorridere, e scese lentamente dal letto, uscendo dalla stanza.

***

«Bonjour!» fece una voce anche troppo squillante (come quella di un americano di sua conoscenza) alle spalle di Arthur, seduto al tavolino all’aperto a fare colazione.

Si voltò con l’aria di uno a cui il mal di testa è appena peggiorato, e i suoi occhi si posarono su un ragazzo che lo salutava con la mano, arrivando da un auto parcheggiata poco più in là sul viale. Somigliava in maniera impressionante a Lovino, aveva persino un ciuffo simile al suo che gli spuntava da un lato della testa, ma i suoi capelli erano più chiari; per contro, gli occhi erano decisamente di un’ambra più scuro rispetto a quelli dell’italiano.

Dietro di lui, intento a scendere dall’auto, c’era anche un altro ragazzo, biondo e molto più alto, tutto composto e ben pettinato, che scrutò Arthur poco distante con aria dubbiosa, prima di avvicinarsi a lui a sua volta.

«Salve, mi chiamo Feliciano!» esclamò allegramente il primo ragazzo, fermandosi a pochi passi da Arthur e rivolgendogli un sorriso a dir poco raggiante.

«Si?» domandò però l’inglese, alzando un sopracciglio e posando il giornale che stava leggendo sul tavolino, cercando di far notare all’altro che non aveva fornito nessuna spiegazione sul perché si trovasse lì, solo il nome.

«Io e Lud siamo qui per controllare il vino» chiarì allora in fretta Feliciano, allargando il proprio sorriso.

Arthur lo squadrò da capo a piedi, cercando di convincersi che quello potesse somigliare ad un enologo. Sicuramente un tipo così giovane –gli sembrava alla stregua di un dodicenne, nell’aspetto e da come si comportava- non poteva avere una laurea, ed in più, per quanto in abiti di buon gusto, aveva indosso maglietta e jeans, non molto professionali.

Il suo compagno del resto, che li aveva raggiunti silenziosamente, sembrava molto più adatto a somigliare ad uno che sta lavorando, perché almeno aveva la cravatta, così Arthur si rivolse a lui.

«Siete entrambi enologi?» domandò perplesso.

«Sono Ludwig, signor Kirkland» si presentò il biondo, con un forte accento tedesco, porgendogli una mano e nel contempo con l’altra afferrando Feliciano per la maglietta e tirandolo dietro di sé per nasconderlo alla vista. «Questo è il mio assistente, non faccia caso a lui».

Arthur gli strinse la mano, già più sollevato di conoscere qualcuno di normale. «Prego allora, vi accompagno a visitare le cantine e il vigneto». Si alzò in piedi, rendendosi conto di essere ancora in pantofole. «Vado a prendere degli stivali».

«Certamente, la aspettiamo» lo congedò Ludwig, lasciando andare Feliciano che si lamentava solo quando Arthur fu sparito nella porta della cucina. Allora, si rivolse al compagno, sibilando. «Vedi di non fare casino, o mi pentirò di averti portato» gli intimò poco gentilmente.

«E così sono il tuo assistente, Lud?» esclamò entusiasta Feliciano, aggrappandosi ad un suo braccio e cominciando a fare quelle che potevano essere definite fusa, strusciandosi contro la sua spalla.

«Non fare queste scene! Dobbiamo lavorare» sbottò Ludwig, riuscendo a scollarselo di dosso proprio quando Arthur tornò fuori, facendogli un cenno sbrigativo con la mano e accompagnandoli verso le cantine.

In realtà l’inglese sembrò non notare quanto entrambi gli altri due ragazzi s’intendessero poco di vino, mentre quasi si perdevano nel laboratorio, perché era immerso nei cupi pensieri che gli popolavano la mente da quando si era alzato quella mattina. Alfred stava ancora dormendo bellamente, ma lui non aveva bisogno di chiedere conferme per ricordare bene quello che era successo la notte prima: l’aveva baciato.

Arthur si sentiva stupido al solo ricordo di quella scena così imbarazzante. E si era anche addormentato subito dopo, come se davvero fosse tanto ubriaco da non reggere (lo era, ma non considerava una buona cosa dimostrarlo).

Certo, l’americano gli piaceva davvero molto. Gli piacevano le sue risate, il suo sorriso e il suo ciuffo di capelli sulla testa. Gli piaceva persino quando partiva in quarta a spiegare quanto si sentisse patriottico nei confronti del suo amato paese, che pure aveva lasciato per conoscere Henry, soltanto con lo zaino in spalla e un po’ di spiccioli. Ma non gli piaceva in quel senso. Si affannava così tanto a riflettere sul da farsi che praticamente ignorò gli altri due ragazzi per tutto il tempo.

In breve, non notò che Ludwig era palesemente in difficoltà nell’aprire le bottiglie o a prelevare campioni di mosto, e che era Feliciano a fare ogni cosa con straordinaria facilità. Anche quando il biondo assaggiò il vino, rimase a fissare il bicchiere senza capire esattamente cosa avrebbe dovuto dire a quel punto, così il più piccolo venne velocemente in suo aiuto.

«Piquette» affermò, in direzione di Arthur, di nuovo sorridendo. Ma non incontrò un’espressione di comprensione da parte dell’inglese. *

«Magnifico» rispose alla fine Arthur con incertezza, dopo un po’ che sosteneva il suo sguardo, alternandolo a quello di Ludwig che gli pareva stranamente confuso.

«No, no… vuol dire che non è buono» si affrettò a spiegare Feliciano, stringendosi nelle spalle con aria di scuse. «Sa di… come dire…»

«Merda?» domandò dolcemente Arthur, notando che la bottiglia che stringeva tra le mani era effettivamente una di quelle del suo vigneto. «Lo sospettavo».

«Ehm… mi dispiace» mormorò Feliciano.

«Non fa  niente. Avete finito? Potremmo andare a visitare il vigneto adesso, non credo che qui ci sia altro da scoprire».

Ludwig annuì, così Arthur fece strada verso l’uscita e infine li condusse ai campi, passando attraverso il parco. Feliciano gli parve estremamente interessato alla piscina, e disse qualcosa in proposito al compagno, che gli intimò soltanto di stare buono, arrossendo leggermente.

Tuttavia tra le vigne non sembrò andare tanto meglio, perché quando Feliciano le esaminò si esibì in una serie di espressioni che non fecero venire molti dubbi ad Arthur. Probabilmente la vigna non sarebbe stata un punto a favore per vendita della casa, si rassegnò. «È una catastrofe. E guarda questa roba! Che modo di fertilizzare sarebbe? Sembra più un cimitero che un vigneto».

Alla fine, si voltò verso di Arthur, continuando a parlare soltanto a lui mentre Ludwig non spiccicava più verbo. «Uhm…» cominciò, cercando le parole per definire la sua sentenza.

«Allora? Quale sarebbe il verdetto?» domandò Arthur, poco rassicurato dall’espressione dell’altro.

«Uhm… no» rispose Feliciano, scuotendo il capo e guardandosi intorno con aria esageratamente sconsolata. «Insomma. Può considerare l’idea di coltivarci le patate. Vero signor enologo?» domandò con un sorriso a Ludwig, che arrossì e fremette leggermente, probabilmente per non saltargli al collo e ucciderlo.

«Capisco. Beh, grazie» mormorò Arthur, ancora troppo intontito per rendersi conto che c’era qualcosa di strano in quei due.

Li congedò dopo qualche minuto, solo per tornare abbattuto indietro verso il parco, per nulla contento di quella nuova cattiva notizia. In quella maniera non si sarebbe mai liberato di quel posto, sempre che ora lo volesse per davvero. A confonderlo di più di tutto c’erano Francis (non si era scordato il suo appuntamento con l’affascinante francese) e Alfred, quest’ultimo piazzatosi da poco accanto alla piscina.

Stava steso a pancia in giù su una vecchia sedia a sdraio, in costume, e stava leggendo alcuni fogli che doveva aver preso dalla scatola aperta sul bordo della piscina. Arthur ci mise un po’ di tempo per rendersi conto che quelli erano la corrispondenza e i diari di Henry, che con una folata di vento finirono in buona parte dentro l’acqua della piscina.

Ovviamente, l’americano non accennò nemmeno a prenderli, ma sollevò la testa al grido di Arthur che correva in quella direzione, sorridendogli. «Bonjour, coniglio bianco!» lo salutò, entusiasta, sebbene dovesse essere sveglio da nemmeno mezz’ora.

«Che diavolo stai facendo, idiota! Queste sono cose preziose!» esclamò Arthur, afferrando con urgenza il retino per pulire la piscina e cominciando a pescare in fretta i fogli che ancora galleggiavano sull’acqua.

«Sai che papà ha mixato un martini a Winston Churchill? E ha anche ballato con Amelia Earhart nel 1975!» spiegò Alfred, allegramente, tornando a leggere i fogli che teneva in mano, per nulla scosso dall’agitazione di Arthur.

«Considerando che Amelia Earhart è morta negli anni ’30, questa è una delle tipiche esagerazioni di zio Henry» sbottò l’altro, stendendo nel prato ad asciugarsi tutti i fogli che riusciva a recuperare. Si sentiva di nuovo orribilmente in collera con colui che era chiaramente venuto a distruggere tutti i propri bei ricordi –anche fisicamente adesso!. «Vuoi conoscere veramente tuo padre, e non quello che la tua fervida immaginazione sta creando nella tua testa? Henry era un uomo talmente spaventato dal mondo che ha preferito morire qui triste e solo piuttosto che uscire da queste quattro mura…».

Alfred si tirò a sedere, ancora una volta cambiando la sua espressione da bambinone in una molto più arrabbiata e delusa , come la sera prima. «Tutto ciò che ho bisogno di sapere su mio padre è qui» mormorò allora, alzandosi in piedi e gettando le carte che aveva in mano un momento prima nella piscina.

Arthur fermò, arrossendo e rendendosi conto che lo stava trattando di nuovo decisamente male, e stavolta non era nemmeno ubriaco.

«Sai, se questo posto significava tanto per lui, come hai detto tu, sei una persona molto più orribile di quella che credevo anche solo per aver pensato di venderlo» lo raggelò Alfred, il sorriso dolce e amichevole scomparso dal suo volto. «Me ne vado domani».

***

«Che vuoi, Alf?» sbottò Arthur, rispondendo al telefono con quell’espressione, nonostante avesse visto benissimo che il nome sul display del telefono era “Matthew”.

«Ehm… hai dimenticato che dovevo arrivare?» mormorò l’assistente, timidamente.

«Ah… si. Quando arrivi?» chiese Arthur, osservando l’ora all’orologio appeso alla parete, che segnava le sei del pomeriggio.

«Sono già fuori, ecco io… ho bussato ma non mi risponde nessuno. Sei in casa, vero?» pigolò Matthew, rinunciando a sembrare seccato quale era in realtà. Non valeva la pena di arrabbiarsi con il suo capo, tanto quello nel giro di cinque minuti non avrebbe mai ricordato nemmeno il perché.

Arthur non si sprecò a correre troppo per andare alla porta, ma cercò di sorridere all’assistente quando lo vide aspettare sul viale assieme ad una valigia, ancora con il cellulare in mano. «Entra… sai, temo che avrai problemi con la vendita della casa».

«Perché? A me sembra molto bella, penso invece che ci potrai ricavare almeno cinque milioni…»

«Perché a quanto pare Lovino non sa fare il suo lavoro, e per un contratto con lui dovrò tenerlo qui. I nuovi proprietari saranno costretti a tenersi il suo vino! Comunque fai quello che devi, intanto che stai qui puoi prenderti una delle stanze al piano di sopra» spiegò l’inglese, con aria annoiata.

Arthur rimase a discutere di lavoro con Matthew per un po’ di tempo. A quanto pareva i suoi sostituti stavano facendo un bel disastro in sua assenza, e la notizia fece fiorire sulle labbra di Arthur uno dei suoi ormai vecchi sorrisi strafottenti. In altre parole, capì dalle parole del suo assistente che dopo quella settimana avrebbe potuto tornare al lavoro senza problemi, anzi probabilmente l’avrebbero reclamato a gran voce.

Tuttavia, anche il solo pensiero di partire da quella casa riusciva ad abbatterlo. Non avrebbe mai voluto lasciare le cose come stavano, specialmente ora che aveva litigato con Alfred un’altra volta. Più era impegnato a non ascoltare Matthew, che continuava a parlare indisturbato, più si rendeva conto che avrebbe dovuto come minimo scusarsi con l’americano.

Poi quel giorno era anche lunedì, e di lì a poco avrebbe dovuto incontrare Francis in paese. Quel pensiero, che fino alla sera prima lo aveva reso un po’ più allegro, ora lo faceva deprimere come poche cose, infatti appena gli venne in mente cominciò a dare testate alla scrivania dello studio in cui si erano seduti. Matthew ovviamente si agitò, senza capire, chiedendogli terrorizzato se per caso non si sentisse bene.

«Matthew» chiamò all’improvviso Arthur, sollevando la testa. L’assistente non fece in tempo a rallegrarsi per essere stato chiamato con il suo nome, che vide una preoccupante scintilla maliziosa negli occhi del proprio capo. «Dovresti farmi un favore».

«C-che genere di favore?» domandò Matthew, indietreggiando leggermente sulla sedia, inquietato dal sorriso che gli stava rivolgendo Arthur.

«Devi andare di sopra a scusarti con una persona da parte mia. Ho un appuntamento, ma non mi va di lasciarlo solo…» mormorò Arthur, mordicchiandosi il labbro con aria pensierosa, mentre i suoi occhi viaggiavano verso la rampa delle scale che s’intravedeva da una delle due porte aperte dello studio.

«Ma come potrei io… e dove dovresti andare? Hai un appuntamento… con una ragazza?»

Arthur prese le chiavi della Smart dalla tasca dei jeans e cominciò a giocherellare con il portachiavi, la mente che già vagava a pensare che capi di Henry avrebbe potuto indossare quella sera. «Direi che non sono affari tuoi, comunque non è una ragazza. Tu pensa a mio cugino al piano di sopra, io devo prepararmi».

«H-ho capito». Matthew annuiva con foga, anche se sembrava decisamente arrossito da quando Arthur aveva praticamente affermato di avere un appuntamento con un uomo. Del resto lui era l’assistente e non amava fare domande scomode, perciò si limitò ad incassare l’incarico, nonostante andasse molto al di là delle sue competenze.

Arthur non riuscì ad andare a scusarsi di persona con Alfred. Dopotutto, la sua mente aveva bisogno di riflettere su una preoccupazione alla volta; e ora il suo principale problema era quell’appuntamento inaspettato con Francis.

Non poteva negare che fosse un ragazzo molto bello. E chissà per quale motivo, accettando di uscire con lui, gli stava dando tutta quella fiducia, che a quanto pare da tempo non aveva per nessuno, a detta di Antonio. Forse era rimasto colpito dall’inglese, a modo suo.

Certo, anche Arthur aveva capito di esserne piuttosto attratto, vedendolo dal fondo della piscina quel giorno. Ma –da sobrio- non era il tipo di persona che saltava addosso a chiunque trovasse di bell’aspetto, o anche solo interessante. Tuttavia, aveva certamente intenzione di uscire davvero con Francis.

Perché Francis gli ricordava qualcosa… qualcosa che aveva a che vedere con le sue bellissime memorie dell’estate passata alla Siroque. Qualcosa che sicuramente aveva dimenticato.

 

* non ho idea di che cosa voglia dire “piquette”, ma dovrebbe essere qualcosa come “ispido”. è plausibile secondo me che Feliciano se ne intenda un po’ di vino, mentre ovviamente Ludwig è un pesce fuori d’acqua dato che è un birromane xD

 

 

____________________

beh penso di aver aggiornato un po’ più in fretta stavolta, no? questo capitolo è pure corto u.u’ perdonatemi. sono riuscita a scrivere il sesto, quindi sono molto sollevata e felice *-* forse riuscirò a non propinarvi una schifezza totale.

ringrazio molto chi ha letto e soprattutto chi ha lasciato una recensione ^^ potrei mentire e dire che non m’importa nulla, ma mi fa piacere avere riconoscimenti, non ci posso fare nulla xD

 

to Aerith1992: eh già, anch’io picchierei Antonio a volte xD è troppo spontaneo, è imbarazzante per il povero Lovino.. certo in realtà finita la cena gli ha dato il tavolo in testa probabilmente, altro che dimostrazione pratica di sodomia u.u’ io non ho idea di come stia scrivendo xD ma se dici che la storia ti piace sono contenta!! grazie davvero ^^

to Yuri_e_Momoka: un’altra recensione meravigliosa, specialmente per l’ora in cui l’hai scritta ç-ç cioè dopo averla letta sono andata subito a fare una torta dalla felicità *-* (ehm.. già) non devi dirmi queste cose xD poi mi monto la testa e e e.. vi voglio bene, posso sposarti anch’io? ç-ç e voglio specialmente che torniate a scrivere!! ammetto che nonostante ami la fruk è molto difficile scriverci su per me.. veramente complesso! spero che i personaggi migliorino, anche se sono felice che ti piacciano già così ç-ç commossa più che altro. spero ti piaccia fino alla fine.. grazie grazie mille!

harinezumi

  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: harinezumi